Chi l'ha detto?/Parte prima/70
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§ 70.
Scienze e lettere, poesia, eloquenza e musica
1609. Non in solo pane vivit homo, sed in omni verbo, quod procedit de ore dei. 1
è la risposta di Gesù al diavolo che nella parabola del deserto lo tenta perchè faccia diventare pane i sassi. Non basta dunque saziare la fame fisica col pane del corpo, ma occorre anche il pane dell’intelligenza, e questo non può essere altro che la lettura, la meditazione, lo studio. La vita puramente materiale, senza nessun conforto per l’anima, di poco differisce dalla morte:
1610. Otium sine litteris mors est et hominis vivi sepultura.2
Questa nobile sentenza, senza l’ultimo inciso, fu anche l’ex-libris del bibliofilo fiorentino Giovanni Nencini, morto nel 1875. E veramente le lettere sono la più onorevole professione cui l’uomo può dedicare i suoi ozi, benchè non siano la più lucrosa, infatti:
1611. Nessuna professione è sì sterile come quella delle lettere.
1612. La propriété littéraire est une propriété.3
Alfonso Karr scrisse nel numero delle Guêpes del marzo 1841: «On s’occupe beaucoup, à la Chambre et dans les journaux, de la loi sur la propriété littéraire.... Il y a quelques années déjà, — au milieu d’une discussion sur le même sujet, — j’avais proposé une loi, qui a été jugée, en ce temps-là, par les meilleurs esprits, si simple, si raisonnable, qu’on n’y a pas trouvé la moindre objection. Ce projet de loi, le voici, — j’ai lu tout ce qu’on a dit, tout ce qu’on a écrit sur la question; il répond à tout:
«Article unique: La propriété littéraire est une propriété.»
All’uomo di lettere può capitare anche di peggio, per esempio di sentirsi dire come Porzio Festo governatore della Giudea disse a S. Paolo:
1613. Insanis, Paule; multae te literae ad insaniam convertunt. 4
Nè la dottrina valse a salvare dalla sventura o dalla persecuzione, specialmente in tempi nei quali la tristezza degli avvenimenti faceva dimenticare la nobile serenità degli studi. Chi non ha sentito ripetere le ciniche parole:
1614. La République n’a pas besoin de savants. 5
Lavoisier, il fondatore della chimica moderna, fu una delle innumerevoli vittime della Rivoluzione francese: condannato a morte il 19 floreale dell'anno II con altri 27 fermiers généraux, salì sul patibolo l’8 maggio 1794. È leggenda diffusa e ripetuta con molte varianti in tutte le biografie di Lavoisier, che l’illustre chimico, dopo la sentenza, avesse chiesto al tribunale una dilazione per poter condurre a fine alcune esperienze e il capo del tribunale gli abbia risposto: «La République n’a pas besoin de savants». Questa brutale e stupida risposta è dai più attribuita a Dumas, presidente del tribunale rivoluzionario — a torto, che egli quel giorno non presiedeva — da altri a Fouquier-Tinville, che neppur lui era presente, da alcuni, con maggiore verosimiglianza, a Coffinhal, vicepresidente, che presiedeva il giorno della condanna di Lavoisier. J. Guillaume in una lettura tenuta alla Società di Storia della Rivoluzione il 29 aprile 1900, e stampata nella Revue Bleue del 5 maggio, pag. 557 (Un mot légendaire) cerca di dimostrare che la frase è inventata e che il primo a metterla in circolazione fu Grégoire nel suo terzo rapporto sul vandalismo, letto alla Convenzione il 24 frimaio anno III, sette mesi dopo la morte di Lavoisier.
Quando si adopera la frase, ormai comunissima, se non altro come facezia,
1615. De omni re scibili et quibusdam aliis. 6
De omnibus rebus et quibusdam aliis. |
1616. Elle est grande dans son genre, mais son genre est petit.7
1617. Tous les genres sont bons, hors le genre ennuyeux.8
Tous les gendres sont bons, hors le gendre ennuyeux. |
Chi imprende a scrivere su qualsivoglia argomento, deve aver presente il precetto oraziano:
1618. Sumite materiam vestris qui scribitis æequam
Viribus.9
1619. Lecta potenter.... res.10
Soltanto i prediletti delle muse, e le intelligenze elette possono tentare una materia
1620. ....Degna
Di poema chiarissimo e d’istoria.
1621. Di poema dignissima e d’istoria.
1622. Aujourd’hui, ce qui ne vaut pas la peine d’être dit, on le chante. 11
1623. Le style c’est l’homme.12
1624. .... Io mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, ed a quel modo
Ch’ei ditta dentro, vo significando.
1625. Dolce stil nuovo.
1626. Tra lo stil de' moderni e ’l sermon prisco.
1627. Il più bel fior ne coglie.
1628. Je reprends mon bien partout où je le trouve.13
Era la scusa che Molière ripeteva volentieri giustificandosi di avere tolte dal Pedant joué di Cyrano de Bergerac (1654) alcune scene, che egli poi introdusse nelle sue Fourberies de Scapin (1671). Se si ha da credere a Grimarest (Vie de Molière, pag. 13-14), Cyrano avrebbe profittato di cose dette da Molière medesimo nei circoli di comuni amici ; quindi Molière avrebbe giustamente ripreso il suo, secondo l'aforisma giuridico: Ubi rem meam invenio, ibi vindico. Ai plagiari comuni piace coprirsi dietro le spalle di Molière, citando la frase di lui, ma correggendola sensibilmente: Je prends mon bien, ecc. Si veda l’arguto e dotto volume di Domenico Giuriati, Il plagio (Milano, Hoepli, 1903). Non voglio passare sotto silenzio due versi di Orazio che si citano per raccomandare di stare ugualmente lontani dalla prolissità e dalla oscurità; essi sono tratti dall’Arte poetica (v. 25-26):
1629. .... Brevis esse laboro:
Obscurus fio.14
Divina è l’origine della poesia, ed è secondo l’opinione degli antichi, un nume, che ispira il poeta:
1630. Est deus in nobis, agitante calescimus illo,
Impetus hic sacræ semina mentis habet. 15
1631. Aut insanit homo, aut versus facit.16
Ovvero è lo sdegno che eccita il poeta a concitate parole anche se manca il genio; si natura negat,
1632. ....Facit indignatio versum.17
1633. Genus irritabile vatum.18
Irritabile dunque e non di rado anche noioso, se crediamo allo stesso Orazio:
1634. Omnibus hoc vitium est cantoribus, inter amicos
Ut nunquam inducant animum cantare rogati,
Injussi nunquam desistant.19
Ma quale la missione della poesia? Non ha soltanto lo scopo di dilettare, ma anche un nobile intento educatore, secondo che esprime l’armoniosa strofa di Giuseppe Parini:
1635. Va per negletta via
Ognor l’util cercando
La calda fantasia,
Che sol felice è quando
L’tile unir può al vanto
Di lusinghevol canto.
1636. ....Il vero condito in molli versi
I più schivi allettando ha persuaso.
1637. O voi ch'avete gl’intelletti sani.
Mirate la dottrina che s’asconde
Sotto il velame degli versi strani!
Però, più del vero, è l’ideale che ispira il poeta. Già Vincenzo Monti, quasi presentendo le lotte del verismo, così lo condannava in auticipazione:
1638. .... Il nudo
Arido vero che de’ vati è tomba.
1639. Tu sol — [pensando] — o ideal, sei vero.
Nobilissima è la poesia che s’ispira a tali sensi, e degna di alte ed elette intelligenze: allora la poesia veramente merita di essere detta
1640. ....Un cantico
Che forse non morrà.
Così il Manzoni pensava della sua ode Il Cinque Maggio, e il suo prognostico andava fallito, dappoiché pochi componimenti lirici hanno raggiunto la celebrità di quel carme. Basterebbe a dimostrarlo il numero considerevole di traduzioni nelle varie lingue che sono state pubblicate fino ad oggi: ventisette, tutte diverse, ne raccoglieva C. A. Meschia in un opuscolo stampato a Foligno nel maggio 1883.
Alla poesia dantesca si è con tutta giustizia applicato quel che Dante dice della poesia di Omero, Virgilio, Orazio, Ovidio e Lucano (come già ho detto al n. 1232):
1641. ....L’altissimo canto
Che sopra gli altri com’aquila vola.
Si avverta che il primo verso, secondo la lezione più comune, suona completo così:
Di quei signor dell’altissimo canto |
Di quel signor dell’altissimo canto |
L'immagine geniale del canto alato, sia o no dantesca, è stata accetta a un gran numero di poeti, non ultimo Enrico Heine, di cui tutti ricordano:
1642. Auf Flügeln des Gesanges20
E i versi di costoro non erano davvero fra quelli che un altro poeta moderno modestamente chiamava:
1643. Poveri versi miei gettati al vento.
1644. Sdegno il verso che suona e che non crea.
Se tale è il destino di molti versi, non diverso è quello di tanta prosa. L’oratore dovrebbe prefiggere a scopo del suo parlare di
1645. Persuadere, convincere e commuovere.
1646. ....Di sua bocca uscieno
Più che mel dolci d'eloquenza i fiumi.
1647. Prima est eloquentiæ virtus perspicuitas.21
1648. Parum eloquentiæ, sapientiae nihil.22
Satis loquentiæ, sapientæ parum. |
(Catilinarium, 5, 4).
1649. Ce qui manque aux orateurs en profondeur, ils vous le donnent en longueur.23
Chi vuol divenire eccellente nell’arte del dire, deve anzi tutto seguire il precetto oraziano:
1650. ....Vos exemplaria græca
Nocturna versate manu, versate diurna.24
1651. Cæsar non supra grammaticos.25
Narrano infatti Svetonio (De illustribus grammaticis, cap. 22) e Dione Cassio (Istorie, 57, 17) che Tiberio usò una volta una parola non latina, e avendo Atteio Capitone soggiunto che se non era parola latina, d’allora innanzi sarebbe stata tale, Marco Pomponio Marcello, purista feroce, replicò: Tu enim Cœsar civitatem dare potes hominibus, verbo non potes. Chi da queste parole abbia tolto la frase sentenziosa detta qui sopra, non saprei dire. Tale però sembra non fosse l’opinione di un altro imperatore, non più dell’antichità ma dei tempi di mezzo, Sigismondo I, che nel Concilio di Costanza del 1414, rivolgendosi ai Padri ivi radunati diceva: «Date operam ut illa nefanda schisma eradicetur» (riferendosi allo scisma di Boemia), e poiché il legato papale card. Branda Castiglione detto il Piacentino, che gli sedeva accanto ed era suo amicissimo, sommessamente gli osservò: «Domine, schisma est generis neutrius», non femminino come aveva detto l'imperatore, questi arditamente rispose: Ego sum Rex Romanus et super grammaticam. Vedi Matteo Castiglione, Elogi historici ecc. (Mantua, 1606, a pag. 234). La stessa storiella si trova già nella Germania del teologo Giacomo Wimpfeling (Argent., 1505, fol. XXX), in questi termini: «Is edam Sigismundus, quod preterire nolo, in concilio Constantiensi reprehensus a cardinale Pilacentino, quod contra grammaticorum prescripta verba quedam pronuntiasset, non minus scite quam festiviter ait: Placentine, si supra leges sumus, quare supra grammaticam esse non possumus? Placentine! Placentine! quibus places, placeas; mihi non places». All’incontro, Molière interpretò il detto antico nelle Femmes savantes (a. II, sc. 6. v. 465), con le parole:
La grammaire, qui sait régenter jusqu'aux rois. |
Il caso narrato da Svetonio mi trae a parlare della origine delle parole, cioè delle loro etimologie. A indicare delle etimologie assurde o contradittorie si suole citare il detto latino:
1652. Lucus a non lucendo.26
1653. Canis a non canendo.27
The Age of Gold, when gold was yet unknown, |
(Don Juan, c. VI, stanza 55).
L'argomento di queste etimologie è troppo esilarante perchè non valga a farmi perdonare una breve digressione. È noto l'epigramma del Cavaliere (Giacomo) De Cailly (1604-1673) — più noto sotto il nome anagrammatico di D’Aceilly — contro il Ménage e contro una singolare derivazione da lui sostenuta:
1654. Alfana vient d’equus sans doute,
Mais il faut avouer aussi,
Qu'en venant de là jusqu'ici
Il a bien changé sur la route.28
Di molte parole può dirsi:
1655. Multa renascentur quae jam cecidere, cadentque Quæ nunc sunt in honore vocabula. 29
1656. ....Usus
Quem penes arbitrium est et jus et norma loquendi.30
Il fatto è che nulla vi ha di nuovo sotto il sole, né cose né parole, ed in verità
1657. Nullum est jam dictum, quod non dictum sit prius.31
1658. Quidquid sub terra est, in apricum proferet aetas.32
A molte parole può giustamente appropriarsi il noto verso, che tutti conoscono, ma di cui pochi sanno la fonte:
1659. Conveniunt rebus nomina sæpe suis.33
Nomine Polla vocor quia polleo moribus altis: |
Per l’arte posso registrare la sentenza di Seneca:
1660. Omnis ars naturæ imitatio est.34
1661. Sì che vostr’arte a Dio quasi è nipote.
1662. L'arte per l'arte.
1663. .... Pictoribus atque poetis
Quidlibet audendi semper fuit aequa potestas.35
Per la musica in particolare, anzi per coloro che l’hanno in uggia, ricorderò il motto di Bernard de Fontenelle:
1664. Sonate, que me veux tu?36
1665. La musique est le plus cher, mais le plus désagréable des bruits. 37
è attribuita a Teofilo Gautier ma egli non fece che ricordare, nei suoi Caprices et zig-zags, a proposito d’una cattiva rappresentazione della Favorita cui egli aveva assistito a Londra, una frase ch’egli attribuisce a un geometra. Anzi il Gautier era musicista intelligente, e si vantava d’ssere stato il primo a parlare di Wagner a Parigi, riconoscendone il valore e l’importanza. Tuttavia egli amava ripetere questo giudizio paradossale e lo scrisse anche in un famoso Album di autografi, l’Album Nadar, che Millaud comprò per diecimila franchi. Pare del resto che l’odio per la musica fosse comune a tutti i caporioni della scuola romantica. Ecco quel che lo stesso Gautier scriveva nei Grotesques, pag. 158 dell’ediz. Calman Lévy: «Victor Hugo fuit principalement l’opéra et même les orgues de Barbarie: Lamartine s’enfuit à toutes jambes quand’il voit ouvrir un piano; Alexandre Dumas chante à peu près aussi bien que Mademoiselle Mars, ou feu Louis XV, d’harmonieuse mémoire; et moi-même, s’il est permis de parler de l’hysope après avoir parlé du cèdre, je dois avouer que le grincement d’une scie ou celui de la quatrième corde du plus habile violiniste me font exactement le nume effet.» Nondimeno non bisogna prendere troppo sul serio queste frasi sfuggite al poeta forse in momenti di malumore: in molti altri luoghi delle sue opere egli si mostra degno intenditore e ammiratore di cose musicali. Vedi, per esempio, l’Albertus, XLIV.
La musica è madre del canto; fermiamoci di sfuggita per ricordare l’emistichio virgiliano:
1666. Amant alterna Camoenae.38
Dagli annali della Filosofia, di quella scienza così compianta dal Petrarca nel verso:
1667. Povera e nuda vai, Filosofia.
1668. Nil est in intellectu quod non fuerit in sensu.39
È anche famosa nella storia della filosofia la frase:
1669. Cogito, ergo sum.40
enunciata da Réné Descartes nei Principes Philos. (I, 7 e 10) e che divenne l’assioma fondamentale della filosofia cartesiana: vedasi anche il Discours de la Méthode pour bien conduire sa raison. Le fonti di questa sentenza potrebbero trovarsi nel ciceroniano Vivere et cogitare (Tuscul. quæst., cap. V, § 38) e soprattutto in un passaggio dei Soliloquia di S. Agostino: «R. Tu qui vis te nosse, scis te esse? — A. Scio. — R. Unde scis? — A. Nescio. — R. Simplicem te sentis an multipliem? — A. Nescio. — R. Moveri te scis? — A. Nescio. — R. Cogitare te scis? — A. Scio. — R. Ergo verum est cogitare te. — A. Verum.» (Soliloquia, lib. II, cap. 1).
Ma Descartes concepì e svolse il principio che è cardine della sua filosofia, indipendentemente da ogni studio della dottrina agostiniana, che forse gli era nota solo imperfettamente. Infatti egli scriveva nel 1640 a chi lo aveva avvertito della corrispondenza della sua dottrina filosofica con il passo citato dei Soliloquia: «Vous m’avez obligé de m’avertir du passage de saint Augustin auquel mon “je pense donc je suis” a quelque rapport; je l’ai été lire aujourd'hui en la bibliothèque de cette ville, et je trouve véritablement qu’il s’en sert pour prouver la certitude de notre être.... et c’est une chose qui de soi est si simple et si naturelle à inférer qu’on est, de ce qu'on doute, qu’elle aurait pu tomber sous la plume de qui que ce soit; mais je ne laisse pas d'être bien aise d’aoir rencontré avec saint Augustin.»
Correlativo del principio Cogito ergo sum è l'altro nel quale il Cartesio s'avvicinò di più alla forma dialettica di S. Agostino, e che si ritrova in molti luoghi delle opere cartesiane ma specialmente nell’opuscolo Inquisitio veritatis per lumen naturale:
«Dubito ergo sum, vel quod item est, cogito ergo sum.»
1670. Kategorischer Imperativ.41
ch’egli usò per la prima volta nella sua opera Grundlegung der Methaphysik der Sitten (II. Abschn.) di cui la prima edizione è di Riga, 1785.
Cicerone aveva una grande e giustificata venerazione per la storia, che in un luogo delle sue opere egli chiama:
1671. Historia (vero) testis temporum, lux veritatis, vita memoriæ, magistra vitæ, nuntia vetustatis.42
(più spesso si cita soltanto: Historia.... magistra vitæ; e una varia lezione di vita memoriæ è via memoriæ); e altrove dice:
1672. Nescire (autem) quid ante quam natus sis accident, id est semper esse puerum. 43
Ugo Foscolo ne raccomandava lo studio ai giovani italiani con le famose parole:
1673. O Italiani, io vi esorto alle storie.
che sono nella orazione inaugurale del corso di letteratura a Pavia, intitolata Dell’origine e dell’ufficio della letteratura (§ XV, verso la metà): «Italiani, io vi esorto alle storie, — egli dice — perchè niun popolo più di voi può mostrare nè più calamità da compiangere, nè più errori da evitare, nè più virtù che vi facciano rispettare, nè più grandi anime, degne di essere liberate dall’obblivione da chiunque di noi sa che si deve amare e difendere ed onorare la terra che fu nutrice ai nostri padri ed a noi, e che darà pace e memoria alle nostre ceneri.»
Invece Voltaire la giudica poco favorevolmente, poichè secondo lui
1674. L’histoire n’est que le tableau des crimes et des malheurs.44
1675. Quello ch’è storia non cangia mai.
Nè miglior opinione aveva della geografia quell’egregio patrizio dei tempi nostri che disse:
1676. Io non credo alla geografia.
Questa scettica frase corse sulle bocche di molti come attribuita al defunto principe Onorato Caetani di Teano, duca di Sermoneta: il quale l’avrebbe detta, ciò che la rendeva più singolare, mentre era presidente.... della Società Geografica Italiana! Ma l’attribuzione maligna non regge, e la frase è invece del padre, il Duca Michelangelo, il quale ad un seccatore che insisteva con poca discrezione per fargli comprare a caro prezzo un’opera geografica di nessun pregio, rispose: «Mi dispiace proprio tanto, ma io non credo alla geografia.» Del resto il venerando Duca, patriota illustre, come tutti sanno, dantofilo e grecista di valore non comune, a molte cose non credeva, per esempio alla moderna glottologia, e nemmeno all’archeologia. «Ove sono dodici archeologi, soleva dire, sono tredici opinioni diverse.» È nota la burla ch’egli fece ad un dotto archeologo con la iscrizione funeraria di San Cucufino, che diede occasione ad una dissertazione eruditissima; egli rideva volentieri degli infallibili, ovunque ne incontrasse; e però più di un archeologo rimase vittima delle sue veramente spiritose invenzioni.
1677. L'aritmetica non è un’opinione.
Questa fortunata frase è comunemente attribuita al defunto deputato di Catanzaro Bernardino Grimaldi. Questi, costretto a lasciare il portafogli delle Finanze dopo la crisi ministeriale del novembre 1879, il 27 dello stesso mese prendendo la parola dal suo scanno di deputato per un fatto personale sollevato da una interrogazione Sella intorno alle cause della crisi, faceva due dichiarazioni: « La prima è, che ministro o deputato, ritengo che la mia responsabilità resta sempre integra innanzi alla Camera ed al paese.... La seconda dichiarazione che tengo a fare è questa, che per me tutte le opinioni sono rispettabili, ma ministro o deputato ritengo che l’aritmetica non sia un’opinione. Il resto alla futura discussione, che attendo impavido e tranquillo.» (Atti Parlam., Discussioni della Cam. dei Dep., Sess. 1878-79, vol. X, col. 8707). Ma se il Grimaldi ebbe la fortuna di dare vita durevole alla frase, il primo autore ne fu il senatore Filippo Mariotti, che la disse efficacemente in un discorso fatto a Serrasanquirico quando egli era deputato pel collegio di Fabriano, e poi ebbe a suggerirla al Grimaldi che, lui presente, si consigliava con Quintino Sella sulla difesa che voleva fare alla Camera. Così cortesemente mi assicurava lo stesso senatore (morto nel 1911); ed è anche stampato da Domenico Gaspari nelle Memorie storiche di Serrasanquirico (Roma, 1883), pag. 259.
Note
- ↑ 1609. Non di solo pane vive l'uomo, ma di qualunque cosa che Iddio comandi.
- ↑ 1610. Chi vive nell'ozio senza il conforto delle belle lettere, è come morto, è un sepolto vivo.
- ↑ 1612. La proprietà letteraria è una proprietà.
- ↑ 1613. Tu sei pazzo, Paolo; il molto studio ti ha condotto alla pazzia.
- ↑ 1614. La repubblica non ha bisogno di dotti.
- ↑ 1615. Di tutte le cose che si possono sapere e di alcune altre.
- ↑ 1616. Essa è grande nel suo genere ma è il suo genere che è piccolo.
- ↑ 1617. Tutti i generi sono buoni, tranne il genere noioso.
- ↑ 1618. Se volete scrivere, scegliete un argomento pari alle vostre forze.
- ↑ 1619. Materia scelta secondo le proprie forze.
- ↑ 1622. Oggi quello che non vale la pena di dire, lo si canta.
- ↑ 1623. Lo stile è l’uomo.
- ↑ 1628. Io riprendo la roba mia dovunque la trovo.
- ↑ 1629. Mi sforzo di essere breve, e divento oscuro.
- ↑ 1630.
Divino spirto è in noi; per lui movente
Vita godiam: l’estro, onde anch’io mi accendo,
Semi contien della divina mente(Trad. di G. B. Bianchi)
- ↑ 1631. L’uomo o diventa pazzo o fa dei versi.
- ↑ 1632. La indignazione mi fa poeta.
- ↑ 1633. La razza irritabile dei poeti.
- ↑ 1634.
Ecco a tutti i cantor vizio comune:
Pregati, non c’è caso che s’inducano
A cantar tra gli amici: non pregati
Non la finiscon mai.(Trad. di T. Gargallo).
- ↑ 1642. Sulle ali del canto.
- ↑ 1647. Il primo requisito dell’eloquenza è la perspicuità.
- ↑ 1648. Poca eloquenza, nessuna sapienza.
- ↑ 1649. Ciò che manca agli oratori in profondità, ve lo danno in lunghezza.
- ↑ 1650. Sfogliate di notte e di giorno gli esemplari greci.
- ↑ 1651. Tu, o Cesare, non hai autorità sopra i grammatici.
- ↑ 1652. In latino il bosco si dice lucus perchè non c'è luce.
- ↑ 1653. Si dice cane perchè non canta.
- ↑ 1654. Non c'è dubbio che alfana viene da equus, ma bisogna anche confessare che venendo da così lontano ha cambiato molto per la strada.
- ↑ 1655. Molte parole che già caddero d'uso, rinasceranno, e molte che oggi sono in onore, cadranno.
- ↑ 1656. L’uso in balia del quale sono l’arbitrio e la legge e la norma del parlare.
- ↑ 1657. Non si dice cosa alcuna che non sia stata detta avanti.
- ↑ 1658. Tutto ciò che è sotto terra, tornerà alla luce col tempo.
- ↑ 1659. Spesso i nomi sono appropriati alle cose cui appartengono.
- ↑ 1660. Tutte le arti sono un'imitazione della natura.
- ↑ 1663. Ai pittori e ai poeti fu sempre concessa giusta libertà di osare qualunque cosa.
- ↑ 1664. Sonata, perchè mi perseguiti?
- ↑ 1665. La musica è il più caro e il più sgradevole dei rumori.
- ↑ 1666. Alle Muse piacciono i canti alterni.
- ↑ 1668. Nulla è nell’intelligenza che prima non fosse nel senso.
- ↑ 1669. Penso, dunque esisto.
- ↑ 1670. Imperativo categorico.
- ↑ 1671. La storia è testimonio dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, nunzia dell’antichità.
- ↑ 1672. Ignorare quel che sia accaduto prima che tu sia nato, vuol dire esser sempre fanciullo.
- ↑ 1674. La storia non è che un quadro di delitti e di sciagure.