Annali overo Croniche di Trento/Libro IX

Libro IX

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DELLE CRONICHE

DI TRENTO,

DI GIANO PIRRO PINCIO

LIBRO NONO.

Dedicate all’Illustrissimo Signor Aliprando Clesio.


EE
Ssendo adonque il Clesio zelantissimo del culto Divino, impiegosi al possibile, & usò ogni

Cura de le cose sacre. diligenza nel apprendere la disciplina delle cose Sacre. E con tanto affetto, & vehemenza d’animo si diede all’osservanza della Religion Christiana che giorno, & note sempre maneggiava, & rivolgeva gli Scrittori Ecclesiastici, ne quali manifestamente si contenevano documenti di Santa dottrina, divinamente spiegati con la scientia d’huomini Santi, & approvati con l’autorità de molti Pontefici: per cavarne d’indi sante instrutioni, & apparare con quali ceremonie, & Orationi si dovesse alcuna cosa lodare, & raccomandare; con qual efficacia, & desiderio di mandare, con qual allegrezza, & rendimenti di gratia sodisfare, & come espurgare le colpe. Avanti incominciasse à trattare le cose Sacre, conforme il rito Romano, acciò d’ingnoranza non restasse oltraggiato, & violato un tanto Sacrificio, che con tanta purità, & debite ceremonie deve essere fatto, & da se non slontanasse la volontà dell’Eterno Dio, concitato per tali mancamenti à sdegno; qual già haveva proposto publicamente, & conforme il Christiano costume adorare, & riverire. S’elesse per suo ammaestramento Sacerdoti di vita illibata, & impuntabile, instrutti, & periti nelle arcane cerimonie del grande Iddio. Ma giudicando coteste Divine Cerimonie essere per riuscire alli huomini [p. 194 modifica]più stimate, più riverite, più tenute in preggio, & anco più inviolabili, quando havesse resa la sua Persona venerabile con paramenti Religiosi, & Episcopali. Perloche s'adornò, col rimavente de vestimenti Sacri, d'una Mitria rossa, che alquanto tendeva al bianco, fenduta in due parti, di lucentissime gemme à guisa di stelle tempestata, mostrandosi in ciò più venerabile, e religiosamente sontuoso. Di coteste vesti honorevolmente guarnito publicò il giorno di questa solenità, & consecratione, acciò il popolo potesse il giorno stabilito convenire alla Chiesa.

Numero frequente d'huomini All'hora gran moltitudine di gente senza differenza di sesso, ò conditione, curiosa di cose nuove, tratta dalla fama del spetacolo, & solennità del nuovo Vescovo da lontani paesi, & Città confinanti si transferì à Trento. Di già s'era sparsa, e divulgata fama, che Dio specialmente assisteva al Clesio, ne mai gli sarebbe mancata virtù, che havrebbe secondo la grandezza del suo animo fatta la consecratione, con ricchissimo apparato, & come richiedeva la reputation sua, & de parenti l'havrebbe honorata con reggie spese, & Vescovali banchetti.

Quelli che erano venuti da parti assai lontane per vedere il nuovo Vescovo, & la Città, quall'havevano intesa superbamente apparechiata, tutti erano invitati, divisi per le case, & cortesemente Pompa molto grande. accolti. Stupivano come la Città frà tante non men chiare, che superbe opere, & affari con tanto ardore, cosi accelerasse, (comparititi gli officij, & fatiche,) il publico apparato.

Il giorno avanti la solenità nell'hora del Vespero uscì dalla Città per la porta, che conduce à Verona in mezzo de principali, & più illustri il Vescovo, & conspicuo si portò conforme all'antico instituto alla Chiesa del Borgo di S. Croce, qual tutta è fatta di marmo. Ove convenero (per usar termine legale) tutti gli Feudatarij del Vescovato Trentino, con quali accuratamente trattò il Clesio, conforme le ordinationi, & statuti de suoi predecessori. Tratatte, & con ogni prudenza terminate queste cose, circondato da gran quantità de Cavalli, andando avanti processionalmente il Collegio de Sacerdoti, che per gentilezza, & corteggio erano usciti (come in tali congionture è lor uso, venerabili, si per l'habito Ecclesiastico, come per l'haver avanti spiegato il vessilo Christiano della Croce) ad incontrarlo; ritornò poscia alla Città con tanparato, quanto mai altre volte fù veduto. Per le Contrade si vedevano spetacoli mirabili, e di diverse sorti, fù l'inventore Giorgio Alemano Musico, huomo di quel tempo chiarissimo. [p. 195 modifica] Giunto alla piazza ove da Cittadini con grande artificio era fabricato un Castello di legno, con molte Torri, alto, & superbo: gli Soldati accinti alla battaglia come havevan già ordinato provocarono una specie di guerra e dato il segno delle Trombe, e Tamburi, accorsero espediti con animo lieto, & alzati gli gridi subito assalirono il Castello.

Applicano l'Aquila, s'urtano l'un l'altro, cingono gli muri gli battono, & vi saltano sopra, non tralasciano cosa di fuori, che potesse desiderarsi in soldati gagliardi, & valorosi. Ne manco esperti, & bravi si mostravano gli Castellani, che di dentro erano alla difesa. Altri combatevano fieramente in diffesa delle muraglie, altri con gran forze, & resistenza diffendevano, le Porte, propugnacoli, & torri, ributando bravamente, & regetando quelli, che si sforzavano ascendere, & con finte pietre, fatte di carta in forma di ballone, ò di grande, & vacue balle, con grand'artificio fabricate, constringevano gli adversarij abbandonare gli argini, & trincere. Poi quelle balle cosi concave, & piene di vento, lanciate con gran forza nelle teste di quelli, che contendevano con le mani arramparsi sopra gli muri, ribalzavano subito, & ribatutte senza haver offeso alcuno venivano à cadere con gran gusto de circostanti, sopra il popolo. Altri facendo, improvise sortite assalivano inconsiderati repentinamente l'inimico, & con gran gridi riportavano le prese insegne nel Castello.

Per tal perdita arrabiavano dal dolore, & più fieramente s'accendevano d'ira, & sdegno gli soltadi, che combatevano di fuori, e doppò haver combatutto buona parte del giorno rinforzato l'impetuoso assalto, di nuovo con duplicata virtù attacarono il Castello, s'impadronirono, & recuperata l'Aquila con stridi inauditi dalle fenestre gridavano vittoria, & scacciato il presidio, lo destrussero mandandolo à fuoco, & fiama.

Stette il Vescovo in quella Cavalcata con suo gran gusto à mirare si dubiosa senza sangue, & gioconda mostra di battaglia; & lodò senza satiarsi la gran virtù de Trentini, quali come in molt'altre cose, cosi in questa si portarono eggregiamente, dechiarando la gran lor benevolenza nel suo Prencipe. D'indi entrarono con lungo ordine de magnati nella Chiesa di S. Vigilio patrone, & tutelare della Città, in cui con gran attentione furon essequite le cose spetanti la sua Consecratione, & stabilironsi l'interessi attinenti al Principato.

Prese poi conforme l'antiche constituitioni, & consuetudini il [p. 196 modifica]possesso del Vescovato, & ritornando in Castello fù portato per la Città, seguendolo il popolo con felici acclamationi. Et acciò quelli, che erano venuti di lontano per vedere la solenità non patiscero sette, nella piazza avanti il Castello fù fabricata, a commun Vino che scaturisce da un fonte. uso per ordine del Prencipe opportuna Fontana, da cui scaturiva, & era versato eggreggio, & eccellente vino. A questa concorrevano d’ogni parte, acciò gl'affanati animi in tanta frequenza, & concorso di popolo con quel soave liquore, che per dono, & liberalità di quel generoso Prencipe saltava in publico, restassero sollevati.

Vuole il giusto, che quivi diciamo parte almeno di quelli apparati, & ricchi ornamenti, che furon fatti per celebrare il giorno della sua Consecratione. Adobbarono gli Trentini la Porta della Città, che riguarda la Chiesa di Santa Croce, non molto lontana dalle mura della Città, di verdeggianti corone, di varij delineamenti, di pitture, & publiche insegne.

Fecero parimente à spese del publico due Archi di mirabil artificio Archi dirizzati. con travi tutti coperti di frondi inalzati, l’uno frà le cantonate delle case, che sono nel uscir di Contrada larga, la dove à drittura per la piazza si và alla Chiesa Catedrale, sopra questo era una Statua d’huomo à cavallo di colore, che imitava il vero, con sovrana arte peneleggiata, il petto haveva armato di scudo, & corazza, nella destra in atto minacievole teneva vibrante spada, rivolta verso l’oriente, prometendo in tal guisa a suoi speranza; terrore, & morte alli nemici. Era la Statua dedicata in honore di Cesare, qual poco avanti haveva posti in fuga gli nemici. S’aggiungevano à queste cose l’inscritioni, quali per ordine dichiaravano il tutto.

L’Altro era dirimpeto alla Torre, qual inalzata in aria construttura di marmo, sta sopra il palazzo Episcopale, fabricato à San Vigilio. Questo congiungevasi nel contrapostao fianco, appoggiato ad una speciaria, in mezo alla piegatura dell’Arco risplendeva di lontano l’effigie in Pontificale di San Vigilio, gli cui piedi con gran riverenza bacciava la bocca dell’immagine di Bernardo. Quindi si legevano in compendiose lettere l’antiche memorie de Clesiani. Pendevano, attacate, secondo il costume de nostri antenati, come da vecchio rovere Corazze, Morioni, Scudi, ornamenti de Cavalli, Dardi, Frezze spezate, gonfiate Gambiere, & altre cose somiglianti, che frà rami, & frondi traluceavano. Havevano assembrato, & tessuto di quest’arco molte [p. 197 modifica]corone frà di loro con grand'arte framesse, & intrecciate. Non solamente di rose, ma ancora d'altre misture di frondi, & fiori di diversi colori, si raggiravano le corone, la varietà etiandio delli odori eccitavansi, & vicendevolmente si provocavano. Con tanta varietà s'aggroppava assieme quella molteplicità de fiori, che la pitura, ritrovata per immitare l'opere della natura, non sarebbe bastevole à contrastare con quel arte, nel dare le similitudini di colori. Manco gli ornamenti delle Contrade furon sprezabili, La Città ornata. erano queste coperte tutte di tele. Et acciò non si desiderasse cosa alcuna d'auttorità, & reputatione à tanto bramata solenità, per dove il Pontefice doveva venire nella Chiesa, & ritornarsene in Castello, le porte delle case erano tutte di rami diversi ingirlandate, gli muri coperti di razzi, e di tapetti, di prezzo. Le strade sparse di panni rossi.

Di più procurarono far ombra. Dalla Chiesa di San Vigilio tirarono tele congionte assieme sopra la piazza, & contrade sino in Castello nella Colina, il coperto reso in forma d'arco, si che l'ombreggiato à volto non solo diffendeva dal Sole, ma anco recava gran diletto, imperoche le tele molificate con unguenti, riempite di stelle sopra colore ceruleo, rappresentavano la vista della sovrana fabrica. Si sentivano parimente stridere, & romoreggiare l'inaurate foglie d'ottone, minutamente stese, & tirate in sottili, & di sua natura placabili lame, con filo attacate alle tapezzarie, quali essendo agitatte dal vento gongolavano, & parevano facessero allegrezza, & imitassero la Città festeggiante in tante ricchezze, & feste.

Per pippe poi, & canelle inargentate, ne quali havevano poste picciole papille, ò porosi bottoncini per mandar fuori l'acqua, con longo ordine, ma breve frà di loro quattro disparti, alte dalle muraglie delle case d'ambe le parti spruzavano ne passaggieri in abbondanza preciosissimi è naturali liquori, & acque Liquori odoriferi mischiate col sugo di Rose, & odorifero zafrano, con altri straordinarij odori temperate, di più freschissime, quali senza difficoltà gli Unguentarij compongono con diverse sorti di profumi, & altri ingredienti, queste continuamente scaturendo, come da fonti, collavano, si che il popolo si consolava sentendosi cosi dolcemente inaffiare.

Si ritrovarono chi tratti da quel diletto, gratiosamente contendevano in ricevere con le proprie mani quel cadente liquore, con cui poi si bagnavano le labra, & gli occhi. E certo quel [p. 198 modifica]giorno saltò da canelle tanta copia d’acque odorifere, che le tappezzarie, distese per le strade, bagnate, ne rendevano soavissimo odore, levando la forza di quella soavità la malignità de vapori, quando la terra n’havesse mandati fuori.

Si vedevano in oltre gabbie disposte secondo la proportionata distanza in bel ordine, tessute tutte di fili di fero con molto arte, & sapere, incrocciate à guisa di gelosie, ne quali erano diverse sorti d’ucceletti serati, che col dolce suo garire spiegavano il lor melifluo canto. Ritrovavansi chi imitavano gli mugiti de Armonia d'ucceli. buoi, & gli annitriti de cavalli, si sentivano brilanti per il vino gli Papagali formar voci humane, che salutavano il Clesio, non mancava la loquacità delle Gazze, gli Tordi imitando il parlar humano trattenevano gli passagieri. Gli Rosignuoli fatti domestici, cantando sempre variavano gli lor concenti. Gli Corvi medemi hebbero special gratia imperoche impararono per nome salutar Cesare. Ne mancavano Cornachie quali con lunga tessitura spiegavano più parole. Sarebbe cosa troppo lunga, & superflua il narrar minutamente tutte le voci, & soavi canti delli ucceli, quali di lontani paesi trasportati in dono al Prencipe, col suo vario cantare raddolcivano l’aria, & trattenevano col suo garire gli spettatori, fermati da lor viaggio.

V’erano anco per le contrade diversi, & sontuosi Altari forniti, Altari posti per le Contrade. & adobbati di Sacre, & bellissime pitture, alle quali abbrugiavano gli pretiosi odori della terra orientale, spiando il popolo con acute narici quelle odorifere nebbie. Haveresti creduto ardere de l’herba Casto d’odore mirabile. Le spiche, & foglie del Nardo, il rosso fiore d’Affaro.

Ammassarono alli fumiganti Altari gran copia di Ammomo (legno odorifero, & simile alla ruta salvatica) in fassetti legato con le sue radici, parimente di Cardomomo più vicino, & simile al Casto, de più perfetti, & provati incensi per il colore, gravezza, & fragilità di perfetta Mirra condotta fino dall’Arabia, qual non ha pari frà gli Arbori quando da per se collano profumi avanti sij tagliata. Consumarono anco sopra ardenti bragie quantità di Cinamo, qual con gran diligenza per gli spatiosi, & vasti Mari havevan fatto condurre sino d’Etiopia ne nostri Paesi. Posero nel fuoco consimili sarmenti di cose odorifere, & altri germogli d’Alberi, con quali l’invecchiata Fenice è fama, si fabrichi, & riducchi à perfetione il proprio nido.

In tal guisa sacrificavano per la Città al grand’Iddio, & San [p. 199 modifica]Vigilio, svaporando ogni parte, & essalando quelle fiamme certi vaporim quali spiravano soavità tale, quale non saprei spiegare. L'aria s'empiva di fumo causato dalli arsi legni, presi da quelle beate Selve dell'Arabia.

Fatti con tanta diligenza, & poma questi apparati, uscì Bernardo Clesio novo Prencipe di Trento, subito ordinato, & consecrato Il Vesc. s'incamina a la Chiesa. Vescovo di Castello gli otto Settembre, nel qual giorno si celebra la natività di nostra Signora l'anno 1514. doppò il levar del Sole, ben accompagnato da Arcieri, con le loro Labarde, conforme si costuma, con la maggior pompa possibile frà primati quali chiamano Conti, & grandi, detti Baroni, & gli Vescovi che l'havevano Consecrato, sopra un superbo, & ben guarnito Ricco apparato di cose Sacre. Cavallo: caminava egli per le dipinte tapezzarie, lame cantarine, & Altari, che mandavano soavissimi odori, il popolo ovunque dovea andare copria la terra di freschi rami di arbori. Gli Cittadini Odori soavissimi. incontrandolo coronati gli davano gl'incensi. Altri portavano Torcie di cera, altri lo caricavano di fiori, accompagnandolo sempre con gentili corteggi. Esso cosi dalle voci d'huomini, & uccelli salutato, & con tal applauso accolto, giunto alla porta della Cathedrale, bagnò prima se stesso con l'acqua benedetta, aspergendo poi gli altri primati, che gli stavano d'intorno d'indi ascesse per celebrare all'Altare maggiore.

La turba strepitava, & contrastava (come suol accadere) nell'entrare, si sforzava ciascuno esser il primo, facendosi in tal guisa forza, assieme constipatti frà le porte si batevano l'un l'altro, hor avanzandosi avanti, hor per l'impeto rigetatti al primo loco, si spingevano con tanto concorso nella Chiesa, che manco era dato il condegno honore alli Altari, tutti gli luoghi più intimi, & secretti de Santi erano pieni di gente, risonava il coperto della Chiesa fatto di marmo fatto in forma d'arco, à volto, ripercosso da tante voci, & gridi.

Frà tanto s'accendono le Torcie, & i lumi di odorifera cera, ardono avanti gli Altari le lucerne attacate, & vive di oglio e grasso liquore risplendono le lampade apese alli più alti travi acconcie per illuminar le Chiese, fabricate con verghe di bronzo, nella parte inferiore sono larghe, crescendo poi in forma rottonda sempre si van stringendo fino al terminar in punta, attorniata da più cantoni in modo di squadra, ne quali li fumicelli, ò stupini imbombiti del succo dell'olive, & sempre attrahendo, & impiendosi di quello mantengono, & nutriscono in cotal guisa il fuoco, [p. 200 modifica]vaporando, facendo una densa, grusta sotto il Cielo. Spargevano anco in gran copia sopra ardenti braggie quelli incensi che si racolgono con duplicata vindemia, quali intagliata la corticia di pregnante Arbore, fatta ampia fissura, saltano in luce, & indi in servitio de sacrificij dovuti à Dio, & suoi Santi transportati in queste parti, & liquefatti dal fuoco, rendono à ciascuno grato odore. Ardevano in altri piccoli ma odoriferi arbuscelli, in tanta quantità, che havresti creduto abbruggiarsi in strepitanti fiame le richissime selve d'oriente, & che tutte assieme getatte nel fuoco fossero sacrificate à Dio, rendendo à noi con suoi dolci odori in novo modo raddolcendo l'aria.

Fatto silentio, & acquetati, tutti stavano rimirando l'Altare, intenti con la mente, & esterna compositura à quel solene Sacrificio.

All'hora il Pontefice cominciò d'alto à parlare, & pregare il supremo Dio per gli Christiani, & dimandare quell'aura Divina, qual con soave fiama abbruggia gli cuori humani, & parimente supplicando il supremo nome destruggi tutti gli nemici del nome Christiano, conservi le sue persone diffendendole da qual si voglia nemico incontro: Poi adorò Christo nostro Redentore, dimandando con efficaci preghiere il suo Divino aiuto, & non permetti mai, che le anime redente col suo pretiosissimo sangue, & lavate con l'acque batismali, ricadino nelle tenebre del peccato, aggiunse molt'altre cose, quali non tocca à noi il raccontarle.

A queste cose rispondeva il candidato Choro, risonando la Chiesa per le lor molte, & sonore voci. Mentre con le consuete Si celebra la Messa. attioni s'incensavano gl'Altari, alletava il popolo la melodia, che usciva dalle inequali, ma consonanti Cane dell'Organo. Doppò che hebbe proferite le concepute parole, consecrata, & offerta à Dio quall'immaculata, & Santa Hostia, finito quel Santissimo Sacrificio, conforme il rito della Romana Chiesa, & placato il supremo Dio. Licentiò il buon Pastore quel numeroso popolo dalla Chiesa, esso tutto vestito di rosso montato sopra un bianco, & superbo Cavallo, s'aviò verso il Castello, passando in mezzo di tante genti di diversi paesi, sotto gli sopra accenati apparati, fatti in forma d'arco, quali diffendeano dalli cocenti ragi del Sole e per di sotto dipinti, & ben distesi drappi, frà verdi, & artificiosi razzi, gran copia, & quantità de odoriferi fiori, arbosceli d'oriente, varij & ben concertati canti d'uccelli, Altari, & Imagini di diversi Santi, elegantissime orationi, & antichi titoli, & encomij de Clesij. [p. 201 modifica]In ogni luogo si vedevano pitture d’Apelle, per tutto si scorgevano Statue nobilissime. Di passo in passo grondavano à basso acque profumate, & odorifere à meraviglia, preparate à tal effetto, che spruzzavano, & confortavano chiunque passava: parimente apparivano di quando, in quando diverse rapresentationi, che con mirabil artificio, & agevolezza facevano abbagliar gli occhi nel variar le scene, mostrando sempre diverse figure, sembianze, & spettacoli, degne d’un tanto huomo, acutto, & insigne nell’arte di giocoliere, come era Giorgio Alemano; Dunque per mezzo tanti apparati, de quali non habbiamo voluto tanto per minuto discorere, s’inoltravano eccitando allegrezza d’animo, le Trombe, Flauti, & altri musicali instrumenti, che rendevano grande armonia.

In questa guisa frà gli primarij portò in Castello, ove preparato un lauto, & superbo convito, accolse con grande cortesia le Matrone, Conti, Baroni, & altri Nobili, & Cittadini, invitati à quel Banchetto; & per passar con silentio il pranzo sontuoso, come à tutti noto, che fece la mattina veramente honorevole, & celeberrimo, diremo solamente alcune poche cose della Cena Cena lautamente imbandita. publicamente da lui fatta il primo giorno, che egli celebrò la sua prima Messa in Pontificale. Si disposero le mense sotto il Ciel aperto, nel giardino, sottoposto al Castello, luogo ampio, & spatioso, abbassate, & sparse per terra le viti, conforme comportava la stagione, distese con bel ordine le bellissime tapezzarie, in modo di diverse stelle, che rappresentavano forma rotonda, prohibendo l’aere pernitioso della notte.

Le camere poi congionte alli salvarobbe erano con magnifico ornamento preparate, gli muri coperti di telle dipinte, caminavano sopra gli tapetti incoloriti di finissima porpora di Tiro, la terra per ogni parte sparsa di Zaffrano, accese le Torcie da vento di cera, che sbandivano ogni sorte di tenebre, pareva di mezzo giorno, perche à guisa di raggi solari illuminavano ogni secretto cantone, in tanto, che non v’era bisogno di diurno splendore: Ridutti da conviti. furon fatte tre Camere superbissime per il Convitto, nella prima cenavano gli principali col Prencipe in veste di porpora Episcopale. Nel secondo le Dame nobilissime, invitate di lontani paesi, chiare per la ischiata, & lor puditizia, parente intime del Prencipe, con queste stettero molti nobili fratelli, o mariti, ò stretti lor parenti. Nella terza sentarono gli gentil’huomini Trentini, con le proprie mogli. [p. 202 modifica]

Quivi furon apposte le vivande, comparendo con lunga ordinanza nelle mense bandiggioni di varie sorti d’uccelli domestichi, & selvatci portati di diverse parti, fiere selvatiche, intiere, arrostite, in soma si celebrò un lautissimo convito, furon acconciate tante sorte de fercoli, apprestosi quella Cena con tanta copia, ed abbondanza de cibi (che per non affaticare molto nel narrare pontualmente il tutto) se non fosse stata conosciuta l’integrità, & riguardevole vita di quel Prelato, havrebbe potuto esser notato di lusso. Ancorche non vi fussero state Lepre grasse, Limage, Convito temperato. & Porco Troiano, ò Cingiale intiero, & pieno d’altre selvaticine, cose tutte convenevoli, & dimandate dall’intemperanza della lasciva gola. Fù ad ogni modo chi lo oppose haver egli usata maggior diligenza, & sollicitudine in procacciar tante delicie, di quello, che conveniva à nostri tempi.

Acciò li convitati sapessero non esser lui per satiar il sfrenato appetitto, non esser chiamati à lussi, ò ad altri voraginose, & impertinenti rilassationi, non era minor l’abbondanza delle virtù, quali risplendevano, & campeggiavano in quelli Campioni, che la copia delle vivande. Gli delicati cibi, l’abbondanza delle fercole alletavano gli temperati, & modesti convitati, ma la temperanza, che non può piegare ad alcun estremo, ammoniva à non passare gli termini della modestia, ma solo à prendere quanto il stomaco ragionevolmente può capire, di modo che il piacere della gola, quall’in alcun è insatiabile, stava soggetta alla continenza. Da per sè faceva constare, questo convito esser stato ordinato da un sapientissimo Prencipe, non acciò fossero corrotti, & contaminati gli buoni costumi delli assentati, mà acciò maggiormente venissero à spiccare, & essere commendati, stante non sij maggior la gloria, & honore qual si riporta dal superato, & domato nemico, che la vittoria acquistata nel mortificare il ventre da una opulentissima mensa. Havevano letto, che riscaldandosi la mente, & il corpo humano dal soverchio vino, era un incitare, & dar fuoco alla complessione, & natura dell’huomo, perciò Gli convitati temperati. appligliandosi à quanto insegnò, & lasciò scritto Platone temperatamente si davano al vino. Cercavano sollevar l’animo, & rinforzar il corpo; tutti uniti, & d’accordo come in reale, & vicina zuffa contrastavano, & facevano guerra al vino, prendendone solo quanto bastava ad allegrar, & sollevar l’animo, essendo da qualche tristezza oppresso, non à soffocar il genio della mente.

Cosi dunque parcamente mangiavano, & bevevano, che [p. 203 modifica]haveresti giudicato da un latto starsi la superbia, & contumace continenza, dall'altro la gratiosa, & gentil appetenzza.

Mà acciò le mense non fossero al tutto mutole, & in profondo silentio, non manco dilettando l'opportunità del discorso, & Diversi raggionamenti nella Cena. raggionamenti convenevoli, che la dolcezza del bere, comminciarono parlarsi l'un l'altro. Non si formavano però parole, che concernenti fatti eggregij, che attinenti ad opere heroiche. Chi taceva non era provocato con immoderata, & tediosa loquacità, ò con moti satirici, ma piacevolmente con grate dimande era invitato al parlare; Ciascuno che era provocato al dire godea far palese la sua dottrina, che questo specialmente mostrava certa apparenza di gloria. Altri narravano esser altre volte stati con gran piacevolezza accolti dall'Imperator Massimigliano, altri essere passati senza nocumento per mezzo dell'armate, altri commemoravano qualche particolare felicità de suoi amici. Molti trattavano con maggior diletto gli giri delle Selve, gli corsi de Cani, accidenti delle caccie, attestando esser state inventate per diporto de personaggi grandi. Non mancavano chi preferivano gli studij delle lettere all'arte militare, altri che contendevano la sola Religion Christiana esser degna della coltura Divina, & il Vescovo nella Chiesa essere come publico correttore, & reformatore de costumi, si che è chiaro desiderare cosa degna, buona, & santa, chi desidera tal carica, il soprastante però dover essere prudente, & savio nelle cose Sacre ne convenirsi che egli si mostri avido d'oro, perche la virtù sempre fù contraria al denaro. Gli pratici de governi, & quelli, che molto tempo ressero le Città, parlavano delle amministrationi di quelli, diceano esser gran bella cosa il far leggi, & però difficile per esser buona; imperoche è di maggior conseguenza, & è delitto più grave l'errare nel formare leggi, che l'uccidere un'huomo, & essendo diverse sorti di Republiche, quella si può con verità chiamar, & reputar beata, che vien governata da Prencipe prudente, & savio. Non può alcuna Città, Provincia, ò Publico mai haver pace, ò riposto sino, che habbin conseguita la sopraintendenza, & governo, huomini amatori delle virtù, & sapienti. Gli mendaci, & nemici delle virtù doversi vituperosamente come membri putrdi inutili, & monchi scacciare dal publico commercio, non ritrovarsi per natura cosa più famigliare, & congionta alla sapienza della verità; Non potendo seco ammettere alcun'ombra di buggia. Non manco inutili al ben publico, & saggi governi sono gli Filosofi, quali tutti s'impiegano nell'indagare [p. 204 modifica] le cause secrete delle cose, essendo chiaro, che il troppo curioso studio delle cose universali aliena l’animo dalle cose Divine, che perciò Salomone giudicò questa Filosofia occupatione pessima, & miserabili colore che troppo in quella s’occupano.

Anco Socrate nel suo Fedone hebbe costoro in spreggio, & abbominatione.

All’incontro essere il studio temperato à guisa d’una amichevol concordia, che per le Città si sparge più che necessario. Mentre Diversi raggionamenti nella Cena. cosi frà di loro gli convitati discorevano, & s’accorgevano, che tutti prendevano piacere di simili raggionamenti s’inoltrarono nel parlare, soggiunsero essere nelle ben regolate Città frà l’altre leggi, la più profitevole, & utile, che gli vecchi, & più maturi d’età habbin la sopraintendenza delli giovini, & quelli all’occorrenze rafrenino, & conforme il bisogno severamente gli castighino; che gli giovini in presenza delli più antichi non debbano formar discorsi, ne con quelli fratellarsi nel parlare, dovendo (conforme son tenuti) haver in honore, & senza tralasciar termine alcuno di riverenza, sempre havergli in rispetto.

Parimente persone di merito quanto maggiormente risplendono in virtù, tanto più doversi preggiare, riverire & inalzare, che quelli che virilmente combatendo in guerra vi lasciano la propria vita in diffesa della patria, & proprij Prencipi, conforme la già ricevuta opinione s’immortalano, & rendono Santi terrestri, valorosi, inimici, e destruttori d’huomini perversi, diffensori, & conservatori de mortali. Essere cosa crudele, vile, & quasi vituperosa spogliare gli corpi morti, & stimare un cadavero come se fosse inimico, lasciando senza contrasto il vincitore, con cui prima haveva la tenzone. Non lodavano però la Republica, & opinione di Platone nel particolare, che tutte, le cose fossero communi fino le stesse moglie. Dicevano essere Divin’Oracolo il modo, gli honori, le ceremonie, gli ritti, con quali, convenevolmente honoriamo gli Santi, & huomini Celesti.

Fatta mentione delle cose sopranaturali erano gl’animi à poco à poco inalzati, & preso il parlare attorno il parere di Platone, con indicibile gusto di tutti facevano rimembranza di quelle cose, che esso lasciò scritte nel mondo, come il mondo overo il Cielo, ò chiamisi con altri nomi, era creato, perpetuo però, & sempiterno, corpo sferico, qual sensibilmente si muove, il più bello, & la più perfetta opera dell’universo, à cui Platone attribuì [p. 205 modifica]intelletto, mente, & anima, insegnando il mondo essere un’animale intellettuale, gli privati animali Divini, affermando però esser cosa sovrahumana, & difficile l’indagar l’artefice, & padre di queste mirabili opere. Similmente asserendo esser il tempo stato fatto nel medemo punto del Cielo, ma il Sole, la Luna, & gli altri cinque pianetti à distinguere il numero, & misura del tempo, quali girano in diverse sfere, posa la Luna nella prima sopra la terra, nella seconda il Sole. Mà perche giudicava senza la generatione de mortali il mondo imperfetto, creò l’huomo qual havesse sopra la terra il primo luogo, & sopraintendenza frà gli altri animali, seguisse la giustitia, & rendesse alli superi gli convenevoli sacrificij, & honori, volse che il corpo gli fosse obediente condutiero, & instromento ad ogni moto, & attione dell’anima. Mentre andavano cosi stupendosi, contemplando l’alto, & divino ingegno di Platone, lo preferirono à tutti, & gli giudicarono l’applauso, conclusero non haver potuto tanto alto penetrare gli altri Filosofi.

In questo discorso un certo bel ingegno, & studioso dell’Aritmetica cominciò in tal guisa à proporre dubij di quell’arte. Mi pare (disse) molto difficile quello, che ci fù da esso lasciato in scritto in materia de numeri, del medemo parere parve fosse anco Marco Tulio, qual volendo asserire qualche negotio arduo, soleva dire essere più difficile delli numeri di Platone: questa narrativa non era di parole superflue, ne tediosa, ma elegante, gratiosa, gioconda, che à pieno sodisfaceva alla curiosità, & desiderio delli auditori, rapiva tutti, da tutti era ascoltato con grand’attentione, & applauso, eccitava ciascuno à spiegare, & esporre quanto in ciò sapeva, mentre gli altri godevano, & satiavano quella lor ansietà. Non si sentivano in quelle allegrezze, in quel Convitto adulationi, ne doppiezze, manco parole pungenti, & mordaci: ma solo erano proposte quelle cose, che più participavano di gentilezza, & cortesia, che di tristezza, & conturbatione, acciò in guisa di sdentata fiera più piacevolmente mordessero, parlavano solo, & trattavano di cose, che potessero apportar piacevolezza al Convitto.

Mentre cosi gli convitati più attendevano à pascere l’animo con virtuosi raggionamenti, che il corpo con cibi. Alcuni giovani de più nobili si vedevano coronati, & in habito succinto, con mirabil prestezza, & agilità discorere per quelle mense, somministrando, chi vivande, & chi le bevande, ciascuno pronto, [p. 206 modifica]senza strepito, & à soli ceni. Essendosi già temperatamente satollati, & sbandita da stomachi la fame, d'ogni parte si sentivano Canti. garzonetti, quali soavemente cantando, radolcivano l'aria, disposti per arbori, & come inestati ne rami, d'alto soavemente gorgeggiavano, uscendo la melodia per il silentio da dense frondi. Altri alle Cithare aggiongevano senari versi. Altrove il Tamburo sosteneva, & aiutava col suo rauco, & basso mormorio le debili, & acute voci dei flauti, rendendo la sinfonia, & melodia di quelli, troppo brilante, temperata.

Doppò questi gli Musici andavano à gara, ogn'uno sforzandosi ad ostentar la propria virtù del canto, & riportarne il pallio. Sarebbe troppo lungo il far mentione di tutti, & del lor canto quall'hor separatamente, & à vicenda, hor tutti à piena Musica facevano. Di dove l'aria ribombante di mille canti, portava gli soavi concenti, per gli silentij della note, alle orecchie de convitatti, si che non riusciva il piacere, & diletto dell'udito inferiore à quello del gusto. Havendo tirato in lungo il convitto sino al tardi della notte, per ogni luogo furon posti torzi accesi, & fuochi nutriti, & ingrassati di bella, & grassa cera, ardevano per tutto gli lumi, che rendevano il splendore di mezzo giorno. Quando d'improvisto comparvero in scena diversi Poeti, tutti chiari, & eccellenti, chi in Poema Heroico, chi in lirico, & altri in altro genere de versi.

Queste cose tutte erano purgatissime, & belle, degne d'esser rappresentate à si fiorito congresso: lodavano il Prencipe, narravano Varie recitationi. gli di lui encomij, & prerogative, inalzando sino al Cielo gli fatti heroichi, & degne opere de Clesiani. Indi uscirono in buon ordine celebri Oratori, quali con auttorità de gravi Dottori, & Orationi elegantissime dimostravano quanto fosse grande, & quanto dovesse esser stimata la dignità Episcopale, con quanta pietà, & santità, verità, & senza mesculio d'errore, ò interessi fosse fondata, & instituita la Religion Christiana, & perciò per commun consenso de Santi Padri, & huomini sapienti, preferita à tutte l'altre; di modo che con il lor efficace rappresentare, & dire movevano tutti, & con rari esempi, & eggreggie opere de Santi huomini inducevano ciascuno alla divotione de Sacri, & salutiferi misterij della nostra redentione, & salute. Et ancorche frà il bere suoglinsi render loquaci gli convitatti, quivi ad ogni modo si scorgeva un gran silentio, mentre si parlava di virtù, & Religione: havresti creduto, che a quella si mensa fossero assentate [p. 207 modifica]la Filosofia madre de famiglia, & le sue allieve, con le lor leggi, & decretti, che le porte del Tinello fossero spalancate alla sobrietà, che quel sapientissimo Prencipe havesse conosciuti quelli alti ingegni de convittati, prima di convittargli.

Mancaressimo assai quando parimente non soggiongessimo con quanta allegrezza fosse celebrato, & applaudato, acclamato, & approvato quel Convitto. Era nel mezzo del luogo una Banchetto allegro. Fonte d'acqua scaturiente, di dove per canali di bronzo scorreva continuata l'acqua, rinverdendo le quasi aride herbe per l'estremo calore. Haveva il Pontefice ordinato si turrassero tutte le bocche de rivi, per quali erano gli flutti dell'acqua condotti, & si divertissero altrove mentre durava il convito. Era il banchetto dirimpetto al spargimento della Fontana. Giunti alle fonti, per frode, & istigatione d'alcuni furon secretamente cavati senza, che se ne facesse moto al Prencipe, gli ostacoli del acqua: quelle trattenute à forza subito proruppero impetuose, & precipitosamente uscite nel luogo del convitto allagorno tutto il pavimento, e saltellanti andavano scherzando per le verde herbe, poi insidiose, & inganevoli assalirono le Dame, & altre Signore convitate, rinfrescandogli, & bagnandoli gli asciuti piedi.

Quelle non sapendo la conditione del luogo, ne aspetando consimil ridicoloso oltraggio, da chi eran solite ricever corteggi, & gentilezze, di già si tenevano per ispedite. Credevano, che l'Adige uscito dal proprio letto, innondasse tutto quel luogo: quindi regettate le mense, saltano in piedi levano di sotto le vesti, girano quà, & là per l'acqua, frà herbe ascosa, dimandando ogn'una di loro soccorso, non sentivasi altro che feminili gridi, ogni cantone era ripieno di quel muliebre tumulto. Rendevasi il spavento di quelle Signore tale, che si credevano la Città inondarsi, & sommergersi in quella notte dal crescente dell'Adige, si riputavano perse, non credevano più ritornare à chari mariti, & figlioli, si chiamavano felici le confessate. Dall'altro tanto gli Cavalieri, & altri Signori auttori, & complici dell'inganno si ritirarono nel più eminente luogo del giardino, osservando ivi le povere Signore stranamente brillare per quelle acque, disfacendosi nelle risa. IL che sentito dalle Dame s'avidero esser stata una lor strattagema, & burla per sollievo del convito inventata, per il che se la presero in bene, & in scherzo quanto gli era occorso. Dunque lasciate le Sandale, ò Pianelle nel scampare, andarono con le vesti succinte, & che d'ogni parte bagnate [p. 208 modifica]sgocciolavano, dal Vescovo, & ridendo gli rappresentarono il caso, lamentandosi, che non s'havesse havuto riguardo alla riverenza dovutagli, che la liberalità del Prencipe gl'haveva promesso vino, & gli haveva dato acqua. Replicavano la burla, & narando quanto in quel spavento per ingano delli huomini havevano perso, gli promettevano la vicenda, verrà ancor tempo (dicevano) che quelli parimente saranno occasione, & materia alle donne di ridere, questa fiata è toccata à noi, non rideranno sempre à danno delle povere donne, cangiarano certo (se mai potremo) riso, poi rideranno anco di se stessi.

Con queste vivande, & apparati, de quali molti tralasciamo a posta, per non essere tediosi fù celebrato il Convitto, da quel sapientissimo Prencipe, al qual non mancò una moderata, & benigna allegrezza, ne fù isbandita la severità di Catone.

Levate le mense, rimessero, & acconciarono le candele, che già finivano, acciò le dense, & lucide fiame fossero in vece de lucentissime stelle. Quindi hora al suono dolce, e soave de flauti, hora à quallo d'altri di maggior armonia, conforme l'uso del paese, vicendevolmente ballavano. Cosi tutti non men colmi, che pieni d'allegrezza, andavano in simili trastulli consumanando la notte.

Finiti gli suoni, canti, & balli, tutti s'assisero, & eccoti comparisce, & vedonsi uscire gli Buffoni, quali con le lor pazzie provocavano gli circostanti à riso. Poi si vedevano chiamati da diverse Diversi spetacoli. parti Giocolatori, o Ciarlatani, quali a gara, & à contesa facevano stravedere, alcuni parlando in lingua rusticana rappresentavano ridicolosi costumi, altri fingevano burlevoli duelli, altri mascherati hor si riversavano, & volgevano per terra scambievolmente percotendosi con scarpe, fatte di grosso corame, hor con vicendevoli corsi, fingendo la fuga, si travagliavano, & perseguitavansi per il cortile, pestandosi le pelli di Bue, che havevano aggiustate alla schena, & facendo ribombare le percosse concitavano tutti al riso. Si ritrovarono, chi agili, & snelli nel saltare, si buttavano in aria riducendosi, piegate le ginocchia, in figura circolare. Sarebbe troppo il voler minuttamente scrivere le particolarità: l'allegrezza commune, & gli presaggi con cui fù celebrato quel giorno.

Durarono questi publici conviti del Vescovo per alcuni giorni, restando sempre in questo mentre spalancate le porte del Castello; Si faceano tutti quelli giorni Comedie, ne quali si [p. 209 modifica]rappresentavano nuove scene, & spettacoli, con nuove inventioni di quel arte. Si udevano continuamente nuovi scherzi, & cose da ridere, trattenendo in questa guisa gli circostanti in allegrezza. Descritti gli primi sacrificij, à Dio fatti, le consecrate primitie de novelli frutti, gli celebrati, per molti giorni in Castello, con gran gentilezza, benignità, & allegrezza de tutti, solenni, & continui convitti, fà hora di mestieri si estendiamo non poco, in delineare per ordine il rimanente.

Controversia trà il Vescovo di Presanone, & il Vescovo di Trento. Prima sarà bene brevemente trattare alcune particolarità intorno l'ambitiosa controversia, mossa dal Prencipe di Pressanone, à quello di Trento. Quello di Trento ancorche vivesse lontano, & fuori d'ogni sospitione d'arroganza, le di lui qualità, & virtù (come suol accadere) gl'amassarono non poca invidia. Perilche quello di Pressanone non volendo essere reputato inferiore, & come era huomo di nascita non volgare, & d'animo altiero, tocco & acceso da competenza, sdrucciolò in contesa. Riprendeva quello di Trento quasi d'insolenza, perche voleva essere preferito, & absente lo biasmava: Ma acciò non paresse di far ciò per invidia, inventò raggioni apparenti, & che à poco accorti, & occulati havevano del probabile. Diceva dolersi, & lamentarsi gravemente quelli di Pressanone, s'anteponesse, contra ogni raggione, al loro Prelato, il Prelato di Trento, che qual si voglia Vescovo nel proprio Vescovato deve preferirsi al straniero, che non portava il dovere, quando si fosse presentata l'occasione, che il Vescovo di Trento fosse venuto à Pressanone, questo gli havesse ceduto, che tutti reclamavano doversi ricercar, & conoscere del grado, & dignità loro, qual all'altro dovesse esser preferito, che lui condanava quella pazzia, & tumulto popolare, & abboriva quall'aura Civile; Che però non era cosa inutile, anzi conforme ogni giusta politica il dar orecchie, & ascoltare le querele de sudditi per quiete degli animi, quali conforme non facili, & leggieri, cosi altrettanto pronti alli precipitij. Havendo il Trentino conosciuto che gli suoi felici successi non eran à ciascun di gusto, massime à quello, in cui non minor speranza tenea reposta, che nelli proprij, & da chi sperava ogni agiuto, & assistenza: & che gli bisognava contra ogni stile antico, & reputatione della Città di Trento far contesa del luogo, & precedenza; dolendosi, & commiserando quell'anomo superbo,mandò sugetti, che con preghiere lo disuadessero da quel sregolato proponimento, & esponessero essere à tutti palese non doversi in nuin modo comparare il Vescovato [p. 210 modifica]di Pressanone alli antichi Duchi, & Vescovi di Trento, chiari, & eccellenti per gli fatti heroici, espressa testimonianza potendoci rendere di questo il testimonio de Scrittori irrefragabili. Che in tutte le Diete, & Congreghe tanto Provinciali, quanto Imperiali, in qual si voglia luogo della Germania legittimamente intimate, sempre per antica consuetudine fù preferito il Prencipe di Trento à quello di Pressanone; Ove convengono gli Prencipi per trattar delle amministrationi, & governi delle Provincie, & Città, non per disputar de Vescovati, Chiese, & cose Divine.

Si servì parimente d'alcuni communi amici, la cui integrità, diligenza, & prudenza già in più negotij haveva esperimentato, per rimoverlo da cosi disorbitante, & precipitoso consiglio. A quali (dicesi) rispondesse non esser più in suo arbitrio recedere dal Principato, trattandosi d'un interesse concernente la publica auttorità, qual s'apparteneva non à se solo, ma alla Città, & tutto il publico di Pressanone.

All'hora il Trentino con lettere di proprio pugno dichiarò quel suo generoso animo, tutto di pietà e di gentilezza ripieno, dimostrando non haver egli occasione alcuna di biasimarlo, & accusarlo col seguente tenore.

Reverendissimo, stupisco, che mi vadi in cotal maniera biasmando, & rodendomi la riputatione. Io ne anco per imaginatione inventai novità alcuna, mai tentai cosa, che tutti per antica consuetudine da San Vigilio fin quì, non l'habbino praticata, à che cosi aspramente contrastarmi, & dilacermi? Sempre gli mostrai segni di singolar benevolenza, ne mai mi partirò da questo proposito d'inviolabile amicitia. Argomenti S. S. da quanto gli scrivo, nel tempo medemo son da lei minacciato dell'ultimata mia rovina, ed esterminio del popolo: la mia complessione non può ambir gloria nel fomentar controversie, & liti, reputa somma lode in sradicar gli odij, & rancori. Consideri la mia bontà, piacevolezza, & animo tranquillo in tante ingiurie fattemi. Dessisti provocato dal disordinato desiderio de suoi Cittadini d'oppugnarmi, & apportar à se travaglio, & rovina ad altri. La sua reputatione non comporta consimili disorbitanze, ne la mia d'esser vilipeso, & ingiuriato; Poi ove non sarà in pregiuditio alla mia dignità gli prometto ogni favore, & ossequio. E necessario doppò haver per buon spatio di tempo patientato ogni indignità, & vituperio finalmente diffendersi da tanti oltraggi.

Di gratia non dij orecchie alla sciocca plebe, non faci stima della temerità d'un commosso, & sollevato popolo, qual sovente con petulante audacia suol rivolgersi contro gli loro Prencipi, quelli sceleratamente [p. 211 modifica]travagliare, & condurgli in evidenti pericoli, mentre si vogliano mostrar loro troppo facili, benigni, & fedeli nel condescendere. Mi perdoni, hà havuto poco riguardo al ben publico della sua Città, se n’accorgerà, hà fatta larga strada ad una pregiudicial seditione, & armato odio frà Vescovi, & Prencipi, altrimente come fratelli. Sono gl’impulsi delli animi grandi, & vehementi, ne facilmente si può rafrenar l’impeto quando una volta l’inconsiderata libertà hà spinti gl’huomini all’armi. E opinione de molti, che quelli di Pressanone sijno troppo amibitiosi, & avidi di soverchia gloria. Gli Trentini all’incontro mai si quietarono sentendosi pregiudicare, & dilacerare nella reputatione, ancorche tenghino come primo principio non potersi la virtù della lor Città, & gloria de lor antenati inalzare con lodi, ne denigrare con vituperij. Stiamo ben avertiti, e sù l’aviso, che le Alpi per ostinata opinione del volgo, troppo avido d’accrescere la propria, & deprimere l’altrui gloria, non si rendino famose con la strage d’ambi le Città sorelle. Devonsi gli huomini, che troppo di se presuppongono, indomiti per gli prosperi successi rafrenare, & reggere in giro dalla raggione, & buone institutioni della prudenza, & sapienza de suoi Prencipi, acciò col popolo medemi non si facino rei, & soggiaciano alle censure d’ogn’uno.

Se le leggi Romane tanto severamente biasmavano, & prohibivano li soverchi tentativi, & broglij di quelli, che con vie indirette, & torti sentieri si fano l’addito à Magistrati, & honori nelle Republiche, quanto maggiormente deve l’ambitione esser habborita, & vilipesa da Vescovi lumi di Santa Chiesa, à cui appartiene, & incombe trattare le cose Divine, acciò quel Dio, qual con ardenti desiderij, volontà staccata, & affetti purgati, d’ogni perturbatione terrena, devono placare, maggiormente contra suoi, & il popolo non resti provocato alle vendette, & totalmente da nostri cuori sbandito. Per questi soli rispetti dovrebbe pur V. S. à coteste controversie, prescriver il freno (mentre il male per ancor è rimediabile) al protervo, & stolto consiglio del rude popolo, & moderare l’eccessiva ambitione de graduati; Miglior consiglio e por ripiego à tempo opportuno, che precipitosi, lasciarsi trare da disordinato desiderio d’indebita, & disdicevol gloria. Mi persuado, che come buon Pastore abborirà si abbominevoli disordini, pari suoi non puono se non haver l’animo averso da consimili inconvenienti. Vero è che alle volte molti Prencipi altrimente di buona, & Santa vita, constretti dalla violenza, importunità, & favore della temeraria plebe; qual per il più segue il peggio, non volendo, inconsiderati sono ridotti à manifesti pericoli.

La prego, la scongiuro vogli haver l’occhio al suo bene, all’utilità publica, più tosto confermarsi in amicitia, & con eleggere benevolo il Prencipe, & [p. 212 modifica]il popolo Trentino, che cosi pertinacemente contrastargli. Non dubito deporrà quell'animo mal'affetto, volendo ridursi à memoria, che il Vescovo è constituito publico censore delli costumi, & ritti Christiani. Col rivolgersi parimente nell'animo l'antica nostra intima, & cara amicitia. Sa bene, che per farmi conoscere tale non tralasciai congiontura, ne occasione d'adoprarmi con ogni spirito in di lei servitio; Desidero, & vivo sicuro, che da si gioconda memoria, & da vincendevoli passate demostrationi radolcita, dessisterà dalle concepute imaginationi, & propositi, & sbandito il rancore ristituirà il luogo alla pristina benevolenza, & reciproco amore.

Finalmente con ogni attentione consideri, & preveda quanti pericoli soprastano. Quante accesse facelle di rancori, & odij sijno per nodrire, & fomentare gli alterati petti de nostri sudditti, quando à tempo non porgeremo congruente remedio. Non mi può cader in fantasia, che un Prelato par suo non si pieghi, abbracciando con lieto animo quelle cose, che ci condurano ad una publica pace, concordia, & corrispondenza fra di noi, già dalle fascie cordiali amici: non deponghi la prego ogni alteratione d'animo contro un suo si fedel amico. Concludo, che quando si compiacerà à dar orecchie à chi lo consiglia conforme il giusto, col haver dal canto suo riguardo al ben privato, & de sudditi, ne havrà sempre con gli miei Trentini à suo piacere pronto, in qual si voglia cosa, potesse essere di suo servitio. Et l'assicuro della mia illibata pristina amicitia, qual dal canto mio conservarò constante fino all'ultimo spirito.

Mà scorgendo il Trentino, che l'imbasciate, & lettere non sortivano alcun buon effetto, & che tutti gli tentativi riuscivano vani, presupponendo troppo di se stesso quello di Pressanone, si risolse ultimamente, & giudicò necessario, & conforme l'equità atterirlo alquanto più di quello havrebbe voluto; avvenga, che non gli era impossibile l'abbatterlo con le forze: in questo fatto però havrebe maggiormente fomentato l'invidia, & il dolore dell'avversario, che aquistata à se stesso gloria, massime havendo intesi gl'improperij, e qualmente trasparlava di lui ne publici congressi. Non stimò ad ogni modo necessaria la forza, ne giudicò bene assalirlo con armata, ne men gli dittava la raggione, & ben publico ributtare l'adunato (ancorche in sua rovina), & apparato nemico, come pareva ne richiedesse l'urgenza, con l'armi. Concluse essere bastevoli le forze della prudenza, è destrezza: & con consegli, che procedono d'una non offuscata raggione, doversi terminare quelli litigij.

Dunque fù necessitato far ricorso all'unico di lui reffugio, dar di mano alla vibrante spada della sua eloquenza, con cui davagli [p. 213 modifica] Eloquenza del Clesio. l'animo combattere, assalire, scompigliare, e di si fatto scudo proveduto intrepidamente entrare ne confusi, & singolar stecatti, acciò quello, che non puote esser udito come annunciator di pace, d'animo implacabile con tanti oltraggi provocato di soverchio, tante volte spinto violentemente à contrasti, fosse conosciuto esser bastevole, quando il giusto lo richiedeva, ressistere, & incontrare, chi cotanto l'ingiuriava.

Dovendo dunque rintuzzare, & vibrare gli dardi delle sue compositioni, contra le pretensioni, & raggionamento del Vescovo di Pressanone, entrò, & cominciò con tanto animo, calore, & apparato di parole quel più, che humano ingegno à refuttare quanto gli era stato dall'avversario opposto, & rinfaciato, che ben mostrava non esservi cosa potesse perturbare il gran vigore, & tranquillità di quella purgata mente, come se à immitatione di Carneade s'havesse purgato il stomaco d'ogni falsità: Comparve quel giorno, & si fece vedere tutto vampante di giusto sdegno, qual mirabilmente accuiva la facondia di quella lingua, sfodrò in quel celebre congresso de tanti Prencipi la spada del dire, lanciò con tanta vehemenza di penetrante voce le acute, & vibrante saete delle sue raggioni, che ciascuno de circostanti ne restò ben tosto ferito, & pago. Con quanto ardore credi disputasse quel giorno col Vescovo di Pressanone circa il stato della Città di Trento, & propria reputatione? Disse, & rappresentò appresso Cesare, & quel numeroso Senato, al quale era ridotta la causa, con tanto spirito le sue raggioni, che il Prissinense s'accorse haver presa con huomo costante, & inimico d'estremo valore la contesa, & lite.

All'hora tutti conobbero, che il Clesio non era stato tardo à diffender la propria causa per timore, ò negligenza, ma haveva differito, per tentar ogni pacifico mezzo, prima di prorompere in discordia con altri Prencipi.

Gli Prencipi dell'Imperio ancorche per avanti l'havessero havuto in gran stima, & pregiato per il miglior soggetto, & singolare in ogni affare di quell'età, qualla volta ad ogni modo mentre parlava, rengando, lo miravano un portento, e restavano quasi immobili, parendo loro di sentir Pericle avampante, ò la crudel fiera di Demostene, che con bocca Divina romoreggiasse. Mentre cosi diffendevasi il Trentino, restò attonito, & confuso il Prissinense, non potendo sostenere gli fulmini, & facelle del Clesio, che già faceva fine nel parlare, cercava honesta causa d'escusar la [p. 214 modifica]sua temerità, pentito tardi del proprio errore, & maligni consigli.

L’Imperatore, à cui in niun tempo tanto furon manifeste le rare virtù del Clesio, havendo molto gustato il di lui elegante, & Il Clesio commendato da Cesare. ben composto dire, racontasi publicamente l’abbracciasse, & lo lodasse, essaltandolo fin al Cielo, confessando non haver à suoi giorni sentito il più pronto, & sodo Oratore, & che nel dire havesse tanta franchigine. Si scorgevano in quello molto vigore, & estrema soavità, la mente turbata non l’offendeva punto, non l’impediva il modo di dire, non gli levava la forza nel rappresentare, prerogativa singolare, specialmente lodata da Cesare, bastevole à piegare le pietre medeme, le menti rozze, & per sua natura ostinate.

Perilche giudicolo degno di qual si voglia emminente luogo, & deliberò promuoverlo à Magistrati Imperiali, & supremi honori, si per essere la Città di Trento antica, & chiara per gli eggreggij fatti de varij Campioni in quella generati, come anco per l’esperienza havuta più volte (periclitando le cose della Germania) della di lui virtù, sapienza, prudenza, & destrezza ne Magistrati. Di dove quel giorno fù disputato, & combatuto in modo, che il Clesio da tutti applaudato, & con publico decreto dichiarato vittorioso si parti honorato, tenendo conforme la sua reputatione, & dignità l’antico luogo, qual giornalmente hora ritiene di presente il suo successore, senza che quello di Pressanone si lamenti, richiami, ò lo cerchi da quello abbatterlo: soggiongerei con quali titoli, & honori sij stato honorato, con quali applausi uscito di Corte, come frà principali sij stato accolto, quando non fossi certo, che queste cose tutte, già sijno palese al stesso volgo. Che perciò passaremo alli officij, quali fortunatamente, & con prosperi successi esercitò. Ma prima con qual fama habbi governata la Città di Verona.