Er còllera mòribbus

Giuseppe Gioachino Belli

1835-1836 Indice:Sonetti romaneschi VI.djvu corone di sonetti letteratura Er còllera mòribbus Intestazione 5 dicembre 2022 75% Da definire

Sonetti dal 1828 al 1847 Sonetti apocrifi
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi
[p. 303 modifica]

ER CÒLLERA MÒRIBBUS1

converzazzione a l’osteria de la ggènzola2
indisposta e ariccontata co ttrentaquattro sonetti,
e tutti de grinza3

[1835-39-36]

Note

  1. [Cholera morbus si chiamava allora comunemente; e molti dicevano, e continuarono a dire per un pezzo, còlera, invece di colèra; nè mancò chi lo chiamasse, anche per le stampe, la cholera. Quindi vero, o verisimilissimo, il ravvicinamento romanesco a collera e a morire.]
  2. [Della giuggiola. Osteria allora assai più famosa d’adesso, sulla piazza omonima in Trastevere. Oggi è stata sopraffatta da quelle di Rampichino, di Viècce a ttrova, ecc.]
  3. [Di polso.]
[p. 305 modifica]

1.


     Bbasta, o sse1 chiami còllera o ccollèra,2
Io sce ggiuco3 la testa s’un baiocco
Che sta pidemerìa,4 sarvo me tocco,5
Cqua da noi nun ce viè, ssippuro6 è vvera.

     Nun zentite l’editto?7 che cchi spera
Ne la Madon de mezz’agosto, è un sciocco
Si8 nn’ha ppavura? E cce vò ddunque un gnocco,
Sor Marchiònne,9 a accorasse10 in sta maggnèra.11

     Disce:12 ma a Nninza13 fa ppiazza pulita.
Seggno che cqueli matti mmaledetti
Nun ze14 sanno avé ccura de la vita.

     S’invesce de cordoni e llazzaretti
Se sfrustàssino15 er culo ar Caravita,16
Poterìano bbruscià ppuro17 li letti.

4 agosto 1835


Note

  1. Si.
  2. [V. la nota 1 a pag. 303.]
  3. Ci giuoco.
  4. Questa epidemia.
  5. Salvo dove mi tocco.
  6. Seppure.
  7. [L’Invito Sagro, pubblicato il 31 luglio 1835 dal Cardinal Vicario, Carlo Odescalchi, il quale era uomo “d’una semplicità singolare, unita ad uno zelo poco illuminato;„ e si lasciava menar pel naso da alcuni suoi subalterni, “esseri di grossa ignoranza e nessuna prudenza.„ (Dispacc. dell’Ambasc. sard., 8 agosto 1836, in Bianchi, Op. e vol. cit., pag. 165.) Nel 1838, egli rinunziò al cardinalato e a tutti gli annessi e connessi, e si fece gesuita; rimanendo però famoso in Roma per la smania avuta da Vicario d’ingemmare i suoi editti con quanto di più iracondo e bestiale si legge ne’ libri santi. Singolarissimi esempi di questa smania possono vedersi nelle note de’ sonetti: L’editto ecc. (1), 21 febb. 36; e La caristia ecc. (2), 24 magg. 37: nelle quali però io non potei dare, come posso darlo qui, il testo preciso di questo Invito Sagro sul colera, perchè ancora non m’era riuscito di ripescarlo. “Risparmiò finora l’Italia,„ diceva dunque l’Invito, “quel morbo funesto, che aggirasi per Europa già da qualche anno, e che tante ha mietuto vittime altrove, morbo che per la oscurità della sua origine, per la stravaganza de’ suoi progressi, per l’incertezza de’ suoi attacchi, per l’acerbità de’ suoi periodi veste per chi ha fede i caratteri tutti, ed i segni d’un flagello. Parve finora, che le Alpi, e i nostri mari fossero una insormontabile barriera. Ma qual barriera a un flagello! L’Italia n’è oggi minacciata, ma da Roma è lontano ancora; e Roma ne sarà immune? Se il morbo è flagello, se il flagello di Dio si scarica sopra il capo del prevaricatore, Roma prevaricò? Non conviene, o Romani, illudersi, sì che Roma prevaricò. Il nome santo di Dio è conculcato, le feste, e le solennità sono violate, il vizio passeggia impudente baldanzoso (sic) per le vie della Santa Città. Dunque se Roma prevaricò, flagellata dev’essere ancora. Ma Roma ha una barriera, cui le Alpi, ed i mari rassomigliar non si possono, e questa barriera è Maria. Infelice Roma, se Maria coprendola con il suo manto non trattenesse il braccio di quell’Angelo dell’Apocalisse, che mostra dall’alto l’avvelenata tazza per rovesciarla sui miseri figli della colpa. A Maria dunque senza indugio rivolgiamoci...„ Ordina quindi una novena straordinaria a Maria, in preparazione per la festa dell’Assunzione al Cielo, da farsi in quindici chiese a lei dedicate, e di più in S. Rocco e in tutti gli oratòri notturni, dal 6 a tutto il 15 agosto, ricorrenza di detta festa. Il Papa concede indulgenza plenaria “a tutti coloro che sette volte nei dieci giorni interverranno al pio esercizio.„ Vietati in questi dieci giorni “gli Spettacoli d’ogni sorte, le Adunanze clamorose, i canti, e suoni notturni;„ chiuse, durante la funzione, “le Osterie, i Spacci di Acquavite, ed altri Liquori, i ridotti, i bigliardi ecc.,„ meno i “Caffè per la circostanza della stagione.„]
  8. Se.
  9. Melchiorre.
  10. Accorarsi.
  11. In questa maniera.
  12. Dice: dicono.]
  13. Nizza.
  14. Non si.
  15. Si sfrustassero.
  16. Oratorio notturno in Roma, dove gli uomini si dànno la disciplina al buio. [E, naturalmente, era uno di quelli contemplati nell’Invito Sagro del Cardinal Vicario. V. qui sopra la nota 8, e in questo stesso volume l’altra nota 8 del sonetto: L'ingeggno ecc., 18 dic. 32.]
  17. Pure.
[p. 306 modifica] [p. 307 modifica]

2.

     Quanno parli accusì, ccore mio bbello,
Fai capì cche l’editto nu’ l’hai lletto;
Perché er Vicario in quer lenzòlo ha ddetto
Ch’er collèra è un bravissimo fraggello;1

     E cche er Ziggnore se2 serve de quello
E cce lo manna3 appunto pe’ ddispetto,
Pe’ vvia4 che Rroma è ddiventata un ghetto
D’iniquità ppiù nnere der cappello.

     Rroma ha pprecarivato:5 ecco er motivo
Che la peste viè avanti pe’ le poste,
Pe’ nnun lassàcce6 un zecolaro vivo.

     Tu aspèttetela puro pe’ le coste,7
E vvederai ch’er Papa, mastr’Olivo,
Sarverà appena Ghitanino8 e ll’oste.9

4 agosto 1835


Note

  1. È un vero e assoluto flagello.
  2. Si.
  3. Ce lo manda.
  4. Pel motivo.
  5. “Ha prevaricato„: parole dell’editto del Vicario.
  6. Per non lasciarci, lasciarvi.
  7. Tu aspettatelaFonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte pure per la persona.
  8. Gaetano Moroni, primo aiutante di camera di S. S. [A quanto sul Moroni ho detto nella nota 13 del sonetto: La morte ecc. (2), 11 gen. 34, e in altre, aggiungerò qui ciò che di lui scriveva al proprio Governo la Legazione sarda di Roma: “Gaetano Moroni, antico cameriere del papa, che da lunghi anni ha goduto l’intima confidenza di lui, sembra egli stesso arrogarsi nelle Camere pontificie un tono d’autorità, per cui viene generalmente criticato, ma però assai piaggiato da coloro che cercano per vie oblique di salire in alto e procacciarsi favori mediante l’opera degli infimi, che comandano ai potenti. Costui si è formato ormai un patrimonio assai dovizioso, per quanto assicurasi generalmente; e la famiglia sua va sfoggiando un lusso superiore alla sua condizione. Oggi il detto individuo ha cessato d’esercitare le umili funzioni di cameriere, e venne dal papa eletto ad altra carica di palazzo, vale a dire a quella chiamata di Maestro di casa. Egli fu surrogato nella prima da un suo fratello, che fin ora in Roma non godeva della più limpida riputazione. Ora le ricchezze acquistate in così poco tempo dal detto Gaetanino, come altresì la certezza che in molti affari particolari qualche venalità abbia segretamente operato, tutto questo complesso di cose pur troppo han formato una massa di gravi imputazioni a carico del suddetto Gaetanino. Ultimamente è accaduto che si rinvenne alla posta una lettera diretta al detto individuo Gaetano Moroni coll’aggiunta del titolo di vice-papa.„ Dispacc. confidenz. Crosa, 8 agosto, 1836, in Bianchi, Op. e vol. cit., pag. 160. — “Se si volesse far cosa grata al Santo Padre, sarebbe di fare un regalo a Gaetanino Moroni... Si potrebbe dargli un anello o qualche bel capo d’argenteria; ma per ciò bisognerebbe trovargli un titolo, adoprarlo cioè in qualche cosa, poi darglielo in ricompensa.„ Dispacc. Broglia, 31 agosto 1839, ivi, pag. 159.]
  9. [Scherza, al solito, sulla fama che Gregorio XVI aveva di gran bevitore.]
[p. 308 modifica] [p. 309 modifica]

3.

     Oh annàteve a rripone,1 oh state quieti,
Ch’avete torto marcio tutt’e ddua.
Dar tett’in giù,2 sta collera è una bbua3
Che ddà de piccio4 a ssecolari e a ppreti.

     Ha ttempo er Crero a ffà nnovene e asceti
De sette ladri: monziggnor la Grua5
Aricconta ch’a Spaggna, a ccasa sua,
Fu un mascello, e pijjò ttutti li sceti.

     Sapete, sor Olivo e ssor Marchiònne,
Chi, cquanno mai,6 se pò ssarvà7 la pelle?
Sapete chi? vve lo dich’io: le donne.

     Perché a Rroma le donne, o bbelle o bbrutte,
Spesciarmente le vedove e zzitelle,
So’8 amiche de San Rocco guasi tutte.9

6 agosto 1835


Note

  1. Oh andatevi a riporre: andate via ecc.
  2. Umanamente parlando. [L’opposto di dar tett’in zu.]
  3. È un male, è una calamità.
  4. Dà di piglio.
  5. Uno dei deputati della commissione speciale di sanità pel colera.
  6. Al più.
  7. Si può salvare.
  8. Sono.
  9. San Rocco è il nome d’un ospedale di ostetrica. Molte donne vanno ivi a sgravarsi in segreto. Erasi in Roma sparsa opinione che le donne incinte andassero esenti dal contagio colerico.
[p. 310 modifica]

4.

     Pijji un grancio,1 Sciriàco,2 abbi pascenza
A Rroma tanto,3 è inutile, per dia!4
Sc’è la bbeata Vergine Mmaria
E l’Angelo custode che cce penza.5

     Eppoi te vojjo fà ccapasce, senza
Tante sciarle der c..... Er Casamia,6
Che nun è stato mai trovo7 in buscia,
Di’, l’ariporta o nno st’appestilenza?

     Ste raggione me pareno raggione.
E, a la peggio, te credi ch’er Governo
Nun pijji quarche ggran precavuzzione?

     A bbon conto er decane de Der Drago8
Disce che sse farà ’na priscissione:9
E vvederai che ss’inibbissce er lago.10

7 agosto 1835


Note

  1. Prendi un equivoco.
  2. Ciriaco.
  3. In quanto a Roma.
  4. Per dia, invece di per dio: mezzo giuramento.
  5. [L’angelo custode della città s’intende. V. in questo volume la nota 1 del sonetto: Un conto ecc., 29 magg. 33. In quanto poi alla Vergine, vedi la nota 8 del primo di questi trentaquattro sonetti.]
  6. [Il Casamia e il Barbanera sono due astrologhi, reali o immaginari, vissuti chi sa quando e autori veri o supposti di due famosi lunari, che si pubblicano ancora col loro nome e co’ loro ritratti, armati di occhiali e canocchiali.]
  7. Trovato.
  8. Il servitor decano del cardinale Del Drago.
  9. [E se ne fecero parecchie, perfino una di galeotti, come può vedersi nel quattordicesimo di questi sonetti; ma la più solenne, e la più curiosa per l'enorme acquazzone da cui venne dispersa, fu quella dell’8 settembre, sulla quale si vedano i sonetti: La Madonna ecc., 11 sett. 35.]
  10. Allagamento del Circo Agonale, che si usa in tutti i sabati e nelle domeniche d’agosto. Si credeva che quella umidità potesse nuocere in simile circostanza; ma poi non fu il lago vietato.
[p. 311 modifica]

5.

     Senti, Tribbuzzio:1 a ddilla2 cqui, a rrigore,
Io sto ccór zor Marchiònne e cco Cciriàco,
Perchè ssò ddar curato de Subbiaco
Che mmòribbus siggnifica se more.3

     De resto der collèra io me ne caco;
E avenno inteso a ddì ppiù d’un dottore
Ch’er rimedio è lo stà de bbon umore,
Maggno, ingrufo,4 spasseggio e mm’imbriaco.

     Chi è ssuddito fedele e bbon cristiano,
S’ha da lassà ddirigge, e ffà ssortanto5
Quello che vvede praticà ar zovrano.

     Te ggiuro da quer povero Sirvestro
Che ssò,6 cch’io stimo st’infruenza quanto
Er padroncino mio stima er maestro.

10 agosto 1835


Note

  1. Tiburzio.
  2. A dirla.
  3. Si muore.
  4. Ingrufare. vale: “coire.„
  5. Deve lasciarsi dirigere a fare soltanto.
  6. Che io sono.
[p. 312 modifica]

6.

     Eh! a cche sserveno mai tanti conforti?
È ita pe’ nnoàntri disgrazziati.
Sapete chi hanno fatti deputati
Si er collèra vierà? Pprìmoli e Ttorti.

     Questi tra llòro se sò1 ggià accordati
Che la povera ggente se straporti2
Ar lazzaretto, indóv’èscheno morti
Tutti quelli che cc’entreno ammalati.

     E li ricchi staranno in ne l’interno
De casa lòro, curati e assistiti
Da un medico e un piantone der governo.

     Oh annate a ccrede3 ch’er Vangelo poi
Abbi torto, discenno4 all’arricchiti:
Vè vòbbisis, ciovè bbeati voi!

16 agosto 1835


Note

  1. Si sono.
  2. Si trasporti.
  3. Andate a credere.
  4. Abbia torto, dicendo.
[p. 313 modifica]

7.

     Tutto va bbe’1 ma cqui li cardinali
Bbiastimeno2 e sse troveno3 imbrojjati
Perché la truppa nun pò ddà ssordati
Da mannalli4 a gguarnì li littorali.

     Dunque vonno ch’er popolo s’ammali
Quanno la forza sc’è? Ssiin’ammazzati,
E nun ciànno5 un esercito de frati
Co’ li lòro fetenti ggenerali?

     E Ppassionisti, e Scolopi, e Tteatrini,6
E Ppavolotti, eppoi Domenicani,
Eppoi Serviti, eppoi Bbenedettini,

     Eppoi tante e ttant’antre bbaraonne!7
Bbasta de lassà stà8 li Francescani,
Pe’ nun fà rribbellà ttutte le donne.

17 agosto 1835


Note

  1. Va bene.
  2. Bestemmiano.
  3. Si trovano.
  4. Mandarli.
  5. E non ci hanno, ecc.: e non hanno.
  6. Teatini.
  7. Tante altre baraonde. Baraonda è “quantità confusa di cose e di persone, che si rimescolano insieme.„
  8. Lasciar stare.
[p. 314 modifica]

8.

     Pe’ l’aàppunto, a pproposito de frati,
Curre la sciarla mo,1 ggnente de meno,2
Ch’er collèra è l’affetto3 d’un veleno,
Bbono da fà mmorì ttutti li Stati.4

     Ir quale er monno5 s’è scuperto pieno
De funtane e de pozzi avvelenati
Da sti servi de Ddio nostr’avocati
Pe’ bbuggiàracce a tutti a ccel zereno.6

     Io perantro7 papeggio,8 e ssò rregazzo
De fregammene9 assai; ché ppe’ sta strada
Lòro, per dio, nun mé la fanno un c.... .

     A mmé nun me s’inzeggna sto latino.
Sull’acqua pònno fà cquanto j’aggrada,
Purché nun zia10 d’avvelenamme er vino.

17 agosto 1835

̀

Note

  1. Corre ora la voce.
  2. Niente di meno.
  3. L’effetto.
  4. [Che maraviglia che il popolino credesse a tali fandonie, quando il Giornale, ufficiale, del Regno delle Due Sicilie stampava che la malattia era stata “portata in Rodi da qualche mano fraudolenta nascosta nelle tenebre,„ e il Diario di Roma, ufficiale anch' esso, ripeteva queste sciocche parole in un Supplimento al num. 83 del 1836? L'anno dopo, scoppiato il colera anche in Roma, la sera del 14 agosto “un Kausel, maestro di lingua inglese, alle falde orientali del Campidoglio fu massacrato da una turba di popolaccio, che sulla stupida indicazione di una femminuccia lo credette un avvelenatore.„ Coppi, Annali d'Italia, tom. VIII, pag. 349.]
  5. Vale a dire che il mondo.
  6. Per rovinarci tutti come va.
  7. Peraltro.
  8. Faccio come fa il Papa, [Gregorio VI, che, come ho già avvertito molte volte, aveva fama di gran Bevitore.]
  9. Di ridermene.
[p. 315 modifica]

9.

     Disce:1 sce vò alegria. Sì, ccór un male
Che ffa ’ggni ggiorno discidotto mijja!
Ce poterà stà alegro un cardinale,
Ma nnò un povero padre de famijja.

     Vedesse2 cascà mmorti ar naturale
Mo la mojje, mo un fijjo e mmo una fijja,
Com’è vvero er peccato è un carnovale
D’annacce3 a sbeffeggià cchi sse ne pijja!

     Sarìa4 curioso de sapé, ssi5 Llotte
Lassava fijji immezzo a la Bbettàpoli,6
Si5 ttrincava lui poi tutta la notte.

     Chi la penza da omo è er Re de Napoli,
Che cconzijjato da perzone dotte
7 cche ppe un anno siino tutti scapoli.8

18 agosto 1835


Note

  1. [Dice: dicono.]
  2. Vedersi.
  3. Da andarci.
  4. Sarei.
  5. 5,0 5,1 Se.
  6. [Pentapoli.]
  7. Vuole.
  8. [S' intende che questa era una delle tante chiacchiere provocate dalla paura del morbo. I matrimoni celebrati durante l'anno 1835 nel Regno di Napoli, senza contarci la Sicilia, furono 1285 meno dell'anno precedente, ma tuttavia arrivarono alla bella cifra di 46,525. V. il Diario di Roma del 29 ott. 36.]
[p. 316 modifica]

10.

     Anzi, ar padrone mio j’ha ppropio scritto
Da Bbologgna un zenzale de salame
Che essènnose1 scuperto in ne l’Iggitto
Che ppe’ l’Uropa sto collèra infame

     Viè ffòra da li polli dritto dritto,
E ppò ancora infettà ll’antro2 bbestiame,
Er Re de Napoli ha mmesso un editto
Che ss’ammazzi ’ggni sorte de pollame.

     Ma ppare che cquer povero Bertollo3
Abbi fatto una lègge da cazzaccio
Che in ner zu’ reggno nun ce resti un pollo.

     E ssai io che pproggnostico je faccio?
Che in quer frufrù4 jje tireranno er collo
Puro5 a llui pe’ ccappone6 o gallinaccio.

19 agosto 1835


Note

  1. Essendosi.
  2. L’altro.
  3. Bertoldo.
  4. In quella confusione, in quel tumulto. [Dal francese frou-frou.]
  5. Pure.
  6. In quel tempo era il Re di Napoli creduto inabile a generare. [Cfr. in questo volume il sonetto: Er re ecc., 18 magg. 34.]
[p. 317 modifica]

11.

     Sentite st’antra1 de quer Re Ccoviello.
Tra li su’ Stati e li Stati Romani,
Mo ccià ffatto tirà ttutt’un cancello,
Pe nnun fà ppassà ppiù mmanco li cani.2

     Bbast’a ddì cche cquer povero Angrisani3
Fu affermato ar confine de Portello,4
Sibbè pportassi5 du’ napolitani
Che jje vanno6 du’ cause in appello.

     Lui chiunque trapassa li confini,
Fussi7 magaraddio8 Pónzio9 Pilato,
Vò cche ffacci10 la fin de l’assassini.

     Sarǐa bbella ch’er Papa, c’ha ppenzato
D’abbandonacce11 e annà a Mmonte-Casini,12
Sce morissi13 un tantino fuscilato.

19 agosto 1835


Note

  1. Quest’altra.
  2. [I cordoni e le crociere stabiliti dal Governo di Napoli furono infatti, tanto nel 1835 quanto nel 36, rigidissimi e senza rispetti verso Governi stranieri., V. il Giorn. del Regno delle Due Sicilie, 6 ott. 1836, e il Suppl. al Diario di Roma, 15 detto.]
  3. Gerente di una diligenza fra Roma e Napoli.
  4. Portella.
  5. Sebbene portasse.
  6. Ai quali vanno, ecc.
  7. Fosse.
  8. Magari, anche.
  9. Ponzio, pronunciato con entrambe le o chiuse.
  10. Vuol che faccia.
  11. Di abbandonarci.
  12. Montecassino.
  13. Morisse.
[p. 318 modifica]

12.

     Ôh er Re de Francia poi, disce er padrone,
Nun fa ste bbuggiarate de sicuro,
E nun spenne1 quadrini in gnisun muro,
Né ffratta, nè ccancello, nè pportone.

     Pe llui sc’è Iddio c’ha da penzà ar futuro
E cquanno esscì er collèra da Tullóne2
Sai lui che ddisse? “Oh ffutre! oh ssacranone!
Vien le collèrre? favorischi puro.„3

     Questi so’4 Rre de garbo, ommini rari,
Da nun mette5 li sudditi in spavento
E da nun fajje6 ruvinà l’affari.

     Perché ppoi sto collèra, o ffora o ddrento,7
Fatto c’abbi er zu’ corzo, fijji cari,
È una spesce8 d’un cammio9 ar zei per cento.

19 agosto 1835


Note

  1. E non ispendere.
  2. Tolone. [Dalla qual città e da Agde, pare che si diffondesse ne' molti altri luoghi di Fran- cia e d'Italia, che invase nell'estate e nell'autunno di quell'anno.]
  3. Favorisca pure.
  4. Sono.
  5. Da non mettere.
  6. E da non fargli, non far loro, ecc.
  7. Comunque si voglia.
  8. Specie.
  9. Cambio.
[p. 319 modifica]

13.

     Fa ccusì er zor Gianfùtre? E er nostro frate,1
Fusajjaro2 e mmercante de stuppini3
N’ha pprese tutte quante le pedate,
Ché pp’er collèra nun vò ddà cquadrini.

     Sai c’ha ddetto a Bbernetti e a Ccammerini?4
Che li quadrini, a ccose più avanzate,
Lui li farà ccacà a sti bbagarini5
De bbanchieri e a le case intitolate.6

     E de sti Papi ce se disce intanto
Che sse7 fanno e sse7 metteno in palazzo
Pe’ spirazzion de lo Spirito Ssanto?

     De che? Spirito Ssanto a sti Neroni?
A sti ggiudii?8 Spirito ssanto un c....:
Spirito ssanto un paro de c...... .

20 agosto 1835

̀

Note

  1. [Gregorio XVI, che era stato monaco benedettino camaldolese.]
  2. Fusagliaro: venditor di lupini. [Perchè Gregorio era bellunese, e i fusagliari sono, o almeno erano allora, quasi tutti del Friuli, e dei paesi vicini. Cfr. il sonetto: Mosconi ecc., 15 nov. 33.]
  3. Stoppino, lucignolo. [Perchè si diceva che il padre avesse tenuto bottega d'arte bianca, e i lucignoli a Roma si vendevano e si vendono anche in codeste botteghe, che oggi si vanno confondendo con quelle degli orzaroli. Cfr. il sonetto: Sentite ecc., 6 dic. 34; e la nota 1 dell'altro: Le creanze ecc., 21 apr. 46.]
  4. I Cardinali Bernetti e Gamberini, segretarii di Stato, che pei primi divisero fra loro gli affari esteri e gl’interni.
  5. [Monopolisti,
    incettatori. Ma si dice specialmente di quelli che incettano i
    commestibili.]
  6. Titolate.
  7. 7,0 7,1 Se.
  8. Giudei.
[p. 320 modifica]

14.

     Zìttete llì, sboccato: so’1 pparole
Da dìsse2 queste ccusì a la sicura?
Nu lo sai che qui pparleno le mura?
Ma cche davéro3 vòi ggiucatte4 er zole?

     Si tte5 sente quarcuno che jje dole,
Poverettaccio te! Nun hai pavura
Che tte mannino a Ttermini6 addrittura,
A ggiucà cco’ le pale e le cariole?

     Te ne vò’ annà ttu ppuro7 in ne la schiera
Dell’antri8 galeotti esercitanti,
A ffà la priscissione p’er collèra?

     Eppuro9 l’hai veduti tutti quanti,
Incatenati, a rritornà in galera
Co cquattro torce e ’r croscifisso avanti.10

20 agosto 1835


Note

  1. Sono.
  2. Da dirsi.
  3. Davvero.
  4. Vuoi giuocarti.
  5. Se ti.
  6. Termini è il nome della piazza ove sorgono le rovine delle Terme di Diocleziano. [E dove, come avverte più giù anche l'autore, era ed è una parte delle prigioni.]
  7. Te ne vuoi andar tu pure.
  8. Degli altri.
  9. Eppure.
  10. La funzione che qui si ricorda è di storica verità. I galeotti ebbero gli esercizi di penitenza onde ottenere da Dio pietà per loro e per noi. Nell’ultimo giorno delle sacre funzioni ricevettero tutti la eucaristia, nel forte S. Angiolo, e quindi così santificati furono ricondotti processionalmente e in catene al loro bagno ne’ vecchi granai dell’Annona alle Terme.
[p. 321 modifica]

15.

     Ce sò1 arfine arrivati finarmente
A ffà ttutte l’usanze a la francese.
Nun z’ha da seppellì ppiù nne le cchiese
La carne bbattezzata de la ggente!

     Antro che mmo2 sta Pulizzia fetente
S’è accorta che pproggiudica3 ar paese?
E ddar tempo d’Adamo all’antro mese,4
Cosa j’aveva fatto? un accidente?

     Vedé bbuttà li poveri cristiani,
Li nostri padri, le nostre crature5
Ner campaccio, per dio, come li cani!

     Pe’ la moda e le su’ caricature,
S’ha da mette6 la lègge a li Romani
De spregà ttante bbelle sepporture!

21 agosto 1835


Note

  1. Ci sono.
  2. Altro che ora, solamente adesso.
  3. [Pregiudica], arreca pregiudizio.
  4. È circa un mese che il terrore del cholera ha fatto finalmente riconoscere il reo pregiudizio, per cui la inumazione nei cimiteri si riguardava come una empia profanazione. [Il 3 settembre 1835, fu dal Cardinal Vicario Odescalchi solennemente benedetto il Camposanto di S. Lorenzo, che si era cominciato a costruire sotto il Governo francese, ed era rimasto interrotto dopo la restaurazione pontificia. Cfr. il sonetto: Er Cimiterio ecc., 6 sett. 35.]
  5. Creature.
  6. S’ha da mettere.
[p. 322 modifica]

16.

     Che bbisoggno sc’è ppoi de Scimiteri
Pe’ sseppellì? So’ ttutt’erba bbettonica,1
Oggniquarvorta è aritornato jjeri
Quer Fra Bbennardo che gguarì la monica.2

     Nun zai3 che llui co la su’ bbrava tonica
Se n’è ito a ddì ar Papa che nun speri
D’empilli,4 e tte j’ha ffatto una canonica5
Perché sse sta a ppijjà6 ttanti penzieri?

     Lui sce ggiura e spergiura ch’er collèra,
Fin che sta a Rroma lui sc’è ttropp’ostacolo
Che cc’entri, e l’aspettallo7 è una ghimera.8

     E, a la peggio che ssia, su’ riverenza
Metterà mmano a un pezzo de miracolo
Pe ffàllo9 aritornà vvia de fughenza.10

21 agosto 1835


Note

  1. [Son tutti rimedi inutili. Perchè le tante virtù che un tempo i medici attribuivano a quest' erba, si riconobbe poi che erano quasi tutte immaginarie. L'altra frase, usata anche nell'Umbria, in Toscana e forse in tutta Italia: più noto, più famoso della bettonica, sta ad attestare il largo uso che se ne faceva.]
  2. La monaca, che si disse da lui miracolosamente guarita da una cronica e mortale afagia, mercé l’ingollamento di un bicchier d’acqua con un pezzo di pane ivi immerso, fu suor Maria Beatrice di S. Carlo Borromeo delle perpetue adoratrici del Sacramento, già al secolo Flaminia Belli e sorella di un G. G. Belli che s’impaccia di scriver versi italiani ad un tempo stesso e non italiani.
  3. Non sai.
  4. Di empirli.
  5. Intemerata.
  6. Si sta a prendere.
  7. L’aspettarlo.
  8. Chimera.
  9. Per farlo.
  10. Di fuga.
[p. 323 modifica]

17.

     Io poi, regazzi mii, saranno vere
Tante terrorità cch’ariccontate,
Ma, o ppezzi de vangeli, o bbuggiarate,
Nun me ne vojjo dà ggnisun penziere.

     Viènghi,1 nun viènghi, sciarimèdi2 er frate,
Nun ciarimèdi, lo porti er curiere,3
Nu’ lo porti... pe’ mmé c’è bbon bicchiere
Da passà ffiliscissime ggiornate.

     Tutta sta gran pavura d’ammalamme?4
E cche gguaio sarà? Ttanto una vorta,
O pprest’o ttardi, ho da stirà le gamme.5

     Mica è una cosa nova che sse more;6
E ttoccassi7 a mmé ppropio a uprì la porta,
L’èsse8 er primo, per dio, sempre è un onore.

. . . . . . . . . . . . . . . . . .


Note

  1. Vengo.
  2. Ci rimedi.
  3. Il corriere.
  4. Di ammalarmi.
  5. Gambe.
  6. Si muore.
  7. E se toccasse.
  8. L’essere.
[p. 324 modifica]

18.

     E cquello che ddisceva Titta1 Papi,
Ch’er collèra ha ppavura a annà2 ppe’ mmare?
Sentirete che bbuggera, compare,
E ssi cc’è da fidasse de sti ssciapi!3

     Io mo er collèra a Pponte Quattro-capi4
Ho inteso da un zorgente5 militare
Che ggià ha ffatto mortissime caggnare6
Ggnente meno7 c’all’isola de Crapi.8

     Dunque lui p’er marittimo sce viàggia:
Perch’io credo c’all’isole navale
A un dipresso sce s’entri da la spiaggia.

     Come poi viè cquer zervitore ingrese,
Je vojjo dì9 ssi10 un’isola è un locale
Che sse pòzzi11 isolà ccome un paese.

31 agosto 1835


Note

  1. Giambattista.
  2. Andare.
  3. E se c’è da fidarsi di questi imbecilli.
  4. Nome venutogli da alcuni ermi [sic] di Giano quadrifronte ivi collocati. [Questa nota non è nell'autografo del sonetto, ma in uno di que' foglietti a parte, che ho ricordato più volte anche nel presente volume.]
  5. Sergente.
  6. Moltissimo strepito.
  7. Niente meno.
  8. Di Capri.
  9. Gli voglio dire, domandare.
  10. Se.
  11. Si possa.
[p. 325 modifica]

19.

     Sapete? er fijjo de monzù Bbojetto1
Ha scuperto che un po’ de corallina
È la vera e fficaccia2 mediscina
Pe’ gguarì sto fraggello bbenedetto.

     Ma gguarda un po’ cchi cce l’avessi detto!
Che cquello che cce dàveno in cuscina
Co’ la pappa coll’ojjo la matina
Fussi3 bbono da fà ttutto st’affetto!4

     Eh! a ccolazzione n’ho mmaggnata tanta
Ne le pizzette fritte io da cratura!
E ppe’ li vermini è una mano santa.

     Dunque er collèra è un vermine addrittura.
Ebbè ssi mmo5 sto vermine sciagguanta,6
Nun annàmo7 ppiù un c.... in zepportura.

31 agosto 1835


Note

  1. Monsieur Boyer fils de Nîmes. ["29 Agosto 1835. Oggi non si parla che della ricetta venuta, si dice, da Francia per telegrafo, di uno specifico ritrovato da un farmacista di Nimes, col quale pretende aver guariti 29 cholerici molto aggravati sopra 30, ed è la seguente: 1 oncia di Corallina tenuta [in] infusione per 24 ore in 4 Oncie d'Acqua e passata per panno Due Oncie d'Olio d'Oliva sopraffino-1/2 Oncia di Agro di limone due cucchiari di Zucchero fino Due d.º di acqua di Fior d'Aranci.„ Così il principe A. Chigi, nel cit. Diario inedito. E il Diario di Roma, dello stesso giorno 29 agosto e del 2 settembre, dice che il Boyer era farmacista a Marsiglia, e che una staffetta aveva portato a Nimes la sua ricetta.]
  2. È la vera ed efficace.
  3. Fosse.
  4. Questo effetto.
  5. Se ora.
  6. Ci agguanta, ci afferra.
  7. Non andiamo.
[p. 326 modifica]

20.

     Ggià è scartato er rimedio der Bojetto.1
Adesso tutto er gran preservativo
Conziste in un tantin d’argento-vivo
Drent’una penna che sse2 porta in petto.

     C’è pperò cchi lo ggiudica noscivo;
E ar fijjo der padrone der giacchetto3
Un medico gnobbatico4 j’ha ddetto
Che ppò offenne er zistemo indiggestivo.5

     E cch’er vero segreto che ss’è ttrovo6
È appricasse7 a lo stommico de fora
Un cordoncino co’ un baiocco novo.

     Er rimedio è assai commido,8 ma intanto
Bbisoggneria sapé sta cosa ancora
Si9 ha da toccà la pelle o ll’arma o er zanto.10

2 settembre 1835


Note

  1. ["3 settembre 1835. La ricetta del Dottor Boyer, venuta di Francia giorni sono, pare che a Firenze sia riuscita inefficace.„ Chigi, Diario cit.]
  2. Si.
  3. [Valletto, groom. E deriva dall'inglese jockey, con ravvicinamento però alla giacchetta corta, che si chiama appunto giacchetto.]
  4. Omiopatico.
  5. Che può offendere il sistema digestivo.
  6. S’è trovato.
  7. Applicarsi.
  8. Comodo.
  9. Se.
  10. Arma e santo sono chiamate le due facce delle monete nel marroncino [sul quale si veda il sonetto: Er gioco ecc., 22 agos. 30] e in altri consimili giuochi del popolo. [Palle o santi a Firenze, caput aut navim dai Latini, ecc.]
[p. 327 modifica]

21.

     È una sscena! Cqua oggnuno ha er zu’ segreto.
Chi vvò1 er cannello, chi vvò la patacca,2
Chi er làvudon,3 chi er thè, chi una casacca
De fanella,4 chi er vischio de l’abbeto:5

     Uno canfora, uno ojjo, e un antro6 asceto:7
Questo vò che sse dormi8 co ’na vacca:
Quello disce ch’er male nun z’attacca
A le donne che in corpo abbino er fèto9...

     Sta vertù cche ppò avé la gravidanza
Mó ha ccressciuta la rabbia in ne le donne
De fàsselo10 infilà ddrent’a la panza.

     Per cui mariti, amichi e confessori
Nun arriveno a ttempo a ccorrisponne11
A ttante ordinazzione de lavori.

11 settembre 1835


Note

  1. Chi vuole.
  2. La moneta. [Per questi due pretesi rimedi, si veda il sonetto precedente.]
  3. Il laudano.
  4. Di flanella. [Il preservativo della flanella sul ventre e sullo stomaco era raccomandato dal Diario di Roma del 19 e 22 agosto di quell'anno.]
  5. Dell’abete. ["Un preservativo adoperato con molto successo in Gallizia contro il cholera è quello di portare sullo stomaco e sul ventre un pettorale di cuoio intonacato di pece di abete selvatico, e di prendere giornalmente alcune goccie di olio di camomilla, unitamente a thè di menta, o a pastiglie della medesima erba. Tutti coloro che lo hanno adoperato in Gallizia sono stati preservati dal flagello, non esclusi gli assistenti degl'infermi e becchini.„ Diario di Roma, 5 sett. 1835.]
  6. Un altro.
  7. [L'uso
    dell'aceto come disinfettante e preservativo, e della canfora e
    dell'olio d'oliva come curativi, era raccomandato nel cit. Diario, del 19 e 29 agosto, e nelle Notizie del Giorno del 3 settembre.]
  8. Si dorma.
  9. Pronunciasi colla e stretta.
  10. Di farselo.
  11. Corrispondere.
[p. 328 modifica]

22.

 
     È vvero, è vvero: l’ho ssentito io
Predicallo1 da un prete all’Orfanelli2
Disce: “Er collèra viè,3 ccari fratelli:
“Prepàrete a mmorì , ppopolo mio.
              
     “Ma ppuro conzolàmose,4 ché Iddio
“Ner visitacce5 co li su’ fraggelli,
“Quarchiduno n’accettua6 de quelli,
“E ssi7 ammazza er nipote, assorve er zio.
              
     “Semprigrazzia, ssce sò8 pprove sicure
“Ch’Iddio le donne gravide le sarva
“Pe vvia9 de quele povere crature.„10
              
     Ccusì ddisse la predica, fijjole.
Cqua nun ze11 tratta de fiori de marva:
A bbon intennitor poche parole.12

17 settembre 1835


Note

  1. Predicarlo.
  2. Nella chiesa di S. Maria in Aquiro, appartenente al Collegio Salviati, detto degli Orfani.
  3. Viene.
  4. Ma pure consoliamoci.
  5. Nel visitarci.
  6. N’eccettua.
  7. E se.
  8. Ci sono.
  9. Per riguardo.
  10. Creature.
  11. Qua non si.
  12. [Proverbio.]
[p. 329 modifica]

23.

     Io me so’1 stato zzitto inzin’adesso
Pe' ffà pparlà sta bbella compaggnia.
Mó vvojjo crede che mme sii promesso,2
Doppo quelle dell’antri,3 er dì4 la mia.

     Volenno arraggionà, st’ammalatia,
Ciovè sta colla-morbida,5 a un dipresso
Pe cquer che ssento dì pare che ssia
Un’usscita che vvadi pe ssuccesso.6

     Bbè, la diarèlla,7 ossii la cacarella,
Tutti sanno che vviè8 da debbolezza
D’intestibbili9 oppuro10 de bbudella.

     Quanno sta verità ss’è bben capita,
O er male nun ze piija,11 o ss’arippezza12
Co ’na bbona fujjetta13 d’acquavita.

8 settembre 1835


Note

  1. Mi sono.
  2. Ora voglio credere che mi sia permesso.
  3. Degli altri.
  4. Il dire.
  5. [Cholera-morbus.]
  6. Che vada per secesso.
  7. La diarea.
  8. Che viene.
  9. Di intestini.
  10. Oppure.
  11. Non si piglia.
  12. Si rappezza, si rimedia.
  13. Foglietta: [misura equivalente a poco più di mezzo litro.]
[p. 330 modifica]

24.

     Cqua nun c’entra fujjetta nè bbucale:1
Questo è affare de lettre e dde bbijjetti.
Mo un professor de storia ar naturale2
Scrive da Francia ar Cardinal Bernetti,3

     Dove disce accusì: “Ssor Cardinale,
Si4 a ttutto er giorno quinisci5 l’inzetti6
Nun zò7 arrivati a Rroma a pportà er male,
Lei per antri8 sei mesi nu’ l’aspetti.„

     Tutto dunque er pericolo cqui ddura
Sin a mmezzo settembre a mmezza notte:
Sonata che cquell’è, Rroma è ssicura.

     A mmezzo marzo poi fòrze vieranno9
Antri10 bbijjetti de perzone dotte
Pe spostà er male e prologallo11 a un anno.

8 settembre 1835


Note

  1. [Il boccale conteneva quattro fogliette.]
  2. Di storia naturale. Dicesi che fosse il signor [Alessandro] Moreau de Jonnès. [Di lui infatti cita un' opera sul colera il Moroni, Dizion., vol. LII, pag. 234.]
  3. [V. la nota 4 del tredicesimo di questi sonetti.]
  4. Se.
  5. Quindici.
  6. Gl’insetti.
  7. Non sono.
  8. Per altri.
  9. Forse verranno.
  10. Altri.
  11. E prorogarlo.
[p. 331 modifica]

25.

     Furtunato chi aveva, co sta jjèlla,1
Generi cojjoniali2 in magazzino,
Come cacàvo,3 zzucchero, cannella,
Ojjo de Lucca,4 spirito de vino...

     E li mercanti? pe’ ccristallo fino!
V’abbasti5 sto tantin de bbagattella,
Che in tutta Roma, a ppagallo6 un zecchino
Nun ze trova7 ppiù un parmo de fanella.8

     E li sori9 spezziali, eh, cc’antra bbega?10
Hanno vennuto11 pe ttre vvorte er costo
Li ppiù rrancidi fonni12 de bbottega.

     Sémo llì:13 ssi er collèra a nnoi sce cosce,14
A cquell’antri15 je pare un ferragosto.
Nun tutt’er male ar monno16 viè ppe’ nnòsce.17

13 settembre 1835


Note

  1. Con questa fatale sciagura, [cosi ostinata].
  2. Coloniali.
  3. Caccao.
  4. [V. la nota 7 del ventunesimo di questi sonetti.]
  5. Vi basti.
  6. A pagarlo.
  7. Non si trova.
  8. Flanella.
  9. E i signori.
  10. Eh, che altra faccenda, che altro negozio.
  11. Venduto.
  12. Fondi.
  13. Siamo lì.
  14. Ci cuoce, ci duole.
  15. A quegli altri.
  16. Al mondo.
  17. Viene per nuocere. Viene per nuocere. [Tutto er male nun viè ppe' nnòsce. Proverbio.]
[p. 332 modifica]

26.

     Inibbì1 le commedie?!2 E in che maggnèra3
V’immagginate sta lèggiaccia infame?
Tanto bbene,4 sor faccia de tigame,5
S’òpre er teatro, e sta notizzia è vvera.

     Un povero garzon de faleggname
Che ciabbùsca du’ pavoli6 pe' ssera,
Pe' nnun morì ddomani de collèra
S’averebbe oggi da morì de fame?

     Nun ve pòzzo negà cc’ar zor Paterno7
Je fa er culo un tantin de lippe-lappe,8
Io però ddico che cce vince un terno.

     Perché, famo er collèra che vvienisse,9
Co ttutta la pavura in ne le chiappe
Chi rresta vivo vorà ddivertisse.10

30 agosto 1835


Note

  1. Inibire.
  2. [I teatri, gli spettacoli.]
  3. In qual maniera.
  4. Sicuramente.
  5. Di tegame.
  6. Ci busca, ci guadagna due paoli. [poco più d'una lira nostra.]
  7. Giovanni Paterni, impresario dell’opera.
  8. Sta alquanto in orgasmo.
  9. Facciamo, supponiamo che il cholera venisse.
  10. Vorrà divertirsi.
[p. 333 modifica]

27.

     Ôh, vve porto una nova. Du’ paini1
Hanno detto in bottega che stasera2
S’è asviluppato un Russio3 cor collèra
A la locanna de monzù Ppiastrini.4

     Disce che de llì intorno li viscini
So’ ddiventati statue de scera;
E er Governo ha spidito all’affrontiera,5
Pe’ llevà li cordoni a li confini.

     C’è cchi vvò6 che cce sii quarche speranza
Che sto Russio de cristo abbi diverzi
Vermini solitari in ne la panza.

     Ma er medico ch’è ito a ddenunziallo,
Lui li su’ passi nun vò avélli perzi,7
E ssostiè cch’è un collèra da cavallo.8

8 settembre 1835


Note

  1. [Due, vestiti civilmente. V. la nota 6 del sonetto: Er coronaro, 10 genn. 32.]
  2. Fu il 5 [?-V. la nota 4] settembre 1835.
  3. Un Russo.
  4. Pestrini. ["Domenica 6 settembre 1835. La malattia di un Russo abitante alla Locanda di Pestrini al Babbuino, quale pareva si annunziasse con sintomi cholerici fece l'altro ieri [?- V. la nota 2] del rumore per il Paese, e il Governo credè farlo visitare, e molta gente accorse sul luogo. Si riconobbe però che il male proveniva da tutt'altra cagione, come da riscaldamento, disordine di bocca ecc., e l'infermo sta molto meglio.„ Chigi, Diario inedito cit.]
  5. Alla frontiera.
  6. Vuole.
  7. Non vuole averli perduti.
  8. Cholera assai violetto; come pur dicesi febbre da cavallo, ecc.
[p. 334 modifica]

28.

     Perché nnun c’ereno antri1 guai, stasera
Scappeno fora cor collèra a Ancona.2
Mo, ammalappena3 una campana sona,
Sona a mmorto, e sto morto è de collèra.

     Sarà ccrepata ar più cquarche pperzona
De fònghi, o dde lumache4 o ffichi o ppera...
Ebbè, ddich’io, sc’era bbisoggno, sc’era,
De tutta sta chiassata bbuggiarona?

     Nun zerve, cqua er collèra, sor Rimonno,5
Se lo vanno a ccercà ccor moccoletto:
Lo chiameno, per dio!, propio lo vònno.

     Quer ch’è ccerto è cc’a Ancona li facchini
Se moreno6 de fame, e mme l’ha ddetto
’Na riverèa7 de Monziggnor Pasquini.8

22 agosto 1836


Note

  1. Altri.
  2. [E v’era scoppiato realmente, il Moroni dice nel mese di luglio (Dizion., vol. LII, pag. 235), ma io ne dubito, perchè la Commissione provinciale sanitaria di quella città, non prima del 22 agosto, cioè del giorno stesso che il Belli componeva questo sonetto, invitava a recarsi colà il dottor Meli, medico condotto a Pesaro, "per giudicare se il morbo sviluppatosi era il vero Choléra asiatico„ (Notizie del Giorno, 15 sett. 36); e il Chigi, nel cit. suo Diario, sotto la data del 26 agosto scrive: "Per mezzo di staffette si è saputo oggi che il morbo cholerico progredisce in Ancona, e che al mezzogiorno del 23 il totale dei casi ascendeva a 36, e quello dei morti a 19. I medici Cappelli e Viale hanno avuto l’ordine di recarsi subito ad Ancona., E poi avverte che il giorno 27 partirono a quella volta. Credo insomma che abbia ragione il Coppi, il quale afferma che il colera scoppiò in Ancona alla metà di agosto. Op. e vol. cit., pag. 334.]
  3. [A-mala-pena]:: appena..
  4. [Di chiocciole.]
  5. Signor Raimondo.
  6. Si muoiono.
  7. Una livrea: un servitore. [Riverèa, come sederivasse da riverire.]
  8. Monsignore Asquini, allora delegato apostolico di Ancona.
[p. 335 modifica]

29.

     Antro1 che Ancona! quer futtuto male,
Malgrado li rigori der cordone,
Dava de griffo2 a ccentomila Ancone,
Senza er congeggno3 der dottor Vïale.4

     Nun zapete5 che llui cór cannocchiale
Vedde6 er collèra in forma de dragone,
E ggnisun antro medico cojjone
Aveva mai scuperto st’animale?

     Che bbrutta bbestia! Ha un par de corna armate
Com’er demonio: porta l’ale: è ppiena
D’artijji, e nnera poi com’un abbate.

     Figurete7 che ssorte de sfraggello8
Ha da fà in corpo a un pover’omo, appena
Je s’arriva a ccaccià ddrent’ar budello!

29 settembre 1836


Note

  1. Altro.
  2. Dava di piglio.
  3. Se non era l’ingegnosa operazione.
  4. ["L’esistenza di alcuni piccolissimi insetti alati in compagnia del Cholera morbus asiatico fu subodorata da molti medici, ma sin qui non mai dimostrata da alcuno. Anzi non è mancato chi ha creduto, con plausibili argomenti, consistere in esseri viventi, benchè invisibili, o appena visibili, la causa occasionale di simile malattia, egualmente a tutti gli altri contagi. Ora il ch. signor Dottor Viale, uno dei nostri Medici spediti dal Governo in Ancona, pieno di zelo, fornito di molti lumi ed animato da un vero genio di osservazione, sembra riuscito ad assicurarsi non solo dell’esistenza, ma anche della forma, e di molte proprietà di tale insetto cholerico. Egli ne dà ragguaglio in varie lettere scritte da Ancona al Professore di Medicina Clinica della nostra Università sig. Dottor De Mattheis. L’occhio nudo è sufficiente in qualche circostanza a riconoscere siffatti insetti, ma per ben vederli ed esaminarli è necessario il microscopio. Noi sappiamo che il diligente osservatore lo ha disegnato; e circola pel pubblico un tal disegno, che presenta un insetto alato di forme non ordinarie. Sembra doversi riferire all’ordine dei dipteri (a due ali); ma non se ne conosce nè il genere nè la specie, per cui si dovrebbe credere esotico e nuovo nelle nostre regioni, come il morbo che accompagna. Sappiamo inoltre che il prelodato Medico sta preparando una importante memoria sopra queste miriadi d’insetti cholerici, che sarà certamente di molto interesse pel pubblico; e forse non senza utilità per la scienza medica, nè senza profitto per l’umanità.„ Diario di Roma, 15 ott. 36.]
  5. Vide.
  6. Figùrati.
  7. Flagello.
  8. Non sapete.
[p. 336 modifica] [p. 337 modifica]

30.

     Oh ssentite mó st’antra bbuffonata
C’ha ffatto a Ancona er zor dottor Cappello.1
Va cco’ un cappuccio in testa, e sott’a cquello
Tiè un guazzarone2 de tela incerata.

     Sopr’un occhio sce porta uno sportello
De vetro, e in mano un fasscio d’inzalata.3
De grazzia, e da ch’edè4 st’ammascherata?
Da pajjaccio, da Cola o da Coviello?

     Bbasta, lui co’ sta bbella accimatura5
Se6 presenta a l’infermi accap’a lletto,
Pe sballàlli7 ppiù ppresto de pavura.

     Defatti appress’a llui passa er carretto,
E straporta ppiù mmorti in zepportura
Che nun tiè8 er Papa cardinali in petto.

31 agosto 1836


Note

  1. [Uno de' due medici che il Governo mandò da Roma in Ancona verso la fine d'agosto del 1836: al qual tempo il sonetto indubitabilmente si riferisce, benchè sia stato scritto nel 39. Cfr. la nota 2 del ventesimottavo di questi sonetti.]
  2. [Lungo camiciotto di rozzo panno di canapa, che portano i contadini quando fanno certe faccende. E detto così anche nell'Umbria, o perchè serve a riparar dalla guazza, o perchè ci si guazza dentro. In quest'ultimo caso però, se il vocabolo fosse d'origine umbra o romana, dovrebbe dir sguazzarone.]
  3. [Un fascio, un mazzo, d'erbe aromatiche, suppongo.]
  4. E da che è.
  5. [Acconciatura di gala.]
  6. Si.
  7. Per ispacciarli.
  8. Non tiene.
[p. 338 modifica]

31.

     Chi vvò pperzeverasse1 dar collèra
Er medicasse2 è inutile, Luviggi.
In st’impiastri e llavanne e zzuffumiggi
È un cojjone er cristiano che cce spera.

     La mediscina che ppò ffà pprodiggi
È la Madonna, e la Madonna vera
È cquella tar3 Madonna furistiera
De la medajja nova de Pariggi.

     Però, ssi4 la medajja nun è ovale,
La grazzia, fijjo, nun ze pò arisceve,5
E in cammio6 de fà bbene farìa male.

     De resto, o vvino bbianco, o vvino rosso,
Ggnente, nun ciabbadà.7 Ttu mmaggna e bbeve,8
Bbasta che pporti la medajja addosso.

23 settembre 1836


Note

  1. Chi vuol preservarsi.
  2. Il medicarsi.
  3. È quella tal.
  4. Peraltro, se.
  5. Non si può ricevere.
  6. E in cambio.
  7. Niente, non ci badare.
  8. E bevi.
[p. 339 modifica]

32.

     Bbe’? cquanno s’ariòprono le porte
De sta povera Ancona sfraggellata? —
Er quattro de novemmre, ha detto tata,1
Sarvo sia caso2 de quarc’antra3 morte.4

     E cche discevi de messa cantata
Sotto-vosce a Mmattia? ridillo forte. —
Discevo che sse5 canta pe’ la sorte
Che ssan Ciriàco6 suo l’abbi sarvata. —

     E cche jj’è ssan Ciriàco? — Protettore. —
E da che ll’ha pprotetta? — Dar fraggello. —
E li morti? — E li vivi, sor dottore?.7

     Spieghete.8 — E in certi casi accusì bbrutti,
Vòi9 miracolo grosso ppiù de quello? —
Sarebb’a ddì’? — Che nun zò10 mmorti tutti.11

30 ottobre 1836


Note

  1. [Il babbo. Dal lat. tata.]
  2. Salvo il caso.
  3. Di qualche altra.
  4. [Lo scioglimento del cordone sanitario di Ancona si fece il 24 di novembre, "fra il suono di tutte le campane, il rimbombo delle artiglierie, e le grida festose del popolo affollato.„ Diario di Roma, 3 dic. 36.]
  5. Si.
  6. S. Cirìaco, protettore d’Ancona.
  7. Signor dottore, quasi temerario.
  8. Spiègati.
  9. Vuoi.
  10. Non sono.
  11. [Il cardinal Nembrini, vescovo di Ancona, nella pastorale indirizzata al clero e al popolo per annunziare le feste religiose di ringraziamento per la cessazione del morbo, diceva tra l'altre cose: "a disarmar siì tosto la giusta ira di Dio chi può dubitare quanto valessero le anticipate preghiere indiritte al Protettor S. Ciriaco, la cui intercessione non fu invano invocata nei giorni 6, 7 e 8 del prossimo passato agosto per determinazione di questa pia Magistratura...?„ Suppl. al cit. Diario, 21 dic. 36.]
[p. 340 modifica]

33.

     Er collèra sta a Nnapoli, fratelli,1
E sta a Ggaeta e in tre o cquattr’antri lochi,
E ppe ttutto li morti nun zò ppochi2
E ll’imballeno a sson de campanelli.

     Inzomma, ecchesce cqua,3 fijji mii bbelli,
Ciaritrovamo4 immezzo tra ddu’ fochi.
’Ggna penzà5 ddunque a ddiventà bbizzochi6
Pe mmorì ccom’e ttanti santarelli.

     Mó ttocca a cqueli poveri cafoni,
E inzin che ccianno7 sta pietanza addosso
Nun ze8 maggna ppiù un cazzo maccaroni.

     Oggi o ddomani poi toccherà st’osso
De rosicallo a nnoi.9 Bbe’, ssemo10 bboni
E llassamo fà11 a Ddio ch’è ssanto grosso.12

1 novembre 1836


Note

  1. [Amici, cari miei, ecc.]
  2. [Non son pochi. Naturalmente, il maggior numero lo dava Napoli, che, dal 2 ottobre al 2 novembre, stando solo al bollettino ufficiale, aveva già avuto: 1676 casi, 885 morti, e 791 rimasti in cura. V. Notizie del Giorno, 10 nov. 36.]
  3. Eccoci qua.
  4. Ci ritroviamo.
  5. Bisogna pensare.
  6. [Bigotti.]
  7. E insino a che ci hanno, a che hanno, ecc.
  8. Non si.
  9. [E toccò infatti, dal luglio all'ottobre dell'anno successivo.]
  10. Siamo.
  11. E lasciamo fare.
  12. [Modo proverbiale, che si usa anche nella forma: Lassàmo fa a Ddio ch'è ssanto vecchio.]
[p. 341 modifica]

34.

     Ma ttutt’a ttempi nostri! E ccaristìa,
E llibbertà, e ddiluvi, e ppeste, e gguerra,
E la Spaggna, e la Francia, e ll’Inghirterra...
Tutt’a li tempi nostri, Aghita1 mia.

     Adesso ha da venì sto serra-serra
De porcaccia infamaccia ammalatia,
Pe sturbà Rreggno2 e pportàccese via3
Quer povero Scetrulo de la Scerra.4

     Puro5 pe Ppurcinella meno male:
Chi sta ppeggio de tutti è Ggesucristo,
C’ha pperzo6 la novena de Natale.

     Hai tempo a ffà ppresepî e accenne artari:7
Questo è er primo Natale che ss’è vvisto
Senza manco un boccon de piferari.8

24 dicembre 1836


Note

  1. Agata.
  2. Il Regno di Napoli è chiamato assolutamente Regno.
  3. E portarcisi via.
  4. Cetrulo (Pulcinella) della Cerra. [Di Acerra. V. in questo volume la nota 2 del sonetto: L'omo ecc., 30 apr. 34.]
  5. Purtuttavia.
  6. Che ha perduto.
  7. Accendere altari.
  8. Non fu dato accesso nel nostro Stato ai pifferari, gente regnicola, che vengono ogni anno a far novene. [V. il sonetto: La novena ecc., 23 dic. 44.]