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Giovanni delle terrene delizie niente affatto ha goduto. Erode tutto che volle; ma Giovanni aveva seco l’inestimabil tesoro, l’insuperabile soddisfazione d’una coscienza tranquilla; Erode invece funestato sempre tra i suoi piaceri dalla memoria dei delitti commessi per procurarli e dal pensiero dei necessari a commettersi per mantenerne il possesso. — Giovanni povero, mortificato, inerme, senzafasto, senza potere; Erode ricco, brillante, corteggiato, difeso da valida armata. — Ma Giovanni si sente grande, spiega una energia da confonderne i potenti, è rispettato, temuto più che se avesse un esercito, cade vittima ma non vinto, e ancor caduto fa tremare chi l’ha colpito; Erode invece ogni di più va in basso nelle sue aspirazioni; schiavo d’indegna passione, raggirato da intrighi muliebri, esoso a se medesimo, grave ai sudditi, ingiusto, crudele, e pauroso poi degli effetti della sua crudeltà, dappertutto vede un teschio sanguinolento che lo rimprovera, sempre paventa non risorga il Battista a vendicare la propria morte. — E la morte del Battista vien vendicata di fatto; terribilmente vendicata; però che Erode combattuto e sconfitto dal re d’Arabia di cui aveva tradita e ripudiata la figlia, fu dal romano imperatore dichiarato decaduto di tetrarchia, e, spogliato de’ beni, cacciato con Erodiade in lontano esiglio, ove da nessuno compianto terminò malamente una vita di peccato, per cominciarne una di eterno tormento1. La memoria invece di

  1. Calmet e Cornelio a Lapide