Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta)/Poi che per mio destino

Poi che per mio destino

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Gentil mia donna, i' veggio Io son già stanco di pensar sí come

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Poi che per mio destino
a dir mi sforza quell’accesa voglia
che m’à sforzato a sospirar mai sempre,
Amor, ch’a ciò m’invoglia,
5sia la mia scorta, e ’nsignimi ’l camino,
et col desio le mie rime contempre:
ma non in guisa che lo cor si stempre
di soverchia dolcezza, com’io temo,
per quel ch’i’ sento ov’occhio altrui non giugne;
10ché ’l dir m’infiamma et pugne,
né per mi’ ’ngegno, ond’io pavento et tremo,
sí come talor sòle,
trovo ’l gran foco de la mente scemo,
anzi mi struggo al suon de le parole,
15pur com’io fusse un huom di ghiaccio al sole.

Nel cominciar credia
trovar parlando al mio ardente desire
qualche breve riposo et qualche triegua.
Questa speranza ardire
20mi porse a ragionar quel ch’i’sentia:
or m’abbandona al tempo, et si dilegua.
Ma pur conven che l’alta impresa segua
continüando l’amorose note,
sí possente è ’l voler che mi trasporta;
25et la ragione è morta,
che tenea ’l freno, et contrastar nol pote.
Mostrimi almen ch’io dica
Amor in guisa che, se mai percote
gli orecchi de la dolce mia nemica,
30non mia, ma di pietà la faccia amica.

Dico: se ’n quella etate
ch’al vero honor fur gli animi sí accesi,
l’industria d’alquanti huomini s’avolse
per diversi paesi,
35poggi et onde passando, et l’onorate
cose cercando, e ’l più bel fior ne colse,
poi che Dio et Natura et Amor volse
locar compitamente ogni virtute
in quei be’ lumi, ond’io gioioso vivo,
40questo et quell’altro rivo
non conven ch’i’ trapasse, et terra mute.
A·llor sempre ricorro
come a fontana d’ogni mia salute,
et quando a morte disïando corro,
45sol di lor vista al mio stato soccorro.

Come a forza di vènti
stanco nocchier di notte alza la testa
a’ duo lumi ch’a sempre il nostro polo,
cosí ne la tempesta
50ch’i’ sostengo d’Amor, gli occhi lucenti
sono il mio segno e ’l mio conforto solo.
Lasso, ma troppo è piú quel ch’io ne ’nvolo
or quinci or quindi, come Amor m’informa,
che quel che vèn da gratïoso dono;
55et quel poco ch’i’ sono
mi fa di loro una perpetua norma.
Poi ch’io li vidi in prima,
senza lor a ben far non mossi un’orma:
cosí gli ò di me posti in su la cima,
60che ’l mio valor per sé falso s’estima.

I’ non poria già mai
imaginar, nonché narrar gli effecti,
che nel mio cor gli occhi soavi fanno:
tutti gli altri diletti
65di questa vita ò per minori assai,
et tutte altre bellezze indietro vanno.
Pace tranquilla senza alcuno affanno:
simile a quella ch’è nel ciel eterna,
move da lor inamorato riso.
70Cosí vedess’io fiso
come Amor dolcemente gli governa,
sol un giorno da presso
senza volger già mai rota superna,
né pensasse d’altrui né di me stesso,
75e ’l batter gli occhi miei non fosse spesso.

Lasso, che disïando
vo quel ch’esser non puote in alcun modo,
et vivo del desir fuor di speranza:
solamente quel nodo
80ch’Amor cerconda a la mia lingua quando
l’umana vista il troppo lume avanza,
fosse disciolto, i’ prenderei baldanza
di dir parole in quel punto sí nove
che farian lagrimar chi le ’ntendesse;
85ma le ferite impresse
volgon per forza il cor piagato altrove,
ond’io divento smorto,
e ’l sangue si nasconde, i’ non so dove,
né rimango qual era; et sonmi accorto
90che questo è ’l colpo di che Amor m’à morto.

Canzone, i’ sento già stancar la penna
del lungo et dolce ragionar co·llei,
ma non di parlar meco i pensier’ mei.