Annali overo Croniche di Trento/Libro XIII

Libro XIII

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DELLE CRONICHE

DI TRENTO,

DI GIANO PIRRO PINCIO

LIBRO DECIMOTERZO.

Dedicate all’Illustrissimo Signor Aliprando Clesio.


AA
Ggiustate, e stabilite col Soldano le controversie, è publicata in Viena, metropoli dell’Austria gli 28. Settembre 1533. con universal allegrezza, à suono di Trombe la pace, spediti

Pace con gli Turchi. molti altri negotij da conchiudersi, andò Ferdinando Re de Romani à Praga, Città primaria del Regno di Boemia, ove parimente haveva da remediare à disconcij, è provedere à molti bisogni, attinenti alli interessi del Regno.

Lo seguì à quella volta il Trentino, huomo in ogni occorenza fedele, & per qual si voglia difficile impresa di gran consiglio. Ivi havendo con la Real presenza composte molte cose, celebrò poscia una Dieta in cui si svegliò la contesa circa il Ducato di Wirtimberga. Cominciarono quella volta (come medemi dicevano) à germogliare, è pullulare gli fiori nati dal sparso seme Francese.

Fù già Uldarico Duca di Wirtimberga, da Svevi (per haver egli indebitamente, è senza alcun giusto colore combatuta, è presa Reitlinga, una delle Città, che France s’addimandano, & à quelle per antica collegatione congiunta, del Stato, è Ducal scetro, che dalli di lui antenati per memorabile discendenza haveva ottenuto) privo, si che discacciato si ricovrò in Francia, ove da quel Re con ogni esterna dimonstratione accolto, si trattene per [p. 356 modifica]qualche anno ben tratatto, è speranzato d’ogni aiuto, per essere rimesso nell’antico suo Dominio, è finalmente scorgendo ciò essere suo interesse, trattò di rimetterlo in possesso. Ne mancò per maggiormente facilitare l’impresa di sollicitare, in favore del Duca, il Lantgravio d’Assia, & altri Prencipi della Germania, & in effetto con promesse, è doni coruppe gl’animi de molti.

Ciò dal Re de Romani inteso, & assieme spiate tutte le machine, è stratageme, che contra la sua real persona tramavano gli Francesi, acciò il Ducato di Wirtimberga, che da Svevi gli fù per conventione ceduto, non restasse sorpreso, e per frode, & inganni da quelli occupato, giudicò bene havere un forbito Esercito in pronto; Congresso in Boemia. Quindi tenuto à tal fine consiglio, sollicitò, col proporgli la grave urgenza, gli animi de Boemi, fù più volte sentito circa questi particolari, & con gran prontezza gli promisero in sua diffesa ogni possibil aiuto.

Mentre in Boemia si maneggiavano cotali interessi, il Lantgravio, & altri Prencipi della Germania, suoi confederati, ammassarono di diverse parti gente, & ad instanza del Re di Francia uscirono con l’armata in Campagna. Giudicarono molti à principio si fussero mossi per soccorrere la Città di Manastario, in quei giorni presa da suoi. Controversie circa il Ducato di Wirtimberga. Imperoche gli Anabbatisti, che dal loro Prencipe ribellati, eletosi di propria auttorità il Re, amatori di novità, e desiderosi di novello modo di governare havevano con lor vituperio scacciato dalla sua sede il lor Vescovo, ma piegando col grosso alla volta di Wirtimberga restaron à tutti manifesti gli lor disegni.

All’hora Ferdinando spedì molti de suoi Capitani in diverse parti per unire le genti, è radunare le squadre, acciò le conducessero à frontiera del nemico. Ma, non ostante havessero arrolati, e scritti molte migliaia de Soldati, furon giudicati inferiori, è manchevoli di gran lunga à compir un formato Esercito.

Mentre così tardi, e lentamente tiravano avanti le lor cose, sopravene nuova, che l’inimico dsenza verun contrasto di già era entrato gli confini di quel Ducato, che haveva conservato illeso da saccomani tutto il Territorio, senza essere alcuno daneggiato, che gli paesani non havevano pur frà le mura voluto combattere, manco aspettare che almeno la Città pericolasse, ò pure che cominciassero gli nemici à scorrere il paese, che senza assedio, ò pericolo di morte, e senza gustare minimo disaggio di fame ò ferro, ma à pena lasciatosi veder l’inimico frà gli loro confini, [p. 357 modifica]volontariamente senza alcuna diffesa di sono arresi à quello. Il Duca di Wirtemberga recupera il Ducato. Che gli presidij Reali senza star aspetando gli fosse presentato il Canone, sdegnati di sostenere il primo assalto, di lor volontà tutti dalli Castelli, che quattro frà gli puochi di sito forti, e ben muniti se ne ritrovavano, s'eran partiti, di modo, che senza haver da niuna parte provata da nostri resistenza alcuna, s'impadronì in meno di otto giorni l'inimico, senza verun suo dispendio, di tutto quel paese. Di dove venisse al Duca si facil vittoria, senza un minimo spargimento di sangue, da per se lo può ciascuno congieturare.

Havuta Ferdinando la nuova di tanto suo danno, sentì indicibile tormento, per essere cosi iniquamente da suoi tradito: comandò si facesse una scielta, ò cernida formidabile, deliberò partir per Boemia, & uscir in campagna, risoluto recuperare con l'armi quel Ducato, à tradimento, poco fà, occupato.

Ciò avertito da molti Prencipi della Germania, che il Re tutto di sdegno vampante preparava grandissima, ed horribile guerra, è che le più feroci nationi di quel Regno conducendo di là, per la Germania, poteva partorire qualche grave disconcio, sino a ridurre in fationi diverse gli sudetti Prencipi, & indurre guerre civilli nella Germania; stimarono necessario provedere al ben publico dell'Alemagna.

Massime sapendo che il Duca di Wirtemberga, animato dal valore, è favore de Francesi, ed infiamato dalla cupidiggia di dominare, havrebbe per ressistere amassato più poderoso Esercito.

Dieta in Cadano. Quindi Alberto Cardinal di Magontia, Elettore del Sacro Romano Imperio, è Giorgio Duca di Sassonia il Catolico (de quali si valse il Duca per intercessori) tanto s'adoprarono col Re, che dalle preghiere comosso voltò il viaggio, & andò l'Anno MDXXXIV. circa gli tredeci di Luglio à Cadano, Castello di Boemia non molto lontano dalli confini di Sassonia, ove parimente si transferirono, come Procuratore Generale del Lantgravio, & Duca di Wirtimberga, Giovanni Federico Duca di Sassonia, & Elettor del Sacro Imperio, & altri Prencipi, che buoni intercessori v'assisterono, à quali era comesso riferire, è proporre in Dieta quanto havessero per il ben publico giudicato opportuno, & espediente: Non tantosto si cominciò à trattare delli interessi del Ducato di Wirtemberga, che gli Prencipi entrarono frà di loro in grande controversia.

Gli più arditi, che non conoscevano timore, ne erubescenza nel spiegare gli loro sensi nelle publiche adunanze, stavano [p. 358 modifica]contendevano, ostinati doversi per ogni raggione il Regno iniquamente, è per inganni occupato, restituire al Re de Romani, non poter quello con sua reputatione passar à occhi chiusi cotanta ingiuria: Dispareri intorno il Ducato di Wirtimberga. Haver esso, convenuto con Svevi, dalli medemi ricevuto quel Ducato, quali ingiustamente provocati, per haver il Duca contra ogni raggione di guerra presa à forza d’arme la Città di Reitlinga sua confederata, l’havevano meritamente scacciato dal suo dominio, e conseguito quanto bramavano consegnarono, come frà di loro fù pattegiato, il Ducato, che con buona raggione di guerra l’havevano acquistato al Re de Romani, quale poi nelle divistioni fraterne cascò in possesso di Ferdinando.

Il Duca essendosi servito contra Ferdinando della fatione Francese, da quali haveva dimandati soccorsi, haver contra di se provocati à sdegno gli animi de molti. Non mancare al Re forze, ne coraggio per diffendere le cose sue.

Quando anco il Duca le havesse giudicate sue non doveva usar forza, ne inganno ma (il che è cosa degna d’huomo) con raggioni disputare la sua causa Questi Prencipi non permettono sij fatta ingiuria ad alcuno. Devesi prima repettere quanto si pretende fà di bisogno osservare le raggioni di guerra, ne avanti precipitosi uscir in campagna, che haver debitamente esequito, quanto conviene. Si fan le guerre per vivere senza ingiuria in pace. Deve l’huomo prudente tentar con buoni consegli tutte le cose, prima di venire all’armi per conseguirle. Il Re ritrovarsi pronto per dargli tempo d’espurgarsi, e liberamente dare à ciascuno quanto sarà giudicato suo, haver egli benissimo appreso il dominare non meno se medemo che altri. Essere il Duca per conseguire maggiori cose, con le preghiere, che con la forza, è deposte l’armi haver egli campo più ampio, per ritornar in gratia, ed amicitia del Re.

Diverse opinioni proposte. Gli altri all’incontro, che intrapresa havevano la causa del Duca, contradicevano: esageravano esser stato scacciato con violenza dal proprio Ducato, per lungo tempo bandito, lungamente esser dimorato in Francia profugo, haversi da per se con l’armi fatta la strada al scetro, rihavuto senza offender alcuno il suo, esser in qual si vogli modo à ciascuno lecito ricuperare quello, che se gli appartiene, è massime all’hora, quando più bella se gli appresenta l’opportunità, essendo pazzia non mediocre il transcurarla.

Altri frà queste controversiè s’affaticavano con preghiere radolcire l’animo sdegnato del Re, giustificare in qualche modo il [p. 359 modifica]fatto del Duca, e dimandare del fallo humil perdono quando qualche sentore vi fosse stato mescolato, in somma non sparmiavano, ne à retoriche inventioni ne à sudori per reconciliare il Duca, con il Re, per cui prometteano gran cose. Soggiunsero esser necessario deporre l’armi, assicurando, che il Duca, sarebbe stato del Re fedel amico, mentre con clemenza da S. Maestà fosse stato gratiato del Stato: missero anco in consideratione gli mali, che ne potevano succedere dalle nuove discordie de pareri frà Prencipi Christiani quando frà di loro stassero in armi. Doversi con raggione grandemente da cotal dispareri, è guerre civili temere la total ruina della Germania, perche sarebbe facilmente restata dal proprio, & interno incendio arsa, è distrutta.

Conchiusero dunque esser obligo, massime de primati, haver l’occhio al ben publico, & prepore gli interessi communi alli particolari; Altri suggerivano altre raggioni per sedare gli animi alterati. Fù d’ambi le parti agitata, & di scusa la causa del Duca con sommo ardore, e fù lungamente disputato con dubbioso successo. Scoprivansi di già gli animi assai infiamati, & da tali dispute, resi più ardenti, & pronti per fumentare il conceputo odio, piegando tutti alla discordia, con manifesto pericolo, che gli Turchi, (quali con continue scorerie travagliavano gli confini dell’Imperio, intese l’horibili, e civil discordie, è guerre de Prencipi Alemani, come se le fusse l’auttorità, è valore di quelli dalle seditioni resa vile,) incrudelissero più licentiosamente contra gli Christiani.

Cominciò massime il Trentino à temere non poco: scorgendo, che molto più si sforzavano à remediare con strepiti, che con ponderate sentenze, è che in tal guisa in luogo di sedare le controversie si fomentavan le seditioni. Sono per ordinario gli strepiti senza raggioni, producono confusioni, mai compositioni, considerava, che quando s’havesse disciolta la Dieta, e licentiati gli Prencipi senza l’haver porto convenienti rimedij à tanti incendij era pericolo manifesto, che gravemente tochi gli animi dall’odio, e stimolati ciascuno dalle passioni proprie, venisse à scaricare l’impetuoso furore sopra la propria Patria. Non manca mai la moltitudine, che giornalmente (come avenir suole) concorre alle Corti, di somministrare alli animi alterati nove materie di maggiormente accendergli, & provocargli alle vendete.

Quindi come interprete, compositore, ed arbitro della concordia, amico grandemente da tutti amato, sedata prima con la sua interpositione, ed auttorità la controversia, comminciò in tal guisa, à formar gli suoi concetti.

[p. 360 modifica] Ragionamento del Trentino per il Ducato di Wirtemberga. Dimostrò essere la discordia il più velenoso contagio, che possi attacarsi ad una ben regolata Republica, internata impossibile à curarsi, & Colossi di grandissime Città haver provato da tal pestifero tosco il lor ultimo esterminio; facilmente potersi sanare non penetrato alle parti interne. L’essere combattute, e contrastati entro come fuori, si da guere civili, come estranee, si da proprij come da stranieri, necessitare tutti alle armi, facendo di mestiere quietar ogni cosa con cimenti militari, & acquistarsi la pace con la guerra, non haver eglino avanti gli occhi il grave pericolo, che soprastava. se mentre frà di loro da diversi pareri combatutti, continuate le discordie, havessero ostinatamente volsuto combatere per il Ducato di Wirtemberga. Gli Turchi, che pretendono, è combattono per impadronirsi di tutto l’Imperio, havrebbono fatto invasioni ne Regni de Christiani, e mentre così gli Christiani ne proprij stati arabbiati fomentavano discordie, si sarebbono d’ogni intorno sentite scorerie di quelle barbare genti. Che noiosa, e svantagiosa guerra vi converebbe havere? quai cimentosi travagli provare? Il Trentino persuade con raggioni la concordia a Prencipi. Con queste & simili raggioni placò il Trentino, (come quello, che era huomo di gran seno, pronto conforme l’occasioni à quadrati partiti, ed esperimentato universalmente al maneggio de negotij,) gli animi di quei Prencipi.

Disputò con tanta maniera, con si mirabil gratia, & con suavità così grande, che à tutti fece conoscere, & toccar con mani, che egli era in tutti gli negotij destro, & pratico nel trattare, e condure al bramato porto gl’interessi publici. Conforme la diversità de soggeti diversamente rengava, hor porgeva le parole con dolcezza senza punto alterarsi, hora empiva con voce sonora, e diffusa l’orecchie delli auditori.

Dunque sedati li sdegni, e le perturbationi, posposta l’ira, e gli rancori, si comminciò con ordine à proporre, & à consultare con tutto il spirito della concordia. Concorsero di parere doversi rimetere à quello, che havesse giudicato il Trentino, e fare quanto da esso fosse stato persuaso, la cui volontà, e parere fù da ciascuno approvata, e con grand’applauso lodata.

Fù donque compromesso, e condesceso nelle capitulationi di pace, che, per quanto comportava le contingenze del tempo, non erano inique, ne pregiudiciali. Si Stabilì, oltre gli altri [p. 361 modifica]particulari di commun parere, che per l’avenire tutto il Ducato di Wirtimberga restasse feudo perpetuo delli Arciduchi d’Austria. Il Ducato di Wirtimberga, Feudo delli Arciduchi d'Austria. Di dove non molto doppo, Ferdinando, come Arciduca d’Austria, ritrovandosi in Viena, conforme fù determinato nella Dieta Cadana, solenemente diede ad Uldarico il Principato di Wirtimberga. Vicendevolmente Uldarico, come feudatario, per haver da lui ottenuta quella giurisditione, rese à Ferdinando le condegne gratie.

Da coteste cose si conosce quanto habbi in tante revolutioni, e pericoli giovato il Trentino, unico mediatore, mercè alla di lui singolar prudenza, per tuor di mezzo quella pestilential seditione. Et avenga che sempre al Re, & alli Prencipi Alemani fosse stato, e caro, e grato. Si rese nondimeno più amabile à tutti, doppò che hebbe reconciliati gli animi, & allodata la sudetta concordia.

Scoprendosi le cose della Germania, & del stato dell’Imperio in buona quiete, licentiata la Dieta, ritornò il Re dove s’era partito col Trentino, dall acui sola compagnia si reputava benissimo trincierato, à Praga. Dopò non molti giorni, ottenuta licenza dal Re, ritornando egli alla Patria, & già fatta buona parte del viaggio, essendo arrivato ad una Terra, dal volgo chiamata Iamboch, la mattina sul partirsi, giunsero lettere del Re, nelle quali contenevasi che Aliosio Gritto, con cui dovevasi trattare della compositione di quel Regno, di già era giunto in Ongaria, al che era necessaria l’opera, diligenza, & aiuto del Trentino, perciò faceva di bisogno se ne ritornasse à Viena, ove in breve (come significavano le lettere) sarebbe gionto il Re medemo: per tal causa fù il buon Prelato rivocato dal suo viaggio, sapendo benissimo quanto ciò importasse alli interessi Regij.

Ritornando con spedita, e nobil committiva, arrivò il giorno seguente à Linzz, & ivi dimorò à bello studio trè giornate, attendendo se venisse cosa di certo, intorno al seguitto. Non comparendo circa questo particolare da veruna parte nova di sorte, s’imbarcò, & per il Danubio, à corso secondo portosi à Viena. Consumandovi senza frutto, alcuni giorni, per essere parimente incerta la venuta della Maestà Reggia, è perche si sparse fama, che il Gritto, occupato nella Transilvania, paese dell’Ongaria inferiore, pensava andar altrove. Si che, affine di non consummar il tempo più in lungo si partì di Viena gli 17. Agosto, & con continuato viaggio, senza mai levarsi di strada, ritornò alla Patria.

[p. 362 modifica] Il Trentino, ritornato alla Patria. A pena haveva salutata l’entrata, che conobbe doversi accingere, à nuovo viaggio, non mai potendo essere quell’heroe senza cariche, e publici affari. Soleva perciò sovente dire, quello, che da Stoici fù laciato scritto, che gli huomini son generati per servitio delli huomini, acciò frà di loro vincendevolmente si prestazzero agiuto. Gionse nuova in quelli medemi giorni, che Clemente Settimo, Sommo Pontefice giaceva aggravato d’infirmità mortale, compiaquesi perciò il Re mandar il Trentino, & con lui Matheo, Cardinal di Salzburgh.

Si partirono di Trento à passo lento, si che à pena facevano quindici millia in una giornata, aspettando in viaggio nuova del Sommo Pontefice, gionsero in cotal guisa à Ferrara, ove dimorarono due giorni, e mentre pensavano al ritorno, non intendendo dalla Città cosa alcuna, furono in quel punto avisati da Alfonso Duca di Ferrara, che per cosa certa il Papa gli 25. Novembre haveva reso lo spirito al suo Creatore.

Il Trentino trasferito in Roma. A questo nuncio gli Cardinali, à buon corso per la Marea d’Ancona, si portarono in Roma.

Doppo l’esser stato il Pontefice con funebre pompa sepolto, Celebrata la Messa, & conforme il santo, & antico costume implorata la Divina assistenza, gli Cardinali, che molti per tal effetto erano venuti à Roma, entrarono l’anno 1534. gli 11. d’Ottobre in Conclave. Paulo 3. creato Pontefice. Stavano tutti con gran timore, che (come suol avenire) dalle fationi non nascessero discensioni in danno della Religione Christiana, ma Iddio lodato, per opera, e diligenza delli due sudetti Cardinali, quali havevano fermamente determinato impiegar ogni lor spirito, à pro della commun salute, seguì Papa Paulo Terzo, d’unanime consenso de tutti gli Cardinali. Fù cosa miracolosa, che si terminassero con tanta facilità cose cotanto difficili, & di tanta conseguenza, in si poco tempo, in collegio tanto numeroso, avengache mai per l’adietro concorsero tanti Cardinali, massime di Francia per la creatione del Papa. Due soli giorni si spesero per conchiuder di alto negotio, in Conclave.

Fata fuori dell’espetatione d’ogni uno prospera, felicemente, è come (cosi piamente fù creduto) richiedeva il ben publico della Religion Christiana, l’elettione del Sommo Pontefice. Il Cardinale Clesio, con il Salisburghense, superato l’Appenino, per Toscana ritornò à Trento, over per alcuni giorni si diede al governo delle cose domestiche. Ma sollecitato con assidue lettere dall’ [p. 363 modifica]Imperatore, & dal fratello, fù costretto passarsene à Viena, ove con gli Commissarij del Vaivoda si dovevano trattare gli appontamenti della pace.

Si tratta del Regno d'Ongaria. Il Gritto, à cui prima era stata commessa la carica d’Arbitro, poco avanti in Transilvania dall’armi colto all’improviso, ed oppresso, crudelmente se ne morì. E perche si doveva trattare d’un Regno impose il Re à suoi Commissarij, eletti per questo affarre, che si portassero fedelmente, & maneggiassero questo suo interesse così relevante con ogni diligenza, e vivacità.

Il Clesio fù il capo, senza il quale non sperava cosa di buono. Quindi, perche desiderava fussero più che d’ogni altro, le cose sue da questo Prelato agitate, questa volta, & molt’altre, volse che gli si dasse il primo luogo. Venero dunque d’accordo al Trentino, alla cui presenza si disputava la causa, & ancorche più volte fosse stata agitata, non fù però conchiusa cosa veruna. Onde tirata in contese sino al primo d’Agosto, fù finalmente di commun consenso prorogata sino al primo di Febraro dell’anno 1536.

In cotal guisa conchiusi gli negotij Regij in quel Congresso, da diverse cause constretto se ne ritornò alla Patria, & ivi dopò haver con ogni diligenza provisto, à quanto era necessario, per mantenimento delle cose famigliari, e domestiche, e dopò haver disposto quanto si richiedea, per la perfettione delle fabriche, a fine di non essere trattato scordevole della di lui propria salute, massime essendo di corpo non molto sano, andò in fretta à Padova, Città antica d’Anthenore, ove prese consulti da Medici peritissimi. Spediti poscia questi suoi particolari interessi, in due giorni (con tanta diligenza, e spirito esequiva ogni suo affare) se ne ritornò a casa. Ma non havendo, alcun riguardo alla sua persona, per non mancar mai nelli negotij Regij, & in quelli della Religion Christiana, s’accinse repentinamente ad un’alro pelegrinaggio da Trento, à Viena, prima detta Villabona, premendogli oltre modo di continuo il pericolo della guerra d’Ongaria.

Il Trentino và alla volta di Viena. In questo tempo Carlo Imperatore, che vittorioso haveva terminata la guerra barbarica, era ritornato à vele gonfie dall’espeditione, e campagna d’Affrica in Scicilia, & d’indi per il corso più breve à Napoli.

Ariadeno Barbarossa (per lasciar da canto gli pirati d’altre barbare genti) essendosi datto alli latrocinij infestava con poderosa armata, ammassata con gli bottini, & spoglie de Christiani, tutto il Mare, e faceva schiavi gli Mercanti, sorpresi in qualunque [p. 364 modifica]parte andassero: hor con le Navi all’aguato insidiava alle Mercantie, e viveri de Christiani, hor uscendo, non solo danneggiava tutte le spiagge d’Italia, ma portato sino al Mare di Gades rovinava, e faceva milla danni, ammazzando, è rubbando ne Regni di Spagna, espugnate in oltre con Artegliarie alcune Città maritime Si ridusse il negotio à termine, che niuno haveva ardire di navigare il Mare, chiusa omninamente alle mercantie, & viveri, quando alcun non havesse proposto di temerariamente darsi in potere di quel crudel Tirano, & lasciarvi la robba, e vita insieme. Ma quello che maggiormente violentava al pianto erano gli danni, che per il ladroneci e rubamenti, facevano quel malvaggio per Mare, e per Terra, conducendo per anco in cattene schiavi gli poveri Christiani, in varie scorrerie presi, destinandoli poi così legati al remo, ò à modo di Bestie all’aratro; à segno, che non solo le squadre de Turchi, & il Regno di Libia, ma anco quasi tutte le Città de barbari eran ripiene de schiavi Christiani, servendosi del servitio de Christiani contra Christiani.

Haveva questo maledetto Barbarossa, dalli maritimi bottini de Christiani acquistate tante richezze, che poi d’un ladrone, e crudel assasino, e pirata à nostri giorni l’habbiamo visto Re di Cirtha. E non contento di quel sol Regno, assalito Tunisi, metropoli di Libria, e scaciatone Multasse Re, la prese, & s’impadronì per ingano, ne si vergognò, (ancorche crudo Tirano) di usurparsi indegnamente il nome di Re. Cotali sceleraggini, degne ancor d’esser con solenni voti essecrate, non puote sopportare più in lungo il buon Imperatore, commiserando la publica calamità della nostra gente Christiana, occupò la mente, e tutto il suo animo nella guerra Affricana: ma prima dell’intraprendere, è tentare negotio cotanto arduo, e malaggevole, frà se esaminava, & profondamente considerava la gran potenza barbara, scorgeva qualmente: potente la natione de Turchi, à quella confinante, la, stimolata dall’antico odio contra il nome, & Religion Christiana, con gran numero di Cavalleria gli sarebbe venuta contro, e mentre volessero prender Porto sarebbono stati dalla stessa ritardati, & impediti.

Guerra pericolosa. S’aggiungeva, esser molto verisimile, che gli soldati, in paesi così remoti dalle Terre Christiane, havrebbon havuta gran penuria de viveri, di più la guerra dalla parte nostra essere con disvantaggio. Conoscea, che gli Christiani, fugati e vinti non havrebbono potuto valersi del scampo, nè per Terra, nè per Mare, dovendo il tutto restare il petto, e discretione de vincitori. Gli barbari [p. 365 modifica]quando ne reportassero la vittoria s’impadronirebbon del tutto, se resatassero inferiori, vorebbono provare, e tentare la seconda, e terza volta il rimanente della fortuna: quindi gli Christiani sarebbono stati sforzati à novi pericolosi disturbi, fatiche, è gravezze di guerre. Mentre frà se così dubitava, lo stimolarono alla gloria lacune certe nuove in quel punto colà gionte, cioè che mentre due fratelli frà di loro litigavano del Regno, gli popoli divisi in fattioni, escluso il maggiore, che Muleasse si chiamava, al quale per l’età il Padre havea lasciato il governo, era stato posto in possesso il minore. Quando il maggiore scacciato havesse acconsentito, non scorgeva tanta difficoltà in depore il minore, col liberare gli Christiani dalle catene, & il Mare dalle invasioni de’ Corsari. Comosso, & animato da queste raggioni Cesare, si prefisse questa guerra, unico mezzo per distruggere gli Corsari, per nettare il mare, & liberare gli poveri naviganti, e le spiaggie dalli repentini latrocinij. Si ridusse à memoria, che nell’estrema fortuna la cosa più giustata, e la più valida, è la più degna d’un animo Reggio consiste in conservare le cose proprie, & di lontano combattere per l’aliene; la dappocagine non soggiacere à pericoli, conciosiache non si conservino, ne si aumentino gli vasti Regni coll’amarcire nell’ocio, e nella dessidia. Il valore è la gloria non essersi per anco scemato, massime aggiongendosi la fama di pietà, qual non deve esser sprezata dalli più eminenti heroi del Mondo, poiche vien anche pregiata dalli stessi superi.

Carlo, valorosissimo Imperatore. Volgendo frà se stesso queste cose, e dolendosi grandemente, che il valor Christiano fosse in sprezzo alli Barbari, conchiuse in ogni modo andare, ramaricandosi d’haver sin à quel tempo tardato: corregerò (disse la mia longa dimora con la bravura.)

Carlo amassa un'Esercito. Risoluto donque d’andare à vendicar la dignità, & grandezza sprezzata delli Imperatori Romani, pose ogni cura in formare apparati militari: Onde fatte scielte, & adunati da molte parti soldati, & poste all’ordine quantità di vele per tradurre l’Esercito con le navi, & fatta buona proviggione d’altre cose necessarie per l’armata; sotto la protettione del Sommo Dio Immortale, promotore, e scorta di guerra tanto giusta, subito che conobbe il Mare prospero, e la strada aprirsi per la sua marchiata, s’imbarcò, fatto prima rigoroso editto, che gli soldati s’astenessero dall’offendere popoli Christiani, sotto pena della vita.

Havendo poi scorto tutte le navi all’ordine per spiegare le vele ai venti, dato il segno, e levate l’anchore, navigò senza verun [p. 366 modifica]naufraggio pur d’una nave in Affirica, ove, fù il primo à nostra memoria, che vi portasse il stendardo della Croce, principalmente per liberare gli Christiani schiavi, si malamente, e crudelmente trattati, & ancorche patisce grande difficoltà, e resistenza in prender lito, messe ad ogni modo al lor dispetto le squadre in terra, e dispersa la Cavalleria Turchesca, che provò il nostro Esercito assai snello, e sollecito, assalirono con gran corraggio, e valore il Castello, ò Fortezza, dal volgo chiamato Goleta, per natura, & artificio humano forte, d’argini, & Artegliarie ben munito, e reso quasi inespugnabile.

All’hora la fantaria Italiana, che nel combattere prende gran coraggio, l’un l’altro facendosi animo, eccitando in tal guisa il lor nativvo spirito, assalì con gran valore diverse volte i forti dell’inimico, per espugnarli, e diede in quei assali gran saggio dell’innata virtù. Gli Spagnuoli, natione parimente di grand’ardire, e che per l’agilità de corpi, e pratica del guerreggiare non la cedono, à piedi, à natione del mondo, havendo veduti gl’Italiani, con quali sempre contesero di gloria, esporsi in servitio dell’Imperatore à colati pericoli, inalzate le grida, s’ammassarono, & s’accinsero all’assalto della Fortezza; si che d’una parte gli Spagnuoli, dall’altra gli Italiani à gara aspirando con gran ansia, & con ugual valore alla vittoria s’avanzarono alle mura.

Gli Castellani temendo, che appoggiate le scale alle mura, non superassero gli inimici ogni lor fortificatione, e riparo, gli travagliavano con Artegliarie, quali per rompere, e fracassare gli squadroni ben spesso con diversi colpi venivan scaricate.

Il denso fumo causato dalla polvere arsa, haveva in modo coperto, & oscurato il Cielo, che a pena si potea conoscere il più vicino. Cotal molestia, e danno porse alli nostri l’occasione della vittoria, perche servendosi del beneficio di quella casuale caligine se la scantarono per mezo gli ribombi de Canoni. Superata ogni difficultà di quella munita Fortezza, gli Italiani, à vista dell’Imperatore, piantarono primieri gli stendardi Christiani sopra le Mura. Ne di ciò prima s’accorsero gli Goletani, che essendosi schiarita l’aria, e disperso il fumo, medemi viddero gl’inimici frà le lor mura. Mandato à fil di spada il presidio, conobbe Cesare, che il Castello da tutti stimato inespugnabile, al primo assalto, dal valore principalmente delle due nationi, restò preso.

Andò poi alla volta di Tunesi, che d’altri vien chiamato Tunen, & d’alti Tunito, Città forte, e munitissima, abbondante, e [p. 367 modifica]ricca, luogo di fiera il più principale, che in tutta l’Affrica s’attrovi, ove convengono gli Mercanti per gli lor traffichi: questa l’Imperadore circondò tutta con buoni squadroni, battendola gagliardamente con Canoni. Tunesi, metropoli dell'Affrica presa a forza. Finalmente per virtù sua, & del suo Esercito, presa, la restituì capitolato prima dell’annuo tributo, & della libertà di tutti gli schiavi Christiani (il che era suo principal intento) à Muleasso Re legitimo, scacciato, però poco avanti, e profugo.

Riportarono donque gli poveri Christiani, che erano in catena, per la vittoria di Cesare il premio della lor gratuita libertà.

Si seppe di certo, che quelli, che erano nella sola Città eccedevano il numero di quindeci milla huomini.

Rovinato il Barbarossa, & altri Corsari con la perdita della maggior parte delle lor armate, fugati, e fracassati per Mare, è per Terra, restarono talmente intimoriti quelli del Regno di Libia, che anco le spiaggie alle quali non haveva spinta l’armata, e contro le quali non haveva mail pensiero mover guerra, atterite dal solo nome dell’Imperatore Romano, obedirono alli di lui commandi. Era tanto grande, e così formidabile l’opinione, sparsa di Cesare, che di già penetrate le menti di queste barbare genti, che lo temevano oltre modo, riverivano, & dimandavano per lor Re quello, che mai havevano veduto.

Carlo dunque superata l’Affrica, con una Nave spedita, giudicò bene darne parte al Sommo Pontefice, & ad altri Prencipi Christiani delli felici successi. Poi havuta cura di quelli che erano per le ferite deboli, & infermi, rese le gratie à Nostro Signore, & fatti gli dovuti sacrificij, navigò verso l’Italia. Dopò la qual vittoria, confluendo d’ogni parte Ambasciatori de Prencipi à Cesare, per seco congratularsi del ritorno tanto glorioso, e trionfante, Ferdinando Re stimò suo debito andar nel medemo tempo in persona per tal officio, dal fratello. Ma non permettendo gli publichi affari, e corenti pericoli se stasse per all’hora absente dalli suoi Regni, commise questa carica al Clesio, acciò in suo nome andasse à congratularsi con Cesare, che doppo tanti travagli, fatiche, e cimenti militari, superato l’inimico, finalmente per tante borasche del Mare, fosse ritornato vincitore è sano, che havesse d’indicibil, & immortale gloria decorata l’Augusta, & Imperial Maestà, & quasi resuscitata la Religione Romana, la quale esangue, & quasi all’ultimo spirito ridotta si ritrovava.

Gli commise inoltre molte altre particolarità, massime [p. 368 modifica]gl'interessi toccanti la compositione del Regno d’Ongaria. Per questo medemo negotio furono mandati all’Imperatore, come ad arbitro, Ambasciatori da Giovanni Vaivoda, acciò giudicasse quanto havesse stimato giusto, perche à lui solo comprometteva la causa del Regno, pronto ad eseguire quanto dall’Imperatore fosse stato determinato.

Dunque perche queste cause tenevano non poco inquieto, e solecito l’animo del Re, & assieme lo spronavano ad invigilare intorno le cose sue commise al Clesio, che senza dimora intraprendesse la carica, ma questo sentendosi per le continue occupationi mancar le forze, & in età di darsi più al riposo, che alle fatiche, à sollevar l’animo, che tenerlo occupato: & hoggimai oppresso, da lunge, & incesabili fatiche desiderava ritirarsi, & darsi alli studij, quali nelli prosperi successi apportano diletto, nelli aversi ristorano, e stabiliscono la mente.

L’istessa causa, indusse il Clesio à pigliar sopra di se cotal fatiche, che altre volte lo spinse in servitio del Re ad espore la vita all’ultimo pericolo. Stimava necessario sostenere qual si voglia viaggio, e disaggio in servitio della Real Maestà, à cui più desiderava manifestarsi con effetti, che con tessiture di bei detti. Sperava però, che ne il Re, sarebbe lungo tempo visuto in tante contrarietà, & affatti, nè egli medemo in tante occupationi, è fatiche.

L’istesso tempo, gli pareri volubili, che giornalmente si muttano, l’invitto valore de due gran Prencipi, fratelli, havrebbon di giorno in giorno, sempre più agevolate le difficoltà. Il Trentino s'invia varso Roma Oratore di Cesare Mentre radolcito dalla speranza, ruminava queste cose, parti di Viena gli 20. Decembre 1535 & in fretta, in quel tempo invernale passando per crudi giacci, ne più acuti fredi d’inverno, gionse con frettoloso passo à Trento. Di dove dati pria gli debiti ordini, & accomodate le cose famigliari, con pomposa commitiva de Cavallieri in fretta lasso però, e dal viaggio infievolito, entrò in Roma, ove fù dalli amici con ogni honorevolezza accolto. Era assai stimato da Romani, & tanto lo reputavano, che publicamente testificavano il Trentino essere benemerito di tutti gli buoni, perche obligava con cortesissimi beneficij gli meritevoli, & integerrimi, & con la sua piacevol, e benefica natura, accompagnata con gli di lui suavissimi, e dolci costumi, si conciliava l’animo di ciascuno. Aspettandosi quotidianamente l’Imperatore, che in breve doveva venire in Roma, dimorò in detta Città per alcuni giorni. In questo tempo comparvero nella curia Romana molti [p. 369 modifica]Legati di molti Prencipi, & massime dell’Imperatore (che più delli altri ciò desiderava) da quali fù esposto in Concistoro di Roma di celebrarsi un Concilio generale, & ancorche altre volte s’havesse di ciò tratatto, e con grandi controversie de pareri disputato, non si veniva però mai a deliberatione di cosa alcuna Ma hora in una numerosa sessione de Cardinali, alla presenza di Paolo Terzo Sommo Pontefice, che in persona volse presedere con singolar premura, è desiderio di tutti fù questo particolare agitatto.

S’erano proposte due questioni in disputa, l’una se fosse bene celebrar il Concilio, l’altra qual luogo fosse più à proposito, supposto che s’havesse à celebrare, perche cose così importanti dovevano essere terminate con maturo consiglio. Si disputò molto acutamente, & con gran fervore. Diversi pareri circa l'ordinare un congresso Sinodale. Rengarono ornatamente molti soggetti sapientissimi di quel Collegio, quali facendo pomposa mostra della lor eloquenza, e saggio dire, movevano gli affetti da ambi le parti, quindi nata contesa, diverse erano le volontà, si che appariva molto dubbioso l’esito della deliberatione.

In questo punto quando molti d’ambe le parti s’eran posti in ordine, in guisa di ben instrute squadre alla battaglia, il Clesio, che più volte in altre occorenze nelle Diete della Germania haveva con ogni ardore eggregiamente confuttata l’heresia Luterana, sapendo quanto vigore prenderebbono gli contrarij, contro la Catolica Religione, differendosi più in lungo il Concilio, tanto tempo avanti bramato. Il Trentino, con efficaci ragioni persuade doversi tenere il Concilio. Con gran fervore di spirito comminciò à trattare la causa, & con molte, & efficacissime raggioni, brevemente dimostrò esser utile alla Christiana Republica, & quasi necessario Celebrarsi il Concilio, più commodamente in Mantova, che in altro luogo, ove anco à tempi passati, sembrando di naufragare l’interessi della Romana Chiesa, d’altri Sommi Pontefici furono Concilij celebrati. Et essagerando con gran sentimento, e severità contra quelli, che poco prima havevano appostatato, teneva attenti oltre modo gli animi delli Auditori, e finalmente gli piegò à suo volere. Ne ciò fù maraviglia, perche discorse di cose spettanti alla pietà, & alla Religione di Dio Immortale, & utile all’auditorio, di modo, che hor confutando, hor confirmando, ridusse à fine il suo raggionamento.

Quindi sentite, & esaminate con ogni maturità le cose, dette tanto dalli altri, come dal medemo Clesio, qual temeva che la Chiesa flutuasse, per la fatione Heretica, concorsero ne’ pareri tutti gli Cardinali, & s’accordarono.

[p. 370 modifica] Si che auttore Paolo Terzo, Sommo Pontefice, à giudicio del Trentino, & altri della sua opinione, fù fatto quel santo decreto, qual poi fù per ordine publicato per tutte le parti della Christianità, di far il Concilio. Il Concilio, destinato nella Città di Mantova. Poco dappoi furon spediti Ambasciatori, o Commissarij Apostolici, quali publicassero il general Concilio, per decreto salutare del Romano Pontefice, e Cardinali l’anno 1537. il Mese di Maggio, affine di levar l’Heresie, è confirmare la fede Catolica, da celebrarsi in Mantova, con consenso & intervento de molti Prencipi Christiani. Le quali cose santamente, conforme al divin volere, condotte à fine, essendo incerta la nuova dell’Imperatore, partì per Napoli il Trentino gli 29. Febraro, nel qual viaggio provò molti disaggij, principalmente per la gran penuria delle cose necessarie.

Intesa dall’Imperatore la venuta del Trentino, commandò fosse incontrato, & ricevuto con publica pompa: lo predicava publicamente degno d’estraordinarij honori, si per le cose operate, e sostenute constantemente, per la Republica di Christo, come per la fedele, & diligente servitù, che sempre usata haveva in tutti gli tempi, & in ogni occorenza, dopò che fù chiamato in Corte, à se, & al fratello, non essendosi per qualsivoglia fatica, ò gravi pericoli distornato dalli negotij publici.

Avisato il buon Prelato della volontà dell’Imperatore, pertinacemente recusò un tal honore, & si pomposo apparato, allegando non esser cosa convenevole, che à se, come minimo della Augustissima Casa d’Austria, si facesse tanto honore dalla Maestà Cesarea.

Quindi contento della sola sua commitiva volse, per non esser trattato d’ambitioso, ò per non provocarsi l’invidia de molti, far con quella l’entrata nella Città. Il giorno seguente il suo arrivo, andò all’audienza di Cesare, e fù da lui con faccia allegra, e con lieto sembiante accolto, à cui con oratione tanto prudente, & opportuna espose gli ordini del Re, che ottenne quanto quello desiderava. Con che apparato debbasi ricevere la Maestà dell'Imperatore Doppo haver con ogni essatezza finita l’Ambasciata con l’Imperatore, ritornò à Roma, in spatio di cinque giorni compiti, ove subito trattò col Sommo Pontefice, e Sacro Collegio de Cardinali con qual apparato, condecente alla Maestà Cesarea, s’havesse da ricevere l’Imperatore, che in breve era per venire à quella volta. Stabilite con ogni decoro queste cose, gionse nova haver hormai Cesare fatta più della metà del viaggio: eransi destinati messi, quali, quando havessero inteso l’arrivo di [p. 371 modifica]Cesare, subito à volo di Cavallo portassero la nuova alla Città, acciò in tempo potessero uscirli in contra.

All’hora gli Cardinali Tranese, e Sanseverino, eletti à quest’officio in Concistoro, portatisi sino alli confini del Territorio, e distretto Romano, incontrarono lui, conforme all’appontato, l’Imperatore, ove à nome del Sommo Pontefice, & di tutto il Sacro Collegio, con ogni riverenza l’accolsero, & honorato quanto puotero, lo condussero à San Paulo, Chiesa posta in un Borgo, ove si contentò per nottare, acciò in questo mentre con maggior commodità si potessero fargli apparati, per riceverlo nella Città.

Erano gli Romani tutti snelli, & le opere inventate à diversi spettacoli con ogni fretta, e diligenza si riducevano à perfetione. Molti, à quali assai rincresceva l’aspettare, ancorche si fosse sparsa fama, che il giorno seguente sarebbe giunto, impatienti ad ogni modo si spargevano per le porte, tanto desideravano di vederlo.

Stimò la Città di Roma; quella volta d’haver con l’arrivo di Carlo, nella Città di Roma recuperata la pristina Maestà, decoro, e richezze. Il seguente giorno, accompagnato Cesare salli stessi legati, circa le sedeci hore si portò avanti sino alla Chiesa di San Sebastiano, ove uscirono tutti gli Cardinali, eccetuati soli quattro, quali restarono all’assistenza del Papa, ad incontrarlo, fù Cesare tolto in mezzo delli due Cardinali Senese, e Tranese, seguendolo con bel ordine gli altri: andavano avanti gran caterve de soldati, d’armi, è vestiti ben adobbati, seguivano poi gli famigliari del Prencipe di singulare, & mirabile magnificenza adorni, frà questi sopra superbo Cavallo, quasi trionfante, fece la sua entrata nella Città per la Porta di San Sebastiano.

Di già era convenuto al primo adito della Porta con le cose Sacre di quella Città tutto il Clero. Ove Capisuce, Vescovo di Nicastro diede la S. Croce da bacciare all’Imperatore, nello stesso entrare dalla Porta, qual baciata con ogni riverenza, & fatte l’altre cerimonie da farsi, continuato il viaggio sotto gli archi trionfali di Costantino, Vespasiano, & Settimo Imperatori, lasciando à dietro il Capitolio, & il Palazzo di S. Marco, pervene nel Campo florio, e d’indi per il Ponte di Sant’Angelo à drittura nella Piazza di San Pietro.

Il popolo era in modo per le contrade disseminato, che à pena lasciava scarso spatio alli passaggieri, tutti amiravano Cesare, mà più delli altri huomini di guerra, quali sapevano le gran vittorie, ed imprese da lui fatte in diverse battaglie, & assieme [p. 372 modifica]esperta la codardia, è pigritia d’altri Capitani. Ovunque piegasse era acclamato con straordinarij applausi, & gridi, l’acclamationi contenevano, che egli era benemerito di tutta la Christianità, dattore di salute, destruttore de perfidi, e malvaggi Corsari, non altri, che lui al Mondo esser degno del nome Cesareo, gli auguravano gli anni Nestorij, purce vivi (dicevano) per molti secoli siamo salvi, è sicuri da qual si voglia barbarico, e nemico insulto, purche egli e la progenie che di lui nascerà renghi in perpetuo l’Imperial scetro, non havremo mai più di che temere, saremo in sicuro.

Frà questi applausi, & acclamationi s’andava avicinando à Paulo Terzo Sommo Pontefice, qual alla prima entrata della Chiesa, con gli sodetti quattro Cardinali alli latti, sopra d’un alto palco fabricato, opportuno per tal effetto, in Pontificali ornamenti, maestoso apparve per essere da tutti veduto. Colà gionto l’Imperatore, desideroso lasciar di se à posteri memorabile esempio d’obedienza alla Santa Sede Apostolica, smontò da Cavallo, per piegarsi a bacciar gli piedi di S Santità: Non però sopportò il sapientissimo Pontefice, che si preclaro, è segnalato vincitore stasse prostrato à piedi della Chiesa, qual col suo valore l’havea essendo quasi in terra oppressa, da nemici sollevata, e diffesa, ma havendolo amichevolmente bacciato, & frà gli paterni amplesi accolto, lo ricevè con ogni demostrazione, dando in cotal guisa ad’intendere, che quel Christianissimo Imperatore, che con tatti si eggregij, à prò della Religion Christiana havea più che à bastanza dimostrata la sua volontà, & affetto, era degno d’essere nel seno di quella ristretto. Poi presolo per la mano, lo condusse nella Chiesa di S. Pietro, dalla quale derivano gli veri ritti, e cerimonie Ecclesiastiche. Ove con solenni voti sparse preghiera à Dio, & avanti l’Altare, pregato il supremo Signore per la salute dell’Imperatore, & conservatione della Romana Chiesa, resero à Dio, è Santi suoi gli dovuti honori. Diede indi à tutti gli assistenti la sua Pontificia beneditione, vocabulo molto usitato da sacri Scrittori.

Compite con ogni solennità coteste cose, andarono assieme al Palazzo, & ivi per alcuni giorni furon trattenuti da lunghi, e difficili discorsi.

Il Trentino si parte dalla Città, per andare alla presenza del Re. Il Trentino esequite l’Ambasciarie, & esposto quanto haveva d’ordine del Re al Papa, & all’Imperatore, si partì di Roma, attendendolo con gran desiderio Ferdinando. Haveva già determinato, essendo cotanto dal Re honorato, & con tanti beneficij [p. 373 modifica]favorito, preferire la Reggia volontà la dignità della Republica, & salute delle Provincie alli suoi privati aggi, & interessi, Fede, e constanza del Trentino verso il Re. la onde acciò passata la Flaminia strada, con ogni celerità potesse giungere alla Patria, per poi d’indi aviarsi alla presenza del Re suo Signore, quasi che fosse nato alle continue fatiche, anzi dal continuo moto maggiormente risvegliasse gli spiriti, & come che era di ben temperata natura sempre più venisse ad invigorirsi, si servì prima de Cavalli da posta, ma pervenuto al luogo, dal volgo chiamato Monte delle rose, discosto da Roma sedeci miglia, dall’insolito modo di cavalcare conquassato, ritardato anco dalla già matura età, fù constretto il rimanente del giorno, & la note seguente darla al riposo. Il giorno seguente, accompagnato da pochi, ripigliò il viaggio alquanto più commodo.

Era l’anno del suo Vescovato ventesimo, il qual tempo dal giorno, che fù chiamato in Corte spese hora con Cesare, hor con Ferdinando suo fratello, in difficili, & ardui negotij, ne mai fù osservato stanco dalle fatiche, ben si impatiente dalla quiete; Et quello, che più rende meraviglia, mai trascurò, ancorche molto lontano, il governo della sua Chiesa, mai si rallentarono le fabriche, mai mancò d’ergere nuovi edificij, e di restaurare quelli che erano in procinto, per l’antichità, di rovinare, nè potiano mentre vive raggionevolemente altro sperare.

Francesco sforza Duca di Milano muore. Quasi nel tempo medemo, mentre in Roma trionfava l’Imperatore, Francesco Re di Francia, morto Francesco Sforza, Duca di Milano (il che accrebbe speranza al sudetto Re d’impadronirsi di quel Stato) presa di ciò nova occasione di guerreggiare, formò un’Esercito, & giudicandosi hormai di pari forze, e credutosi di poter ressistere à Cesare, quando havesse volsuto prenderla per gli Milanesi, si spinse contra gli Taurini, ò Piamontesi.

Francesco re di Francia muove guerra à quelli di Turino. Carlo Duca di Piemonte, avisato del nemico Esercito de Francesi, fortificò gli Castelli, & crebbe gli presidij, la diffesa de quali commise à Gioan Giacomo de Medici, essendo assediate le Città, questi più volte, per liberarsi dall’assedio, con gran corraggio assalendo l’inimico, si mise con i suoi à far sortite, ma essendo pochi da gran numero assaliti, & malamente trattatti, furono costretti ritirarsi alli proprij presidij.

Quindi non passò molto, che il Re soggiogò gli Piamontesi, di gran lunga inferiori. Quelli, che spontaneamente si rendevano furon da lui ricevuti in amicitia, il rimanente, che voleva [p. 374 modifica]diffendersi, & far testa mandò a fil di spada. Occupò in breve, eccetuati alcuni pochi luoghi, diffesi dall’armi Imperiali, scacciatone Carlo, Duca, tutte le Città, è Castelli, facendosi padrone di tutto quel Prencipato, per poi (come era fama) più facilmente prendere il Ducato di Milano.

Affermava per alcune antiche pretensioni appartenersi di raggione alla sua Corona. Non depose mai cotal pensiero, ancorche più volte con tanto suo danno havesse infelicemente tentata simil impresa. La grandezza dell’animo superava la forza delle stelle, che gli minacciavano ruina. Cesare esce in campagna contro li Francesi. Cesare che di già haveva determinato con gli medemi auspicij, con quali haveva cominciata quella guerra, la seconda volta traddure l’Esercito in Affrica, per domare il rimanente di quella gente Barbara, intesi gli tentativi del Re Francese, subito mutò pensiero, e rivolse l’animo da si Santa speditione, piegando tutte le sue forze contro Francesi, risoluto diffendere gli Milanesi, à quali devea soprastare la guerra. Sapeva benissimo, quando non havesso estinto quel fuoco, che di recente s’andava sccendendo, cresciuto sino à divenir incendio, havrebbe in breve arsa l’Italia tutta. Ciascuno di sana mente poteva conoscere cotal mossa, esser stato principio di gran rovine. Ciò scorgendo il Trentino, che anzi molto avanti previde cotali infausti successi, e perniciose discordie, se gli scopiavano le viscere, piangeva dirotamente frà la presente nostra misera conditione, la rovina di tanti paese, & gli danni, che pativa la Romana Chiesa, per le discordie de Prencipi Christiani. Ruminando parimente le communi miserie quali tanti anni ha provata la povera Italia, e rinfrescandosegli la memoria de passati tempi, abbominava quelle infauste squadre, da quali eran state morte tante migliaia di persone, e dalle quali la nostra età haveva viste le rovine di tante Città, la stragge di tanti popoli, la morte di tanti Prencipi: sciagure che mai à bastanza deplorare si potrano, di modo che il distretto d’Italia (per non fraporre per hora altri luoghi, in queste contingenze) è fatto funebre sepolcro de proprij, e forastieri.

Per queste cause giudicò impiegar ogni suo spirito, è sapere, ancorche lo conoscesse giustamente adirato: per rimuovere ad ogni modo l’Imperatore, per quanto potea da si perniciosi disegni, havendolo per avanti con soverchie preghiere poco meno, che annoiato, finalmente quasi che disperasse la vittoria, comminiciò à suadergli la pace. Che in quanto à sè inchinava sempre ad esser di pace promottore, è quando non havesse volsuto con simil consigli seguire, [p. 375 modifica]facesse almeno la guerra in tempo opportuno, per tentare senza danno la conceputa impresa. Et ancorche scorgesse Cesare di maggior animo per la vittoria Affricana, & che confidava molto nel proprio valore, & de Soldati, gli protestò ad’ogni modo, con indicibil efficacia, che era conveniente à congiungersi in amicitia e confederatione col Gallo.

Il Clesio bramoso della pace. Dimostrava ciò essere, & all’uno, & all’altro cosa più utile, la pace essere nutrice di tutte le cose buone, doversi questa preferire alla pestilential guerra, anco con conditioni disavantaggiose.

Che all’incontro, quando vorano due potentissimi Prencipi della Christianità frà di loro perseverare nelle discordie, è sanguinosi cimenti, in breve sarebbe il Mondo tutto stato ripieno d’inestinguibili incendij di guerre.

Ansioso, mandò lettere à diversi Prencipi, acciò con le lor preghiere, & interpositioni si componessero gl’interessi di quelli due gran Prencipi, & restassero sedate le discordie, che continuamente andavano pullulando.


Il fine del Decimoterzo Libro.