Biografie dei consiglieri comunali di Roma/Alessandro Calandrelli
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CALANDRELLI ALESSANDRO
Consigliere Municipale
Roma capitale d’Italia! — Fu il sospiro de’ padri nostri, l’aspirazione divina de’ nostri martiri, l’anelito più grande degl’italiani. — Un nuovo sole di felicità dovea diffondersi da quel dì su tutta la nazione, e il popolo benedirlo come segno di pace, di prosperità, di grandezza. — Gli uomini reggitori della cosa pubblica da quel giorno nella loro sapienza dovevano risplendere di novello splendore e con più lena operare al benessere della patria. — Noi non diremo se ciò si è realizzato, chè»la voce e l’aspetto della nazione parla aperto — Nostro còmpito è quello di far conoscere le virtù di quei cittadini, che dopo il 20 Settembre 1870 siederono Consiglieri in Campidoglio, e tesserne una pagina biografica a ricordazione di loro, e della nostra età, nè ci rimarremo dal segnar nota di biasimo sopra quei che demeritarono del distinto ufficio, e dei quali siccome già accennammo in altre nostre pubblicazioni parleremo in appresso. Intanto noi crediamo presentare quegli uomini che per opere illustri maggiormente si distinsero, e che come soli risplendono tra altre stelle minori, che sino ad ora furono oggetto delle nostre biografiche esposizioni, checché dican taluni messeri, i quali tengon per lo capo che soltanto gli uomini dalle grandi virtù, non dai pregi modesti debbono essere argomento dello scrittore. — E senz’altro noi entriamo a discorrere la vita di quell’esimio cittadino, che è Alessandro Calandrelli. —
Nelle libere aure non contaminate dal vento delle città, nella serena solitudine della villa, da gente agricola in lontani tempi ebbe origine la famiglia Calandrelli, chè da Zagarolo trapiantassi in Roma, ove nel giorno 8 ottobre dell’anno 1808 nasceva Alessandro.
Giovanni suo padre salì in alta celebrità nell’arte della incisione in gemme, la quale apprese dai celebri Pliker Luigi e Giovanni e si meritò la fama di avere emulato i maestri.
I mirabili suoi lavori ad imitazione dell’arte greca e romana sono tenuti di pregio antico nei principali musei di Europa. — Gli altri lavori moderni distinguonsi pel corretto disegno e per un tocco franco e finissimo.
Federico Guglielmo III re di Prussia lo chiamò a Berlino nel 1882 colla carica di maestro nell’Istituto d’arti. — Ebbe poscia da Federico Guglielmo IV molte commissioni ed onorificenze. — Quasi tutti i principali ed insigni personaggi d’Europa incominciando dal papa Pio VII vollero che egli eseguisse il loro ritratto, e la sua morte avvenuta il 31 gennajo 1854 fu lagrimata da quanti lo conobbero, e lasciò il nome bellissimo in mezzo allo splendore della gloria artistica. —
Da tal genitore ben derivarono degnissimi figli, chè Alessandro e il proprio fratello Ludovico giovinetti tenerissimi rivelavano già negli studi vivacissimo l’ingegno e ben facevano presagire quanto più tardi di loro si verificò. — Di fatti Alessandro sentendosi inclinato alle lettere, ma sopratutto alle scienze naturali, e al disegno, in siffatti studi si raccolse e nel Collegio dapprima, e nell’Università Romana di poi e sotto l’insegnamento anche d’eccellenti maestri privati, e così fè rapido progresso in tali materie, che gli stessi precettori ammiravano in lui felicità d’intelletto, vivacità d’ingegno ed una maravigliosa facilità d’intuizione, onde giovanissimo degli anni s’ebbe l’onore di esser nominato professore supplente alla cattedra di mineralogia nella Università Romana. E poichè il prete di Roma desiderava guadagnare a se i giovani che rivelavano prestanza d’ingegno così i Cardinali Zurla, Mai ed. altri chiesastici personaggi volevano far di lui un distinto levita, ma Alessandro a tutt’altro era chiamato che ad indossare la stola o la cocolla, e negli studi ascetici e teologici ingolfare sua mente, il perchè ricusò sempre e soltanto della religione di Cristo si mostrò ammiratore ed osservatore costante, imperocchè egli stesso diceva un giorno: io sono cristiano, e se noi fossi, tale mi renderei, perchè i miei studi mi hanno fatto conoscere l’essenza divina del cristianesimo, e niente di più grande e di più filosofico può stare a confronto di esso; la sola virtù naturale non è sufficiente a condurre un popolo. E di vero noi udimmo anche il grande repubblicano esclamare — le religioni governano il mondo ... senza cielo, senza concetto religioso, la vita rimane in balia degl’istinti, delle passioni, degl’interessi.
Sul vangelo, sui martiri, sulle vite di Plutarco, sugli annali di Tacito informarono i genitori il cuore di Alessandro, e dalla sua madre Maria Borelli, che fu donna ornata di tutte virtù, pronipote degnissima di quel Borelli avvocato dottissimo, che grandemente si distinse nella costituzione napolitana del 1821 venne educato a sensi gentili. — Fu desso un vero angiolo di famiglia e da lei apprese Alessandro a compatire gli uomini, ad amare la patria, e per essa a soffrir tutto con muto dolore. — Fu una madre che perfettamente compose e indirizzò l’anima dei figli. —
Alessandro sui volumi meditando della storia d’Italia sentì semprepiù accendersi il petto di patrio amore, e vagheggiò sebbene egli fosse nell’alba della vita farsi anche valente nelle armi, e si diè all’opera. — Era il 4 marzo 1818 quando egli per la precoce sua intelligenza era ammesso siccome cadetto di artiglieria, e si diè agli studi militari con interessamento supremo. Per ben 30 anni, in che egli prestò suoi servigi al governo della Chiesa rivelò l’alte sue virtù nelle militari discipline. — Di vero così fu riconosciuto il suo merito, che fu quindi delegato delle azienda dell’armi nell’Armeria Vaticana e a quella del materiale di guerra, e poscia nel 1832 dalla Segreteria di Stato fu eletto aiutante all’illustre Gandolfi per la proposta di una nuova ordinanza da attuarsi per il miglioramento amministrativo delle milizie pontificie. — E fra le salutari riforme che propose fu quella di migliorare la foggia del vestimento militare mettendo in uso la tunica e l’elmo, di apportare anche un miglior trattamento di vitto col somministrare due ordinari al giorno, e finalmente d’istituire un sistema di elezione per gli officiali del genio e d’artiglieria in luogo dei cadetti, da farsi tra giovani che maggiormente si sarebber distinti nella Università Romana, ma in alternativa sempre con i sotto-ufficiali da istruirsi in una scuola speciale militare. — E questo progetto fu dal Card. Bernetti allora Segretario di Stato di subito adottato. —
Il Pontefice Gregorio XVI lo spedì in commissione straordinaria a Civitavecchia, a fine di provvedere allo ingrandimento della città e rendere più agevoli le abitazioni specialmente alla classe più umile del popolo. Ed il Calandrelli spiegando tutta la più premurosa sollecitudine si rese utilissimo, e sua mercè si devenne anche alla coltivazione del raggio miliaro secondo le leggi romane, colla ripristinazione delle famose Terme Taurine. —
Tornato a Roma propose la istituzione di una scuola militare per i cadetti del genio ed artiglieria, che eransi ricostituiti dappresso ordinanza del Gandolfi, e la sua proposta fu immediatamente accolta. — È fu in questa scuola che uscirono quei valorosi uffiziali che nel 1848-49 seppero perfino l’ammirazione acquistarsi della gallica superbia quando sulle mura di Roma venne a combattere la libertà della patria. — Bellissime e splendide sono le due orazioni che sulla utilità di detta scuola lesse il Calandrelli, come anco altra orazione, da lui dettata, rifulse per i sentimenti pietosi e gentili e altamente magnanimi, imperocchè aveva per iscopo di soccorrere gli orfani e le vedove dei poveri militari, la quale orazione fu letta nella Pia Società Mariana di Castel s. Angelo presieduta dalla benemerita principessa Acton. —
Volgeva l’anno 1837. — Il morbo colerico introdottosi in Roma, menava stragi crudelissime, e dappertutto era squallore, desolazione, lutto. — Il Calandrelli con animo acceso di carità cittadina disprezzando ogni pericolo si diè ad apprestar suo soccorso ai vivi, e a dare l’estrema onoranza ai morti facendo dar loro sepoltura e allontanandoli immediatamente dalle case, ove la di loro morte era seguita. — E tanto si rese in azione così altamente umanitaria benemerito, che lo vollero eletto siccome uno dei membri primari della società degli orfani del colera, ufficio che esercitò con grandissimo zelo, con supremo interessamento, e con soddisfazione generale. - - E in quell’opera fu coadiuvato da elettissimi uomini, che mostrarono abnegazione e sollecitudine infinita. — Nell’anno 1843 era desso in commissione straordinaria inviato a Civitavecchia, per soprassiedere alle nuove fortificazioni e restauramenti che ordinavansi in previsione degli avvenimenti politici, che più tardi dovevano erompere. — E fu allora che egli tentò l’apertura di un pozzo artesiano, pel quale molte difficoltà erano ad incontrarsi, ma qui si parve apertissima la perizia di lui e nelle cose artistico-meccaniche, e nelle scienze naturali, imperciocchè era già arrivato all’effettuazione dell’opera mediante un congegno meccanico, di cui avvenuta la rottura per ostacoli incontrati nel fondo della roccia, fu necessità il sospendere, siccome s’apprende dall’Album di Roma, in cui tutte sono dispiegate le operazioni dal Calandrelli eseguite, e di lui si presenta bellissimo l’encomio. —
E in Civitavecchia dimorando, ornò l’androne del palazzo governativo componendovi un museo degli avanzi antichi, che egli rinvenne nella fossa delle nuovo fortificazioni, e nelle vicinanze della città, e il fece a proprie spese, chè amore ha grandissimo di vedere in bello ordine raccolte le cose antiche. —
Correva l’anno 1847. — Il Pontificato di Pio IX parea annunziasse esser prossima l’aurora di libertà sospirata dalle genti italiane. Il Calandrelli era incaricato dell’armamento delle milizie civiche e della compilazione del relativo regolamento. — E a ciò attese con ispeciale premura, con abilità rarissima, e con generoso disinteresse, imperocchè non fu mai desso un mercenario, ma ambì sempre la ricompensa del merito e della probità — l’onore. — E fu perciò che di lui la pubblica stampa parlò sempre con splendida lode, ed i Papi l’onorarono persino di decorazione, perciocchè avevasi da Gregorio XVI due medaglie in argento di benemerenza, e da Pio IX l’ordine cavalleresco di s. Silvestro, già decretatogli dal papa Gregorio per i lavori che eseguì in Civitavecchia, e poscia dall’istesso Pio IX eragli conferita la medaglia d’oro accompagnata da onorificentissima lettera per l’armamento della guardia civica e compilazione del relativo regolamento. —
Il Calandrelli aveva raggiunto il grado di capitano. — Era il 16 novembre 1848, allorquando il pontefice Pio IX dopo aver dato eccitamento e benedetta la riscossa del popolo italiano per la liberazione d’Italia dal dominio straniero, e mentre fatti gloriosi si compievano, revocava l’alto mandato di riscattare interamente la patria, onde l’ira popolare contro di se scatenava. — Fu perciò che egli dal Vaticano al palazzo del Quirinale trasferitosi erano le artiglierie sulla piazza di Monte Cavallo piantate in direzione della sua nuova dimora, e la sua esistenza stava nell’imminente pericolo, quando il Calandrelli esponendo la propria vita e ponendosi di contro al cannone scongiurava i popolani furibondi a desistere da eccessi indegni d’anime italiane. — E le artiglierie non tuonarono — il cannone su Monte Cavallo non esplose. — Calandrelli era già innanzi al popolo nello splendore di stimato cittadino, epperò la sua voce fu udita, il suo volere rispettato, e la vita del pontefice uscì di pericolo. — Eppure vi ha taluno che di quella grande azione del Calandrelli volea farsi merito suo proprio, ma stanno a smentirlo e l’Angelini e il Galvagni, e il Tittoni, e il Giovagnoli, e tanti altri valorosi che erano al fianco di lui, e, cosa incredibile! quegli stesso che tanto merito voleva a se attribuire, si tacque, allorachè per quel fatto la testa del Calandrelli correva pericolo, imperciocchè la inquisizione papale gli attribuì di poi a colpa quell’atto generoso, che fece salva la terra di Roma da più funesta sventura. —
Il Papa fuggissi a Gaeta. —
Creatosi il Governo Provvisorio era il Calandrelli promosso al grado di maggiore per diritto di anzianità. — Fu egli anco nominato giudice del tribunale di pubblica sicurezza, e intervenne nella causa di ammutinamento avvenuto nel quartiere di Cimarra con pretesto di liberare il generale Zamboni, ma in sostanza coll’empio scopo di accendere la guerra civile. — Sottoposti i rei alla solennità di un pubblico giudizio, i due principali autori erano condannati alla pena di morte. — Ma il Calandrelli dopo avere adempito alla legge come giudice, spogliatosi della veste del magistrato assumeva quella di libero cittadino a sentimenti di umanità e di civiltà ispirato, e indirizzava alla giustizia del popolo un commovente discorso, in cui propugnava l’abolizione della pena di morte per l’onore degli uomini per rispetto alla divinità, e nel mentre dichiarava che la crudeltà della legge si era dovuta applicare cingendo la toga, ora confidava che dinanzi al tribunale del popolo solo competente a portarsi appello, avrebbe trionfato la causa del progresso e dei tempi civili, e i principi del Beccaria sarebbero stati finalmente osservati. — Il popolo plaudì alla splendida orazione del Calandrelli, cui il colonnello Ruvinetti Presidente della Commissione avendo fatta degna risposta, dalla coscienza popolare pronunciavasi quindi la sentenza che la umanità e la civiltà reclamava, poichè unanime e solenne fa il grido che mentre con i più fervidi evviva acclamava la Commissione chiedeva grazia per i condannati a morte, e grazia fu fatta. —
Nel 2 maggio successivo fu nominato Presidente della Commissione con pieni poteri per giudicare le requisizioni illegali e punirne severamente i colpevoli, chè i sanfedisti ed altra gente di siffatta risma commettevano simili operazioni in nome del governo della Repubblica allo scopo appunto di sparger l’odio contro il governo medesimo. —
I cittadini romani, facendo onore alle alte virtù del Calandrelli, lo vollero eletto siccome rappresentante del popolo. — Fu poscia sostituto, e quindi prescelto a reggere il Ministero della guerra e marina, e in questa carica essendo, egli proponevasi ricondurre le milizie allo splendore, in che le portarono gli avi nostri, convertendole in una scuola di virtù e a questo fine intesero tutti gli ordini di lui. — Di vero propose egli di obbligare alle armi tutti i cittadini dagli anni 18 a 36 — chi volesse andarne esente, soggiacesse ad una tassa proporzionata alle sue facoltà, e questa esser fonte al Governo di danaro per istituire altrettanti ingaggi, cui fosso stato allettamento anche un’interesse maggiore dell’ordinario. — Propose, a fine di evitare che gl’ingaggi si componessero dei vagabondi e dei rifiuti della città, di ripartirne il numero nel contingente da darsi da ogni parrocchia, avendo in mira di trarre bravi elementi di milizia specialmente dalle campagne; — propose, onde avvivare la disciplina delle truppe, che ciaschedun soldato il quale si era mostrato subordinato e meritava lode, dopo compiuta la guerra della nazionale indipendenza s’avesse la retribuzione di un nibbio di terreno di media feracità, ovvero la equivalente somma di scudi sessanta; — proponeva, allo scopo di ampliare le fonti dell’esercito, e allo effetto di educare la nazione alle armi, che si decretasse non potersi ottare agl’impieghi civili da chi non presentasse fra gli altri documenti quello di essere stato iscritto per un triennio nei ruoli della linea, fatta eccezione soltanto per coloro che avevano deformità di corpo, e per quei che dimostrassero» una straordinaria potenza d’ingegno da meritare un riguardo dal governo per coltivare le sovrane virtù della mente; - tutte queste ed altre proposte provano già nel Calandrelli l’altissimo accorgimento, e la grande attitudine alle cose di stato. — All’apprestamento delle artiglierie, come forza vitale d’un esercito virilmente provvide; all’interna fortificazione di Roma diresse i suoi stadi, e a tal uopo divisò mobilizzare le guardie nazionali e organizzare i corpi volontari; e dispose promuovere tutti i materiali dell’interna difesa, sia col munirne i confini dello stato, sia col munirne le principali diramazioni, e l’essenziali località dell’Umbria e di Roma rendere ben guarnite, a fine di star parati anche al più tremendo conflitto. — Ordinò egli tre grandi magazzini da corredo, uno in Roma, l’altro in Bologna, e il terzo in Ancona, a fine di aver sempre pronto e perenne qualunque fornimento militare. — Divisò stabilire in Roma una fabbrica d’armi, e impose ai più rinomati carradori romani la costruzione delle casse, carretti, cassoni, carri a ridoli, fucine, attrezzi e tutto quanto era occorrente all’armamento di altre venti bocche da fuoco; — provvide alla cavalleria in mezzo a molti ostacoli; — seppe prevenire, provvedere, ordinare; — spedì commissari in Francia, nel Belgio, in Inghilterra, per acquisto di polvere, archibugi, cannoni e macchine, e persino in Grecia per aprire gli arruolamenti per 4000 bersaglieri; e fornì Roma di vettovaglie, onde la Repubblica nel giorno dell’assedio si trovò d’ogni cosa fornita. — Ampie vedute di strategia aveva il Calandrelli, e quando non si volle attendere il suo progetto di piombare su Napoli, perchè i diritti della proclamata Repubblica si rafforzassero, e la causa d’Italia più facilmente trionfasse ei si dimise. — Sarebbe stato certo ventura se al ministero di guerra fosse il Calandrelli rimasto, perciocchè per fermo nella sua energia e nel suo pronto consiglio non sarebbesi omesso di far trasportare a Roma tutto il materiale d’assedio che trovavasi a Civitavecchia e Ancona, e costretti a combattere con le sole artiglierie da campo, e qualche pezzo malconcio da 36. —
Gli avvenimenti di Roma incalzavano; — dal suolo di Francia si spingeva contro la Repubblica romana densissimo un nembo. — Gli uomini di più forte sapere, di provato patriottismo, di azione più pronta, erano chiamati al sommo delle cose, e tra questi era il Calandrelli. — La sua valentia nella scienza militare, e i miracoli del suo valore ben lo provarono i suoi cannoni quando respinse coi medesimi l’ala sinistra dei nemici, che scendevano per la valle cosidetta dell’Inferno, nel mentre il Generale Garibaldi distruggeva la destra dei Francesi che muovea verso la Porta S. Pancrazio, e Ludovico Calandrelli fratello di Alessandro facea tuonare le artiglierie nel centro con strage delle schiere nemiche. — Era il 30 aprile. — Alessandro per le virtù che lo distinguevano e per l’opera cbe avea compiuto era di subito fatto Colonnello, e conferivaglisi l’onore di benemerenza, decorandolo di una medaglia d’oro. — Durante la campagna di Velletri, in assenza del Generale Rosselli assumeva egli il comando della guarnigione di Roma. — Le forze francesi accresciutesi disponevansi intanto all’ultimo assalto, epperò apparecchiavansi le truppe italiane a sostenere estremi e disperati combattimenti a difesa della Repubblica e della città eterna. — La storia della rivoluzione di Roma segnò su gloriosa pagina i prodigi di valore, compiuti dagl’italiani contro i soperchianti nemici, e la eroica difesa opposta alla prepotenza straniera, alla violazione del diritto di tutte le genti, e notò immortalmente i nomi dei valorosi, e di quei che piò eminentemente si distinsero e tra questi è Alessandro Calandrelli. —
Della di lui fede politica parlando, noi diremo come questa vada di conserva con la sua fede religiosa, di che già facemmo menzione, imperciocchè egli afferma che siccome la riforma de’ costumi è opera lenta del tempo, così anche la religione ha bisogno del tempo per riformarsi e raggiungere gli alti suoi fini, chè impossibile cosa è a tali riforme venire d’un tratto, siccome avria voluto Catone. — Epperò il Calandrelli conclude esser d’uopo pria riformare il Governo, e siffatta riforma in qualunque modo avvenisse, egli è d’avviso dovesse comprender tre cose. — Primieramente piena libertà ai Comuni d’amministrare da per se stessi, e che l’amministrazione di essi fosse base a quella governativa. — Secondariamente che la milizia stesse sotto i tribunali ordinari per tutto ciò che riguarda pene afflittive. — Infine che al Re e al potere esecutivo non si desse facoltà di accordare grandi dignità, emolumenti, ed onori neanche agli estinti, senza l’appoggio della Camera e previo un processo che ne accerti il merito, e che i Deputati in ogni anno fossero riconfermati dai rispettivi collegi. — Appresso egli dichiara che se il suo principio religioso fosse osservato, a nulla varrebbe se una piuttostochè altra fosse la forma di governo, perocchè nessuno potrebbe mai tiranneggiare e despotizzare. —
Mentre Roma mal poteva resistere nella lotta ineguale, e mentre taluni ardenti patrioti davan consiglio, perchè si desse fine al dramma politico con atti di ultimo terrore, il triumvirato dimettevasi, ed al medesimo sostituivasi quello composto del Calandrelli, del Saliceti, del Mariani. — E poichè alla sopraffazione della forza nemica d’armi e di numero maggiore, veniva manco ed era tutta esaurita la difesa armata della Repubblica gloriosamente protestando sul sangue dei martiri, sulla santità e giustizia della causa italiana, e l’ordine contenendo nel mentre che ogni autorità discioglievasi, e quando tutta la vendetta poteva cadere sugl’interni nemici, le porte di Roma dischiudevansi e le bajonette straniere riconducevano sul trono il papa fuggiasco. —
Il Calandrelli insieme ai colleghi rassegnava il potere con fronte onorata, con la coscienza di aver compiuto il dovere di sincero italiano, di cittadino romano, dalla nobile ambizione sospinto di esser utile alla patria, non dalla cupidigia, che trascina i più, di accumulare ricchezze, chè nelle casse il pubblico tesoro fu lasciato intatto. —
L’onore italiano eglino seppero tenere alto, perciocchè con l’inimico non scesero a capitolazione, non vollero patto, e merita esser notato come egli ed il proprio fratello Ludovico alla interpellanza del generale Oudinot se volessero venire in servizio della Francia con alta fronte rispondessero «noi seguiremo la sorte dei nostri compagni».
Nuovi dolori e nuovi lutti dovevano affliggere il cuore della patria. — La prigione, il patibolo, l’esilio era il premio riserbato ai patrioti. —
Di vero non appena restauravasi il papale dominio, i partigiani dell’oscurantismo aprivano persecuzione fierissima contro il Calandrella e menatasi a braccio la calunnia, anelavano oscurare un nome intemerato, un cittadino distinto, una individualità spettabilissima. — E fuvvi taluno che l’accusò aver trattato a prezzo di danaro con Torlonia la conservazione del Teatro Apollo, che era destinato alla demolizione, ma sorse chi sulla pagina del Giornale di Roma del 14 Luglio 1849 pubblicamente la nerissima e falsa imputazione smentiva. — Fuvvi altro che osò addebitarlo di appropriazione di materiali provenienti dalle requisizioni, e taluno giunse scelleratamente a gettare su quella fronte onorata persino l’accusa di furto d’armi, di libri e di altri oggetti. — Ma mentre dapprima il Calandrelli col dispregio sperava attutir la calunnia, stando tranquillo sotto l’usbergo del sentirsi puro, di poi stimò a sicurezza del proprio onore ricorrere al Prefetto di Polizia francese Rouxeau. — La Commissione militare delegata da Oudinot informando respinse l’accusa siccome atrocissima e falsa. — Ciò valse ad eccitare i nemici a guerra più feroce contro il Calandrelli ed in speciale modo un triumvirato cardinalizio costituivasi ad inveire contro i liberali, onde e il Rouxeau e il De Corcelles porsero al Calandrelli consiglio di sottrarsi alle inique persecuzioni esulando, e gli offerirono il passaporto ed i mezzi per correre di subito a Civitavecchia e di là imbarcarsi per straniere regioni. — Però nel mentre andava nel pensiero meditando se a quel partito dovesse apprendersi, gli sgherri pontifici furongli addosso traendolo in uno squallido carcere segreto di Castel S. Angelo. — Era il 2 Novembre 1849. — Nel giorno 16 anniversario dei fatti di Monte Cavallo, in cui il Calandrelli impedì che il cannone tuonasse contro il quirinale e la vita del pontefice corresse pericolo, egli era sottoposto ad interrogatorio. — Furono i suoi giudici processanti Lorenzo Manzoni, e tal Mori, che lasciarono di se stessi maledetta memoria, perocchè costui fosse un vilissimo istromento del fisco miserabile schiuma di gente perversa, ed il primo barattiere diffaraatissiino e nell’arte del delatore nefastamente celebre. — Rinchiuso nel 15 decembre 1850 entro il carcere di S. Michele fa per lai conforto dolcissimo di vedere il carabiniere Pietro Delars soprachiamato Delajo, svizzero, interessarsi per lui, ed esprimergli ardentissimo il desiderio di salvarlo. — Era quegli un antico soldato delle guerre d’Italia. — Però venuto in sospetto e tenuto in vista fu sorpreso con un compromittente viglietto indosso, onde i manigoldi pontifici trattolo in oscura prigione lo percossero di bastone, mentr’egli si sforzava sottrarre a loro quel viglietto e sottoposto a giudizio fu espulso dal corpo, e condannato a tre anni di reclusione. — Ciò pervenuto a notizia del Calandrelli n’ebbe cordoglio amarissimo, chè per l’amore di lui il Delars a tanta sventura soggiacque. — Il Tribunale così detto della S. Consulta del quale era presidente Monsignor Matteucci nel giorno 24 giugno 1851 pronunciava giudizio. — Era difensore delegato di ufficio l’avv.° Gui. — Sosteneva le parti del fisco il Pasqnaloni, per il quale aveva il Calandrelli nel consiglio dei Ministri dato voto contrario, perocchè ebbe quegli la impudenza di promuover domanda onde esser nominato Sostituto nel Ministero di Grazia e Giustizia. — Due giorni durò il dibattimento della causa. — E mentre i giudici satelliti della teocrazia unanimi dichiaravano il Calandrelli reo di alto tradimento, la maggioranza però escludeva l’addebito dei reati comuni. —
Cadeva la sera del 6 settembre 1851. — Tutto era sepolto nei silenzi della notte. — Il Calandrelli tradotto in una camera del carcere di S. Michele si trovò in mezzo ad una turba di gendarmi e d’altra gente civilmente vestita. — Eragli data lettura dal notaio Felci della sentenza, che lo condannava a 3 anni di opera pubblica; a 15 di galera; alla morte ignominiosa. — Ma tostochò tale sentenza fu letta, da tutti gli astanti, che forse a tale uopo furon fatti convenire, un grido si levò unanime, grazia, grazia. — E la grazia è fatta, riprese il Felci con voce stentorea, e alzatosi in piè lesse: «il Santo Padre ha commutato tutte queste pene a soli venti anni di galera da scontarsi in un bagno.» e quelle parole «a soli venti anni» accentò con tale un suono di sarcasmo accompagnato da mefistofelico riso, che il Calandrelli uomo di forte e profondo sentire e di leggieri suscettibile divampando d’ira dimandato che gli fosse consegnata la sentenza, appena l’ebbe disdegnosamente la lacerò dinanzi a tutti, e fu breve furore di anima romana, del quale noi crediamo avesse poi il Calandrelli stesso pentimento, perciocchè sebbene fosse tratto da sdegno magnanimo, pure era in quel momento imprudente cosa, chè non giovando a se stesso gli altri condannati poteva pregiudicare nelle concessioni di grazia. —
E per quell’atto fu tosto il Calandrelli caricato di ferri e gettato in più angusto ed orrido carcere sino a che nell’alba del sopravegnente giorno insieme al D.r Pietro Ripari condannato a venti anni di galera per illecita corrispondenza, e a due poveri popolani fu tradotto al forte d’Ancona. — Noi non diremo con quanta efferità fosse egli trattato, quanto raffinamento di carceraria tortura si adoperasse contro di lui, basti accennare come egli fosse rinchiuso iu una ristrettissima cella a piano terreno esposta a tramontana corrispondente in un cortile detto la pargoletta, a piè del monte in riva al mare, nel quale carcere le acque penetrando, producevano umidore, ed era un tempo cemetero del bagno e camera de’ morti, poi luogo di penitenza pe’ condannati incorregibili. S’aggiunga il più povero cibo, e la mancanza persino del vestimento, e s’immagini ciascuno qual vita conducesse lo sventurato Calandrelli colà dentro. — Eppure egli si mantenne sempre calmo e dignitoso in mezzo a quelle angoscie, a quei patimenti, a quella orrenda gemonia. —
Chi avrìa mai creduto che per Calandrelli splendeva benigna una stella in cielo straniero 1 Chi mai pensato avria che quella potenza, la quale fè doma la superbia francese, sarebbe stata la liberatrice di lui? — Noi accennammo già come il padre di Alessandro si trovasse alla Corte di Berlino chiamatovi dalla sua artistica celebrità, e nelle grazie essendo di tutti, e la particolare benevolenza avendo di Federico Guglielmo IV, gli fu agevole cosa alla sorte del figlio provvedere. — E difatti Federico fece dapprima scrivere al De Reamont, poi all’Usedon affinchè adoperassero loro offici presso il governo del pontefice a prè di Alessandro Calandrelli. — Ma poichè ogni pratica riusciva inutile, ed infrattanto nella tormentosa prigionia s’andava la vita del Calandrelli logorando, il Re incaricava l’egregio Schultze Cancelliere della Legazione di Prussia in Roma, perchè del di lui miserevole stato si fosse accertato e quindi riferisse. — E fatto presente al Re il quadro purtroppo vero delle atrocissime sofferenze del Calandrelli, un autografo regio diretto al Papa ne chiedeva la liberazione. — Ed il Papa Pio IX ordinava immediatamente che la pena del Calandrelli fosse commutata nell’esilio perpetuo da tutta Italia. — Era la sera del 22 giugno 1854 quando Mons. Amici con imponente apparato fatto innanzi a se venire il Calandrelli la grazia del pontefice comunicavagli. — Ed egli accettavala a patto che innanzi fosse ogni ombra di reato comune tolta da lui, epperò richiedeva che il processo pubblicamente si rivedesse davanti ai tribunali ordinari nel confronto dei testimoni e degli accusatori, e dimostravasi grato per la grazia in quanto concerneva il reato politico. — Però Mons. Amici con quel fine sorriso ed in quella mansueta attitudine, che distingue tutti coloro che l’aure teocratiche respirano, e vivono nell’atmosfera del Vaticano, si espresse: — Quod autem hi tituli? nisi arcus coloratus et vapor ad modicum parens; — oh! sono cose che svaporano, soggiunse, sono cose bancarie che voi l’avete volute incontrare, ma che niuno le crede. — Io sarò il primo ad invitarvi a pranzo. — Ma che speriate adesso che il governo acconsenta a quello che dimandate, scusate, nè io, nè voi lo permetteremmo se fossimo lui. — Pensateci bene; io vi credeva uomo d’altro spirito. — Trascorsero altri giorni, quando la mattina del 18 luglio 1854 era tratto dal carcere e per un breve uscio corrispondente sul mare, posto in uno schifo che costeggiava il di fuori del porto, fu condotto alla nave a vapore e consegnato ai consoli d’Austria e di Prussia. — A noi piace qui riportare le parole che egli scriveva nel giorno stesso della partenza alla amatissima sua sorella Elisa:
«Io sono al giorno della partenza; tra pochi momenti salirò sul battello a vapore, pensa tu come sto. L’atroce dolore che soffrii per la morte di mia madre e di tanti prodi uomini, è nulla in proporzione di quello che sento in dover lasciare la mia terra natale. — Solo conforto mi resta il sapere di non averle fatto disonore, e la speranza di rivederla felice. — Addio.»
E di vero una cupa e dolorosa mestizia lo assalse, allorché vide scomparire dinanzi ai suoi sguardi le coste d’Italia, e lo soccorse, unico sfogo nei momenti tristamente infelici — un lagrimare dirotto. — Giunto a Vienna ebbe gentili accoglienze dal Direttore di Polizia, il quale gli espresse dispiacimento di non potergli accordare il passaporto per Dresda, ma invece glielo diè per Brün in Moravia, da ove gli si presentò alla vista l’infausto Spielberg, e tutta gli ricorse alla mente la storia sventurata del povero Silvio Pellico. — Di là poi per la Slesia arrivò a Berlino. — Le commozioni di un padre e di un figlio, che si riveggono dopo 22 anni di lontananza, nè la parola, nè la penna può ridire. — L’uno cadde nelle braccia dell’altro, si strinsero al cuore, si baciarono, piansero, erano felici. — E a quella felicità compartecipava pure il fratello Ludovico, col quale in fraterna tenerezza pur disfogavasi. — Nè certo di lui può rimanersi nostra penna dallo scrivere in questa biografica memoria una parola onorata. — Fu d’ingegno svegliatissimo o nelle matematiche profondo. — Giovane degli anni si rivelò nella carriera militare un genio di guerra. — Di vero lo vedemmo nello campagne del 1848 contro gli austriaci combattere con eroismo senza pari, e con coraggio inaudito si diè a demolire la fortezza di Comacchio in presenza delle stesse forze nemiche; compiè prodigi di valore a Piave, a Vicenza, a Velletri, a Roma e nelle artiglierie peritissimo contro la francese tracotanza, dai bastioni del Vaticano diè prove della sua virtù militare, che invitava ad ammirarlo. — E fu nel 20 giugno 1849, che nel postare un cannone, una palla nemica di grosso calibro colpiva la ruota dell’affusto e ne sbalzava via alcune piastre, una delle quali colpendolo al petto stramazzavalo al suolo privo di sensi, sicchè fu creduto spento — Raggravasene il campo francese, ma fu breve la insana allegrezza, perocchè riavutosi Ludovico Calandrelli, dalle mura di Roma con le sue artiglierie menava strage grandissima degli inimici, e fino all’ultimo istante della disperata battaglia dimostrò quanto fosse nella vita militare esperto, nell’animo coraggioso, nell’arte di puntare insuperabile. — Ma poichè furono i fati contrari alla salute di Roma e d’Italia, il Calandrelli migrò e trasferissi a Berlino presso suo padre. — Se non che indi a non guari sollevatasi la questione d’Oriente, ei corse a Parigi, ed avute splendide raccomandazioni dal Vaillant, che altamente lo estimava avendone conosciute ed ammirate in Roma le distinte virtù, sopra di un legno da guerra facealo trasportare a Costantinopoli, ove era immediatamente dal Sultano nominato colonnello d’artiglieria addetto allo stato maggiore d’Ismäël Pacha generale dell’esercito d’Asia, col quale recavasi tosto a Kars, e ad Erxerum, e in questa città davasi a fortificare la piazza con ammirazione del generale inglese Williams e del generale ottomano. — Però sotto il peso delle immense fatiche assalito dal tifo sventuratamente moriva il 2 settembre 1855, mentre l’aureola della gloria di già irraggiava sua fronte. — Fu la sua morte considerata siccome una sventura pubblica e nella solennità del funebre accompagnamento prese parte non solo tutto il corpo diplomatico, ma anche la guarnigione turca di 8,000 uomini che volle — esempio unico nella storia dei musulmani ! — assumere il lutto. — Tanta era la stima, tanto l’affetto che aveva già saputo guadagnarsi Ludovico! — Egli lasciò in lingua tedesca una storia circostanziata di tutte le guerre del 1848 e 1849 e una relazione in italiano della spedizione romana nel Veneto. — Sul feretro di lui furono pronunciate parole che ti stringono il cuore. — Ad Alessandro che nell’anno precedente avea raccolto l’ultimo sospiro del padre suo giungeva di trafiggimento atrocissimo la notizia che avea perduto per sempre anche il suo Ludovico, il fratello carissimo, che durando nella vita sarebbe stato certamente una delle più belle glorie della patria. —
Alessandro Calandrelli in Berlino dimorando fu universalmente onorato e stimato, e avuto nel favore del Re, al quale poichè espresse sua gratitudine per la conseguita grazia, il Re stesso gli espresse l’alto pregio in che avealo, anche in una dimostrazione che merita ricordare. — E questa fu che trattosi presso di un verone e toccando della mano un cristallo disse: — Vedi se un lieve appannamento pur vi fosse stato io non mi sarei preso impegno alcuno — volendo significare appunto che se non lo avesse creduto degno di tutti i riguardi non avrebbe a di lui prò interessato il suo regio potere. — Il Calandrelli si diè intanto a coltivare semprepiù gli studi, e da questi trasse i mezzi del vivere durante l’esilio, perciocchè prese ad insegnare particolarmente letteratura italiana. — Seppe poi acquistarsi l’amicizia e l’affetto degli uomini più celebri tra i quali basti noverare il grande Humboldt. — Ed in Berlino tolse per moglie, e fece sua una ornatissima e gentilissima donna, quale è Emilia Beinike, che lo ha fatto padre di tre cari figliuoli, Lodovica, Elisa e Giovanni, i quali sono la sua consolazione più bella, la speranza più cara del cuore suo. La libertà e la indipendenza d’Italia, egli sopratutto desiderando, dalla terra straniera esultò ogni volta che nello svolgersi degli avvenimenti politici dopo il 1859 a lui giungevano fauste nuove sui trionfi della causa italiana. Però malgrado le insistenti eccitazioni avutesi per mezzo dell’ambasciatore Delunay dallo inallora governo Sardo perch’egli prendesse servizio nell’armata, ricusò, e solo allora che seppe liberata la sua Roma mosse di ritorno alla terra, che lo vide nascere, e che racchiudeva per lui supreme memorie. — Vi giungeva 11 2 ottobre giorno del plebiscito romano, cui egli però non volle prender parte, perciocchè sconsigliato riconobbe il modo con che facevasi, per favoreggiare una gente, cui certo non può saper grado. —
Riabbracciò la diletta sorella Elisa vedova del consorte Gaetano Maffei, che la sacerdotale ferocia carcerò esiliò e perseguitò incolpandolo di essere stato portatore di saluti ai sediziosi. Anche in quel momento nella gioja di stringere al seno una cara persona, sentì la trafittura per la morte di quell’uomo egregio. —
I propri concittadini lo salutarono con effondimento d’affetto, e lo vollero subitamente all’ufficio di Consigliere comunale in Campidoglio. Però stimò quindi dimettersi, perocchè vedeva l’amministrazione municipale compagna a quella governativa correre a precipitosa rovina, ed anco per ragione del piano regolatore di Roma, intorno al quale mentre egli parlò nella Commissione con sano consiglio, e faceva conoscere i riguardi dovuti alla igiene e alla topografia tradizionale, era impudentemente avversato. — E di vero egli osservava che la città dovea avere la sua principal giacitura verso ponente come conduce l’istinto di tutto ciò, che ha vita, e al di là del Tevere occupasse quindi il Trastevere esente dalle alluvioni, e al di quà non si estendesse oltre il recinto di Servio, cioè che il caseggiato secondando l’andamento delle colline stesse ad anfiteatro nel versante del Campo Marzio, e che le nuove costruzioni fossero principalmente destinate a beneficio economico della classe più umile del popolo, incominciando dal centro e tirando mano mano verso la periferia.
Sedendo egli Consigliere fu membro della commissione edilizia, di quella dei Musei e dell’altra per riconoscere i nomi dei Romani caduti nelle patrie battaglie, nomi che si vogliono scolpiti su tavole di marmo da collocarsi sotto i portici del Campidoglio, ma che giacciono ancora in terra. — A quest’ultima commissione fu scelto dal comunale consiglio nella seduta del 28 febbraio 1871, e riconfermato dalla Giunta nel congresso del 6 marzo 1872.
Nel decembre 1870 era nominato Ispettore edilizio, e in questo ufficio egli essendo molti progetti ch’ei fece furono accolti, altri di maggiore utilità o non curati o dimentichi. — Di vero v’ha il progetto di un regolamento sul, carreggio in Roma, per impedir la rovina delle strade e il maltrattamento della bestie; v’ha il progetto di pubblico ornato col fornire tutte le case di cornicione con incanalamento interno per l’esito delle acque; v’ha il progetto della festa agricola da celebrarsi il 21 aprile anniversario della fondazione di Roma, secondo il quale verrebbe a promuoversi incoraggiamento all’agricoltura, con ricompense ed onori da distribuirsi in quel giorno a tutti coloro che avranno presentato i migliori prodotti dei campi e della pastorizia, i più acconci istrumenti per agevolare la coltura dei terreni, sia nella aratura, eche nell seminazione. — Nè uomo v’ha certo siccome il Calandrelli d’ogni materia studiosissimo. — Fu egli raccoglitore solerte degli avanzi di tutti gli esseri organici, che attestano le varie epoche della terra, e ne aveva formato la più bella collezione composta di più che 300 specie di conchiglie del Monte Mario, di altrettante che trovansi nella pietra Macco di Civitavecchia, non che di più migliaja d’Italia ed esotiche. — Ma questa preziosa raccolta fu scelleratamente manomessa dalla polizia papale nella perquisizione, in cui s’impossessò anche di molti preziosissimi oggetti antichi e di pregiati volumi. — Gli avanzi di quella raccolta di 1320 specie sopra 5000 esemplari furono acquistati dall’università Romana, siccome apprendesi dall’annuario della medesima del 1872. —
Fu raccoglitore anche delle ossa fossili fra le quali rinvenne anche quelle dell’elefante africano, che dapprima si credeva abitatore soltanto della Sicilia, mentre con tale scoperta si veniva ora a provare aver vissuto anche nel Lazio insieme coll’elefante primo genio, antico e meridionale. — Dette ossa consistono in due denti molari con rispettive mandibole, che nel 1829 trovò tra i depositi fluviali del Pincio, e il celebre prof. Luigi Metaxà constatò il fatto e classificò la specie in illustre memoria. — Eppure vi è stato chi di questa scoperta voleva farsi pregio e torre il merito al Calandrelli. —
Fu egli che devenne eziandio al discovrimento del verme vivo dentro il bianco di un uovo fresco, giudicato dal Dr. Telemaco Metaxà nelle sue Memorie Zoologico-Mediche per una femmina dell’ascaris vescicularis, e ciò valse a sgombrare ogni dubbio lasciato dal Vallismieri, se cioè veramente anche nelle uova fresche col guscio possa racchiudersi il vermine. —
Come scrittore pregiati sono i suoi lavori intorno la Conchiologia fossile, di che fa pur menzione Angelo Conti nella sua opera intitolata il Monte Mario e suoi fossili. — Scrisse più memorie su diverse materie, e in più giornali pubblicò articoli, e la sua penna fu avuta in pregio. — Nel gennaio 1871 furono pubblicate due lettere, l’una indirizzata ai Deputati romani, l’altra all’esimio avvocato Stefanucci-Ala, riguardanti la questione sul trasferimento della capitale, in cui stigmatizzava specialmente gli uomini di stato nell’indugio a stabilire gli uffici in Roma, e rendere alla medesima l’aspetto e l’ufficio di capitale, siccome ne era degna. — Le quali lettere forte entusiasmarono fruttavangli popolare onoranza, onde s’ebbero l’onore di una disamina persino da quelle teste de’ Gesuiti, scrittori della Civiltà Cattolica.
Nel giornale letterario intitolato «La vita nuova» scrisse articoli sulla Comune di Parigi non già per giustificarne gli eccessi, ma per dimostrare come non fossero i medesimi che uno sfogo irrefrenato della oltraggiata umanità, e le ultime conseguenze cui traggono il popolo le dispotiche voglie di tiranni governi, e la mala condotta degli uomini di stato. —
Scrisse poi una pregevole e bella memoria con tavola d’illustrazione sopra una ferrovia, che potrebbe stabilirsi dal Tirreno all’Adriatico per le valli del Tevere, Velino e Tronto, e ne dimostra i vantaggi grandissimi. —
Alessandro Calandrelli noi quindi lo vediamo nel campo politico valentissimo, nell’arte militare sapiente, della patria amante sincero, promotore di tutto quanto può condurre al prosperamento di Roma, al benessere della nazione, cultore delle scienze, scrittore stimatissimo di utili cose, di forte e nobile tempra, d’integro carattere, della vera religione sociale difenditore, di sensi gentili e cortesi, d’animo aperto, consigliere dottissimo, non ambire emolumenti, ma i consigli dei sapienti antichi seguendo svolgere tutta la sua operosità, tutto il suo ingegno ad onore di sè e della famiglia, e ad utilità e gloria della patria. —
Di Alessandro Calandrelli splendidamente parlarono e il Farini e il Ranalli, e il Miraglia, e il Gabussi e il Pianciani delle di lui virtù potremmo ancora più diffusamente parlare e di altri suoi celebri antenati discorrere, quali furono il sacerdote D. Giuseppe Calandrelli, che salì in grande celebrità di astronomo e fu nelle matematiche eccellente, il quale fè salvo il Museo Kircherkno nella prima invasione francese; — ed Ignazio Calandrelli che s’ebbe splendida fama di professore d’ottica e di astronomia e fu reggitore della Specola Romana; — ma noi crediamo conchiudere questa biografica memoria col presentare il Calandrelli siccome uno degli uomini più insigni e nella carica d’Ispettore edilizio, di che la Giunta volle meritamente onorarlo niun altro certo quanto egli e per il suo sapere e per la sua operosità, e per l’altezza de’ suoi consigli, potrà al maggior lustro di Roma concorrere e al municipale splendore.