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Canto dodicesimo 259


Ed ei, levati in me gli occhi, securo
     Nella destra innocente il nappo strinse,
     E propinato al mio regno futuro,
     Bevve la morte ragionando, e vinse.
     Torse il triplice mostro il guardo impuro,
     Bramò nuove ostie, ad altre opre si accinse,
     E in nuovo aspetto, ma con l’arti istesse
     La Giudea corse, ed una croce eresse.

Ma su la croce, a cui confisse un pio
     Sognator, ch’al mio regno era vissuto,
     Tal nimbo io sparsi, ch’egli parve un dio
     D’amore il regno ad affermar venuto.
     O mansueto precursor del mio
     Regno, eroe del perdono, io ti saluto:
     Nel sagrificio tuo mite e fecondo
     Fulge l’Idea cha darà pace al mondo!

Di tre raggi cresciuta ella traversa
     L’ombre sacre all’errore e alla vendetta,
     E più rapida ognora, ognor più tersa
     Troni, cattedre, altari arde e saetta;
     Parla, ed ai piedi di Telesio eversa
     Cade la Sfinge in su le menti eretta;
     Freme, e il rogo di Bruno ecco, risplende;
     Arde, e il cor di Mazzini in lei s’accende.