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calandrelli alessandro |
loratus et vapor ad modicum parens; — oh! sono cose che svaporano, soggiunse, sono cose bancarie che voi l’avete volute incontrare, ma che niuno le crede. — Io sarò il primo ad invitarvi a pranzo. — Ma che speriate adesso che il governo acconsenta a quello che dimandate, scusate, nè io, nè voi lo permetteremmo se fossimo lui. — Pensateci bene; io vi credeva uomo d’altro spirito. — Trascorsero altri giorni, quando la mattina del 18 luglio 1854 era tratto dal carcere e per un breve uscio corrispondente sul mare, posto in uno schifo che costeggiava il di fuori del porto, fu condotto alla nave a vapore e consegnato ai consoli d’Austria e di Prussia. — A noi piace qui riportare le parole che egli scriveva nel giorno stesso della partenza alla amatissima sua sorella Elisa:
«Io sono al giorno della partenza; tra pochi momenti salirò sul battello a vapore, pensa tu come sto. L’atroce dolore che soffrii per la morte di mia madre e di tanti prodi uomini, è nulla in proporzione di quello che sento in dover lasciare la mia terra natale. — Solo conforto mi resta il sapere di non averle fatto disonore, e la speranza di rivederla felice. — Addio.»
E di vero una cupa e dolorosa mestizia lo assalse, allorchè vide scomparire dinanzi ai suoi sguardi le coste d’Italia, e lo soccorse, unico sfogo nei momenti tristamente infelici — un lagrimare dirotto. — Giunto a Vienna ebbe gentili accoglienze dal Direttore di Polizia, il quale gli espresse dispiacimento di non potergli accordare il passaporto per Dresda, ma invece glielo diè per Brün in Moravia, da ove gli si presentò alla vista l’infausto Spielberg, e tutta gli ricorse alla mente la storia sventurata del povero Silvio Pellico. — Di là poi per la Slesia arrivò a Berlino. — Le commozioni di un padre e di un figlio, che si riveggono dopo 22 anni di lontananza, nè la parola, nè la penna può ridire. — L’uno cadde nelle braccia dell’altro, si strinsero al cuore, si baciarono, piansero, erano felici. — E a quella felicità compartecipava pure il fratello Ludovico, col quale in fraterna tenerezza pur disfogavasi. — Nè certo di lui può rimanersi nostra penna dallo scrivere in questa biografica memoria una parola onorata. — Fu d’ingegno svegliatissimo o nelle matematiche profondo. — Giovane degli anni si rivelò nella carriera militare un genio di guerra. — Di vero lo vedemmo nello campagne del 1848 contro gli austriaci combattere con eroismo senza pari, e con coraggio inaudito si diè a demolire la fortezza di Comacchio in presenza delle stesse forze nemiche; compiè prodigi di valore a Piave, a Vicenza, a Velletri, a Roma e nelle artiglierie peritissimo contro la francese tracotanza, dai bastioni del Vaticano diè prove della sua virtù militare, che invitava ad ammirarlo. — E fu nel 20 giugno 1849, che nel postare un cannone, una palla nemica di