Della decollazione di S. Giovanni Battista

Aristide Sala

1863 Indice:Della decollazione di S. Giovanni Battista.djvu Della decollazione di S. Giovanni Battista Intestazione 20 agosto 2017 100% Da definire


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DELLA DECOLLAZIONE

DI

S. GIOVANNI BATTISTA

ORAZIONE PANEGIRICA

RECITATA NELLA FESTA PATRONALE DI BUSTO ARSIZIO NEL 1860.

DAL PROFESSORE

ARISTIDE SALA

MEMBRO DELL’ACCADEMIA DEI QUIRITI





PINEROLO 1863

TIPOGRAFIA G. CHIANTORE

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All’Ornatissima Damigella

LUIGIA AIROLDI

da busto arsizio


Pinerolo. 29 agosto 1863.


Persona benevole vuol essere editrice incognita di qualcuna delle mie orazioni sacre. Prescelgo questa che, or son tre anni, mi porgeva gradita occasione di fare la preziosa conoscenza di V. S. ornatissima; e a Lei la offro siccome testimonianza di affettuosa stima e di sincera congratulazione per le prossime sue nozze, mercè le quali si imparenteranno due famiglie cui sono egualmente legato coi vincoli dell’amicizia e della gratitudine.

L’AUTORE.



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Dal giorno in cui l’uomo pensò di sublimarsi infino a Dio, ma non per le vie indicate dal Supremo Fattore, che a quel fine appunto il creava, bensì piuttosto sottraendosi alle leggi da Lui stabilite, e collocandosi arrogantemente a paro di Lui; dal giorno in cui la golosità di un frutto vietato persuase all’uomo che, appunto perchè vietato, contener dovesse più grato sapore e virtù di rendere grande, felice, eguale a Dio chi ne gustasse; dal giorno in cui l’uomo credette di poter mettere a confronto gli ammonimenti del suo Signore colle insinuazioni di un rettile della terra, e giudicò poter far senza, anzi contro di Colui che dal nulla il traeva, e nell’accontentamento di un materiale appetito stimò conseguire un perfezionamento morale; da quel giorno fatalissimo, l’uomo quanto più a sè [p. 6 modifica]stesso si affida mi alle proprie inclinazioni, altrettanto in basso precipita, e perde ragione e libera volontà, e diventa animalesco, vile, abbietto, infelice. All’incontro, quanto più a se medesimo l’uomo resiste, e si umilia, e si mortifica, altrettanto si eleva al disopra delle create cose, riacquista l’uso delle più nobili facoltà, il dominio sopra di sè stesso, la libertà, l’indipendenza di spirito, che meglio l’avvicinano alla divinità.

Questo fatto, continuo benchè poco osservato, questo principio importantissimo, nè mai abbastanza meditato, di tutta evidenza rifulge nei fasti dell’insigne vostro protettore Giovanni Battista. Accanto ad un monarca che miseramente abusa del potere e delle ricchezze, e si consuma in voluttuosi piaceri, sorge candida e bella la figura di un uom del deserto che tocca appena coi piè la terra, alla quale non concede neppure uno sguardo, un pensiero. L’oro, le gemme, lo scettro, la corona, l’ampio corteo, la numerosa milizia, non valgono a circondare il re di quella venerazione che ottiene il solitario di tutto nudo e penitente. La lotta che si impegna fra Erode ed il Battista mette in chiaro la debolezza e la viltà a cui mena concupiscenza di carne e superbia di vita, la forza irresistibile invece che dona una santa severità con sè medesimo, disprezzo delle cose terrene, amore delle celesti. Che se per un istante vedrete la virtù oppressa dal vizio, l’esito finale vi mostrerà che il trionfo [p. 7 modifica]del vizio è appunto l’incominciamento di sua rovina, e che la persecuzione, se mette alla prova la virtù, ne aumenta anche il merito, ne pone in luce la prevalenza.


Morendo Erode il Grande, quegli stesso che ordinata aveva l’orrenda strage degli innocenti, il regno suo in quattro parti, ossia in quattro tetrarcati, era stato diviso, de’ quali uno tenne certo Lisania, altri ebbero i tre figli di Erode, Archelao, Antipa e Filippo1.

Erode Antipa, cui veniva assegnato il tetrarcato di Galilea, ereditò più che tutti la nequizia e la crudeltà del padre. Recandosi a Roma, forse allo scopo di ottener dall’imperatore Tiberio, l’approvazione del rispettivo principato e il titolo regale, alloggiò di passaggio in casa di un quarto fratello, il quale menava vita privata e teneva in moglie la bella Erudrade, figliuola dell’altro fratello Aristobolo, stato miseramente ucciso dal padre. Erode Antipa se ne invaghì perdutamente, e tuttochè fosse conjugato colla figlia di Areta re dell’Arabia, iniquamente abusando della cortese ospitalità, sedusse la nipote, moglie del fratello, ad abbandonare il marito e farsi sua. Non rifiutò costei il nefando progetto, promise anzi di assecondarlo, allora solo però che Antipa sbarazzato si fosse della consorte che già teneva2. [p. 8 modifica]

La facile condiscendenza trovata, portò al colmo la nascente passione di Antipa, il quale di Roma tornava alla sua residenza determinato a crear l’occasione di formalmente ripudiar la regina. E l’ansia istessa di riuscirvi il rese abbastanza imprudente, tantochè l’infelice principessa dovette accorgersi, suo malgrado dell’infamia che gli si preparava, e giudicò spediente di prevenirla. Laonde, domandato ed ottenuto dal coniuge infedele il permesso di visitare il castello di Macheronte, ritornò invece nella paterna magione3.

Erode Antipa che, non altro appunto sospirava che di soddisfare al novello amore, esultò per questo inaspettato e più pronto verificarsi della condizione posta da Erodiade al progettato concubinato; e rapitala senza più al troppo mite Filippo, non esitò a dar dal trono lo scandalo di un connubio adulterino e doppiamente incestuoso4.

Vi sarà facile l’immaginare qual sinistra impressione produr dovesse nel popolo il brutto esempio che gli venìa dalla reggia, e massime in un popolo pel quale era legge la denuncia e la morte della donna rea di adulterio. Più difficile forse vi tornerà il comprendere come Erode da quel licenzioso procedere trattenuto non fosse nè per la savia dignitosa condotta della vera [p. 9 modifica]consorte, nè pel timore della vendetta del di lei padre, nè pel riflesso che l’altezza del suo proprio grado metteva i modi del viver suo al cospetto di un’intiera nazione, la quale dispregierebbe il principe che se medesimo rispettar non sapeva, vilissimo schiavo d’indegna passione, così che per lui ridicola diventava ogni mostra di potenza e di gloria, disdetta dall’ignominioso spettacolo di tanta debolezza di carattere e bassezza di voglie.

Benchè quei figliuoli dì Dio, che abbandonavansi colle figliuole degli uomini ad ogni turpitudine, tanto da far pentito Iddio d’averli creati, rinsavirono forse alle minaccie di una total distruzione? O potè sopra di essi l’esempio o l’esortazione del giusto Noè? — I cittadini di Sodoma e di Gomorra cessarono forse di violare le leggi più sacrosante di natura perchè comminata era sulla Pentapoli una pioggia di fuoco? O la loro sfrenatezza fu vinta per le preghiere di Abramo o per l’esempio di Lot? — E non fu mentre le fiamma divoravano le cinque corrotte città, che le figlie di Lot abbriacavano il padre per aver seco lui carnale commercio? — Valse la castimonia di Giuseppe a tenere in rispetto la concupiscenza della moglie di Putifarre? — O l’età avanzata e le terribili conseguenze d’una calunnia, trattennero i giudici d’Israele dal tentare la conjugal fedeltà di Susanna? — Non era al cospetto di un’intiera nazione l’israelita che entrava in un postribolo a sfogare una volta [p. 10 modifica]ancora l’immonda passione nel momento medesimo in cui più di ventiquattro mila uomini stavano per soggiacere, d’ordine di Dio, al capitale supplizio, appunto per aver commesso fornicazione? — Lasciò Sansone i lusinghieri amplessi di Dalila, ad onta che questa gli avesse date replicate prove d’essere intenta a tradirlo? — E i larghi e molteplici benefici dal Signore prodigatigli impedirono forse che Davide per una voluttuosa dilettazione d’adulterio si macchiasse d’omicidio; e Salomone bruciasse incenso agli Dei bugiardi dopo aver fabbricato il tempio dell’unico vero Iddio ed eccitata coll’inarrivabile sapienza la giusta meraviglia di tutto il mondo?

Ah pur troppo una mente occupata da lascivia non più è capace di rettamente pensare5; e l’amor dell’avvenenza delle forme è la morte della ragione e s’approssima alla pazzia; conciossiachè il sucido vizio della sensualità è il più contrario alla nobile essenza dell’anima nostra, perturba il consiglio, attuta i generosi slanci, impiccolisce, avvilisce i concepimenti6. L’anima dell’uomo vien come ad inchiodarsi ai soddisfacimenti del corpo in modo tale, che una volta abbia acconsentito a libidine, immersa nel fango, non più sa elevarsi all’altezza da cui discese7. La fornicazione travolge l’intimo senso e dell’uom ragionevole forma un bruto8. [p. 11 modifica]

Pur troppo, natural conseguenza del vizio di carne è un fatale accecamento; pel quale, non santità di carattere, non altezza di ministero, non disparità di grado o di condizione, non vincolo di consanguineità, non debito dì giustizia e di gratitudine, non uguaglianza, non differenza di sesso, non legge di natura trattiene il disonesto dal voler lo sfogo della concupiscenza, qualunque sia la gravezza dei sacrifizi e dei delitti necessari a compiersi per conseguire lo scopo; e dissennato incontra con stupida indifferenza la gelosia dei mariti, il furore di tradite consorti, lo sdegno di un intiero parentado, la pubblica riprovazione, la rovina delle sostanze e della salute, la severità delle leggi criminali e civili, lo strazio dei rimorsi, i terribili giudizi di Dio.

Il che tutto più facilmente nei ricchi e nei potenti si verifica, appunto perchè l’agiatezza del vivere aumenta l’inclinazione a mollezza, l’abbondanza dei mezzi abitua a soddisfare ogni brama, l’ampiezza della autorità induce la facile persuasione che nulla possa o debba loro impedire l’appagamento di qualsisia desiderio.

Quel Dio però che, a mostrar quanto detesti l’uomo sensuale, e quali castighi si meriti la corruzione della carne, mandò un universale diluvio a sommergere i disonesti, e nel sito di cinque già fiorenti ma lascive città un lago fece succedere d’onde fetenti e mortifere; quel Dio medesimo, a dar prova di sua misericorde premura [p. 12 modifica]per la conversione e salute di qualunque maggior peccatore, mandava ben anco un Natanno a Davidde e un Giovanni Battista ad Erode, che caritatevolmente manifestassero agli incauti la enormità del peccato.

Se non che, basterà all’uom sensuale comprendere tutta, la profondità dell’abisso di cui sta in fondo perchè tosto fuor se ne cavi? — Eccovi seconda e più grave conseguenza del peccato impuro. Il disonesto capirà il male che fa, l’avvilimento a cui si riduce, le deplorabili conseguenze a cui va incontro; ma, avvinto come da ferrea catena al suo vizio, non si determinerà efficacemente a correggersene; non saprà abbandonare l’oggetto dei suoi colpevoli amori, preferirà costringere al silenzio quella voce che gli reca salutar turbamento. Avrà rossore di se medesimo, ma tenterà nascondere a se stesso le proprie vergogne. Gli parra di leggere la propria condanna sul volto di tutti, ma menerà vanto di sua dissolutezza per impedire coll’impudente franchezza che si ardisca di censurarlo. La parola indipendente del ministro di Dio, l’interna ineluttabil legge di coscienza, lo spavento che inesorabilmente perseguita chi offende l’ordine morale, non gli permetteranno di godere in pace i suoi voluttuosi piaceri; ed egli non cercherà il rimedio nella conversione, ma la sazietà nel prolungamento di soddisfazioni, delle quali è più facile tenersi immuni che accontentarsi. Ogni giorno più infelice e perverso, ed ogni giorno più ostinatamente [p. 13 modifica]attaccato alla fonte delle sue miserie, cercherà la medicina a’ suoi mali ivi stesso ove beve il delitto e la ruiua. Eccovi la desolante istoria che a preziosa istruzione vi presenta a meditare la gloriosa fine del vostro Santo Patrono.

Allora che Erode funestava i popoli di Galilea collo spettacolo di sua scostumatezza, il Battista predicava nel deserto la penitenza a tutti coloro che schivar volevano la perdizione eterna9. La predicava in prima coll’esempio, perchè Giovanni s’era sempre astenuto dal vino e dai liquori10 e d’ogni agiatezza di vivere, avea di buon’ora posta nel deserto la sua dimora, portava una semplicissima veste di pelo con cintola di cuoio, ed erano suo cibo le locuste ed il miele selvaggio11. La predicava eloquentemente e coraggiosamente colla parola alle popolazioni che a turbe andavano a lui, con verun altro riguardo in fuor di quello di dire a ciascuno quel che ben gli stava perchè schivasse l’inferno. Ai farisei gridava; Razza di vipere, chi v’ha insegnato ad evitar la collera che deve cadere sopra di voi? fate penitenza perchè ormai la scure è alla radice dell’albero, ed ogni albero che non darà buon frutto sarà tagliato e gettato alle fiamme12, Ai pubblicani intimava: Non esigete più di quanto v’è fissato. Non fate più di quello che la legittima [p. 14 modifica]autorità v’ha ordinato. Ai soldati: V’accontentate della vostra paga, non fate ad alcuno concussione o violenza di sorta. A tutti: Colui ch’ha due vesti una ne somministri a chi non n’ha; e parimenti colui ch’ha il da mangiare ne faccia parte a colui che ne manca13.

Nè vi pensate che una condotta siffattamente straordinaria esser potesse in Giovanni suggerimento più dell’amor proprio che dell’amor di Dio e del prossimo; conciossiache, quando la sua virtù e la sua maniera di vivere cominciarono a far credere a molti ch’egli fosse il promesso Messia, l’aspettato liberator degli Ebrei, il dominatore dell’universo che s’attendeva dovesse uscir di Giudea, Giovanni, che con una sola affermazione avrebbe di leggieri potuto trar sicuro partito dal popolare entusiasmo in suo favor già inclinato, s’affrettò invece a dichiarare ch’esso non era più che un araldo a predisporre le vie alla venuta del Salvatore, il quale era tanto maggiore di lui, ch’esso nemmanco degno si reputava di slacciargli le calzamenta; e da quell’istante curava ogni propizia occasione di rendere pubblicamente conforme, solenne, testimonianza a Gesù14.

Ma, appunto perchè la gente cotanto a lui deferiva, pensò Giovanni che non doveva lasciar senza reprensione il mal vivere del Tetrarca, che [p. 15 modifica]importava non invalesse l’opinione che l’altezza del grado, l’abbondanza delle dovizie, la forza esser potessero mai scudo del vizio, tutela alla colpa, argomento a vile silenzio e connivente longanimità per parte dell’uomo di Dio. Giovanni ancora pensava che là, era d’uopo si spingesse principalmente lo zelo del Precursore di Cristo ove più tristo o contagioso era il male, là sfolgorasse la luce della verità ove più difficilmente suol penetrare. Si muove adunque dal suo deserto il Battista; e la fama che lo precede gli apre l’adito fino ai più intimi penetrali della Corte sovrana, e il rispetto che incute al solo vederlo fa che nessuno gli impedisca di portarsi immediatamente alla presenza del re, al quale liberamente protesta: Non ti è lecito avere la moglie di tuo fratello15.

Qualunque dei baroni della Corte, il più benemerito degli uffiziali o dei ministri, il meglio affezionato e beneviso dei cortigiani, l’amico più caro, il parente più stretto non avrebbe ardito di dire al principe, neppur per velata metafora, metà del tanto che Giovanni dichiarato gli aveva con quella laconica, incontrovertibile, divina, sentenza; Non ti è lecito avere la moglie di tuo fratello16. Quelli avrebbero, non senza motivo, potuto temere vedersi d’un tratto privati d’ogni salario ed onore, balzati dalle cospicue cariche [p. 16 modifica]in una tetra prigione, in esiglio, fors’anco tradotti al patibolo; epperò adulano plaudenti all’impudica beltà che il loro tiranno incatena ad una vita indecorosa. Che mai invece ha desso a temere il Battista? La privazione delle terrene grandezze e comodità? Ma Giovanni ha volontariamente rinunciato di già anche a quella parte di cui avrebbe potuto lecitamente fruire. — La pubblica opinione? Ma Giovanni ne gode assai più che non ne cerchi! — Lo squallore del carcere? Ma questo è un trionfo, quando è la ricompensa del leale adempimento del proprio dovere! — Le catene? Oh le catene aggravan le membra ma non legano uno spirito energico, indipendente! — La morte? Questa è un guadagno quando dischiude il passo alla beata eternità, alla gloria del paradiso! — Epperò Giovanni ripete al re: No, non ti è lecito avere la moglie di tuo fratello.

Erode l’ha subitamente compreso; la voce di un uomo che vive appena sulla terra, ma di cui la continua conversazione è nei cieli, è voce non ossequiosa ad umano precetto, non arrendevole a lusinghe, non estinguibile per umane minaccie, è voce più forte d’ogni forza d’armi e d’armati, è voce di cui la sola insistenza può trabalzare un trono. Se mai fino allora la foga del primo accontentamento di voluttuosa brama era valsa a non lasciargli sentire i rimorsi dei delitti commessi per conseguirlo, Erode l’ha subitamente compreso, a cominciar da quel giorno non v’era [p. 17 modifica]più pace per lui. Ma perchè nonostante nemmanco sapeva determinarsi ad obbedire ai rimproveri di quella voce, e ognuno avrebbe potuto recar facile giudizio di tanto irragionevole ostinazione, stimò necessario che quella voce fuor non uscisse dal gabinetto reale. Laonde fece chiudere il Battista nel carcere della medesima rocca Macherontina che aveva servito di pretesto alla tradita regina per ritornare ai suoi lari17.

La virtù, o miei signori, ha delle attrattivo che obbligano quei medesimi che non si sentono di seguirla, che la diffamano, che la combattono, a stimarla, temerla ed amarla ad un tempo. Difatti Erode, nel mentre sosteneva in prigione il Battista e non ne ascoltava il severo rimprovero, pure il considerava siccome un santo, voleva di quando in quando vederlo, parlargli e in molte cose seguirne i pregiati consigli18. Tuttociò assai di malocchio osservava Erodiade, paurosa che il Tetrarca finisse un giorno a rimaner convinto delle insinuazioni di Giovanni, e la restituisse al suo vero marito. A togliersi il qual dubbio aveva ella più volle insidiato alla vita del Precursore, però sempre inutilmente, grazie alla cura istessa con cui l’Antipa voleva guardato Giovanni19. Ebbe per altro ben presto la rea donna inventato il modo di cogliere Erode all’amo di quella inclinazione a lascivia di cui ella medesima gli era fomento. [p. 18 modifica]

Nella anniversaria ricorrenza del suo natalizio Erode, giusta il costume regale, avea raccolti a lauto banchetto i principi, i tribuni, i magnati tutti della sua Corte. Or quando la moltiplicità dei cibi e delle bevande e l’allegria del convito poteva aver reso gli astanti meno ricordevoli di loro dignità, Erodiade entrar fece a danzare Salome, la figlia avuta dal legittimo connubio con Filippo. E l’esimia avvenente saltatrice diede cotale sperimento di sua grazia ed abilità, che Erode, a superar da par suo gli applausi e le lodi degli altri spettatori, inconsideratamente giurò: qualunque cosa cercasse allora Salome concessa l’avrebbe, fosse pure la metà del regno. E la giovinetta sorpresa dalla generosità dell’offerta, con naturalissimo slancio corse alla madre per prender parola di quel che meglio sarebbe a dimandarsi. Cerca la testa di Giovanni Battista, suggerì l’iniqua genitrice, lottando forse colla gentilezza d’animo propria d’una ragazza. Alla quale Erodiade avrà soggiunto: «Fintanto che Erode seco ci tiene, non di metà, bensì di tutto il regno godiamo, ma, fintantochè vive l’uom del deserto, di tanta prosperità possiamo essere da un istante all’altro private. Figlia, fa a modo mio, cerca la testa di Giovanni Battista». E senza più Salome è innanzi al Re, e festosa gli dice: Voglio che su d’un piatto mi venga incontanente portata la testa di Giovanni Battista. L’animo del re contristato rimane alla bizzarra, crudele, inaspettata dimanda. Dar morte ad uomo [p. 19 modifica]giusto per appagare una ballerina! Incontrar forse la furibonda indignazione di un popolo intiero che considera il Battista più che profeta! Ma pure ho giurato! E il pretesto di un giuramento a serbarsi mi libera da quella voci; che mai non cessa di ripetermi quel suo non lice! Se la promessa non tengo conturbo questa bella, graziosa fanciulla! e costoro che la vezzeggiano mi giudicheranno un vile!..... L’ordine è spiccato... Il carnefice è in via..... Giovanni è decollato!20

Così dunque miseramente perisce l’uomo privilegiato, che santificato fin dall’utero materno, e nato fra i prodigi, era come un angelo comparso a precedere la Maestà del Signore e preparare il mondo alla venuta del suo Salvatore? — La vita del giusto, dice lo Spirito Santo21, sembra un’insania, e inonorato il suo fine; ma la speranza dell’empio è come un fiocco di lana qua e là trasportato dal vento, è come leggera spuma che per un momento riflette i colori dell’iride e subito è dissipata dalla tempesta, è come la memoria di un forastiero che passa e non si ferma che un giorno. I giusti invece vivranno in eterno, e la loro ricompensa è nelle mani del Signore, e di essi avrà cura l’Altissimo Iddio. Quindi essi otterranno un regno illustre e un bel diadema dalla mano del Signore, il quale armerà le sue creature per far vendetta dei loro nemici. [p. 20 modifica]

Giovanni delle terrene delizie niente affatto ha goduto. Erode tutto che volle; ma Giovanni aveva seco l’inestimabil tesoro, l’insuperabile soddisfazione d’una coscienza tranquilla; Erode invece funestato sempre tra i suoi piaceri dalla memoria dei delitti commessi per procurarli e dal pensiero dei necessari a commettersi per mantenerne il possesso. — Giovanni povero, mortificato, inerme, senzafasto, senza potere; Erode ricco, brillante, corteggiato, difeso da valida armata. — Ma Giovanni si sente grande, spiega una energia da confonderne i potenti, è rispettato, temuto più che se avesse un esercito, cade vittima ma non vinto, e ancor caduto fa tremare chi l’ha colpito; Erode invece ogni di più va in basso nelle sue aspirazioni; schiavo d’indegna passione, raggirato da intrighi muliebri, esoso a se medesimo, grave ai sudditi, ingiusto, crudele, e pauroso poi degli effetti della sua crudeltà, dappertutto vede un teschio sanguinolento che lo rimprovera, sempre paventa non risorga il Battista a vendicare la propria morte. — E la morte del Battista vien vendicata di fatto; terribilmente vendicata; però che Erode combattuto e sconfitto dal re d’Arabia di cui aveva tradita e ripudiata la figlia, fu dal romano imperatore dichiarato decaduto di tetrarchia, e, spogliato de’ beni, cacciato con Erodiade in lontano esiglio, ove da nessuno compianto terminò malamente una vita di peccato, per cominciarne una di eterno tormento22. La memoria invece di [p. 21 modifica]Giovanni Battista sarà sempre in benedizione. Il suo corpo piamente raccolto e custodito dai fedeli, è diventato pegno dei più grandi celesti favori per chi lo possiede e lo venera; il suo spirito gode lassù nel paradiso quel posto distinto che conviene ad un santo che ha meritato il più grande elogio dalla bocca medesima di Gesù Cristo; di là spande benefica protezione sulla cattolica Chiesa, più specialmente su chi lo onora e lo invoca patrono, più ancora su chi si propone imitarne la vita penitente e pura e il bel carattere schietto e contante.



Pinerolo, addì 28 agosto 1863.

V. L’Orazione panegirica del cav. Aristide can. prof. Sala sulla decollazione di San Giovanni Battista nulla osta per quanto spetta all’Autorità Ecclesiastica che si stampi.

Bernardi V. G.



Note

  1. Butler. Vite de’ Santi d’Agosto. Venezia 1824.
  2. Butler citato — Calmet, Storia dell’Antico Testamento e del Nuovo. Venezia 1822.
  3. Butler e Calmet.
  4. Autori citati. — Cornelio a Lapide nel Commentario al Capo VI di s. Marco.
  5. Gregor. Lib. 22, Moral.
  6. Hieron. ad Jovin, Lib. 1.
  7. S. Ambrosius.
  8. Hieron. in Oseam, Cap. iv.
  9. Marcus I, 4.
  10. Lucas I, 15.
  11. Mattheus III, 4.
  12. Matth. III, 5-10.
  13. Lucas III, 10-16.
  14. Joan. I, 15-26 — III 22-36 — Math. III, 13-15.
  15. Mar. VI, 18.
  16. Levit. XVIII, 16.
  17. Mar. VI, 17 — Corn. a Lap. in Comment.
  18. Mar. VI, 20.
  19. Mar. VI, 19.
  20. Mar. VI, 21-27.
  21. Sapient. V. 4. 15.
  22. Calmet e Cornelio a Lapide