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Libro XIV

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Libro XIII
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DELLE CRONICHE

DI TRENTO,

DI GIANO PIRRO PINCIO

LIBRO DECIMOQUARTO.

Dedicate all’Illustrissimo Signor Aliprando Clesio.


CC
esare allora, che da varij pensieri di si pericolosa guerra era agitatto, & da communi pericoli commosso, havrebbe volluto per quanto stava dal canto suo vivere più tosto col giuditio d’huomini giusti, e prudenti, che con l’armi, è trionfare più tosto con la pace, e con la gloria della Christianità, che con le straggi: perloche sentì non senza suo cordoglio, quanto stranamente dal Gallo venia diffamato, & n’haveva da diverse parti havuti indubitati avisi.

Cesare contro sua voglia esce in campagna contro gli Francesi. Certificato ancora delle conditioni inique, conoscendo altresi non comportare la di lui riputatione il far la pace con tanto pregiudicio, & e dispendio del proprio honore col Francese, sospirò essere contra sua voglia provocato, e di nuovo costretto à far guerra col Gallo, è contra Christiani, quali più volontieri havrebbe volsuto diffendere, che contrastare. Si vidde ad ogni modo constretto, svanita ogni speranza di pace, qual sommamente bramava, à prendere l’armi. Disputosi sopra ciò in voce, ma in darno. Perche era chiaro, che quando esso non havesse dato aiuto à Taurini, ò Piamontesi, il Re di Francia si sarebbe avanzato nella pianura di là dal Pò, e superati gli Milanesi, già d’ogni intorno circondati, si sarebbe impadronito di tutta l’Italia, e le Città confederate col Sacro Romano Imperio. E ramentando le cose [p. 377 modifica]passate non sapea se non sperare vittorie, è trionfi, massime considerando la guerra dalla sua parte essere giustissima, e dove consisteva la gloria dell’Imperio; Non vertendo la differenza qual di due dovesse restare in campo, ma qual havesse da commandare, ed esser superiore, che perciò doveva la guerra esser più rimessa, che se fosse stata circa le lor vite. Confidava spaleggiato dalla propria conscienza, di levarsi ogni pericolo, e da faticosa guerra riportare condegno honore. Quanto haveva in questa causa assonto, protestava essere per la commun salute.

Quindi subito in Italia si diede à formar Esercito, altri parimente venuti di Spagna sbarcavano nel Genovese, molti furon ad instanza di Cesare mandati di Germania. Quelli di Borgogna spedirono squadroni forbitissimi di Cavalleria delli più eletti, tutti principali di quel paese.

Gli Italiani diedero fortissima Fantaria, è Cavalleria spedita: hebbe Capitani valorossimi, Italiani, Spagnuoli, Tedeschi, e Prencipi di gran fama. Alfonso Marchese di Hisconia, Castello d’Italia nella Provincia di Ferrentana, à nostri tempi chiamato volgarmente il Guasto (per dar luogo anco alli nomi pelegrini, che desiderano essere annoverati frà le falangi Romane) fù constituito Capitano Generale della Fanteria, Ferdinando Gonzaga, della Cavalleria, e Generalissimo di tutta l’armata Antonio Leiva, huomo da lui conosciuto essercitatissimo nell’arte militare. L’armata maritima commise ad Andrea Doria.

Il Re Francese havendo di già conosciuto l’animo dell’Imperatore, che in breve havrebbe scaricato sopra le Fortezze, e Città di Francia, fece la scielta di tutto il Regno, mandò Capitani in Italia con grosse summe de danari per ammassar genti, & indi cavar soldati. Si rese amici, e confederati gli Svizzeri, dal Re d’Inghilterra con cui haveva renovata l’antica parentella gli fù mandata una fiorita Fanteria, ridusse sotto le di lui insegne molti Thedeschi, che habitano ambi le ripe del Fiume Reno, è finalmente hebbe in suo aiuto molti Prencipi, à quali, ritrovandosi in pericoli, diede aiuto, ò scacciati, gli ricevette sotto la sua protettione, & tutti gli somministrarono, conforme il potere, compagnie ausiliari.

L'Imperatore si porta in Lingua d'oca. Frà tanto Cesare formato nuovo, e numeroso Esercito, superò le gravi difficoltà dell’Alpi, & per le strette, e precipitose aperture de Piamontesi, ove il passo e sdrucioloso, è pieno de pericoli, per dove à pena si può condure un Cavallo avanti l’altro, callò nella Provincia di Narbona con pensieri hostili, diffeso, è [p. 378 modifica]sicurato dalla Cavalleria cominciò à scorere d’ogni intorno, è rovinare gli confini della Francia.

Intesa dalli Francesi la venuta di Carlo, spaventati, si ritirono tutti frà le mura delle Città, salvandosi frà gli ripari. Il Francese và incontro à Cesare al Fiume Rodano. Il Re prima ben munite, e con bravi presidij assicurate le Città, con tutto il grosso andò alla volta di Cesare, al Fiume Rodano, non tanto per impedirlo dal varco, sapendo benissimo, che quando fosse passato all’altra riva, angustiato dalla penuria de viveri, facilmente venendo à giornata, s’havrebbe potuto vincere, senza che pur uno ne scampasse; perche haveva egli di già condutti tutti gli viveri nelle Fortezze: ma per far vedere, che tutta la Francia era in arme, & insieme per far constare al nemico, che egli era in persona in Campagna, à diffesa del proprio Regno. E perche haveva spiato l’animo dell’Imperiali di venir subito à giornata, à fine di terminare in un baleno le differenze con l’armi, per non morire di fame, ò d’inclemenza di temperie, cose già da loro prevedute: conoscendo che quando vi fossero fermati lungo tempo si sarebbon ridotti in pochi, e quelli resi inutili, per seguire, è dar fine alla guerra, senza suo pericolo, e per deludere l’inimico dalla conceputa speranza, comandò, che gli suoi non si esponessero à giornate: Stimando cosa più prudente, è sicura il combattere frà le mura, che mettersi à rischio din dubbioso conflitto, & temerariamente esporre tutto il Regno à sbaraglio di cieca fortuna. Ha questa in costume rivolger, e precipitare à suo modo le cose della guerra: L’istessa virtù ad ci costei imperio resta oppresso, e fracassata. Si deve aspirare più con consiglio, che con la forza alla vittoria. L’inimico, (trà se diceva) astreto da necessità da per se sloggiarà, lasciando il paese libero.

Mentre gli Francesi diffendevano l’altra riva del Fiume, con prohibitione, che non passassero il Fiume, occuparono gli Cesariani alcuni Castelli di quella Provincia al primo assalto: Altri senza presidij, da quali anco buona parte de paesani per paura s’eran partiti, si resero spontaneamente.

Altri per il sito del luogo, & per artificio humano forti, & da buoni soldati presidiati, è diffesi, perche stimavano, che senza grave lor danno, e stragge non gli poteano superare, gli circondavano con quella scielta Cavalleria, della quale (come dicessimo) era Generale Ferdinando Gonzaga, Capitano di gran virtù, bravo, & esperto, e che non conosceva superiore in quella profissione.

[p. 379 modifica]Alcuni de soldati per provocare gli Francesi à battaglia, gli diceano milla vituperij, gli caricavano d’ignominie, gli trattavano da codardi, dicevano esser cosa vituperosa, che veri soldati stijno, à guisa di conigli, e vil greggie di pecore serati, frà gli ripari nascosti, e solo frà le mura sapersi diffendere.

La virtù (dicevano) non si scopre se non in campo aperto, bisogna combattere da vicino all’aperta, non frà le trincere rinchiusi, si devon oppore à nemici gli scudi, non i muri. Ove è il vostro valore? Eh non sete veri soldati, non temono questi, ma si espongono à chiunque volle seco combatere. Sù uscite valorosi, mostrate la vostra antica virtù, fuori alla battaglia, fatte pompa della vostra franchigine, vi sfidiamo, ove è quella antica intrepidezza? se sarete veri Franchi uscirete, desideriamo provare s’è vera la fama di voi sparsa. Bisogna finir la guerra con l’armi in mano, fà di mestiere il combattere: Avanti però veniate di zuffa, prendete il consiglio dal vostro Re, vi saprà dire che sijno gl’Imperiali, perche lo facessimo preggione sotto Pavia. Hà voluto superar Cesare l’Alpi, & venir in Francia, per provare in battaglia se sij tanta la ferocità Francese, quanta ce la dipinge la fama, e quanta essi, mentre son in casa loro la predicano: Procurino di nuovo, & conoschino meglio contra quali armate habbino da combatere, facin scielta delle più brave lor compagnie, che parimente faremo noi il simile, s’azzufino queste assieme, indi potrano à pieno scorgere nella virtù delli Imperiali, che cosa si possa sperare dalli lor reggimenti.

Non sparmiavano finalmente à cotumelie, e vituperij per alterar gli animi nemici, è provocargli à battaglia. Hebbero in quella fiata la patienza di Socrate, non sò, attesa la lor natura, come puotero contenersi. Havrebbon volsuto con la lor solita furia assaltare, e dar à dosso alli Cesariani, arrabbiavano inviperiti per non poter uscire al cimento, ritenuti dal comando Reale. Guerra difficile. Andava saggiamente il Re tirando il lungo la giornata, è così d’un giorno all’altro differendo, pretendeva stancar l’inimico, è travagliarlo con la fame, perche gl’era d’ogni intorno chiusa la strada, per le cose necessarie, potendosi da una sol parte condure gli viveri, e quelli anche assai scarsi per un Esercito tanto numeroso, il formento era poco, si che eran costretti mangiar biscotto, di questo manco havendone à sufficienza, & alcuni frutti, che ne arbori ritrovavano immaturi.

Vedendo l’Imperiali, che niuno si preparava all’uscita, & che [p. 380 modifica]frà le mura, serrate le porte, s’osservava essato silentio, stupidi, & attoniti di tal novità, per non dir miracolo, ritornavano indietro, disperata l’occasione di venir à battaglia. Non mancarono però molt’altre volte mostrarsi desiderosi di combattere.

Mossero per tal effetto l’Esercito di luogo, condussero più volte la Cavalleria fuori dell’Esercito, infestando, e scorrendo il Paese, piangendo frà tanto gli paesani frà le mura la lor disgratia; Stettero sovente per dar commodità, & occasione al nemico di venir à giornata gli giorni intieri digiuni, è lassi nel campo, ò pianura, che giaceva avanti gli squadroni, ma non riuscendo loro, quanto pretendevano, ritornavano al Fiume Rodano.

E per tirar al bramato cimento l’armata Francese, che alloggiava, e se ne stava dall’altra riva del Fiume, hor gli provocavano con strepiti militari, hor cercavano il guado del Fiume, se per aventura per qualche parte, ove era manco profondo havessero con la Cavalleria potuto à nuoto passarlo; Ma gli Francesi, che sapevano gli ordini Reggij, non mai affrontarono l’inimico, ne sfidati giamai s’arrischiarono venir alle mani. Cosa che sommamente cruciava l’Imperatore, scorgendo il tempo frustatoriamente speso, oltre ciò levatagli ogni speranza, e commodità di combattere.

In Fiandra parimente, gli Capitani, che di suo ordine dovevano condurre l’armata di quella natione contro Francesi, facevano altrimente da quello, che esso haveva commandato, perciò ondeggiava in un Mare di pensieri raggirava per la mente infinite cose.

Considerava il Rodano Fiume rapidissimo, e precipitoso, nel cui fondo dal gran impeto dell’onde vengon continuamente ruotatte grosse pietre, impossibile à passarsi à guado, difficilissimo, e pericolosissimo fabricarvi sopra un Ponte, l’altra riva rovinosa, consumata, e senza strada, & la salita difficile, qual anco se si superasse, & se ne uscisse con salvamento, restarebbe solo il poter (cosa più dell’altre pericolosa) scorrere le campagne desolate, & dalli Agricoltori abbandonate, condotto il buono, & il migliore nelle Città più forti, e ben munite. L’inverno esser vicino, quando havesse voluto attacare, & assediare Fortezze correva pericolo, che gli soldati congelati dal fredo morissero. S’aggiungeva gli gravi patimenti de viveri, disaggi, che accopiati con altri erano stati cagione, per la quale buona parte del suo Esercito era mancata, è morta. Et ancorche fossero ordini in Italia di somministrargli giornalmente vettovaglie, & havesse spediti molti in [p. 381 modifica]diverse parti per procacciare speditamente frumenti, il tutto però con estrema scarsezza.

Gli Capitani Fiamenghi (il che più del rimanente l’angustiava) à quali haveva datto ordini espressi d’attacar l’inimico alla schena, essersi avanzati poco, havendo egli, e tutto l’Esercito conceputo speranza, che dovessero, ad onta del nemico, penetrare per mezzo la Francia, è condursi al Fiume Rodano.

Gli Francesi, che da per sè solevano provocar l’inimico à conflitti, hora fuori della lor natura ricusare di combattere, non restandogli hoggimai più commodità di venir à giornata, il tutto esser riuscito al peggio, parendo, che le stelle combattessero le stelle con la virtù, esser loro prolongata, non già levata dalle mani la vittoria, haver il Re Francese schivata la stragge per quella volta, abenche non assolutamente per essersi differita ma non fugita, dandogli l’Animo quando la staggione permesso l’havesse, al dispetto della fortuna di potere rovinar quel Regno: mà di già gli Fiumi, che rotando dall’Alpi, precipitosi calavano, in modo vedeva ingrossirsi, che la copia dell’acque non capiva frà gli loro vasi, e per la continuatione delle gran piogge era impossibile gli Soldati stassero in Campagna, onde parendogli haver presa la guerra con gli superi, à quali, & alla necessità, con cui stoltamente si contrasta, devesi à tempo cedere, stimò bene fugire le stratageme humane con la prudenza, e maturi consigli, impossibile scapare quanto da Dio vien disposto.

Da queste dunque, & altre cause Cesare fù costretto, ritornar in Italia, e riservar l’armi à maggior opportunità.

Commandò dunque si battesse la ritiratta. Cesare ritorna nel Genovesato. Et avanti più incrudelisce la stagione invernale, & il Mare dalle innondationi de Fiumi più oltre si diffondesse per l’Alpi maritime, si ridusse dietro al Genovesato, ne però hebbe tutte le disgratie, perche ritornò di Provenza sano, è salvo col rimanente dell’Esercito, & à pena s’era partito da confini Francesi, che le campagne per gli gran diluvij tutte innondate nuotavano. Parve che Cesare sforzato dal supremo mottore havesse quella volta perdonato al nemico. Queste, & altre cause constrinsero Cesare, à lasciar quell’impresa.

All’incontro Francesco potentissimo Re di Francia, che mai volse combattere, fù stimato, ricusando gli conflitti, haver prosperamente combatutto.

Mentre in Francia si faceva guerra, il Clesio recuperate [p. 382 modifica]alquanto le forze, aspetato, partì l’ultimo di Maggio per Insprugh, ove il giorno avanti s’era portato dalla parte dell’Austria Ferdinando, al quale espose per ordine l’operato della legatione Italiana, & gli ordini all’incontro ricevuti da Cesare, racontò poscia minutamente le pericolose commotioni di guerra, si d’Italia, come d’altri luoghi, e finalmente spiegò (conforme esso sentiva) in qual guisa, & con quali conditioni potevasi stabilire una ferma pace, è confederatione frà gli Prencipi Christiani.

Il Trentino, huomo sapientissimo. Soggiunse potersi quella introdurre, & insegnò di vantaggio cosa di dovesse fare, acciò le Provincie Reggie non fossero sottoposte à militari tumulti. Fù questa materia proposta, e ventillata più volte, si che con lunghi discorsi consummarono per questi interessi più di due Mesi. Haveva inteso il Trentino, che il Re doveva in breve venir à Trento, cosa da lui tanto bramata, & che più volte n’haveva supplicato Sua Maestà, onde tutto pieno d’allegrezza, ritornò fretoloso alla Patria, dimostrando in volto non restargli cosa, che più di questa potesse desiderare, affine di giongere all’auge delle felicità.

Per questo pensò esser necessario usar ogni diligenza, acciò nel far gli preparamenti non si mancasse, con offesa di tanto gran Prencipe, e propria, in conto alcuno. Preparamento per ricevere il Re Ferdinando Mandò in diverse Città di Italia, è Germania, per ritrovar ogni sorte di fercule, commandò non solamente si spendesse, ma portando il bisogno anco si spargesse il danaro, acciò fossero in pronto tutte quelle cose, che sono necessarie à lautissima mensa, & si potessero desiderare d’appetitti più che delicati. Diede ordine, che il Castello Episcopale, poco avanti, con indicibili spese restaurato, & il Palazzo fabricato da fondamenti, degno d’essere annoverato fra gli superbi edifitij d’Italia, fusse tutto, con ogni diligenza, di razzi di Bertagna, e di rossi broccati adobbato, con metter in ordine gli letti superbissimamente adornati. Ordinò che si disponessero parimente quadri di metallo, quasi che spiranti, d’huomini eggregij, & volti, che sembravano vivi, de nostri antenati, in luoghi eminenti, per le sponde delle stanza, e sale; quali potessero subito à se rapire gli occhi di quelli che fossero entrati, è con gli esempij svegliare, & eccittare gli animi. S’haveva gran cura d’ogni particolare, non si transcurava cosa, che inventar si potesse, per dichiarare l’ossequioso animo di questo Prelato, verso la Real Maestà, messe in ordine le cose famigliari, & impose à pratici, (da quali si richiedeva l’opera da farsi, conforme il tempo, e luogo) la cura, è [p. 383 modifica]sopraintendenza delle cose publiche, e private. Eran necessarie consimili vigilanze, imperoche volse, che tutta la Città s’adornasse convenientemente, con correspondenti apparati, e si ricevesse con tutti gli honori, & accoglienze possibili una si fatta Maestà.

Congresso Provinciale in Bolgiano. Ritornò indi, ove era stato intimato il principal Congresso, à Bolgiano, prevene la di lui venuta Sua Maestà, qual nel proprio Palazzo, in cui s’addunarono tutti gli chiamati da diverse Provincie, sovra Trono Maestoso, in poche parole spiegò la causa, per la quale era stata congregata quella Dieta. Genio affabile, e soave del Trentino. Ciò havendo inteso il Trentino, & conoscendo non esser cosa da facilmente potersi ottenere, quanto era dimandato, con tanta piacevolezza, humiltà, e prudenza, come huomo di natura suoave, & di genio amabile maneggiò il partito, che in publico, e numeroso congresso fù offerto dono tale, qual per l’adietro mai fù essibito.

Concorsero tutti nel di lui parere, che il danaro promesso in donno lo sborsassero in sei uguali rate anuali.

Spedite, (conforme bramavano) queste cose, licentiata la Dieta, gli otto Novembre, giorno della Natività di nostra Signora, celebrati solenemente conforme il rito Christiano, in apparati Pontificali gli divini officij, & la Santa Messa, alle quali il Re, & la Regina, che sin colà volse seguire il marito, & altri Principi di diverse Provincie, in buon numero furon presenti.

Mi persuado, che all’hora il Trentino si sforzasse mostrarsi alla Real Maestà festoso, di gioia, e giocondità ripieno, più al vivo, di quello che mai in altre occorrenze fatto havesse posciache il Re la prima volta si degnava d’honorare con la Real presenza la sua Diocese: e per ricevere con tutte le convenevoli accoglienze quello, che hora di sua spontanea volontà non (ostante che molte volte con humili, ma efficaci instanze lo havesse invitato) veniva à favorirlo, avengache sempre si dichiarasse suo riverente Capellano, e desiderasse in ogni modo dimostrarsi tale quale (come diceva) havrebbe voluto essere.

Il giorno seguente à queste sacre cerimonie, e solene Messa, ritornò il buon Vescovo à Trento, acciò, se vi fosse cosa da essequire, incontanente da quelli, che havevano la cura di por in ordine la corte, & la Città si effettuasse.

Furon molti à diversi officij destinati, di modo, che con indicibil prestezza si riduceva ogni cosa à segno, sapendo ogni uno qual fusse il suo officio: non v’era confusione alcuna, ma tutto si faceva con ordine.

[p. 384 modifica] Mentre gli Trentini si trattenevano in queste sue facende occupati, e snelli correvano per ogni cantone, acciò il tutto restasse ben accomodato: gionse nuova, qualmente il Re gli tredeci Novembre partì con la Corte dalla Villa di San Michiele, ove era stato la notte.

I Trentini alla venuta del Re gli escono incontro. All’hora il Cardinale Clesio, per non mancar del suo debito in ricevere Prencipe di tant’altezza, mandò avanti, sin al Ponte del Lavis, per incontrarlo, e servirlo Christoforo Madruzzo, Decano di Trento il Vinciguerra d’Arco, e Lodovico di Lodrone, Conti, & Aliprando Clesio, quali in suo nome riverissero, & ricevessero quella Real Maestà. Potevano ivi con maggior commodità essequire gli ordini à loro imposti, che in altro luogo, perche è tanta la strettezza del passo, che non admette caterve de fanterie, ò Cavallarie in cumulo, essendo necessario passino con lungo ordine, quasi ad uno, ad uno, & in niuna maniera à schiere.

Il Clesio esce per la Porta di San Martino Per il che fù cosa più facile l’accostarsi, e parlare di vicino in quel luogo al Re. Non molto poi in persona, con honorevol commitiva uscì dalla Porta di San Martino. Andavano avanti mille huomini in habiti militari, e d’armi ben provisti, ma principalmente per la lor grande, & ben proportionata statura riguardevoli. Seguirono gli feudatarij della Chiesa Trentina, i Cavallieri, & gran moltitudine de Cittadini, sparsa per ricevere quelli gran Prencipi, & il Re di tanta dignità, e grandezza adorno.

Vassi incontro alle Reggie Corone. Cinto il Trentino da quella nobil compagnia, andò ad incontrarlo sino di là da Gardollo, Villa ne confini della sua giurisditione, ove con ogni riverenza possibile gli ricevè, & con indicibile allegrezza delli astanti gli accompagnò alla porta di S. Martino. Il Re Ferdinando fà la sua entrata ne la Città. Di già era processionalmente sin colà uscito il Collegio de Sacerdoti, tutti vestiti di veste purpurate, & tessute d’oro, quello, che precedeva gli altri porse, (conforme il costume) la Croce da bacciare alla Real Maestà, quale poscia sotto baldachino sacro, portato dalli principali Dottori della Città, per le frequenti, e fausti acclamationi de populi, dalli primati riccamente vestiti, e con ordine alle bande disposi, che lo seguivano à piedi, fù condotto sino alla Chiesa, à S. Vigilio dedicata, & in mezzo della Città situata. Ove per alcune vie secrete, e ritorte per quali più presto si fà il viaggio, di già con passo fretoloso era arrivato il Vescovo, e vestitosi in Pontificale, non tantosto entrati la prima porta della Chiesa, fece per loro efficaci orationi, & rese le dovute gratie à Dio, & à S. Vigilio, padrone della Città. Accompagnarono poscia il Re in Castello, [p. 385 modifica]ove in allogio, e mensa con real magnificenza, e sontuosità preparata, lautamente, e con riverente cortesia accolti, s’assisero: Convitto lautissimo. non questi solo, ma anco gli loro cortegiani, e primati, quelli parimente che sono soggetti alla Chiesa Trentina, e gli huomini nobili commandati, andarono à Tavola, e con questo gran numero di Matrone, de quali molte, chiamate, venero di lontano paese, ad instanza del Trentino, per honorare la Regina. Ti havrebbe reccato meraviglia sopra ogni cosa, il vedere quella tanta illustre bancata di Cavallieri, e Dame in lungo ordine disposti sedere alla Mensa.

Gli convittati, mirando la grandezza delli edificij, le fabriche, fatte a volto, l’indorate soffite, la sontuosa, ed inaspettata afluenza, & abbondanza delle fercole, restarono per il gran stupore senza spirito. Tutti confessavano, e publicamente l’affermavano opere tali essere d’animo alto, e generoso.

Quelli superbi convitti di sette giorni continuati, con continuata pompa celebrati, per honorare quelle Corone eccedere le faccoltà del Clesio. Quell’eccessivo modo di spendere, appartenersi à Luculli Romani, gli apparati più Reggij, che da Vescovo; Non solamente non vi fù penuria alcuna, anzi giornalmente imbandivano in gran copia, & abbondanza nuove, e più delicate bandigioni, soverchiando gli triclini, è credenze per la copia inaudita de cibi.

Mentre epulavano in cotal guisa le Real Maestà, per levar ogni sospetto di veneno, le vivande per le loro Real Persone, gli vini scielti, & eletti erano gustati dalli ministri più intimi della Corte, à questo officio designati, per prima farne come si costuma la credenza: sarebbe impossibile narrare tutte le particolarità, onde acciò non fussimo tassati, d’esserci solo occupati in troppo minutamente descrivere l’epulenza di quel sontuoso Convitto, conviene che passiamo ad altro.

Giochi di varie sorti. Non furon di minor stupore gli inventati spetacoli, & i giochi d’ogni sorte, che si fecero à maggior diletto de convitati. Ne toccaremo solo alcuni alla sfuggita. Si tramuttavano gli giochi, sempre comparendo in mezzo nuove scene di cose da ridere, hor le sciochezze de Buffoni, hor gli atteggiamenti de Zani, hora detti sapientissimi, hor laconici, e concisi, & conforme sono varij gli modi, e costumi delli huomini, procuravasi di tenere in allegrezza quelli gran Personaggi: à tal effetto furono molti giocolieri condotti da diversi Paesi, questi avisati uscivano a [p. 386 modifica]tempo, acciò eccitassero con il lor stravagante modo di procedere, e parlare il riso, apportasserogusto, sollevassero gli animi dalle molestie, è per qualche tempo gli distrahessero dalli pensieri di guerra, di modo che gli spettatori mai stanchi, ma dalla varietà de giochi sempre recreati, con lieto animo sentissero, & attentamente vedessero quanto veniva rappresentato, e fatto. Non furon però mai introdotti pazzi vitiosi, e laidi nel parlare, manco vergognosi Buffoni, meno altri, che nelli lor detti faceti prorumpessero in detti men honesti, & gli loro parlari non fussero conditti con sale di temperanza, ma solo tali, che, havuta in consideratione la qualità del luogo, e delle persone dassero conforme la dignità delli hospiti materia di ridere, senza però in contro alcuno offendere l’orecchie pudiche delle Matrone, & altre persone Religiose.

Non fù cosa più ben custodita, che l’honestà, qual era stata raccomandata, e sotto gravi pene ordinata. Fiacole di diverse sorti. Ne tampoco di notte tempo si tralasciò cosa, che potesse dimostrare pubblica allegrezza, perche da tutte le Torri, e Campanili, che in quella Città sono spessi uscivano à guisa di folgori, ardendo di lontano, Torcie fatte di pece, diffondevano queste, e spargevano, per le tenebre l’ardente fiamma, è con tremola luce illustravano gli coperti delle case, in modo che di man in mano, e di contrada in contrada pareva, farsi giorno. Non meno dalli Monti, che alla Città soprastavno vicini vibravano, e lanciavano con occulta, e maravigliosa arte fuochi artificiati. Havresti veduto in quel luogo volar per l’ombre notturne fumiganti balle.

Altrove in sù l’imbrunire, sfere di fuoco vomitarsi, come se uscissero, con infernal furia dalle più cupe caverne de Monti, che poscia nel mezzo dell’aria ripercosse, con gran ribombo si rompevano; come se l’arte imitasse la natura, quando dalla rottura delle nubi si sente il strepito; gli vapori infocati saltavano in diverse parti, quali per la caliginosa notte spezzati, e sparsi in diversi luoghi scorrevano per varij tratti, e bande del Cielo, e disegnando con la fiama la strada, cadevano in terra.

Era parimente cosa di non minor stupore il vedere, per l’altre parti della Città, faci scintilanti, portate per l’aria, che solcato il Cielo, lasciavano di se gli vestigij fatti, altre che in alto ardendo facevano più lungo il lor sentiero, e dopò haver avanti il conspetto del popolo transcorso con la lor gran luce buona parte dell’aria, venivano à nascondersi, e perdersi fra le selve.

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Apparivano, o per dir meglio, pareva fossero dalla terra vomitate, in tempo di notte, diverse figure, ed effigie di solfo, à cui attacato il fuoco, facevano biancheggiare tutte le cime de Monti. Solo gli inventori, e partecipi di si mirabili artificij haverebbon potuto credere, che tutte le imboscate cime de Monti, assieme con la Città, non ardessero da fuochi celesti infestata. Furon tutti questi spettacoli dilettevoli, ma l’ultimo che si rappresentò ne portò la palma, e fù osservato con mirabil piacere d’ogn’uno.

Città di Somoda e di Gomora. Erano nella Piazza, sotto il Castello, gli due Castelli di Giudea, fabricati con mirabil artificio, l’uno de quali si chiamava Gomorra, l’altro Sodoma, colà di lontano, per certe machine fatte, parve spicarsi il fuoco dal Cielo, e senza che niun s’accorgesse intromesso in un baleno, occupò tetti, e mura, per tutto scorgevasi timore, paura, e gridi, discorevano è travagliavano gli Cittadini per salvarsi, altri uscivan dalle Porte, altri si precipitavano dalle mura, si sentivano le ruine, & il romoreggiare delli solari, uscivano per l’ombre le spaventevoli fiame, di modo, che quelle lorde Città, come che tocca da saeta, ò fulmine restarono abbruggiate, & in breve tempo arse, furon ridotte in ceneri.

Piacque assai cotal spetacolo alli Alemani. Questi furon gli incendij di Trento, che dinotavano le presenti allegrezze, ma prenuncij di maggior felicità, quali, mentre con attentione si ammiravano, sentivano ribombare le Artegliarie, disposte per le Mura della Città; che mandando fuori le balle di pietra, o ferro, come se partorissero, rottavano per l’aria con gran tuono gli parti conceputi, e poscia scaricati, di modo che si sentiva l’aere agitatto fischiare, & le valli percosse raddoppiare il suono.

Tutti quelli giorni, che le Real Maestà in Trento dimorano, appresso il Trentino, risonavano gli coperti con frequenti titi di bombarde, per honorare la Maestà di quelli hospiti, e massime la notte si udivano raddopiati. Nozze di Orsola Clesia iposata à Lodovico Conte di Lodrone. Mentre con le sudette inventiva, & sbarri s’honorava la venuta Reggia, sù contratto matrimonio frà Orsola, sorella d’Aliprando Clesio, e Lodovico, Conte di Lodrone, gli 10. d’Ottobre, giorno di Dominica, & ad instanza del Re furon subito celebrate le nozze, questo solo mancando ad ultimare gli piaceri de convitatti. Sarebbon quelle state celebri, & memorabili dalla sol antica schiata d’ambi gli Sposi, e dalli superbi apparati, con ogni diligenza, e pontualità fatti per honorarle. Si resero però più famose, e degne della presenza delle persone Reggie: è non più soggete ad oblivione.

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Sodisfatto oltre modo da quelli superbi apparati il Re, haveva determinato visitare alcuni Castelli del distretto Trentino, che erano (conforme la fama portava) di stanze, architetura, è propugnacoli fabricati con gravi spese, bellissimi, e tutti di razzi pomposamente adornati. Ma dovendo egli andare in altre Provincie, per tentar in quelle, quanto ottenuto haveva nella Dieta, fatta in Bolgiano, piegò l’animo altrove. Partita del Re da Trento. Perilche dovevasi rimovere, e terminare la Real sontuosità, essendo Sua Maestà per negotij publici altrove aspetatta. Mentre donque, il giorno seguente le nozze, felicemente celebrate si preparava il Re alla partenza, sapendo il Clesio niuna cosa essere più conforme il genio humano, che la liberalità, honorò con convenienti doni tutti gli Corteggiani, ciascuno conforme il proprio merito, e dignità. E per non esser tassato prodigo, e gli suoi doni senza consiglio, commisurò il suo potere, e si portò in modo, che la benignità corrispose alle facoltà.

Fece poscia la scielta, essaminando con ogni diligenza gli costumi, è meriti di ciascheduno, à quali doveva conferire il dono, in modo che niuno partì senza esser honorato, secondo il suo stato. Quindi amirarono tutti la benefica natura di quel liberalissimo Prelato. Avengache non si mostrò con minor affetto, & honore nella partenza, che nella venuta, ugualmente honorandogli tanto nella partenza, come nella lor venuta. Il Re tanto lauta, e sontuosamente tratatto dal suo Trentino, non cessava mai di lodarlo, & havendo egli superata ogni di lui credenza s’incaminò verso la Carintia, e pervenuto al Castello San Vitto, ivi celebrò una Provincial Dieta, per provedere alli soprastanti pericoli di guerra, per essersi sparsa fama, che gli Turchi contra gli patti di guerra, stabiliti con buona soldatesca havevano determinato entrare per la Dalmatia ne suoi Regni, e Provincie. Pietro Vursio Nuncio Apostolico. Non molto poi Pietro Vursio, Vescovo Aquense, Auditor di Rota, e Nuncio Apostolico, uno di quelli, che erano destinati in diverse parti della Christianità: per andar in Germania, arrivò in Trento, ove benignamente, e con ogni honore ricevuto dal Clesio, vi si trattenne tre giorni. Vien dato parte al Trentino del Concilio. E questo gli diede parte del Concilio Generale da celebrarsi in Mantova, cosa che fù dal Trentino con ogni allegrezza d’animo, e (come era il dovere) con ogni riverentia ricevuta, & approvata, giudicando di certo, quello essere l’unico rimedio per sollievo della Religion Christiana, che scorgeva da tante calamità attritta, & quasi oppressa.

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Et acciò constasse à tutti gli Prencipi Christiani ciò, che egli sentiva del Concilio, volse dichiararsi con publico instrumento, e lo consegnò al Nuntio Apostolico, che il seguente giorno si partì alla volta di Ferdinando, qual haveva inteso ritrovarsi all’hora nel Castello di Grazz, luogo principale della Stiria, così chiamato da quelli popoli, ove haveva intimato un Congresso Provinciale. Contresso in Gratiano. Furon à pena spedite queste cose, che il Trentino s’accorse soprastargli nuovi pellegrinaggi. Conchiusa la Dieta in Carintia, è Stiria, di già il Re s’era partito alla volta di Viena, ove parimente publicò una Dieta, acciò tutte le Provincie fussero avisate della guerra soprastante.

S’era già sparsa fama, che il crudel Tirano de Turchi machinava aguati contro gli Austriaci. Dubitava perciò il buon Re, s’andasse preparando la ruina non solo del publico, ma anco del privato.

Dunque il Trentino, dovendosi trattare di cose toccanti la Real Maestà, & gli interessi della fede Catolica, chiamato dal Reggio editto, l’anno 1536. gli 24 Ottobre si parti di casa, parte à Cavallo, parte per il Danubio in Barca condotto, e superate le difficoltà di tanto lungo, e travaglioso viaggio, giunse à Viena, avanti fusse terminato il Congresso. Essendosi poscia, per lungo tempo avanti fusse terminato il Congresso esercitato in negotij molto utili, è de quali non era per pentirsi, (ne che poteva darsi à credere, che ciascuno sarebbe stato persuaso haver egli sodisfatto à Cesare, & al fratello) desiderava hoggimai ridur la vita sua, piena di travagli, e molestia, à più soave stato, libero una fiata da tante e si insopportabili fatiche: Ma non gli era concesso esser absente dalla Corte. Che se alle volte gli fù concesso, per special gratia del Re, acciò l’accutezza dell’ingegno non venisse dall’ocio ad inruginarsi, ò perdersi del tutto, applicava l’animo alla lettura delli Sacri Annali, e secreti instituti della Romana Chiesa.

Invigilava parimenti alli publici, e famigliari interessi. Visitò tutto il Territorio della sua giurisditione, regolò la Provincia, la purgò, è lasciola libera d’ogni intrico, annulò molte cose, che parevano perniciose, altre disusate ridusse in uso, come avanti, e solecito del publico governo corresse, è riformò gli Ordini, Leggi, e Statuti della Città.

Castelli ricuperati.Ricuperò con molta sua industria, è fatica, Riva, Mori, Avi, Brentonico, Ala, tutta la Valle Lagarina, & altri luoghi, per antiche raggioni spettanti alla sua Chiesa, che gli tempi passati furon [p. 390 modifica]usurpati, restituendoli tutti al suo Vescovato, à questi aggionse Pergine, qual dal Re ottenne in luogo di Bolgiano.

Ricuperò parimente, & revocò con la sua prudenza, è spese al dominio della Chiesa Palazzi, Case, Possessioni, & molte altre raggioni, vendute, distratte, alienate, & al tutto perse, e depenate, di modo che se per l’avenire alcuno ritiensi qualche cosa in feudo (mi sii permesso usar sovente vocaboli legali) sia necessario riconoscerlo dalla Chiesa Tridentina, il che per molti anni fù trascurato. Castelli restaurati, e adornati. La dove quanto fù diminuito il Vescovato, o per gli diversi travagli, e contrarietà di quelli, che godevano gli anni passati la Città, ò per trascuragine di quei tempi, questo con l’eggregia sua opera, vivente vidde reintegrato: non solamente rifece Riva, per non passar in silentio le fabriche, e Toblino, Castelli, & Fortezze del suo Distretto, che tenevano bisogno d’essere restaurate, ma anco con superbe opere le rese altre tanto belle, e magnifiche. Le spese, che fece in fabricar il Castel di Selva, alla reale, furon in eccesso. Dilettandosi molto di quel luogo ritirato.

Accrebbe, & ampliò parimente con gravi spese il Castel vecchio della Città, altre volte dalle ruine restaurato, da Giovanni Hinderbachio,Vescovo di Trento. Lo fortificò con nuove, e ben forti mura, è propugnacoli, restaurate, rinovate, & abbellite le parti interiori.

Si scrivono queste cose alli posteri, perche gli vivi l’hanno avanti gli occhi, e giornalmente di puono dal popolo vedere tutto gli luoghi sodetti dal Trentino restaurati, overo da atterati fondamenti, sino alla cima inalzati. Chiese rifatte. Le Chiese che erano frà le ruine per negligenza, ò vetustà rovinate, e cadute, furono per sua diligenza, & interesse in buona parte rifatte. Ma principalmente la Chiesa dedicata à Santa Maria Maggiore fù da fondamenti, con pietre di marmori tutta fabricata, con tante spese, è bellezza, che à nostri tempi poche se ne ritrovano, che la eccedino.

Non tanto giovò alle fabriche della Città, che transcurassee le Chiese, e Capelle, che sono nella Diocese Trentina, imperoche la Chiesa di Civisano, Villa non molto discosta dalla Città, parimente consecrata alla Beatissima Vergine nostra Signora, fù principalmente per la di lui assidua, cura, e diligenza, con diverse pietre variamente machiate, che à pena lo potresti credere, di ponti bianchi, rossi, & d’altri colori, che gli taglia pietre di quel luogo ritrovarono, tutta sin dalle prime pietre fabricata. La Città abellita. Dal cui esempio molti popoli spronati d’accessero à fabricarne parimente di [p. 391 modifica]nuove, ò al meno à ristaurar con grossi spese l’antiche. Finalmente si diede con tanta applicatione d’animo per tutto ad accrescere il culto Divino, che non solamente procurava rinovare le fabriche antiche, è consumate, ma anco più di quello che furon da principio polirle. Perche giudicava esser suo officio l’haver cura delle cose attinenti al culto Divino.

Basta che habbiamo toccato superficialmente le sudette cose, non potendosi à pieno spiegare. Fà però di bisogno, che s’estendiamo alquanto nel discorrere delli ornamenti della Città, del Palazzo fabricato, e del Castello Episcopale, dovendo etiandio à questo applicar l’animo, per spiegarne una qualche parte. Suase questo Prelato il popolo, che anzi alle volte con publiche Proclame, & editti constrinse à disporre in ordine, & adornar la loro Città, fabricata all’antica, con gli tetti troppo esposti, e sovrastanti alla Città: opera comminciata dalla diligenza di Giorgio Neidechiero, suo antecessore. Trento abellito, e rinovato. Et in ciò talmente adoprosi, che tutti à gara stimolati da certa cupidigia di lode, inalzarono le Case, & quelle che erano fabricate di pietre communi, ò quadrelli cotti, alcuni le fabricarono di pietre quadrate, altri di marmori, altri per renderle più vistose, e belle da eccellenti Pittori le facevano dipingere, acciò dall’artificio delle Pitture, da varie historie, ò favole tratenuti gli passaggieri, ne prendessero honorevole diletto.

E proprio de Pittori far nuove inventioni, e fingere cose non più vedute. Si poteva perciò gloriare il Trentino d’haver introdotti nella sua Città, come quasi in Caverna gli raggi Solari, & haver resa la Città più commoda, e sana, & havendola trovata di quadrella, e pietre communi fabricata, haverla lasciata, allegra, e luminosa di marmoro contesta. A niuna cosa più volontieri impiegava lo spirito, che à qualle, che conosceva essere necessarie per conservare, ordinare, & adornare la Città.

Le contrade, che oblique, e torte continuavano in diformità, le ridusse tutte in buona forma, gli portici, sostenuti con colonne di legno, e quelle anco essendo anguste, e basse, e che ristringevano le contrade, e quasi con perpetue tenebre impedivano la luce à chi passeggiava per la Città, fece tutte gettare à terra, e rovinare. Le medeme contrade per le continue ruine delli edificij piene di scaglie, e calcinazzo fece allargare, è pollire, & altre con nuove pietre accomodare, rendendole tutte con più minute, è dure pietre più sode, e ferme. L’acqua che da scoscese cime de Monti [p. 392 modifica]di contrada in contrada vien condotta, commandò con publici editti si lasciasse scorrere per gli destinati canaletti, & acciò dalla perversità, e malitia humana non fossero rotti, e guastati, instituì huomini da eleggersi della plebe, quali havessero d’anno in anno la cura, e sopraintendenza per mantenimento delle Piazze, e contrade, imposte gravi pene, à chi deviate, e storte havessero malitiosamente l’acque, con impedirle dal lor ordinario corso.

Palazzo del Cardinale di Trento. Cominciò, e ridusse à perfetione molt’altre considerabil opere, principalmente fabricò il Palazzo, nella parte del Castello, che riguarda il Giardino da fondamenti alla cima, fabrica degna d’essere annoverata (è forsi preferita) à parere di ciascuno, frà le più superbe d’Italia, qual con smisurato coperto s’inalza uguale al monte, è come habbi il popolo sotto il suo dominio, e bachetta d’alto soverchia la Città.

Haveva, di consiglio di chi soprastavano alla fabrica, assegnata annual summa di dannaro, per ridurre quanto prima quella fabrica à perfettione. Vedevansi le colone di marmoro per le varie machie riguardevoli, quali sostenevano le fabriche à volto, & altre le travature indorate.

Libraria ricolma di diversi volumi. V’aggionse la Libraria ripiena di gran copia de volumi, trattanti varie materie. Diede la carica di tenerla in ordine, e fornita à persone per ogni rispetto dotte, pratiche, acciò d’ogni parte procacciassero Libri di qual si sia sorte. Imitò in questo Cesare Dittatore, e Tolomeo Re degli Egitij, l’uno de quali dicessi desse la cura d’acumular Libri à Marco Varone, l’altro à Demetrio Falero. Si che è manifesto, che il Trentino instituì Libraria tale à nostri tempi, quale continua la fama gli Attalici formassero in quelli tempi antichi, in Pergamo. Nel qual luogo non tanto della bellezza dell’edificio, come della gran copia de Libri compiaciuto, volse più volte congregare gli dotti in Consulta, e tener publici consigli. Palazzo fabricato col riguardo ad ogni sorte di comodità. Quindi nelli maggiori ardori del Sole restan d’oppacca ombra prohibiti, e banditi gli di lui cocenti raggi, e dalla soave aura, che dalli più alti lidi dell’Oceano spira dolcemente temprato il calore delli estivi ardori. Dall’altra parte non può haver alcun addito l’Inverno con suoi horridi influssi, perche quasi in seno intromesso, riceve il Sole di Primavera.

Gli lati del Palazzo, frà di loro à proportione, in longa distanza tirati, e quasi a guisa d’animali cornuti con promineze, e propugnacoli in fronte diffesi: nel mezzo s’estende una Piazza politamente salisata, e d’ogni intorno da bellissime mura circondata, [p. 393 modifica]ci si rappresentano da queste varie figure di diverse cose, secondo il vario genio d’artefici con diligenza fabricate, che rapiscono, e dilettano lo sguardo di chiunque vi s’accosta, & attentamente le mira: vedi d’intorno starsene quasi ansiose per ricevere l’aria, le fenestre, tutte frà di loro in debita distanza disposte, con feriate, che con nodi di fero, in forma di gelosie, frà di loro tessute, con bel ordine alquanto fuori del muro spontando, fan di se pomposa mostra.

Fontata nel Cortiglio amena. Dalla parte settentrionale esce scaturiente un Fonte, abbondantissimo d’acqua, ricevendo in se un vaso di marmoro, per aperte bocche di Fiere, le scorrenti à canele chiare acque.

Dalli lati all’esterminità del Fonte sono due Leoni, in piedi, con la bocca aperta, la lingua prominente in guisa, che sembrano impatienti anhelare l’acqua, gli stimaresti sitibondi.

Alla parte occidentale risplende la Cappella di nostra Signora, nella cui fabrica, & ornamenti, si spese quanto, conforme l’humani forze, fù giudicato sufficiente, per il Divino culto, e per rendere con dovuto decoro gli dovuti honori al Sommo Dio. Colà si transferisce per chiuso cale il buon Prelato, à far orationi, e raccomandare le cose sue à Dio, ove anco condecentemente celebra, conforme le cerimonie Ecclesiastiche, la Santa Messa.

Verso l’oriente, dirimpeto alla Chiesa, si scopre un bello, & alto portico, da colone di pietra, alquanto indorate, sostenuto, opera fatta à volto, e d’ogni parte intagliato di bellissime figure. Cortiglio ornatissimo. Da questo per fenestre si guarda nel giardino, come in dilettevol, ed amena Valle, ferace di molte, & odorifere herbe, sottoposto alla fabrica, e si cava da questo più piacere, che utilità, ò emolumento. Nodrisce una boscaia d’arbori fruttiferi, & una selva tremolante, che ben spesso partorisce, & apporta frutti gialli, e di gran sapore, rende il pavimento tutto ombroso verdeggiano, per tutta la primavera l’herbe, e gli fiori di diverse sorti, al Sole esposti, diffondono per l’aria gli lot grati, e soavi odori: Fontana nel Giardino Quivi in mezzo, saltuzando, esce un chiarissimo fonte, spargendo le christalline acque in diverse parti, e scorrendo per le tenere herbe, inaffia è bagna, con freschi beveraggi quel fecondo campo.

A questo il sapientissimo Prencipe, come in secreto, e rimoto luogo soleva, per meglio ruminare, e trattare gli ardui affarri sovente ritirarsi. Ornamento della Casa di dentro. Le parti interiori di questo superbo Palazzo sono molto più belle, & ornate. Risplendono gli Solari, e soffitte, tutte lavorate, e coperte d’oro, altri sono piegati in forma di volto, e questi in diverse forme, è maniere, conforme diversamente si [p. 394 modifica]può fabricare lavorati, altri con lunga tessitura de travi, & intavolatura d’asse ordinati, di modo che tutto il Palazzo, così in varie forme è disposto. Le Camere, o tessute con travi, & asse, ò fatte à volto, tutto sono con grande artificio, è spese construtte. Alcune son quadre, & altre in forma rotonda disposte, & con ogni diligenza, & ordine frà di loro appartate.

D’alto soprastano figure intagliate, ò fiori artificiosamente fatti, che dall’oro resi lucidi, mandano in guisa di Sole luminosi raggi, che per essere gli luoghi, e camere superbamente soffitatte, e rotonde, & indorate spargono ne sottoposti convittati chiaro splendore.

Ovunque frà questi volgi lo sguardo, scorgi d’ogni intorno quadri d’Apelle, statue di Lisippo. Altrove bellissime figure de Vescovi, con ordinata serie accomodate, che ti spiegano gli misterij dell’historia Ecclesiastica. Quindi attentamente contempli, acceso dalla virtù d’Hetore, le guerre Troiane, ivi resti atterrito dalle scorrerie d’Ulisse. Finalmente altrove poi numerare ed infiammarti all’immitatione delli eggregij fatti di Cesare, e Ferdinando Re de Romani. In tanta diversità di ornamenti non ritrovarai cosa lasciva, ne che possi incitare al male. Ciascuno però conforme il proprio genio havrà materia di poterne prender piacere.

Apparato sontuoso. Gli ornamenti non cedono punto d’eccellenza all’edificio. Sono Tapezzarie d’Attalia, o che almeno stan à pariglia di quelle d’Attolo, da queste vengon coperti gli lati delle Camere, con tanto diverso artificio fatte, che altro sembiante di quello, che veramente sono ti rappresentano. Altre son rosse, altre giale, altre intessute di varie figure, altre sono con altra sorte d’ingegno lavorate, e perche tutte son belle, è piacciono à chiunque le vede, non ardisci far giudicio quali siano le più pregiate. E benche tutte sijno degne d’amiratione, quelle però sono gli ornamenti più principali della Corte Trentina, che tessuti d’oro, con sparse, e longhe opere furon fatti: questi si distendono sopra le spagliere della Camera rotonda, e paiono razzi di Bertagna, opere nelle quali, distintamente, frà gli proprij ristretti, divisati con artificiosa industria, puoi contemplare tutti gli misterij, separatamente della redentione humana, movendo chi gli considera à pianto, con non potersi (tanto rappresentano al vivo) guardare senza singulti. Gli letti con si vario modo distesi, e superbamente acconcij, che à prima vista rendono stupidi quelli, che entrano, & quando [p. 395 modifica]poi partito essamini le cose vedute, maggiormente frà te stesso non sai à bastanza maravigliarti.

Il medemo Carlo Imperatore, è Ferdinando Re de Romani, suo fratello, essendosi compiaciuti di veder quel luogo, & honorar con la loro presenza il Clesio, non sapevano da qual parte havessero potuto esser ricevuti con loro maggiore honore. Si vedono in altri appartamenti, mense per la materia, & arteficio celebri, con tapeti di lunga tirata distesi, ò con panni di seta di tessitura, e colori varij coperte.

Sopra ogni cosa rende mirabile quel Prencipe, e lo dimostra d’animo più che ordinario: ciò che nella spatiosa Sala, parte del Palazzo, fù fabricato, ove il pavimento, terrazzo, cima, soffitto, & tutto il solaro, che alto soprasta, sono coperti de panni d’oro, & ricchi apparati, oltre ogni credenza adorni. Sapiente è colui, che penetra, le richezze accumularsi per queste cose. Si devono desiderare per due rispetti, per donare, e per edificare. E perche l’uno, e l’altro s’aspetta ad animo generoso; tanto stimò suo debito il Trentino, altrimente inclinato alli edificij, & al donare. Non volse mai ciò che giudicava eggregio, & eccellente, fusse alieno dalla sua persona. Piacevolezza, e benignità del Clesio. Sovente, e convitò, nel proprio alloggio, & accolse persone grandi, e Prencipi di consideratione. Mai lasciò partire alcuno degno di beneficij, senza essere da lui con grandi doni honorato. E cosa à tutti notoria: dovevasi perciò fabricare casa, qual manifestasse la grandeza, e dignità del Prencipe, & in cui si potesse honorevolmente ricevere forastieri di portata. La casa spatiosa, quando non sij habitata rende disohonore.

Havendo dunque il Trentino, Prelato di animo si alto, & d’ingegno si ellevato ridotta la fabrica, à stato tale, che soddisfaceva al suo desiderio, alloggiò in quella, & accolse tutti gli Prencipi forastieri, che à questa volta venivano, gli Legati, e tutti gli soggetti più degni, e di gran nobiltà, di modo che niun Primato passò, o fosse di natione Thedesca, o Italiana ò di qual si voglia altra, per l’alpi Trentine, che non facesse capo, & albergasse, coll’essere trattato alla grande, in quel superbo Palazzo, di modo, che quasi sempre era ripieno d’hospiti forastieri. Ne fù cosa disdicevole à quel liberalissimo Prencipe, fabricar alli forastieri casa tale, qual per l’ampiezza, e bellezza, e magnificenza contrastasse conle Ville Lucullane.

Costa dal giuditio delli stessi alieni, quanto sij bella, ornata, è [p. 396 modifica]fatta con tutte le proportioni, tutti l’amirano con grande stupore, ancorche non meno sij la casa dal Signore, che il Signore dalla casa nobilitato.

Di questa fabrica, quando à pieno volessi racontare le singolarità, mi bisognarebbe spendere il rimanente del tempo, è non potrei ad altro attendere. Ma mi conviene parlar d’altre cose, con le quali hà potuto essere chiara, e palesa la magnificenza, e continenza di questo Prencipe. Prencipe integerimo. E cosa difficile per, non dire impossibile, l’essere in ogni cosa, & occasione continentissimo, e vivere senza machia veruna di sospitione. Il nostro Clesio però nel suo vivere si portò in modo, che à fermo, è costante giuditio d’ognuno mai fù giudicato, in conto alcuno intemperato, tanto dalla intiera fama approvasse.

Habitò già nel Castello, sede de Vescovi, fabrica assai ristretta, ne per l’ampiezza, ne per gli addobbamenti d’alcun nome, erano edificij antichissimi, senza alcun bel pavimento, ò real ornamento. Gli portici, ò loggie strette, e curte, da spesse colone sostenute, ove per longe, & anguste scale di scalino in scalino s’ascende, ansando fino al terzo Solaro. Habitatione del Trentino. Non mutò mai stanza d’Inverno, ò d’Estate, ivi dovendosi trattare di cose secrete stantiava, ivi dava opra alli affarri più gravi, ivi ritrovandosi infermo giaceva.

Havendo poi fabricato quelle spatiose, & artificiose stanze, & restaurare l’antiche, più commodamente puote habitarvi. Supelletile del Trentino. Non adoprava vasi di terra, legno, vedro, bronzo, suppelletili delli antichi, havendo in Corte bichieri d’argento, tazze d’oro, & altre pretiose coppe di diverse sorti; in tanta copia, e con tant’arte, è lavoro fatte, che stimaresti esser colà alla Città di Trento stata condotta la magnifica, è superba massaricia dell’Asiatico lusso. Restarono più volte attoniti gli Prencipi estranei, con ogni lautezza accolti in quel allogiamento, come havesse potuto il Prencipe di Trento far acquisto per l’uso quotidiano, domestico vivere, è publico decoro di tanti mensarij vasi, d’argento, & oro, intagliati con diverse imprese, stante che si fatto apparato de coppe, tazze, & altri vasi, più si conveniva ad un Re, che à privato Prencipe.

Quando poi sentiva, che l’aria autunnale gli era poco propitia, soleva ritirarsi à Riva, overo à Theno, o pur à Cles, sua Patria, ma frà gli luoghi ritirati, è solinghi, più volontieri, e più sovente frequentava il Castel di Selva, alla Città vicino.

Ma acciò fossero palese à tutti gli costumi della Corte, e l’interior vita del Prencipe, commandò, sotto gravi pene, che gli [p. 397 modifica]officij domestici non si confondessero, e che niuno s’arrogasse temerariamente l’offitio dell’altro, perilche gli Servitori non haveva occasione, alterati da colora, di contrastare frà di loro, venire à differenze, è caricarsi di villanie. Costumi de' Cortegiani. Non si sentivano in Corte improperij, non si provocava con biasteme, e maledicenza l’ira di Dio, cosa che à nostri tempi, altrove si permette, senza alcun castigo. Vivevano con gran divotione, e timor di Dio, seguivano senza prorumpere in impertinenze l’integerrima vita del lor Prencipe, è Vescovo, non tanto per tema della pena impostali, come perche conoscevano, e giudicavano esser cosa honorata, e degna di chi professa la Fede di Christo il vivere piamente, è di proprio volere haver in odio le cose danate dalla nostra Christiana Religione.

Quindi senza tumulti, e strepiti s’esequivano conforme il voler del Prencipe, con ogni diligenza gli affarri domestici. Il Trentino fà scielta d'huomini di vita approvata. E non lo stimiamo men degno di lode in non admettere egli alcuno alla Corte, se prima non havea ben spiato gli suoi costumi, di che più si dilettasse, & ove piegasse il suo genio, di modo, che fatta cotal scielta d’huomini, nella sua Corte, facilmente si dobbiamo persuadere, che quella forbita, e purgata Corte rappresentasse à forastieri una scola, e seminario di buoni costumi.

Faceva volontieri conviti, è quelli all’usanza Tedesca frequenti. Quando mangiava solo non era molto avido di vino, è si contentava di poche cose. Non giudicava degni di lode, quelli, che ne provati conviti, eran soliti presentare in tavola quantità di fercole, sufficienti à grandi, e famosi banchetti. Da questa sobria moderatione di mangiare, e bere principalmente, conservò, & rittenè una ferma, e soda sanità.

Mà invitando alcuno, ordinava conviti lautissimi, & abbondantissimi, di modo che voleva fussero di molte, e varie vivande, imbanditi, comandando che à tutti gli convitati fossero messe avanti l’istesse cose, non per empirsi medemo dell’abbondante diversità de cibi, ma perche gli pareva bene, e stimava suo debito accogliere gl’amici, sopra il viver ordinario, e famigliare, e più splendidamente trattargli. Mai però invitava senza far scielta delli convitati, manco gli riceveva senza ricchi preparamenti, si dilettava non poco delli loro virtuosi discorsi, di modo che era solito chiamare la mensa madre delli amici, come se nella mensa si generassero, e parturissero, ancorche dapesse essere d’alcuni biasmati quelli, che procurano provar gli amici nelle mense, [p. 398 modifica]quasi fusse cosa iniqua, e vituperosa tirare, & allettare con il mangiare, e bere gli amici. Ma questo liberalissimo Prencipe reputava cosa d’animo alto prender piacere, degno di lode, dalle honeste conversationi, e conviti d’amici, & huomini dotti. Ben son degni di biasmo, e d’essere coretti, chi compiacendosi di solinghi recessi, temendo che non gli venghi levato il cibo di bocca, in solitarie cene, furtivamente, soli d’empiono.

Quindi esso in modo facea conviti, che tutto fosse, à tutti commune, ma non però con soverchie spese, ben si con certa tal benignità, & allegria, proportionata al convito che perciò era molto dalle genti del suo tempo lodato. Havendo hor conosciuto il viver domestico di questo Prencipe e con quali costumi era in uso conversar con suoi Corteggiani, facilmente da per se potrà ciascuno giudicare, come si portasse nel governo della Republica, in tempo di pace, e di guerra. Conciosia che le cose spettanti alla cognitione, è buon governo della vita domestica, non meno dichiarino le conditioni del Prencipe, di quelle, che s’amministrano fuori in alieni governi. E cosa certissima, che quando egli andò, o per seguire l’Imperatore, ò pure il Re, i quali l’hebbero, e provarono compagno di molti travagli, e fatiche, ritornò sempremai con gran applauso, e fama di cose eggregie, di modo, che da niun altro furon alla posterità lasciati esempi più chiari, e certi di tutte le virtù.

Fece oltra gli sopra narrati molt’altri difficili viaggi, quali habbiamo tralasciati, per non parere troppo interressati, e bramosi della gloria di questo Prencipe. Il Prencipe di Trento moderato. Aggiongasi una sol cosa, e non più, esser egli stato d’animo parco, continente, e liberale, essersi giamai, per qual si vogliasisnistro incontro perso d’animo, da difficultà niuna benche pericolosa spaventato, mai frastornato, per qual si voglia incomodo da suoi viaggi, purche conoscesse essere interessi, ne qual potesse spiegar la sua servitù verso l’Imperatore, e Re de Romani, & un pio affetto verso la Religione Catolica.

Quindi acceso d’ardente desiderio d’impiegarsi in negotij gravi, e difficili, a prò delli sodetti, per le diverse tempestose revolutioni de tempi, e luoghi, e per le gravi borasche del Regno, pervene al fine di sua vita.

Perche havendo dalle cose fedelmente maneggiate conseguito il Vescovato di Pressanone, & accresciuta la sua dignità con due Mitre, si transferì colà, con pomposa compagnia de Cavalli.

[p. 399 modifica] Commandò ivi si preparasse sontuoso convito, acciò con lauta mensa potesse honorare gli Prencipi, & altri grandi, che in segno di congratulatione molti erano colà venuti; mentre con singolar diligenza, è cura queste cose si ponevano in ordine, si ritirò il sapientissimo Prencipe nella Camera, ò luogo del Palazzo più remoto ove frà se considerava, e ruminava gran cose, per conservatione del Regno.

Essendo già à hora debita svegliato dal sonno di simili pensieri, uscì con lieta facia, e sedendo à mensa con gran piacevolezza, diffondendo la sua sapienza, e dottrina nelli animi de convitati: per il sui esempio quelli, che erano assieme con lui à tavola l’un l’altro dolcemente si travagliavano con detti arguti.

Mentre da queste soavi vivande si radolciva la mensa, con allegrezza, e giocondità celebrata, tocco il buon Prelato da repentina infermità, cadè frà gli convitati, & poco poi rese l’anima à Dio.

Il suo Corpo si condusse nella Città di Trento, e fù d’ogni conditione, e sesso longo tempo pianto, poi portato con publiche essequie nella Chiesa di San Vigilio, ivi fù sepolto. Visse 54. anni, è quattro Mesi, morse l’anno 1539. gli 28. di Luglio, regnò 25. anni, un Mese, è quattordeci giorni.

Successe à questo buon Prelato Christoforo Madruzzo, Decano di Trento, huomo di profondissima dottrina & d’animo grande, dal cui valore s’aspetano gran cose.

IL FINE.