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Pur troppo, natural conseguenza del vizio di carne è un fatale accecamento; pel quale, non santità di carattere, non altezza di ministero, non disparità di grado o di condizione, non vincolo di consanguineità, non debito dì giustizia e di gratitudine, non uguaglianza, non differenza di sesso, non legge di natura trattiene il disonesto dal voler lo sfogo della concupiscenza, qualunque sia la gravezza dei sacrifizi e dei delitti necessari a compiersi per conseguire lo scopo; e dissennato incontra con stupida indifferenza la gelosia dei mariti, il furore di tradite consorti, lo sdegno di un intiero parentado, la pubblica riprovazione, la rovina delle sostanze e della salute, la severità delle leggi criminali e civili, lo strazio dei rimorsi, i terribili giudizi di Dio.

Il che tutto più facilmente nei ricchi e nei potenti si verifica, appunto perchè l’agiatezza del vivere aumenta l’inclinazione a mollezza, l’abbondanza dei mezzi abitua a soddisfare ogni brama, l’ampiezza della autorità induce la facile persuasione che nulla possa o debba loro impedire l’appagamento di qualsisia desiderio.

Quel Dio però che, a mostrar quanto detesti l’uomo sensuale, e quali castighi si meriti la corruzione della carne, mandò un universale diluvio a sommergere i disonesti, e nel sito di cinque già fiorenti ma lascive città un lago fece succedere d’onde fetenti e mortifere; quel Dio medesimo, a dar prova di sua misericorde premura