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stesso si affida mi alle proprie inclinazioni, altrettanto in basso precipita, e perde ragione e libera volontà, e diventa animalesco, vile, abbietto, infelice. All’incontro, quanto più a se medesimo l’uomo resiste, e si umilia, e si mortifica, altrettanto si eleva al disopra delle create cose, riacquista l’uso delle più nobili facoltà, il dominio sopra di sè stesso, la libertà, l’indipendenza di spirito, che meglio l’avvicinano alla divinità.

Questo fatto, continuo benchè poco osservato, questo principio importantissimo, nè mai abbastanza meditato, di tutta evidenza rifulge nei fasti dell’insigne vostro protettore Giovanni Battista. Accanto ad un monarca che miseramente abusa del potere e delle ricchezze, e si consuma in voluttuosi piaceri, sorge candida e bella la figura di un uom del deserto che tocca appena coi piè la terra, alla quale non concede neppure uno sguardo, un pensiero. L’oro, le gemme, lo scettro, la corona, l’ampio corteo, la numerosa milizia, non valgono a circondare il re di quella venerazione che ottiene il solitario di tutto nudo e penitente. La lotta che si impegna fra Erode ed il Battista mette in chiaro la debolezza e la viltà a cui mena concupiscenza di carne e superbia di vita, la forza irresistibile invece che dona una santa severità con sè medesimo, disprezzo delle cose terrene, amore delle celesti. Che se per un istante vedrete la virtù oppressa dal vizio, l’esito finale vi mostrerà che il trionfo