Apriti Standard!/Capitolo secondo
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In tema di interoperabilità e neutralità tecnologica emerge un concetto abbastanza comune, ma che forse viene dato troppo per scontato: quello di “standard”. A titolo introduttivo, iniziamo la nostra riflessione fornendo alcune definizioni tratte da fonti non specialistiche.
Alla voce “standard” dell’enciclopedia Treccani on line troviamo:
«Modello o tipo di un determinato prodotto, o insieme di norme fissate allo scopo di ottenere l’unificazione delle caratteristiche (standardizzazione) del prodotto medesimo, da chiunque e comunque fabbricato. Anche, insieme degli elementi che individuano le caratteristiche di un determinato processo tecnico.»1 |
All’equivalente voce di Wikipedia si legge invece:
«Il termine inglese standard deriva dal vocabolo francese antico estendart, avente il significato di stendardo, insegna. Il termine italiano che più si avvicina a standard è “norma”. Uno standard è infatti una norma accettata, un modello di riferimento a cui ci si uniforma affinché sia ripetuto successivamente».2 |
Da entrambe le definizioni si coglie innanzitutto che tale concetto non è riferibile esclusivamente all’ambito tecnologico ma in generale a tutto l’ambito della produzione manifatturiera e industriale. E inoltre si coglie quanto la possibilità di fare affidamento su uno standard generalmente riconosciuto e le cui caratteristiche siano pubbliche, agevoli la produzione industriale in due direzioni: nella direzione di chi progetta e produce poiché, conoscendo tali informazioni, può evitare un dispendio di risorse e ha maggiori possibilità che il suo prodotto sia accolto dal mercato; nella direzione degli utenti poiché, ricevendo prodotti ideati sulla base di standard condivisi, avranno maggiori garanzie che tali prodotti possano funzionare tra di loro.
Ciò trova conferma in un passaggio del libro intitolato emblematicamente “Le regole del gioco” e prodotto da UNI (ente di standardizzazione italiano) con lo scopo di fare informazione e divulgazione in materia di normazione:
«possiamo affermare che oltre a creare vantaggio per la comunità dei produttori e per la società economica nel suo complesso, le norme salvaguardano gli interessi del consumatore e della collettività.»3 |
Interessante risulta anche un estratto della voce “Il ruolo socio-economico” del sito dell’UNI, il quale - pur riferendosi specificamente all’idea di “standard de jure” (che avremo modo di approfondire) - ci fornisce un’utile chiarificazione di quale sia la ratio fondamentale che sta dietro la ricerca e la formalizzazione degli standard:
«promuovere la sicurezza, la qualità della vita e la conservazione dell’ambiente, regolamentando prodotti, processi e servizi; migliorare l’efficacia ed efficienza del sistema economico, unificando prodotti, livelli prestazionali, metodi di prova e di controllo; promuovere il commercio internazionale armonizzando norme e controlli di prodotti e servizi; facilitare la comunicazione unificando terminologia, simboli, codici ed interfacce; salvaguardare gli interessi del consumatore e della collettività.»4 |
Per percepire quanto questa tematica influisca sulla vita di tutti noi (pur inconsapevoli), basta avanzare alcuni esempi:
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In verità in tutti questi tre casi non esiste un singolo standard per ciascun campo di applicazione: infatti per la carta esistono i formati basati sullo standard proporzionale del formato A4, ma anche altri standard (negli USA infatti sono diffusi fogli di altre dimensioni, quindi stampanti e fotocopiatrici sono tarate su un altro rapporto dimensionale); e per le spine è frequente trovare elettrodomestici progettati per prese di tipo tedesco (cosiddette Shuko) che necessitano un adattatore affinché funzionino con le prese italiane; infine, la tastiera QWERTY, a detta degli esperti di dattilografia ed ergonomia, pare non essere la soluzione più confortevole ed ergonomica, rispetto ad altre tipologie di tastiere proposte negli anni passati (si veda principalmente il caso della tastiera escogitata da Dvorak negli anni 30 ma mai adottata massicciamente dai produttori di macchine da scrivere e calcolatori).9
Tale disomogeneità dipende da vari fattori storici e tecnici che hanno portato al consolidamento di diverse soluzioni per lo stesso settore. Tuttavia la disponibilità di modelli riconosciuti standard permette di evitare la proliferazione di soluzioni tecnologiche superflue.
Per poter arrivare a considerare una soluzione tecnica uno standard è dunque necessario rilevare il fatto che essa sia ormai utilizzata come principale modello di riferimento per lo sviluppo di uno specifico settore industriale.
A questo punto però si pongono due diversi approcci al fenomeno. In materia di standard, infatti, si distingue tradizionalmente in due grandi categorie, che cercheremo di illustrare in modo estremamente semplificato con lo scopo primario di inquadrare fin da subito l’argomento, lasciando ai paragrafi successivi l’approfondimento sulle relative problematiche: ci riferiamo alla categoria di standard de jure e a quella di standard de facto.10
Si parla di standard de jure quando lo standard è frutto di un regolare processo di analisi tecnica e definizione gestito da apposite organizzazioni, e quando è stato formalizzato e descritto in uno specifico documento chiamato comunemente “norma tecnica”, o anche più semplicemente “norma”; di conseguenza gli enti preposti a questo tipo di attività vengono denominati enti di formazione (o anche più genericamente di standardizzazione).
Le norme vengono formalizzate attraverso un complesso meccanismo di consultazione e analisi che vede il coinvolgimento da parte dell’ente di normazione di esperti del settore industriale implicato e dei cosiddetti stakeholders, ovvero i soggetti potenzialmente interessati allo standard nascente. Ovviamente l’autorevolezza di una norma dipende anche (anzi, soprattutto) dalla presenza del maggior numero di stakeholders coinvolti nel processo e dalla precisione e trasparenza nella descrizione dello standard. Avremo modo di approfondire le dinamiche dell’attività di normazione nei prossimi paragrafi.
Tuttavia, è importante sottolineare che non sempre un determinato modello può assurgere allo status di standard de jure. Ci sono infatti modelli di riferimento che solo per la loro elevata diffusione vengono comunemente considerati standard, ma in realtà non sono mai stati riconosciuti come tali da apposite organizzazioni attraverso un regolare processo di standardizzazione: si parla in questo caso di standard de facto.11
È dunque il caso di focalizzare l’attenzione sulla definizione generica di standard fornita poco fa, della quale uno degli elementi costitutivi è il concetto di “convenzione”. Elemento uniformante di qualsiasi definizione infatti è che un modello tecnico sia da considerare standard in virtù di una convenzione, cioè di un accordo più o meno espresso.
In tal senso è interessante riflettere su un’ulteriore definizione di standard: quella che si trova sul “Dizionario di informatica” curato da Microsoft Press ed edito in Italia da Mondadori:
«Serie di dettagliate indicazioni tecniche di diritto sostenute da una riconosciuta organizzazione non commerciale o governativa, impiegate per stabilire uniformità in un settore di sviluppo hardware o software. Lo standard nasce da un processo decisamente più formale, in cui un gruppo in cooperazione o un comitato definisce una serie di specifiche dopo aver svolto uno studio approfondito su metodi, approcci, tendenze e sviluppi tecnologici in atto. Gli standard proposti sono quindi ratificati o approvati da un’organizzazione riconosciuta e sono adottati nel tempo col consenso generale mentre i prodotti basati sullo standard diventano sempre più prevalenti sul mercato.»12 |
Sembra abbastanza evidente che tale definizione faccia riferimento all’idea di standard de jure, come ad intendere che si possa parlare realmente di “standard” solo in quel caso.
Pari interesse desta la definizione più succinta presente nella sezione “Frequently asked questions” del sito web dell’ISO (autorevole ente di normazione a livello mondiale):
«[A standard is] a documented agreement containing technical specifications or other precise criteria to be used consistently as rules, guidelines, or definitions of characteristics to ensure that materials, products, processes and services are fit for their purpose.»13 |
Come la precedente, anche questa definizione sembra dare per acquisito che l’idea di standard e di norma siano pressoché coincidenti. Si noti infatti l’accento posto sul concetto di “accordo documentato” contenente le specifiche tecniche o altri criteri per lo sviluppo di materiali, prodotti, processi e servizi.
Infine, a titolo di completezza dell’analisi qui svolta, si segnala che alcuni autori seguono una classificazione parzialmente differente, secondo la quale si parla di standard de jure più precisamente per gli standard imposti da enti pubblici (a volte enti direttamente dipendenti dai governi) che sono preposti ad emettere norme e regolamenti mirati ad uniformare un determinato settore.14
Com’è facile dedurre dalle premesse concettuali fornite nel primo capitolo, il radicarsi di pratiche mirate alla formalizzazione di standard industriali è direttamente proporzionale al grado di complessità e trasversalità di un determinato mercato, ma soprattutto al livello di convergenza tecnologica verso cui quel settore si sta dirigendo.
Non è difficile intuire quindi che negli ultimi decenni si è assistito ad un esponenziale ampliamento dell’attività di standardizzazione, con una sensibile crescita di organizzazioni nate per iniziativa spontanea delle aziende attive in un determinato settore.
Ripercorrendo lo schema proposto da Granieri (nel già citato libro sui rapporti fra attività di normazione e diritto industriale), possiamo quindi individuare tre fasi evolutive della standardizzazione.
Una prima fase che si inaugura già alla fine del XIX secolo e arriva fino alla seconda metà del secolo scorso (tra gli anni 60 e gli anni 80) nella quale la tendenza è quella di legittimare forme di monopolio (i cosiddetti monopoli legali, creati per lo più per scelta politica) specialmente nei settori dell’energia, della telefonia e delle telecomunicazioni in generale. Una prospettiva che circoscriveva automaticamente la problematica degli standard ad una dimensione pressoché nazionale. È il periodo infatti in cui in gran parte degli stati industrializzati (soprattutto europei) vengono costituiti dai governi enti espressamente preposti a vigilare sull’uniformazione tecnica dei vari settori.
Abbiamo poi una seconda fase il cui elemento centrale è la liberalizzazione dei mercati accompagnata da una vertiginosa crescita ed espansione delle tecnologie e delle telecomunicazioni. Inizia qui a percepirsi l’importanza della standardizzazione non solo a livello nazionale ma anche internazionale.
Infine, vi è una terza e più recente fase ispirata alla massimizzazione della convergenza tecnologica, nella quale le industrie si trovano (volenti o nolenti) a dover far parte di un meccanismo di mercato sempre più integrato e cumulativo. È palese che in un simile contesto la ricerca di standard chiari e universalmente condivisi non è più percepita come una possibilità in più ma come una vera e propria esigenza.
In questa evoluzione (qui presentata in verità in maniera molto sintetica e schematizzata) sono andati definendosi due modelli differenti relativi alle due aree di massimo sviluppo industriale e più coinvolte dal fenomeno della standardizzazione. Da un lato abbiamo l’approccio più tipicamente statunitense per il quale l’attività di standardizzazione deve essere lasciata il più possibile al mercato, salvo però stabilire delle regole chiare a garanzia della concorrenza: in questo contesto assumono infatti particolare importanza gli organismi creati per iniziativa delle aziende interessate.
Dall’altro abbiamo l’approccio più tipico dell’area europea, dove la presenza di diverse realtà nazionali e di un’istituzione sovranazionale come la Comunità Europea (la cui precipua attività sta proprio nella regolamentazione del mercato e degli equilibri concorrenziali fra gli stati membri) ha portato ad una soluzione - per così dire - più pubblicistica: qui infatti assumono un ruolo particolarmente centrale enti di natura governativa (come il CEN, il CENELEC e l’ETSI) preposti proprio ad occuparsi di tali dinamiche.15
Come si è già avuto modo di accennare, l’iter che porta alla formalizzazione di uno standard (nel senso di standard de jure, ovviamente) è chiamato processo di standardizzazione (o di normazione): esso si struttura in più fasi, si fonda sulla fissazione delle caratteristiche convenzionali costitutive dello standard ed è gestito da appositi enti specializzati la cui autorevolezza e credibilità sono ampiamente riconosciute.
A titolo di precisazione terminologica è il caso di evidenziare che quando in questo ambito si parla di “norma” non si fa riferimento all’idea più comune di norma giuridica, ovvero quella di precetto imposto da un’autorità per regolare i rapporti di un gruppo sociale e sostenuto dall’imposizione di sanzioni giuridiche. Si tratta più che altro di “norma” intesa come “tipo” o “modello” a cui determinati soggetti (gli operatori di un determinato mercato) devono conformarsi per poter far parte del “gioco”, pena l’esclusione dal gioco stesso (o quantomeno una difficile partecipazione).
In altre parole, nel primo significato l’idea è quella di un gruppo sociale i cui individui sono tutti tenuti al rispetto di una regola e la violazione della stessa comporta per gli individui l’applicazione di una sanzione giuridica; nell’altro significato invece l’idea è quella di un modello di riferimento definito con dinamiche convenzionali ai quali i soggetti (gli operatori del mercato) sono liberi di aderire o meno, tenendo però presente che la non adesione comporterà concrete difficoltà nella partecipazione al mercato.16
L’attività di normazione, come avremo modo di approfondire, è uno dei punti cardine dell’innovazione tecnologica in un mondo permeato di tecnologia come quello attuale; e proprio per questo rappresenta un terreno molto delicato e complesso, che implica problematiche di natura (oltre che tecnica) giuridica, economica, politica, etica: tutte di non facile gestione.
L’attività di normazione si ispira ad alcuni principi di fondo, il cui rispetto attribuisce affidabilità ed autorevolezza allo standard prodotto. Essi sono:
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Ovviamente, si tratta più che altro di principi ideali a cui l’attività di normazione “dovrebbe” ispirarsi. Il condizionale è infatti d’obbligo, dato che, come vedremo, non tutti gli enti di normazione vi fanno riferimento in maniera integrale e costante.
Ogni ente di standardizzazione stabilisce proprie norme, adotta proprie procedure e segue proprie prassi per la formalizzazione di uno standard. Tuttavia in quasi tutti i processi è possibile ritrovare un paradigma comune su cui possiamo fondare la nostra analisi. Secondo il modello proposto dall’ISO20, ogni processo si sviluppa in linea di massima secondo tre grandi fasi:
Secondo altra fonte24, la realizzazione di una norma internazionale può essere invece articolata come segue:
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Si può facilmente notare che questo secondo schema non fa altro che dettagliare maggiormente quello precedente.
Nella maggior parte dei casi i lavori di redazione della bozza di norma tecnica vengono svolti all’interno di commissioni tecniche e gruppi di lavoro formati da «esperti che rappresentano le parti economiche e sociali interessate (produttori, fornitori, clienti, utilizzatori, distributori, centri di ricerca, consumatori, pubblica amministrazione...)».26 Dunque, l’organismo di normazione svolge più che altro una funzione di coordinamento dei lavori e di messa a disposizione della sua struttura organizzativa.
Infine, si tenga presente che sono sempre più frequenti i casi in cui gli enti di normazione internazionale si trovano a far propria una norma già formalizzata da altri enti di normazione: si parla in questo caso di una normazione di secondo grado. Ciò si verifica specialmente in campi di applicazione molto complessi (quali sono appunto quelli del mondo ICT) per i quali l’opera di standardizzazione richiede valutazioni tecniche lunghe e articolate e può essere meglio gestita da enti di normazione specializzati; in questo modo l’ente di normazione superiore potrà prendere in esame la norma ad uno stadio già avanzato per una semplice rielaborazione e ratifica.
Una volta formalizzati, gli standard si presentano sotto la forma di documenti testuali o ipertestuali contenenti tutte le informazioni necessarie a ricalcarne e riprodurne il modello: cioè le cosiddette specifiche dello standard. Dunque le aziende interessate a sviluppare un prodotto conforme allo standard devono poter avervi accesso nel dettaglio.
Salvo rare eccezioni (come avremo modo di verificare), i principali enti di standardizzazione considerano la documentazione da essi realizzata come materiale a tutti gli effetti coperto dalle tutele di diritto industriale (copyright e segreto). Ciò comporta che normalmente gli enti di standardizzazione non diffondono la loro documentazione liberamente (tranne in alcuni particolari casi, che vedremo nei prossimi capitoli) e, per accedervi, gli operatori interessati devono versare una royalty e acquisire i necessari permessi.
Si legga a titolo esemplificativo quanto emerge dal sito di UNI in materia di condizioni di accesso e utilizzo ai propri standard:
«Il cliente riconosce che: i prodotti sono di proprietà di UNI in quanto titolare del copyright - così come indicato all’interno dei prodotti - e che tali diritti sono tutelati dalle leggi nazionali e dai trattati internazionali sulla tutela del copyright; tutti i diritti, titoli e interessi nei e sui prodotti sono e saranno di UNI, compresi i diritti di proprietà intellettuale.» 27 |
Da ciò deriva appunto che l’ente di standardizzazione, vantando tali diritti di privativa, può regolamentare l’accesso e l’uso (e indirettamente anche l’implementazione) da parte dei soggetti interessati (nel testo, “il cliente”).28
Tuttavia è importante chiarire che queste considerazioni attengono più che altro alla fase dell’accesso alla documentazione relativa allo standard e non alla fase (logicamente successiva) dell’implementazione dello standard stesso. Infatti, oltre alle tutele giuridiche per l’accesso alla documentazione di cui si è accennato, possono sussistere dei diritti di proprietà industriale (tendenzialmente dei brevetti) sulle soluzioni tecniche contenute e descritte nello standard. Di conseguenza, chi ha legittimamente acquisito tale documentazione può trovarsi comunque nell’impossibilità di adottare e implementare lo standard, se non dietro pagamento di un’ulteriore royalty ai titolari dei brevetti in esso contenuti.29
Si tratta di una distinzione davvero fondamentale per comprendere le problematiche giuridiche relative all’attività di normazione e di sviluppo tecnologico in generale. D’altro canto, come mostreremo a breve, la gestione della proprietà intellettuale è non a caso uno degli aspetti più delicati in fatto di standardizzazione.
Si tenga infine presente che gran parte degli introiti degli enti di normazione derivano - oltre che dalle quote di iscrizione/partecipazione delle realtà ad essi associate o affiliate - proprio dalla diffusione della documentazione relativa agli standard e dalla cessione in licenza dello standard stesso per la sua implementazione da parte di soggetti (aziende e altri operatori del settore) anche non coinvolti attivamente nel processo di standardizzazione.
Gli enti di normazione (anche detti in Inglese “standard setting organizations”) sono «organizzazioni spontanee di natura privata, finalizzate alla definizione di standard tecnici che permettono di ottenere la compatibilità tra prodotti o servizi realizzati da diverse imprese.»30
Tali enti svolgono attualmente un ruolo davvero centrale per lo sviluppo industriale e tecnologico, con ripercussioni sostanziali a livello macroeconomico e politico; dunque è importante comprenderne i meccanismi di funzionamento.
Come già accennato ci si sta dirigendo sempre di più verso enti di normazione di natura spontanea, creati per iniziativa delle stesse aziende interessate alla fissazione di un determinato standard.
Dal punto di vista della natura giuridica, il diritto italiano tende a ricondurre tali enti (con le dovute specificazioni) generalmente al modello consortile.
Per il diritto privato (si veda l’art. 2602 Cod. Civ.) si ha un consorzio quando più imprenditori, per mezzo di apposito contratto, costituiscono «un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese.»
In verità, a seconda dei contesti giuridici di riferimento e dell’evoluzione storica dei vari enti, gli enti di standardizzazione hanno denominazioni differenti: consorzio, comitato, istituto, associazione o, con tono ancora più asettico, ente.
Tuttavia, al di là della loro precisa qualificazione giuridica (non così essenziale ai fini pratici), possiamo con certezza inquadrare tali realtà associative (e quindi anche i loro meccanismi di funzionamento) nell’humus del diritto privato contrattuale e del diritto commerciale.
Come tutti gli enti di tipo associativo anche gli enti di normazione fondano il loro funzionamento sulle disposizioni contenute nei propri statuti. Fra queste disposizioni assumono particolare rilevanza quelle relative alle condizioni di ingresso, ai meccanismi di voto, all’organizzazione interna, alle sanzioni per eventuali violazioni dello statuto o dei regolamenti emessi dall’ente. Sarà proprio l’analisi degli statuti dei vari enti che ci permetterà di valutare il loro approccio all’attività di normazione e l’autorevolezza (e l’apertura) degli standard da essi prodotti.
La normazione si divide tradizionalmente in tre livelli relativi all’ambito di applicazione dello standard e all’area di competenza dell’ente che se ne occupa.
a) livello nazionale
Quasi tutti i paesi del mondo industrializzato possiedono uno o più enti nazionali di standardizzazione31, che si occupano di rilasciare standard concepiti per il contesto nazionale e non necessariamente in un’ottica internazionale. In ambito europeo si può affermare che ogni paese dell’Unione registra la presenza di almeno un ente interno di standardizzazione.
Soffermandoci sul caso italiano, nel nostro paese le due principali realtà dedicate a questa funzione sono l’Ente Nazionale Italiano di Unificazione (comunemente abbreviato in UNI) e il Comitato Elettrotecnico Italiano (comunemente abbreviato in CEI).32
L’UNI, come si estrapola dal sito istituzionale (www.uni.com), «è un’associazione privata senza scopo di lucro, i cui soci, oltre 7000, sono imprese, liberi professionisti, associazioni, istituti scientifici e scolastici, realtà della Pubblica Amministrazione.»33 Mentre i suoi campi di attività possono essere suddivisi in tre aree: elaborare norme che vengono sviluppate da organi tecnici ai cui lavori partecipano tutte le parti interessate (assicurando così trasparenza e condivisione nel processo); rappresentare l’Italia nelle attività di standardizzazione a livello mondiale ed europeo; pubblicare e diffondere le norme tecniche ed i prodotti editoriali ad esse correlati, sia direttamente, sia attraverso appositi centri di informazione e documentazione, sia tramite Internet.
L’UNI svolge un ruolo centrale per il settore industriale italiano, sia per l’attività interna, sia per la gestione dei rapporti con i principali enti internazionali di standardizzazione: essa infatti partecipa, in rappresentanza dell’Italia, all’attività normativa di organismi come ISO e CEN. Infine, si tenga presente che fra i suoi soci sono presenti altri enti di standardizzazione che possono essere considerati a tutti gli effetti come federati di UNI e che operano ciascuno in uno specifico settore industriale o merceologico: ai fini della nostra analisi, si segnala principalmente UNINFO che appunto si occupa di tecnologie informatiche e loro applicazioni.34
L’UNI, con l’ausilio degli enti federati, opera in tutti i settori industriali, commerciali e del terziario ad esclusione di quello elettrico ed elettrotecnico che sono invece competenza del CEI. Come emerge dal sito ufficiale www.ceiweb.it le finalità istituzionali di questo ente sono la promozione e la diffusione della cultura tecnica e della sicurezza elettrica. A tale scopo «il CEI sviluppa una serie di attività normative e prenormative a livello nazionale ed internazionale che includono, oltre alla redazione dei documenti normativi e al recepimento delle direttive comunitarie e dei documenti armonizzati, azioni di coordinamento, ricerca, sviluppo, comunicazione e formazione in sinergia con le parti coinvolte nel processo normativo.»35
Ai lavori di ricerca e normazione del CEI partecipano oltre 3.000 esperti attivi in prima linea nel settore e provenienti da ministeri, enti pubblici e privati, università, laboratori di ricerca, industrie costruttrici e utilizzatrici, associazioni di categoria.
b) livello europeo
A livello europeo è il caso di citare il Comitato europeo di normazione (abbreviato comunemente in CEN e noto anche come “European Committee for Standardization”)36, il quale si occupa di coordinare e monitorare le attività di standardizzazione in ambito europeo e lavora in accordo con le politiche dell’Unione Europea stessa e dell’EFTA.37 L’attività del CEN, unita e integrata con quella di altri due enti di pari rilevanza ma con diverse competenze, costituisce quello che è chiamato “Sistema europeo per la normalizzazione tecnica”: questi due enti sono l’Istituto europeo per gli standard nelle telecomunicazioni (abbreviato comunemente in ETSI dal nome inglese European Telecommunications Standard Institute)38 e il Comitato Europeo di Normazione Elettrotecnica (abbreviato comunemente in CENELEC dal nome francese Comité Européen de Normalisation Electrotechnique).39
Altro importante ente a livello europeo, di cui avremo modo di narrare le vicende nei prossimi capitoli, è la ECMA International (dove l’acronimo sta per European Computer Manufacturers Association), un’associazione fondata nel 1961 e impegnata nella standardizzazione nel settore informatico e dei sistemi di comunicazione.40
c) livello internazionale
Al di là dei confini europei sono invece attive alcune grandi organizzazioni competenti a rilasciare standard riconosciuti a livello globale e definiti appunto standard internazionali. Come già accennato, la realtà principale in assoluto è l’Organizzazione internazionale per le standardizzazioni (comunemente abbreviata in ISO)41, la quale collega e coordina l’attività degli enti nazionali di standardizzazione di ben 157 paesi, fra cui appunto l’UNI per l’Italia. L’ISO ricopre un ruolo centrale nell’economia e nella politica economica mondiali (come traspare dal motto presente sul sito ufficiale “International Standards for Business, Government and Society”); e benché essa si autodefinisca un’organizzazione non governativa, «la sua capacità di stabilire standard che diventano leggi attraverso accordi e trattati la rende molto più potente di molte ONG e in pratica agisce come consorzio con forti legami con i governi.»42
Gli standard ISO hanno la caratteristica di essere contrassegnati da una sigla che li rende identificabili a livello internazionale; ogni sigla è composta dal prefisso ISO, da un numero e dall’anno di pubblicazione dello standard, cioè un paradigma come questo: “ISO 9999:aaaa”. Spesso tale sigla è seguita da un titolo, cioè una breve descrizione dello standard. Un esempio piuttosto conosciuto è quello dello standard “ISO 9001:2008 - Gestione della qualità”43; oppure quello dello standard “ISO 13616:2007 - Codici bancari di conto corrente”44; oppure ancora quello dello standard “ISO 2108:1970 - Standard internazionale di numerazione dei libri”.45
L’ISO, in materia di standard per elettricità, elettronica e tecnologie correlate, è affiancata dalla Commissione Elettrotecnica Internazionale (abbreviata comunemente in IEC dal suo nome inglese International Electrotechnical Commission)46, ente di antica fondazione (1906) a cui fanno capo circa sessanta paesi e che ricopre anche un ruolo fondamentale nell’armonizzazione delle unità di misura.
In un altro settore parallelo alle aree di competenza di ISO ed IEC opera l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (abbreviata comunemente in ITU dall’inglese International Telecommunication Union)47, la cui sezione standardizzazioni è denominata ITU-T. L’ITU fu fondata già nel 1865 e dal 1947 è una delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite; la prima sede è stata a Parigi, mentre l’attuale sede è a Ginevra.
I suoi standard rappresentano la base di riferimento delle attuali tecnologie di comunicazione e informazione. «Sviluppate da gruppi di studio costituiti da esperti sia del settore pubblico che privato, le raccomandazioni ITU aiutano a gestire il traffico globale delle informazioni permettendo un armonico sviluppo sociale ed economico in tutto il mondo.»48
Fig. 2 — Questo schema rappresenta i rapporti tra i principali enti di normazione disposti sui tre livelli illustrati nel paragrafo. (Fonte: UNINFO)
Cercheremo in questi prossimi paragrafi di mettere a fuoco le principali problematiche che la letteratura scientifica (principalmente di taglio giuridico-economico) ha sollevato in materia di standardizzazione. Si tratta, più che di argomentazioni complete, di inquadramenti generali e di spunti di riflessione, rimandando ad altre fonti più specialistiche il loro approfondimento.
Dalle considerazioni fin qui effettuate pare emergere una generale virtuosità e auspicabilità della standardizzazione. Potremmo quindi arrivare presto ad affermare che avere degli standard di riferimento predefiniti sia sempre e a priori un beneficio per lo sviluppo di tecnologia. In realtà gli osservatori più attenti fanno notare che la questione è più complessa.
Nel momento in cui fissiamo uno standard, quand’anche ciò avvenga con i procedimenti più concertati e trasparenti possibili, stiamo cercando di cristallizzare un determinato modello di riferimento a cui per un certo periodo dovrà conformarsi lo sviluppo di quella specifica tecnologia. Ma d’altro canto sappiamo che lo sviluppo tecnologico è oggetto di una continua quanto veloce evoluzione e perciò quel tentativo di cristallizzazione sarebbe comunque travolto dalla corrente di questo fiume in piena. In altre parole, sarebbe solo una fotografia dello stato dell’arte e della tecnica al momento della fissazione dello standard, e poco più.
L’attività di standardizzazione deve quindi tener conto di queste dinamiche e porsi in un’ottica fluida e prospettica, altrimenti rischia di trasformarsi in un freno all’innovazione invece che fungere da incentivo. I soggetti coinvolti nel processo di standardizzazione devono compiere valutazioni rivolte al medio-lungo periodo in modo che lo standard possa essere realmente il punto di partenza per una serie di soluzioni tecnologiche innovative basate su di esso.
È per questo che nella maggior parte dei casi si giunge a considerare un modello tecnologico come uno standard quando si tratta di una tecnologia sufficientemente matura e conosciuta.
Mario Calderini ci pone di fronte al fatto cruciale che nell’attività di standardizzazione è implicita la coesistenza fra due forze opposte che devono essere tenute il più possibile in equilibrio, se si vuole procedere realmente nella direzione di una maggiore neutralità e innovazione tecnologica:
«Da un lato, il classico problema legato alle attività di standardizzazione: assicurare che i processi di convergenza sugli standard giungano a compimento con esiti efficienti (la selezione della tecnologia migliore) nel minor tempo possibile. Dall’altro, [...] garantire una virtuosa coesistenza delle necessità di apertura e interoperabilità delle piattaforme con l’esigenza di definire un contesto competitivo fertile all’attività innovativa».49
Come corollario di questo rischio, ve n’è un altro: un sistema di standardizzazione non ben congegnato può infatti portare a situazioni di stallo e irrigidimento del mercato, per le quali il superamento di uno standard ormai obsoleto a favore di uno più moderno può essere frenato da ragioni squisitamente strategiche. D’altronde, quando uno standard è ben radicato, nel senso che è ampiamente adottato dalle aziende e altrettanto ampiamente ricercato dai consumatori, si crea una naturale inerzia che rende particolarmente difficile sostituirlo con uno nuovo anche se tecnologicamente superiore e innovativo.
Toccando uno dei temi chiave di questo libro, Andrea Giannaccari sottolinea con estrema efficacia che «le positive esternalità di rete possono risolversi in elevate barriere all’entrata - sapientemente modellate da strategie di lock-in - con il rischio (tutt’altro che remoto) che la pratica conduca ad una chiusura oligopolistica e che ciò metta fuori gioco o ritardi l’ingresso di tecnologie superiori».50
La crescente necessità di standardizzazione che si rileva in un settore ICT come quello attuale portato sempre più verso la ricerca di convergenza integrazione tecnologica, rimette in discussione pesantemente alcuni dei paradigmi classici della proprietà intellettuale.
Ciò dipende dal fatto che (come fa notare attentamente Massimiliano Granieri) l’attività di standardizzazione si nutre di «un’apparente contraddizione»51 per la quale partecipare alla definizione di uno standard implica necessariamente per le imprese coinvolte “giocare a carte scoperte”, nel senso di condividere con gli altri soggetti coinvolti nel processo il proprio know-how relativo alla tecnologia che si sta esaminando in vista della sua normazione. Ovviamente nel concetto di know-how in senso più ampio, oltre ai vari segreti aziendali che caratterizzano qualsiasi attività di progettazione e sviluppo tecnologico, si contemplano anche (anzi soprattutto) diritti di privativa industriale come i brevetti e i diritti d’autore.
Questo “scoprire le carte” viene chiamato tecnicamente “IPRs disclosure” (dove IPRs sta per Intellectual Property Rights) e rappresenta davvero uno dei punti chiave nell’attività di normazione. È infatti fondamentale che i detentori di diritti di privativa industriale si pongano il più possibile in un’ottica collaborativa e di massima trasparenza, dichiarando fin da subito la titolarità di diritti sulle soluzioni tecniche oggetto della standardizzazione e impegnandosi a non fare usi strategici di questi strumenti di tutela giuridica. Si pensi infatti al caso (non così raro, tra l’altro) in cui una delle aziende coinvolte nel processo di normazione tenesse nascosta agli altri soggetti coinvolti la titolarità di un brevetto su una parte delle tecnologia oggetto dello standard; e rivelasse solo a standard formalizzato e pubblicato la sussistenza di questi suoi diritti esclusivi, richiedendo royalty o addirittura minacciando azioni legali nei confronti degli altri soggetti. Sarebbe un comportamento piuttosto scorretto dal punto di vista etico e concorrenziale, ma soprattutto pericoloso per tutto il sistema della normazione, che rischierebbe di andare in stallo troppo facilmente e di vedere elusa la sua finalità essenziale di creare una piattaforma virtuosa per l’innovazione e l’interoperabilità.
È per questo che i più autorevoli enti di normazione prevedono policy trasparenti e coerenti in materia di proprietà intellettuale.52
Inoltre si consideri che - come detto - spesso lo standard, dopo esser stato formalizzato, potrà contenere a sua volta soluzioni tecniche protette da diritti di privativa ed è fondamentale scongiurare il rischio che l’adozione dello standard “a valle” da parte di operatori estranei al processo di standardizzazione si trasformi in una specie di “trappola”53, con pesanti conseguenze dal punto di vista legale. 54
Questo uso strumentale della proprietà intellettuale è secondo alcuni autori di primaria importanza per il funzionamento degli standard e secondo alcuni autori rischia, se non monitorato debitamente, di trasformarsi in una sorta di “patologia” capace di svilire l’intero sistema della normazione.55
Anche senza essere esperti di diritto antitrust non è difficile intuire come organizzazioni in cui le aziende si accordano sugli sviluppi del mercato scambiandosi informazioni e stabilendo espressamente tempi, modi e prezzi, vengano osservate con particolare attenzione dalle autorità preposte a garantire la concorrenza nel mercato. Qualcuno ha detto emblematicamente che gli enti di standardizzazione possono generare «cortocircuiti alle dinamiche concorrenziali» 56 proprio per questa loro caratteristica.
In ambito europeo la norma che per antonomasia viene chiamata in causa è l’art. 81 del Trattato CE, poi trasfuso nell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea57 espressamente dedicato agli accordi fra imprese (detti anche “cartelli”).
Il primo e il secondo paragrafo sembrano abbastanza perentori nell’applicazione del divieto e gran parte delle fattispecie citate sembrano proprio coinvolgere anche gli enti di normazione.
«1. Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto e per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune ed in particolare quelli consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione; b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti; c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti [omissis]. 2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto.» |
A stemperare tale divieto vi è però il paragrafo terzo che pare esser stato scritto proprio per salvaguardare l’esistenza di pratiche virtuose di accordo fra imprese, quali appunto dovrebbero essere quelle relative alla normazione.
«3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili:
- a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese, - a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, - a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate, che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico [omissis].»58 |
Ciò significa che la Comunità Europea può di volta in volta considerare leciti accordi fra imprese che siano ritenuti non pericolosi per l’equilibrio concorrenziale ed esentare i singoli casi dall’applicazione del divieto di cui al paragrafo primo dell’art. 101 (ex 81).
Non a caso infatti la Commissione Europea si preoccupa di fornire regolarmente indicazioni su come applicare le condizioni previste dall’art. 81, in modo da «aiutare le imprese a distinguere tra gli accordi compatibili con le regole della concorrenza e quelli che non lo sono. Un esempio sono le linee direttrici per la valutazione degli accordi orizzontali (principalmente tra concorrenti) e degli accordi verticali (come gli accordi di distribuzione)». 59
Inoltre, al di là di questo inquadramento generale nel campo di applicazione dell’art. 101 (ex 81), sussistono problematiche specifiche e sicuramente più complesse, come principalmente quelle che implicano trasversalmente i principi del diritto antitrust e il già citato uso strategico dei diritti di privativa industriale nella gestione dell’attività di standardizzazione (si pensi ad esempio a quello che tecnicamente viene definito “patent pooling”60).
Ancora una volta è Granieri a mettere ottimamente a fuoco la questione e a ricordarci che sussistono significativi profili di contatto e contrasto fra l’attività di standardizzazione, il diritto della proprietà industriale e le norme collocate a presidio della concorrenza, «in quanto il diritto sulla tecnologia non significa soltanto possibilità di attuare l’invenzione e commercializzarla [...], bensì controllo sulle possibilità di concorrenza nel mercato della tecnologia e in quello a valle dei prodotti che della tecnologia stessa fanno uso.» 61
Inoltre, si tenga presente che, sempre in virtù della già citata differenza fra il modello USA e il modello europeo, la questione dell’attrito fra standardizzazione e diritto della concorrenza viene trattata con approcci giuridico-economici piuttosto differenti. Questo tuttavia è un risvolto particolarmente complesso, per cui si rimanda alla lettura di fonti specialistiche per un suo approfondimento.
Note
- ↑ Si veda il sito www.treccani.it. La definizione prosegue sottolineando che «gli standard sono fondamentali in particolare nel settore dell’elettronica di consumo, dove assicurano l’interoperabilità di prodotti hardware e software di diversi costruttori.»
- ↑ http://it.wikipedia.org/wiki/Standard.
- ↑ UNI (a cura di), Le regole del gioco, UNI, 2006 (p. 7), disponibile on-line alla pagina www.uni.com/uni/controller/it/chi_siamo/regole_gioco.htm.
- ↑ Tratto dalla pagina www.uni.com/uni/controller/it/chi_siamo/ruolo_uni.htm. Similmente si esprime un riquadro di testo che si trova a pagina 32 del già citato libro “Le regole del gioco” a cura di UNI (p. 32): «Le norme operano nell’interesse dell’intero sistema economico. Ogni attore dei processi di mercato può trovare considerevoli vantaggi dall’uso delle norme poiché esse: potenziano la sicurezza dei prodotti; costituiscono un incentivo permanente alla ricerca della migliore qualità; concorrono alla riduzione dei costi di produzione o di erogazione del servizio o di organizzazione del processo; incoraggiano le economie di scala; facilitano il rispetto della legislazione europea da parte dei produttori; promuovono l’interoperabilità di prodotti e servizi; incoraggiano una maggior competizione; agevolano il libero scambio in tutti i Paesi che le adottano; promuovono la sicurezza ecologica e la sostenibilità; salvaguardano l’ambiente; riflettono lo stadio evolutivo della ricerca e dello sviluppo, garantiscono migliori condizioni di lavoro; promuovono una comprensione comune.»
- ↑ La sigla di riconoscimento di questo standard internazionale è “ISO 216”. Maggiori dettagli su questo e altri diffusi formati standard per fogli di carta sono disponibili al sito www.cl.cam.ac.uk/~mgk25/iso-paper.html.
- ↑ Per una panoramica dei diversi standard di prese e spine elettriche si veda la pagina http://it.wikipedia.org/wiki/Spina_elettrica.
- ↑ «Lo schema QWERTY fu brevettato nel 1864 da Christopher Sholes e venduto alla Remington and Sons nel 1873, quando cominciò a comparire sulle macchine per scrivere.» http://it.wikipedia.org/wiki/QWERTY.
- ↑ L’esempio della tastiera QWERTY come standard de facto è utilizzato nell’interessante articolo Bonaccorsi A. e Rossi C., L’economia degli standard e la diffusione delle tecnologie. L’Open Source non è un assurdo economico, Laboratorio di Economia e Management, Scuola di Studi Superiori Sant’Anna, Pisa, 2002; disponibile on-line all’indirizzo http://www.dvara.net/HK/I2001-02_0.pdf; specificamente si veda il paragrafo 6 dedicato alla diffusione del software Open Source e alla relativa presenza di esternalità di rete.
- ↑ «August Dvorak realizzò la sua tastiera studiando la lingua inglese e posizionando le lettere più utilizzate al centro della tastiera. Le lettere premute meno frequentemente sono state spostate all’esterno e le vocali sono state tutte spostate sulla home row (la riga centrale) a sinistra, così da consentire l’alternanza della mano sinistra con quella destra. In questo modo è stato possibile ridurre il movimento delle dita sulla tastiera, arrecando minor stress alle articolazioni e ai muscoli.» http://it.wikipedia.org/wiki/Tastiera_semplificata_Dvorak.
- ↑ Per questa dicotomia si veda anche la voce “standard” su Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Standard_(diritto).
- ↑ Si veda la voce “Standard de facto” che si trova su Webopedia Computer Dictionary: «A format, language, or protocol that has become a standard not because it has been approved by a standards organization but because it is widely used and recognized by the industry as being standard.» www.webopedia.com/TERM/D/de_facto_standard.html.
- ↑ Si veda la voce “Standard (1)” in Dizionario di informatica (a cura di Microsoft Press), Mondadori (I miti informatica), 2006 (p. 581).
- ↑ www.iso.org/iso/support/faqs/faqs_standards.htm. A fini di confronto si legga anche la definizione che si trova nel documento a cura di ISO/IEC Rules for the structure and drafting of International Standards (disponibile al sito www.iec.ch/tiss/iec/DirectivesPart2-Ed5.pdf): «[a standard is a] document, established by consensus and approved by a recognized body, that provides, for common and repeated use, rules, guidelines or characteristics for activities or their results, aimed at the achievement of the optimum degree of order in a given context (note: Standards should be based on the Consolidated results of science, technology and experience, and aimed at the promotion of optimum community benefits).»
- ↑ A tal proposito si legga la classificazione che si trova in Calderini M., Giannaccari M., Granieri A., Standard, proprietà intellettuale e logica antitrust nell’industria dell’informazione, Il Mulino, 2005 (p. 27).
- ↑ Per un approfondimento di questa dicotomia fra modello USA e modello Europeo si legga Calderini M., Giannaccari M., Granieri A., Standard, proprietà intellettuale e logica antitrust nell’industria dell’informazione, Il Mulino, 2005 (p. 82).
- ↑ Sarebbe interessante un approfondimento del tema alla luce delle categorie tipiche della filosofia del diritto e della teoria generale del diritto. A titolo di semplice spunto si legga quanto scrive Stefano Moroni il quale avvicina norme come gli standard tecnici alla definizione di “regola tecnotattica„. Si veda il par. 2.3.8. in Moroni S., Le regole tecnonomiche, documento disponibile on-line al sito www.giuri.unige.it/intro/dipist/digita/filo/testi/analisi_1998/Moronil.rtf. Molto interessanti le definizioni di norma tecnica ivi riportate: la prima di Caia e Roversi Monaco secondo i quali per normazione tecnica si intende «l’attività di produzione di norme atte ad individuare le caratteristiche tecniche, merceologiche e qualitative dei prodotti industriali da immettere sul mercato nonché, più recentemente, dei sistemi e processi industriali e dei servizi»; la seconda di Lugaresi secondo il quale «la norma tecnica è da considerarsi un documento di riferimento comportante la soluzione a problemi tecnici e commerciali, riguardanti prodotti, beni e servizi, che si pongono ripetutamente nelle relazioni economiche, scientifiche, tecniche e sociali».
- ↑ «Ciò che si persegue non è solo un accordo, una validità pubblica di tipo utilitaristico, ma la piena accettazione del risultato cui si è pervenuti da parte del gruppo impegnato nel lavoro normativo, rappresentativo della comunità nel suo complesso.» UNI (a cura di), Le regole del gioco, UNI, 2006 (p. 22), disponibile on-line alla pagina www.uni.com/uni/controller/it/chi_siamo/regole_gioco.htm.
- ↑ ibidem (p.26).
- ↑ ibidem
- ↑ Si veda la pagina web: www.iso.org/iso/standards_development/processes_and_procedures/how_are_standards_developed.htm.
- ↑ «The need for a standard is usually expressed by an industry sector, which communicates this need to a national member body. The latter proposes the new work item to ISO as a whole. Once the need for an International Standard has been recognized and formally agreed, the first phase involves definition of the technical scope of the future standard. This phase is usually carried out in working groups which comprise technical experts from countries interested in the subject matter.» ibidem
- ↑ «Once agreement has been reached on which technical aspects are to be covered in the standard, a second phase is entered during which countries negotiate the detailed specifications within the standard. This is the consensus-building phase.» ibidem
- ↑ «The final phase comprises the formal approval of the resulting draft International Standard (the acceptance criteria stipulate approval by two-thirds of the ISO members that have participated actively in the standards development process, and approval by 75% of all members that vote), following which the agreed text is published as an ISO International Standard.» ibidem
- ↑ UNI (a cura di), Le regole del gioco, UNI, 2006, disponibile on-line alla pagina www.uni.com/uni/controller/it/chi_siamo/regole_gioco.htm (p. 108).
- ↑ Tra l’altro, nel caso di norme ISO, vi è una revisione periodica della norma che avviene almeno ogni cinque anni.
- ↑ ibidem (p.25).
- ↑ http://webstore.uni.com/unistore/public/conditions.
- ↑ A titolo di completezza è importante segnalare un interessante orientamento giurisprudenziale secondo cui alla documentazione prodotta dagli enti di normazione di matrice pubblica/governativa sia da applicare il disposto dell’articolo 5 della legge 633/1941, che esclude dalla tutela di diritto d’autore i testi degli atti ufficiali dello stato e delle pubbliche amministrazioni. Si legga a tal proposito la sentenza del caso Centro elettronico it. vs Soc. Hoepli ed., Corte appello Milano, 3 marzo 1995 (in Giust. civ. 1996, I, 203).
- ↑ Come vedremo, alcuni autori stigmatizzano questo comportamento indicandolo come una minaccia a tutto il sistema della standardizzazione. Si veda a titolo di esempio la pregnante ricostruzione fatta da Carlo Piana a proposito del caso Rambus: www.piana.eu/rambus_ce.
- ↑ Calderini M., Giannaccari M., Granieri A., Standard, proprietà intellettuale e logica antitrust nell’industria dell’informazione, Il Mulino, 2005 (p. 28).
- ↑ Un elenco abbastanza completo dei principali enti nazionali di standardizzazione è disponibile alla pagina web www.aib.it/aib/lis/s.htm e comprende in ordine alfabetico: AENOR (Asociatión Española de Normalización y Certificación), AFNOR (Association française de normalisation), ANSI (American National Standards Institute), BSI (British Standards Institution), DIN (Deutsches Institut fur Normung), DS (Dansk Standard = Danish Standards), ELOT (Ellinikos organismos typopoiiseos = Hellenic Organization for Standardization), GOSTR (Gosstandart Rossii = State Committee of the Russian Federation for Standardization and Metrology), IBN (Institut Belge de Normalisation), IPQ (Instituto Português da Qualidade), IST (Icelandic Standards), MSZT (Magyar Szabványügyi Testiilet), NEN (Nederlands Normalisatie-instituut), NISO (National Information Standards Organization), NSAI (National Standards Authority of Ireland), ON (Österreichisches Normungsinstitut), PKN (Polski Komitet Normalizacyjny = Polish Committee for Standardization), SCC (Standards Council of Canada), SFS (Suomen Standardisoimisliitto = Finnish Standards Association), SII (Standards Institution of Israel), SIS (Standardiseringen i Sverige = Swedish Standards Institute), SNV (Schweizerische Normen-Vereinigung in Winterthur = Swiss Association for Standardization), TEI Consortium (Text Encoding Initiative Consortium), UNI (Ente nazionale italiano di unificazione), Unicode.
- ↑ Esistono anche realtà meno storiche e meno attive, come ad esempio l’Ente Nazionale di Ricerca per la certificazione e la standardizzazione, riconosciuto come persona giuridica dal 2004 e mirato ad un’attività più che altro di mera ricerca; il sito dell’ente è www.enrstandards.org.
- ↑ www.uni.com/uni/controller/it/chi_siamo/ruolo_uni.htm.
- ↑ Maggiori informazioni alla pagina web www.uninfo.polito.it/present.htm del sito ufficiale di UNINFO, dove si legge: «Rientrano nel suo campo di attività i sistemi di elaborazione e di trasmissione delle informazioni e le loro applicazioni nelle più diverse aree, quali, ad esempio, le attività bancarie, le carte intelligenti, la telematica del traffico, l’automazione industriale. In questo ambito l’UNINFO, ente federato all’UNI, opera con delega UNI, a livello nazionale ed internazionale e rappresenta l’Italia presso l’ISO, l’ISO/IEC JTC 1 e il CEN».
- ↑ www.ceiweb.it/Frame02.htm?Settore=Chi&Finestra=presenta.html.
- ↑ II sito istituzionale del CEN è www.cen.eu.
- ↑ European Free Trade Association (Associazione europea di libero scambio), ente fondato nel 1960 come alternativa per gli stati europei che non volevano entrare nella Comunità Economica Europea, ora Unione Europea. Il suo sito ufficiale è www.efta.int.
- ↑ Ente con sede a Sophia Antipolis (Francia), fondato nel 1988 dalla Conferenza Europea per le Poste e Telecomunicazioni (CEPT); il suo sito istituzionale è www.etsi.org.
- ↑ Ente con sede a Bruxelles (Belgio), fondato nel 1973 e responsabile della normalizzazione europea nell’area dell’ingegneria elettrica; il suo sito istituzionale è www.cenelec.org.
- ↑ II suo sito istituzionale è www.ecma-international.org.
- ↑ In verità, il termine ISO non è un vero e proprio acronimo, nonostante in inglese l’ISO venga chiamata International Standards Organization. Il termine ISO deriva invece dal greco isos che significa “uguale”, quindi uniforme, standard.
- ↑ http://it.wikipedia.org/wiki/ISO.
- ↑ Per maggiori informazioni si veda http://it.wikipedia.org/wiki/ISO_9001.
- ↑ Cioè il famoso codice IBAN (International Bank Account Number) che ci viene richiesto per le operazioni bancarie. Maggiori informazioni alla pagina web http://it.wikipedia.org/wiki/ISO_13616.
- ↑ Ovvero l’International Standard Book Number, il codice identificativo che ogni libro in commercio dovrebbe possedere per essere individuato su scala internazionale e dal quale si trae il codice a barre presente sulla copertina dei libri.
- ↑ Il sito istituzionale dell’IEC è www.iec.ch.
- ↑ Il sito istituzionale dell’ITU è www.itu.int.
- ↑ http://it.wikipedia.org/wiki/International_Telecommunication_Union.
- ↑ Calderini M., Giannaccari M., Granieri A., Standard, proprietà intellettuale e logica antitrust nell’industria dell’informazione, Il Mulino, 2005 (p. 17).
- ↑ ibidem (p. 91)
- ↑ Così si esprime Granieri all’inizio del primo capitolo del libro: «La disciplina delle privative in rapporto alle tecnologie soggette a processi di standardizzazione rappresenta una delle ultime frontiere del diritto industriale. Si tratta di un aspetto che, a ben vedere, si alimenta di un’apparente contraddizione, poiché il regime proprietario connesso con la disciplina della proprietà intellettuale si confronta con il carattere tendenzialmente “aperto” degli standard come tecnologie la cui condivisione rappresenta una condizione di accesso al mercato», ibidem (p. 17)
- ↑ «Il fatto che diverse tecnologie tutelate da diritti di proprietà intellettuale vengano inserite in uno standard può rendere più agevole il processo innovativo, ma può dar luogo a condotte strategiche da parte di chi detiene le privative. [...] Il modo con cui le standard setting organizations fronteggiano gli aspetti legati alla gestione dei diritti di proprietà intellettuale risulta di vitale importanza.» ibidem (p. 100).
- ↑ Alcuni parlano non a caso di “patent ambushes”. Per approfondire questo argomento si legga Hueschelrath, Patent Ambushes in Standars Setting Organizations. Implications for Antitrust Policy and the Design of IP Rules, AEA, 2008 (www.aea-eu.net/2008Tokyo/DOCUMENTS/Publication/Abstract/HUSCHELRATH.pdf); oppure Farrell, Hayes, Shapiro, Sullivan, Standard Setting, Patents, and Hold-Up, 74 Antitrust Law Journal No. 3 (2007]; o più semplicemente http://en.wikipedia.org/wiki/Patent_ambush.
- ↑ «È evidente che la scoperta dell’esistenza di un brevetto molto tardi nelle fasi di sviluppo del prodotto o dell’applicazione pone lo sviluppatore dell’innovazione a valle in una condizione di estrema debolezza contrattuale». Calderini M., Giannaccari M., Granieri A., Standard, proprietà intellettuale e logica antitrust nell’industria dell’informazione, Il Mulino, 2005 (p. 25).
- ↑ Si legga la stigmatizzazione effettuata da Piana a proposito del già citato caso Rambus: «Ghosts haunt the standardization process. They go by several names and come in different forms: “standards abuse”, “standards hijacking”, “patent ambush”, “royalty ambush”, “patent trolling”. The standardization world has never been so much under fire. Some companies try to bend the standardization process to fit their own selfish interest, without any regard for the common weal. Some others just sit and wait until some of their patent claims are “necessarily infringed” by a standard, the industry is locked in, and then pass the hat to collect the high toll that standard-abiding companies are forced to pay, in spite of the licensing rules of the standard setting bodies (SSB) that would require Reasonable And Non Discriminatory conditions (RAND) as a prerequisite for inclusion of any patented contribution into the standard. Others do the same, but in addition they actively seek to seed the standards with their own patented technology.» Piana C., Rambus and patents in standards, 2009; disponibile on-line al sito www.piana.eu/rambus_ce..
- ↑ Giannaccari M. e Granieri A., Standardization, Intellectual Property Rights and the Evolution of the Information Industry in Europe (2003), disponibile on line alla pagina www.fondazionerosselli.it/DocumentFolder/Key_Wireless.doc.
- ↑ Si veda www.osservatorioantitrust.eu/index.php?id=619.
- ↑ Per un approfondimento si veda il recente Regolamento (UE) N. 330/2010 della Commissione del 20 aprile 2010 relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate.
- ↑ http://ec.europa.eu/competition/consumers/legislation_agreements_it.html.
- ↑ «Il Patent Pool è un consorzio di almeno due compagnie e che si accordano per scambiarsi licenze brevettuali, relative ad una particolare tecnologia.» http://it.wikipedia.org/wiki/Patent_pool. Per approfondire l’argomento si legga l’interessante libro di Colangelo G., Mercato e cooperazione tecnologica. I contratti di patent pooling, Giuffrè, 2008
- ↑ Calderini M., Giannaccari M., Granieri A., Standard, proprietà intellettuale e logica antitrust nell’industria dell’informazione, Il Mulino, 2005 (p. 33).