Biografie dei consiglieri comunali di Roma/Guido Orazio di Carpegna Falconieri

Guido Orazio di Carpegna Falconieri

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Alessandro Calandrelli Augusto Castellani

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GUIDO CONTE DI CARPEGNA


Assessore Municipale




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olte opere si pubblicarono nello intendimento di far conoscere quali sieno veramente le famiglie illustri in Italia, e moltissime si pubblicarono allo scopo di far comparire illustri famiglie che per nulla lo sono. — Noi non facciamo nè i cantori di vecchie celebrità, nè i rapsodi delle moderne ambizioni: deliniamo a larghi tratti alcuni uomini, i quali per la loro vita pubblica dopo il 20 settembre 1870 occupano più o meno meritamente una pagina nella storia del Campidoglio.

I Carpegna sono di antica ed illustre prosapia: il Litta s’è dato briga di rintracciarne l’origine e tesserne la storia, e così per parte di donna li trovò derivare dall’antica famiglia Feltresca, divisa poi in tre rami, i conti di Montefeltro, i conti di Carpigna de’ quali fa cenno Dante, ed i Faggiuolani da cui l’Uguccione interpretato da molti nel Veltro, pure di Dante. — Dai Montefeltro, vennero i duchi di Urbino, e lo stemma di questi è eguale a quello degli attuali conti di Carpegna che posseggono tuttora il castello sugli Apennini. — Chi amasse saperne di più, legga il Litta; chè noi scriviamo dell’Assessore non della famiglia. — Si dissero sempre Ghibellini, non sappiamo però se così amino essere tenuti secondo la etimologia della parola dal castello germanico di dove sorsero nel medio evo, o se piuttosto intendano dirsi Ghibellini perchè imperialisti ed oppositori al Papato. Rappresentante attuale del ramo primogenito della famiglia è il conte Luigi, con il nome di Orazio Falconieri per eredità ricevuta, ed ha due figli: Filippo che milita fino dal 1864 nell’esercito italiano, e Guido attuale assessore in Campidoglio.

Ebbe questi a maestri i padri Gesuiti del Collegio romano, fu licenziato in legge [p. 60 modifica]nella romana università, e sarebbesi fregiato ancora del sacro alloro di Temi se Pallade gelosa non lo avesse distolto con gli avvenimenti politici del 1859. — Non ci è noto che il conte Guido siasi gittate nei ludi di Marte: volse anch’esso le spalle all’Italia il cui bel cielo era annuvolato dal fumo dei cannoni, peregrinò in Oriente, quindi cacciossi in Russia, la percorse in sei mesi, e scrisse nell’ozio il proprio giornale, ma modestia lo trattenne dallo gittare quelle pagine al pubblico pasto della critica. — Educato a buoni studî avrebbe forse potuto rendere un servigio alla storia scrivendo per veduta di costumi e di fatti come moltissimi scrivono per udita. La musa Clio non lusingollo con la sua corona di lauro, la tromba che tiene nella destra mano ed il grosso volume nella sinistra lo intimorirono, così amò meglio ricordi, pensieri e giudizî tenere presso di sè ed al pubblico ignorati. Ma le Muse sono una famiglia di gelose, presentossigli Erato seducente coronata di mirto, di rose e con la dolce lira; sussurragli il nome di Dante cui la suora Calliope aveva rammentato un nome degli antenati di Carpegna, e parvegli fosse debito di gratitudine celebrare il divino Poeta nell’occasione delle feste centenarie celebratesi a Firenze nel maggio 1865: perciò affidò ai torchi un volumetto di poesie, ma guardossi bene dallo apporvi il nome, perchè vivendo in Roma, e del fiero Ghibellino contro i Guelfi poetando, temeva gliene potesse incogliere malanno. — Ebbe lettere da alcuni distinti letterati quali erano il Maffei, il Tommaseo, il Mamiani, l’Aleardi: accogliendo in sua casa la più eletta parte della gioventù patrizia e borghese, stimando ciò mezzo utilissimo ad avvicinare le caste ed a disperdere il riguardo per il quale l’aristocratico viveva disgiunto da chi non faceva vanto di stemma, in istudî ed in sociali trattenimenti molto tempo impiegando, il fatto a’ discorsi e la realtà alle idee amando di veder seguire, dièssi con grande cura alla nobile istituzione degli Asili d’infanzia, e tanto vi resse, fino a che non potendo opporsi che le maestre monacali alle laiche si sostituissero venuto in sospetto di troppo ardente ghibellinismo, ritirassi a più privato vivere.

Nel febbraio 1866 dalla vetta dei classici colli scorgevansi già grossi nuvoloni addensarsi, aggrupparsi e minacciar tempesta sul Tedesco possessore della Venezia: rotte l’ugne all’aquila austriaca, dicevasi da alcuni che la Vittoria inorgoglita sarebbe volata sul Tevere. — Negli anni che corsero dal 1846 ad oggi, in varie guise si solse patriotteggiare, che chi non aveva l’animo audace e forte per correre l’aspra ventura delle battaglie, vivendo in famiglia e mordendo silenziosamente il freno del governo dominante, apriva alcuna volta il labbro a voti ed a proteste, che se le parole convertite si fossero in proiettili, ogni più sicura fortezza non che vinta avrebbero distrutta. — Non eguali in ogni tempo sono i luoghi di cospirazione: le notti scure e procellose, le volte sotterranee, i cunicoli e le arcate cadenti, i segreti ritrovi in stanze remotissime, sono per leggende e per romanzieri, chè ormai per molti cospirare è sfringuellare in piena luce di sole; e come un dì dinnanzi al [p. 61 modifica]cadavere di chi avea tradito il segreto, e ne’ crani tracannavasi il vino mescolato al sangue per rendere forti i congiurati, così in appresso dinnanzi altri cadaveri ed in tersi bicchieri e con vini generosi si venne brindiseggiando, chiamandosi anche ciò ardita cospirazione. — Havvi in Roma un luogo di gaio ritrovo per i ricchi, dove più volte convennero a banchetto coloro che preferivano far viva all’Italia entro una stanza, che gridare il Savoia caricando lo straniero alla baionetta. — Costumanze dei tempi, e modi diversi di combattere per la italiana unificazione! — Nel febbraio del 1866 anche il conte Guido di Carpegna banchettando in una delle sale Spillmann propinava all’Italia ed al re. Il fatto venne riferito alla Polizia pontificia, ed il Carpegna patendo la molestia di qualche interrogatorio abbandonò Roma. Non militò contro l’Austria nel fatale quadrilatero, non salì le balze del Tirolo con i vittoriosi di Garibaldi, non solcò l’ampia marina che fu tomba gloriosa a tanti prodi presso Lissa; visse esule, frequentando le Università di Pisa e di Napoli, quindi conquistando anzichè una bandiera allo straniero, il cuore della signorina de’ Gori, figlia al de Gori senatore del regno, e questa nel 1868 faceva sua sposa dinnanzi all’altare; quindi per intromessa del di lei zio ch’era principe assistente al Soglio Pontificio, ritornava in Roma, e davasi tutto alla costituzione di una Società agricola, senza riguardo a cure ed a sacrifizî.

Il Tempo batteva intanto l’ora del 20 settembre 1870, ed il conte Guido di Carpegna veniva nominato Commissario municipale dalla Giunta di Governo. — In meno di quindici giorni instituì il corpo delle Guardie di città, e nutrendo fede vivissima nei futuri destini di Roma, facendo parte della Giunta provvisoria nominata dal La Marmora propose un prestito di cento milioni. — Il Carpegna pel breve tempo vissuto nelle fortunate provincie del regno italiano aveva appreso prestiti e debiti di centinaia milioni essere affari i più naturali del mondo; però a Roma cosiffatti ordinamenti amministrativi, e tali fonti di risorsa e prosperità economica erano sconosciute; i più guardarono quindi in faccia il Carpegna siccome trasognati, e molti ancora gli sorrisero per compassione. Occorreva che il tempo facesse a que’ schernitori comprendere ciò che importi l’essere Roma capitale di un regno. — Caduta la Giunta venne il Carpegna riportato con buon numero di voti Consigliere in Campidoglio, e nel novembre 1871 rimesso nella Giunta. — Delegato Assessore di Statistica si vide stretto da ire e da stolte gelosie; attese al gravissimo lavoro del censimento generale; nel novembre 1872 venne dal Venturi delegato Assessore alla Pubblica Istruzione, ed uscitovi per sorte, nell’agosto 1873 venne per istima dei propri colleghi riammesso. — Conversò con gli altri membri della Commissione per il bonificamento dell’Agro Romano, ma di tali conversazioni niuno conosce il risultato; rappresentò il Comizio agrario di Roma al Congresso degli Agrofili in Vicenza, perchè fino dall’ottobre 1870 è membro del Consiglio superiore di agricoltura. — Non per tutto questo il Conte Guido di Carpegna si è assicurata una rinomanza. [p. 62 modifica]

Un titolo vero di stima e riconoscenza meritossi per lo spirito con che riguardò l’istruzione ch’esso dirige. — Non gittossi nelle facili utopie che si risolvono in futili declamazioni; guardò la casa, la piazza, la scuola, e fermò di ridurre la gioventù buona nella fainiglia ed onesta sulla piazza per mezzo della scuola. — Se giammai fuvvi tempo noi quale apparisse vera la dipintura che Orazio fece del vecchio lodatore del passato, certo lo è questo, dappoichè con chiunque parlisi, ed ovunqne si giri, dapertutto suona eterna la cantilena «a’ nostr’anni la non era così.» Eppure in ogni tempo fuvvi acutezza d’ingegno, rettitudine d’animo, vigorìa di spirito; e burbanza nel vanto, ferocità nell’ingiuria, astutezza ne’ stratagemmi: — geni di nobiltà, di grandezza, di patria, senso del bollo, culto della giustizia, riverenza per i padri, fede nella virtù; e scene sanguinose e sacrilegî e voti bugiardi e tradimenti e ribellioni. Nè i tempi, nè gli uomini sono dunque mutati; solo s’è fatto più sensibile e grave il bisogno di aver cittadini al lavoro, non inquilini nelle carceri. E Roma per le mutate condizioni politiche, per la gente molta calatavi, per le delusioni nella sognata prosperità patite, e per una libertà in falso modo interpretata, più particolarmente venne dopo il 1870 a dimostrare la necessità che la scuola sia il centro massimo della istruzione e della educazione. — Non poteva quindi bastare al Carpegna che sulle tavole di statistica si aumentassero le cifre materiali delle scuole, ma doveva assaissimo importargli che moralmente si addimostrassero di queste i vantaggi. — Esso vedeva genitori tristissimi che dopo avere senza alcuna previdenza popolato il mondo d’infelici, oziosi, infingardi, sdegnando la fatica ed il lavoro, speculavano sui figli, anzichè di questi avere la cura che in onesti si addice: vedeva le madri girare per le piazze, per i caffè, per le bettole, trascinandosi le figliuoletto dietro, a tutto disposte dall’accattonaggio al furto, dalla miseria alla prostituzione. — Un fatto così grave e tristissimo colpiva la mente ed il cuore del Carpegna; così fu sua cura precipua trarre dall’abisso del male tanta parte di esseri che vegetavano fra la bruttura e pullulavano nel vizio, ed introdurli nella scuola dove l’animo si ammoda, s’ingentilisce e s’inspira al concetto del bene. — Riuscì nel nobile divisamento? — Chiunque guardando alla superficie, e di Roma conoscendo quanto havvi fra il Quirinale ed il Campidoglio, giudica bello e grande e buono l’operatosi dopo il settembre 1870, certo magnificando l’arduo lavoro del Carpegna, stimerà che Roma pitocca, ignorante e zoticona in prima, abbia in adesso tocco l’apice di ogni virtù e grandezza... — Noi il merito del Carpegna non isconosceremo, ma manco il fattosi celebreremo siccome opera sopra ogni altra perfetta, chè perfetto non è a dirsi il pensiero e lo sforzo di una istituzione, ma il fine che questa raggiunge: ed è appunto dal fine che ancora ci troviamo discosti. — Il Carpegna è riuscito a moltiplicare i mezzi d’istruzione: riuscirà ad ottenere quelli di educazione?

È questo un quesito al quale non può il biografo rispondere.