Canto XII

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Canto XI Nota al canto VII
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CANTO DODICESIMO


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Quale obliosa per l’immensa luce
     Giovane, innamorata aquila aleggia,
     E tanto in su dal nido ermo si adduce,
     Che occhio non è che la distingua o veggia,
     Tale il battel, cui l’Ideale è duce,
     La splendida dei Sogni onda veleggia,
     D’ogni sponda sì lungi e d’ogni lito,
     Che perdersi ti par nell’infinito.

Con un vivo alitar d’anime umane
     Spirano l’aure e van destando i flutti,
     Che in melodie vertiginose e strane
     Palpitando d’amor si levan tutti:
     Confidenze sublimi in voci arcane,
     Sorrisi da sorrisi altri distrutti,
     Baci d’addio, vittoriosi canti,
     Scoppiar di sdegni e singhiozzar d’amanti,

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Fan tale un’armonia, cui non intese
     Mai chi non vive all’Ideal vicino,
     E cui nei suoni eccelsi unico rese,
     O Beethoven, il tuo genio divino:
     Nell’azzurro dei sogni ampio paese,
     Or tu vivi in un tempio adamantino,
     Dove i concenti nel tuo core accolti
     Riecheggiar di cielo in cielo ascolti.

Ode Esperio ammirando, e la sopita
     Virtù dei carmi nel suo cor si desta,
     Come al bacio d’april sorge la vita
     E tripudia pe’ campi ornati a festa;
     In quell’arcana melodia rapita
     L’anima sua soavemente resta,
     Finchè mutata in melodia pur ella,
     Tutta si mesce e si confonde in quella.

Fiore così, che trepidando aspira
     L’aura che lo ravviva e l’accarezza,
     Nel sen fresco di lei l’anima spira,
     E in lei trasfuso dolcemente olezza;
     Mare così, che il ciel nitido mira,
     Ne accoglie in sè la luminosa ebbrezza,
     E nella chiara intimità dell’onde
     Con quel del cielo il suo color confonde.

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— O melodici sogni, o della mia
     Anima giovanil vita e tormento,
     Ben in voi, ben in voi l’intima e pia
     Voce dell’Ideal prossimo io sento!
     Nella vostra ineffabile armonia
     Parla la fede all’animo redento;
     D’una luce novella arde il pensiero,
     E in voi vagheggia e riconquista il Vero.

Deh! come al guardo mio, da questo mare
     Di fantasmi d’amor florido albergo,
     Triste, lontana e miseranda appare
     La turpe età cui volsi a tempo il tergo!
     Con quanta voluttà dentro alle chiare
     Visioni il fremente animo immergo;
     Con qual fede operosa, intima, ardente
     Il pensiero vi accoglie, il cor vi sente!

Voi la tenebra avara, in cui maligna
     Possa d’error le menti obese annega,
     Dissiperete con virtù benigna,
     O vaghe Idee, cui fede il volgo or nega;
     L’abjetta gente al comun bene arcigna
     Male al Computo vil tutta si lega:
     Voi spezzerete i ceppi; il volgo immondo
     Voi domerete, e sarà vostro il mondo!

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Sarà, che dico? Il vostro etereo raggio
     Penetra già nell’anime più schive;
     Già gli occhi aprendo al secolare oltraggio
     L’umana dignità sorge e rivive.
     O della Libertà splendido Maggio,
     Il tuo tepor già sentono le rive;
     Maggio, bel Maggio, ai tuoi divini albori
     S’orna la terra di purpurei fiori!

O Maggio del Lavoro, al tuo sorriso
     Ardon l’aure non pur, ma i cori alfine;
     Balza il Titan che giacque egro e deriso,
     E de’ tuoi rossi fiori ornasi il crine;
     Si rinnovano al tuo fulgido viso
     Le campagne, i tugurj e l’officine;
     Fervono della nova umana prole
     Libere le fraterne opere al sole!

O Maggio della Pace, a te soltanto
     Fuman votivi inghirlandati altari;
     A te dà gloria dei poeti il canto,
     A te dan lampi i fecondanti acciari;
     O Maggio della Pace, o Maggio santo,
     Ansano al tuo venir le terre e i mari;
     Scosso dal secolar sonno profondo,
     Palpita a te, come un sol cuore, il mondo! -

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Radiava in tal dir d’Esperio il volto
     Nello splendor della vincente Idea,
     Mentre lo stuolo nella cimba accolto
     Alla fiamma di lui fremendo ardea;
     Anch’essa Edea benignamente ascolto
     Al numeroso favellar porgea;
     E con giojoso cor l’antica fede
     E il nobil estro in lui rinascer vede.

Non è senza ragione, indi gli dice,
     Ch’arde il tuo core e il tuo pensier sfavilla:
     L’isola mia, l’Atlantide felice
     All’orizzonte, in vista, ecco già brilla;
     Sente l’anima tua la redentrice
     Aura, e come ago verso il polo oscilla;
     E la virtù che dentro a sè n'accoglie,
     Qual moto in foco, in armonia si scioglie.

Disse, ed ecco laggiù, dove sul mare
     Curvasi il cielo e fra le braccia il prende,
     Come disco di sole, in su le chiare
     Onde la fortunata isola splende:
     Così fuor d’una grande anima appare
     Un’alta Idea che l’età pigra accende;
     Così le luminose ali disserra
     Dall’ombre il Genio a benedir la terra.

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Balza di tutti a tanta vista il core,
     Vibra l’aria di nuove, alte armonie,
     Mentre d’un verde, spirital chiarore
     E del cielo e del mar s’empion le vie:
     Forse vede così l’abitatore
     D’Andromeda mutar l’aure natie,
     Quando pe’ campi, ove l’Un Sol si addorme,
     L’altro vien su, come smeraldo enorme.

Vaghe sembianze, aeree e vereconde
     Forme tra di fanciulle e di donzelle,
     Emergono dal fior bianco dell’onde,
     Qual da rorido cielo argentee stelle:
     Velate son, ma il vel non le nasconde;
     Pallide son, ma nel pallor più belle;
     Pensose, ma il pensier dolce si mesce
     A un dolce riso, e la bellezza accresce.

Intorno al navicel, ch’agile avanza
     E già già tocca l’agognata riva,
     Ordite in casta, armoniosa danza
     Fan di sè stesse una ghirlanda viva;
     Una soave, mistica odoranza
     Di gialle rose e di fragrante oliva
     Emana dalle fresche, eburnee membra,
     E dell’anima lor l’anima sembra.

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Lascia taluna i ben tessuti balli,
     Qual perla ch’esca da un regal monile,
     E di conche vocali e di coralli
     Ingenuo dono offre allo stuol gentile;
     Gli strani fiori dell’equoree valli
     Dal vitreo seno e dall’odor sottile
     Altra in mazzi raccoglie o in serti stringe,
     Guizza alla nave, e l’alta prua ne cinge.

Di diafane frutta un’aurea cesta
     Fra le candide braccia una sostiene;
     Un’altra su la bionda, agile testa
     Un’anfora sottil recando viene,
     La qual, siccome la fanciulla attesta,
     Un d’eterea virtù licor contiene,
     Onde una stilla delibata ad ogni
     Mente la regione apre dei sogni.

Nè delle frutta rosee e trasparenti
     È la virtù men preziosa e rara,
     Chè chiunque un sol dì se n’alimenti
     A dispregiar l’ire nemiche impara:
     Fra le astuzie del mondo e fra’ tormenti
     Ai più puri ideali inalza un’ara,
     E d’incorrotte e quasi eteree tempre
     Serba il core e il pensier giovane sempre.

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Scioglie un’altra la voce, e sì divini
     Dalle purpuree labbra escono i modi,
     Che tali non udì forse Bellini
     Pe’ giardini d’amor vaghe melodi;
     Nè al vincitor che cinse d’apio i crini
     Suonâr sì grate del Dirceo le lodi,
     Come ne’ peregrini animi fiocca
     La melodia della verginea bocca.

Venite, o generosi animi, dice
     Levando in lor la delicata faccia,
     Al cheto porto, all’isola felice
     Che a voi maternamente apre le braccia;
     Qui le bugie del secolo infelice
     E il dubbio vil dimenticar vi piaccia,
     Qui ritemprar la fede, e dei veraci
     Sogni fruir l’alte promesse e i baci.

Delle speranze indomite lo stuolo
     Aleggia qui su’ generosi cori,
     Ed ecco sotto il lor magico volo
     Cresce un giardin d’adamantini fiori:
     Alla nova fragranza apresi il polo,
     Sente la terra i consolanti odori,
     E il costume selvaggio e la rubella
     Indole spoglia e in lor si rinnovella.

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Tace il bel canto, ma nell’aure ancora
     Propagando si van l’onde sue liete,
     Qual nell’impaziente anima l’ora
     D’un convegno d’amore si ripete.
     Nuota d’Esperio il cor su la canora
     Corrente, qual colomba all’aure chete,
     E trarre al lido irresistibilmente
     Da un arcano ondeggiar d’ale si sente.

Apresi in arco il lido, e ti par bionda
     Luna, che all’invernale aria, soletta
     Vigilando s’incurvi a baciar l’onda,
     Che abbrividendo e scintillando aspetta.
     Selve vocali di cerulea fronda,
     Poggi velati d’opalina erbetta,
     Campi infiniti di perpetui fiori
     D’una pace divina empiono i cori.

Fermasi Esperio trasognato, e gira
     Gli occhi al cielo, alle selve, ai prati, ai colli,
     E d’una voluttà nova sospira,
     E di pianto soave i cigli ha molli;
     Ma più di tutto la compagna ei mira,
     Nè di mirar son gli occhi suoi satolli,
     Però ch’Edea sotto l’amata vista
     Bellezze nuove ad ogn’istante acquista.

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Con un vago sorriso indi a lui vòlta,
     A lui che ad adorar quasi s’inchina:
     Se il tuo core, gli dice, il vero ascolta,
     Non è la mia beltà cosa divina:
     Gemma che agli antri della terra è tolta,
     Alla luce materna arde e si affina;
     Ed io così, dal reo secolo uscita,
     Nel Sol mi abbello che mi diè la vita.

In questa luce gloriosa e pura
     Arditamente ogni alto cor si accoglie,
     Cui l'error trionfante e la sventura
     Nel trionfo del Ben fede non toglie:
     Qui solitario ai disinganni indura,
     Rovere che non mai perde le foglie,
     Chiunque nel tenace animo aspetta
     Che l’offesa Giustizia abbia vendetta.

Da questo cielo, da quest’aure fide
     Ebbe al petto conforto, ali al pensiero
     D’Atene il Giusto, che sereno vide
     Primamente nel Buono il Bello e il Vero.
     Invidia turpe che ghignando uccide,
     Bieco Sofisma che calunnia austero,
     Stupida Fede che nel mal gavazza,
     Tre mostri in un, gli avvelenâr la tazza.

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Ed ei, levati in me gli occhi, securo
     Nella destra innocente il nappo strinse,
     E propinato al mio regno futuro,
     Bevve la morte ragionando, e vinse.
     Torse il triplice mostro il guardo impuro,
     Bramò nuove ostie, ad altre opre si accinse,
     E in nuovo aspetto, ma con l’arti istesse
     La Giudea corse, ed una croce eresse.

Ma su la croce, a cui confisse un pio
     Sognator, ch’al mio regno era vissuto,
     Tal nimbo io sparsi, ch’egli parve un dio
     D’amore il regno ad affermar venuto.
     O mansueto precursor del mio
     Regno, eroe del perdono, io ti saluto:
     Nel sagrificio tuo mite e fecondo
     Fulge l’Idea cha darà pace al mondo!

Di tre raggi cresciuta ella traversa
     L’ombre sacre all’errore e alla vendetta,
     E più rapida ognora, ognor più tersa
     Troni, cattedre, altari arde e saetta;
     Parla, ed ai piedi di Telesio eversa
     Cade la Sfinge in su le menti eretta;
     Freme, e il rogo di Bruno ecco, risplende;
     Arde, e il cor di Mazzini in lei s’accende.

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Giungono in questa a un mormorevol rivo,
     Che come nastro nitido azzurreggia,
     E placido s’avvolge a un aureo clivo,
     Su cui dell’Utopia s’alza la reggia.
     Di rosee nubi un padiglion festivo
     Docile all’aure l’edificio ombreggia,
     Cui dintorno un giardin vario s’accoglie
     Di gemmei fiori e di perpetue foglie.

Una lucente, vaporosa zona,
     Il cui candido seno occhio non varca,
     Di melodie dolcissime risuona,
     E qual sospeso mar su lui s’inarca.
     Quivi la Fantasia spesso abbandona
     Ebbra di luce la sua vitrea barca,
     E divine vi scopre isole e belle
     Nebbie rotanti che saran poi stelle.

Qui le Ipotesi audaci e qui i secreti
     Ideali del mondo han vita e regno,
     Qui la Beltà che dà baci a’ poeti,
     Qui la Gloria che cresce ali all’ingegno;
     Le Speranze dei saggi e degli asceti
     Qui maturano in onta al vulgo indegno;
     Qui dei martiri il sangue in bei vapori
     Roseo s’inalza e si tramuta in fiori.

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Con le pupille a questa sfera intente
     Divinava Colombo altro emisfero;
     Qui Galileo con la titania lente
     Tanto campo di ciel tolse al mistero;
     Assorto in questo mar divinamente
     Newton sognò, legiferò Keplero;
     Di qui lanciò la triplice sua face
     E il mondo illuminò Darwin sagace.

Ve’ nel bel mezzo dell’aereo mare,
     Quasi cor da cui tutto il moto prende,
     Cinto di nebbie trasparenti e chiare.
     Un piccolo, vermiglio astro risplende:
     Piccolo e incerto a prima vista appare,
     Ma sorgendo più cresce e più s’accende,
     Sicchè dir puoi, che certamente in poco
     Sole ei sarà d’inestinguibil foco.

Qui fra un corteo di vereconde stelle
     La ritrosa Utopia scelto ha la stanza,
     E intente a’ cenni suoi stan come ancelle
     Giustizia, Libertà, Pace, Eguaglianza;
     Qui poche ardimentose anime belle
     Nutrono di desio l’ardua speranza
     Di veder tosto dall’aerea zona
     Sceso il lor sogno e diventar persona.

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Duci e maestri del sidereo coro,
     Che al sociale error volse le spalle,
     Platon qui vedi e il Campanella e il Moro,
     Che aprîr dei Sogni luminosi il calle;
     Sapiente, operoso insiem con loro
     Freme il genio di Marx e di Lassalle,
     A’ cui dardi cadrà, con quanti stanno
     Superbi in trono, il Capital tiranno.

O Pisacane, o prima itala mente
     In cui la nova Idea fiammando scese,
     Ben hai tu loco in questa sfera ardente,
     Tu cui la pigra età tardi comprese.
     Generoso! Di gioghi impaziente,
     D’alti esempj bramoso e d’alte imprese,
     Pura serbando al Ver l’anima ardita,
     A men fulgida Idea desti la vita!

Ma l’Idea, che diè luce al tuo pensiero,
     Or più non vive dispregiata e sola,
     Anzi uno stuol magnanimo e guerriero
     L’ardue leggi ne afferma e a lei s’immola:
     Morì per essa or or Carlo Cafiero,
     Cor d’asceta e d’eroe ch’alto qui vola,
     E del Ver che sognò splendido in vista
     Le morte forze e la ragion racquista.

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Trasfigurata allora in fiamma viva,
     Gloriosa, raggiante Edea si eresse,
     E ad Esperio, che i suoi moti seguiva,
     Un sorriso ineffabile concesse;
     Con voce poi, che l’avvenire udiva,
     Conforti fieri, alti presagi espresse;
     Lene ondeggia da pria l’aria tranquilla,
     Esulta poi terribilmente e squilla:

Se insiem con te qui nel bel regno io venni,
     Di cui l’egro tuo cor smarría la fede,
     Se la promessa generosa attenni,
     L’animo tuo redento ecco se ’l vede:
     L’ardue speranze, onde il tuo cor sostenni,
     Vive or tu miri nella propria sede;
     Or dal secolo vil tanto sei lunge,
     Che a te d’ira o livor dardo non giunge.

Qui ti ritempra, esule spirto, e al lume
     Degli occhi miei l’estro onorato accendi,
     E i dubbj sozzi e il torpido costume
     Quinci del mondo a sfolgorare imprendi:
     Al tuo pensier la Verità sia nume,
     Solo al suo culto e al suo trionfo attendi,
     La Verità che placida e secura
     Tra’ sogni miei, sotto al mio Sol matura.

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Non titubar! La diuturna prova
     Dei civili dolori il fin già tocca;
     Già lo sdegno compresso un fulmin trova,
     Già la bilancia del destin trabocca.
     Tuona, è tuo l’avvenir; secol s’innova;
     Odi? la profetata ora già scocca;
     Tu da questa mia sede all’egra, oppressa
     Terra l’annunzia: il Redentor si appressa!

Non più Dei, non più re! ferree chimere
     Artigliatrici dell’uman cervello,
     Che d’ombre inebbriato hanno il pensiere,
     E fatto della terra il cielo avello,
     Colpa la verità, scherno il sapere,
     Croce l’onor, la libertà flagello,
     Il genio e la virtù pena infinita,
     Merito la viltà, strazio la vita!

Servi non più, non più signori! Eguali
     Tutti! Qual sole che consola il mondo,
     Giustizia e Libertà sopra i mortali
     Verseranno un fulgore ampio e giocondo;
     E sdradicando le miserie e i mali,
     Di cui solo finora è il suol fecondo,
     Germogliare faranno e al ciel vicino
     Sorgere della Pace il fior divino.

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Patrie non più! Non più biechi e selvaggi
     Termini a cui l’umana onda si spezza,
     Per cui depone Amore i dolci raggi,
     E stolta Vanità gli odj accarezza;
     Per cui l’Odio è virtù, studio gli oltraggi,
     L’omicida furor nobile ebbrezza,
     Arie sublime e glorioso vanto
     Spremer di sangue un fiume, un mar di pianto!

Ma una patria, una legge, un popol solo,
     Che nell’opre del braccio e del pensiero
     Sempre più sorga a luminoso volo
     E incalzi sempre più l’arduo mistero:
     Una patria, a cui sia limite il polo,
     Una famiglia a cui sia fede il Vero,
     Un amor, che confonda entro sè stesso
     Gli esseri tutti in un fraterno amplesso!

Di rei computi padre e di sospetti
     Non più costringa i cori avido Imene,
     Perchè preda al fastidio indi li getti
     Di pregiudizj carchi e di catene:
     Indi covata in trafficati letti
     Un’egra stirpe tralignando viene,
     Che smaniosa nel suo ferreo dritto
     Dal tedio e dall’error giunge al delitto.

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Spieghi libero Amor l’ale fiammanti,
     E ravvivi la terra al par del sole,
     Sì che dal bacio di due cori amanti
     Rigogliosa e gentil sorga la prole.
     O forte Amor, co’ tuoi moniti santi
     Suscita la civil torpida mole;
     Abbia dal regno tuo vario e fecondo
     Vita novella ed equa legge il mondo!

Non più colpe e delitti! orrido gregge,
     Che dell’error le ortiche ispide bruca,
     Cui non torvo rigor frena o corregge
     Fra ceppi infami in sotterranea buca,
     Ma paurosa iniquità di legge,
     Ma fame orrenda a fatti orrendi educa,
     Finchè largo d’oneste opre e di pane
     Non redima l’Amor l’anime umane!

Come un sogno d’amante e di poeta
     Allor sorriderà l’ampia Natura,
     La terra allor sarà fertile e lieta,
     Libera qual pensier, qual foco pura,
     Madre che tutti nutre e tutti allieta,
     Che l’opra alla mercè libra e misura,
     Provvida madre che i sudati frutti
     Porge benigna ed ugualmente a tutti.


fine