Chi l'ha detto?/Parte prima/71

Parte prima - § 71. Sollievo, riposo

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§ 71.



Sollievo, riposo





A chi conduce vita aspramente laboriosa, riesce grata la speranza di trovare in fondo della sua carriera un onorato riposo.

1678.   Otium cum dignitate.1

(Cicerone, Pro P. Sextio, cap. 45; De Orat., 1, in princ.; Epist. ad famil., I, 9, 21).

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Ma ci sono molti, la cui vita è un continuo riposo, senza che conoscano mai fatica alcuna; ringrazino la Provvidenza, che è stata verso di loro sì benigna, e ripetano le parole di Titiro e Melibeo:

1679.   Deus nobis hæc otia fecit.2

(Virgilio, Ecloga I, v. 6).

Al contrario molte anime travagliate cercano invano tregua alla ostilità della sorte, e il loro primo luogo di riposo è al tempo stesso la loro ultima dimora. Perciò «quelquefois l’épitaphe des morts était un adieu qu’on leur faisait adresser aus choses de la terre, surtout aux moins certaines: l’espérance et la fortune. L’Anthologie grecque nous en a conservé une de ce genre, dont, au xvie siècle, plus tôt même peut-être, on fit un distique latin, et qui sous cette forme devint des plus populaires. Gil-Blas lui-même la savait. Il en fit l’inscription placée à la porte du joli château de Lirias, où las de ses aventures, qui ne fatiguaient que lui, il était venu s'enterrer» (Fournier, L’Esprit des autres). L’epigramma greco è nella Epigrammatum Anthologia Palatina del Dübner (Paris, 1864-72, vol. II, p. 10, lib. IX, ep. 49); in latino se ne hanno diverse versioni, ugualmente famose, di cui quella proposta dall'eroe del romanzo di Le Sage come iscrizione del suo castello (Gil Blas, lib. IX, cap. x in fine) e inesattamente riferita dal Fournier è la seguent :

1680.   Inveni portum; Spes et Fortuna valete.
Sat me lusistis: ludite nunc alios.3

La lezione del Fournier, che differisce da quella di Le Sage soltanto nel secondo verso: Nil mihi vobiscum: ludite nunc alios, si accosta più esattamente all’originale greco, ed è riferita nei Mémoires di Casanova (ed. di Parigi, 1882, vol. IV, cap. 9, pag. 297) dove è attribuita al suo Mentore che a torto ne parla come «la traduction de deux vers d’Euripide.» Vedasi una erudita nota [p. 562 modifica]del signor Richard Horton Smith nelle Notes & Queries, IXth ser., no. 29, July 16, 1898, pag. 48, dove sono date tutte le varianti greche e latine di questo epitaffio, con la loro storia e con i raffronti classici: e altre aggiunte nella stessa rivista, no. 38, Sept. 17, pag. 229. La sola versione italiana conosciuta è quella di Luigi Alamanni:

Speme e fortuna, addio; che in porto entrai.
Schernite gli altri, ch’io vi spregio omai.

Gli amanti del riposo non potrebbero trovare argomento migliore, per giustificare i loro gusti, della sentenza aristotelica:

1681.   Sedendo et quiescendo anima efficitur sapiens.4

A proposito di questa singolare sentenza e delle sue fonti è ben cognito il seguente aneddoto dantesco.

Dante incontra nell’Antipurgatorio fra i neghittosi certo Belacqua, da lui già conosciuto in vita, e con esso scambia qualche parola (Purg., c. IV, v. 106-135). È anzi Belacqua che rivolge a Dante la beffarda apostrofe (loc. cit., v. 114):

1682.   .... Or va tu su, che se’ valente!

I soli commentatori che ci dicano qualche cosa di questo Belacqua, sono Benvenuto da Imola e sulle pedate di lui, con lievi aggiunte, l'Anonimo Fiorentino del sec. XIV, che nel Commento pubblicato per la prima volta dal Fanfani (to. II, pag. 74, Bologna, 1868), così ne parla: «Questo Belacqua fu uno cittadino di Firenze, artefice, et facea cotai colli di liuti et di chitarre, et era il più pigro uomo che fosse mai; et si dice di lui ch’egli venia la mattina a bottega, et ponevasi a sedere, et mai non si levava se non quando egli voleva ire a desinare et a dormire. Ora l'Auttore [cioè Dante] fu forte suo dimestico: molto il riprendea di questa sua nigligenzia; onde un dì, riprendendolo, Belacqua rispose colle parole d’Aristotile: Sedendo et quiescendo anima efficitur sapiens; di che l'Auttore gli rispose: Per certo, se per sedere si diventa savio, niuno fu mai più savio di te.»
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Questo Belacqua che il prof. Alfonso Bertoldi, nel suo commento al canto dantesco che da lui prende nome, giustamente chiama «il personaggio più leggiadramente comico e amabilmente beffardo di tutto il poema» (Giornale Dantesco, vol. XI, 1907, pag. 151), si sa ora, mercè i documenti pubblicati e illustrati da Santorre Debenedetti nel Bollettino della Società Dantesca Italiana, N. S., vol. XIII, 1906 (pag. 222: Documenti su Belacqua), che era un popolano fiorentino, Duccio di Bonavia, del popolo di S. Procolo, dove possedeva una casa presso al palagio di Folco e Beatrice Portinari.

Ho cercato dove Aristotile avesse detto la sentenza così opportunamente e argutamente citata da Belacqua, ma in questa forma precisa non l’ho trovata, quindi la ritengo, come tante altre, una sentenza riassuntiva delle dottrine filosofiche dello Stagirita. Infatti Aristotile pensa che non si possa acquistare la scienza senza la quiete e l’ozio dalla vita attiva; e che siano sempre da preferirsi quest’ozio agli affari, la vita contemplativa all'attiva, le arti e le discipline teoriche alle pratiche, come largamente è esposto nell’Etica a Nicomaco, lib. X, cap. 7 e nella Metafisica, lib. I, cap. I ; là dice che la felicità (εὺδαιμουία) sta nella quiete e nell’ozio dell’anima (ὲυ τῆ σχολῆ), qua dice che se le scienze matematiche sorsero e fiorirono presso gli Egiziani, lo si deve agli ozi di cui presso quel popolo potevano godere i numerosi sacerdoti.

Un riposo dalle fatiche e dai disinganni del mondo si trova sempre nella quiete dei campi, cosi decantata da Orazio nei versi:

1683.   O rus, quando ego te adspiciam! quandoque licebit,
Nunc veterani libris, nunc somno et inertibus horis
Ducere sollicitae jucunda oblivia vitae!5

(Orazio, Satire, lib. II, sat. VI, v. 60-62).
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Colà una dolce melanconia regna sovrana. Il Pindemonte il quale aveva riparato in quei monti e in quelle colline, che aveva chiesti ai Numi, così inneggia alla dea tutelare di quei luoghi ameni, alla musa del romanticismo:

1684.   Melanconia,
Ninfa gentile,
La vita mia
Consegno a te.

Dolce sollievo prova colui che è sfuggito alle ansie e alle angosce di un grave pericolo che minacciasse lui o i suoi, secondo la colorita immagine dantesca:

1685.   .... Come quei che con lena affannata
Uscito fuor del pelago alla riva,
Si volge all'acqua perigliosa, e guata.

(Dante, Inferno, c. I, v. 22-24).
ed è anche un sollievo, dopo le fatiche del giorno, il sonno riparatore della notte. Ecco due citazioni liriche relative a Morfeo:

1686.   Ma il sol già celasi;
     Tace ogni zeffiro;
     E in sonno placido
     Sopito è il re.

è nel canto di David nel Saul, tragedia di V. Alfieri, a. III, sc. 4.

1687.   Dormi, o Celeste; i popoli
Chi nato sia non sanno.

(Manzoni, Il Natale, inno).



Note

  1. 1678.   Ozio con dignità.
  2. 1679.   Iddio ci dette questi ozi.
  3. 1680.   Trovai il porto. Addio, speranza, addio, fortuna; abbastanza mi avete ingannato, ora ingannate altri.
  4. 1681.   Sedendo e riposando, l’anima diventa sapiente.
  5. 1683.   O campi, quando vi rivedrò! quando potrò, ora fra i libri degli antichi, ora nel sonno e nel riposo, obliare dolcemente questa vita affaccendata.