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calandrelli alessandro |
angusto ed orrido carcere sino a che nell’alba del sopravegnente giorno insieme al D.r Pietro Ripari condannato a venti anni di galera per illecita corrispondenza, e a due poveri popolani fu tradotto al forte d’Ancona. — Noi non diremo con quanta efferità fosse egli trattato, quanto raffinamento di carceraria tortura si adoperasse contro di lui, basti accennare come egli fosse rinchiuso in una ristrettissima cella a piano terreno esposta a tramontana corrispondente in un cortile detto la pergoletta, a piè del monte in riva al mare, nel quale carcere le acque penetrando, producevano umidore, ed era un tempo cemetero del bagno e camera de’ morti, poi luogo di penitenza pe’ condannati incorregibili. S’aggiunga il più povero cibo, e la mancanza persino del vestimento, e s’immagini ciascuno qual vita conducesse lo sventurato Calandrelli colà dentro. — Eppure egli si mantenne sempre calmo e dignitoso in mezzo a quelle angoscie, a quei patimenti, a quella orrenda gemonia. —
Chi avrìa mai creduto che per Calandrelli splendeva benigna una stella in cielo straniero? Chi mai pensato avria che quella potenza, la quale fè doma la superbia francese, sarebbe stata la liberatrice di lui? — Noi accennammo già come il padre di Alessandro si trovasse alla Corte di Berlino chiamatovi dalla sua artistica celebrità, e nelle grazie essendo di tutti, e la particolare benevolenza avendo di Federico Guglielmo IV, gli fu agevole cosa alla sorte del figlio provvedere. — E difatti Federico fece dapprima scrivere al De Reamont, poi all’Usedon affinchè adoperassero loro offici presso il governo del pontefice a prè di Alessandro Calandrelli. — Ma poichè ogni pratica riusciva inutile, ed infrattanto nella tormentosa prigionia s’andava la vita del Calandrelli logorando, il Re incaricava l’egregio Schultze Cancelliere della Legazione di Prussia in Roma, perchè del di lui miserevole stato si fosse accertato e quindi riferisse. — E fatto presente al Re il quadro purtroppo vero delle atrocissime sofferenze del Calandrelli, un autografo regio diretto al Papa ne chiedeva la liberazione. — Ed il Papa Pio IX ordinava immediatamente che la pena del Calandrelli fosse commutata nell’esilio perpetuo da tutta Italia. — Era la sera del 22 giugno 1854 quando Mons. Amici con imponente apparato fatto innanzi a se venire il Calandrelli la grazia del pontefice comunicavagli. — Ed egli accettavala a patto che innanzi fosse ogni ombra di reato comune tolta da lui, epperò richiedeva che il processo pubblicamente si rivedesse davanti ai tribunali ordinarî nel confronto dei testimoni e degli accusatori, e dimostravasi grato per la grazia in quanto concerneva il reato politico. — Però Mons. Amici con quel fine sorriso ed in quella mansueta attitudine, che distingue tutti coloro che l’aure teocratiche respirano, e vivono nell’atmosfera del Vaticano, si espresse: — Quod autem hi tituli? — nisi arcus co-