Annali overo Croniche di Trento/Libro II
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Traduzione dal latino di Agostino Barisella (1648)
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DELLE CRONICHE
DI TRENTO
DI GIANO PIRRO PINCIO
LIBRO SECONDO.
Dedicate all'Eminentissimo Christoforo Madruzzo Cardinale.
HE Trento sij stato edificato da Francesi s’ha per cosa certa. La difficoltà solo versa, come questi venissero in Italia. Giustino Historiografo scrive, che travagliati da continue domestiche, & civili discordie, si risolsero abbandonare la Patria, cercare meglior fortuna, (procurare) nove habitationi venero (per tanto) in Italia sotto la scorta di Breno loro Prencipe, scacciando dal loro Paese gli Toscani, la partenza de quali quanto fosse grande, è fiera per mare, & per terra, avanti il Romano Impero, è assai
chiaro; Origine di Trento imperoche questi tali posero la lor habitatione ne Territorij piegati all'uno, & l'altro Mare, e sforzando à partirsi d'indi gli Toscani, fabricarono Milano, Como, Bressa, Verona, Bergomo, Trento, & Vicenza.
Gli Toscani scacciati, & astretti à lasciar la loro Patria, si condussero elletosi per lor capo Retho altrove, occuparono le Alpi, furon chiamati, prendendo il nome dal loro Prencipe Rethij. S’avanzarono assai in quel tempo gli Barbari nemici del nome Romano; Scrive Strabone che in quelli tempi antichi molta Diversi pareri circa la venuta de popoli. cannaglia Francese, principalmente li sparsi Boij, popoli della Francia, giurisditione di Lione, gli Insubri, gente della Gallia Cisalpina, & altri chiamati Senoni, confinanti con la Fiandra, i quali anticamente unitisi con Gesati occuparono la Città di Roma, con essersi impadroniti di tutta la Campagna di qua dal Pò. Scrivono altri che gli Senoni fossero gli ultimi frà gli Forastieri, che riducessro in lor potere tutto il Paese dal Fiume Ufonte appresso Terracina, fino al fiume Adice.
Tito Livio afferma, che non lasciarono gli Francesi la lor Patria sforzati da guerre domestiche, ma spronati dalla soavità de frutti d’Italia, massime del Vino, e quindi prendendo il lor viaggio alla volta delle Alpi, indi transportati in Italia si ferono padroni della Campagna lavorata, & coltivata per avanti da Toscani, prima sotto la condotta di Arunte Clusino Capitano, & auttore occuparono Clusio, Castello della Toscana poi prenderono la Città.
Plutarco scrive che la natione Francese frà gli fiumi Sequana, & Garumana, chiamata Celsica crebbero tanto in numero, che non potendosi tutti mantenere si partissero per procacciarsi luogo, vito, & vestito, alcuni de quali superati, & passati gli alti & difficili Monti soggiogorno l’ultime parti dell’Europa. Altri habitarono gli luoghi frà gli Monti Pirenei, & l’Alpi. Questi per arte & commando di Arunte come la fama vuole, trasportarono il Vino d’Italia in Francia, lo gustarono gli Francesi, restarono dalla dolcezza, & soavità di quello come fuori di se stessi, proposero andar à vedere il paese ove nasceua quel liquore, s’armarono tutti, & prese le lor famiglie si transportarono alle Alpi, si sottoposero tutti ad Arunte, sotto la cui condotta invasero tutto il paese frà li due Mari, & scacciati gli Toscani s’impossessorono di tutta quella parte d’Italia, da quali pur sotto il commando di Breno, superato,& preso à forza Clanio, vinti in battaglia gli Romani, fù occupata la Città di Roma. Ma poco doppo furon scaciatti, & destrutti da Camillo ditattore.
Senonesi in Italia Tito Livio dice esser venuti gli Senoni in Italia, mentre erano Capitani di Guerra L. Lucretio, Servio Sulpitio, M. Emilio, creati à tal officio da L. Valerio, qual governava la Republica Romana vacante l’auttorità Consulare sino ad elletione di nuovo Consule, & haver occupata la Città di Roma per 300. anni, sempre in tutte La Città presa. le guerre vittoriosa, & trionfante. Conviene con Plutarco Tito Livio haver Camilo Ditatore scacciati di Roma gli Senoni, fatti orgogliosi per la vittoria prima havuta, superati in due fatti d’arme, disfatti, rotti, & trucidati, di modo che essendosi fatto padrone di tutte le squadre, tutti gli mise à fil di spada, si che pur uno non fugì per dar nuova d’una tanta strage.
Svetonio Tranquillo (qual è assai credibile habbi letto Tito Livio, & Plutarco) narra il negotio presente assai differentemente dalli due cittati Auttori. Scrive questo, che Drusio doppo haver combatuto con la spada, & deppresso, & ucciso il Capitano nemico, chiamato Druso dal suo nome, acquistò il cognome a se & alli parenti suoi di Druso, essendo Vice Pretore rihebbe, & riportò l’oro di Francia quale fu dato alli Senoni Francesi, mentre stavano all’assedio del Capitolio di Roma, & non ricuperato da Camillo ditattore in quella gran vittoria, quando scacciò, & destrusse tutta quella gente che haveva occupata Roma. Pare cosa maravigliosa (s’è vero quanto scrive Livio) che Druso habbi riportato l’oro, stando si pagava l’oro à Francesi quando intervene Camillo, & subito frà l’istesse ruine della Città fù combattuto, & il giorno seguente la seconda volta alla strada Gabina fuori di Roma, fu fatta giornata, nella quale restarono morti tutti gli Francesi, si che pur uno ne rimase vivo, & come trasportarono l’oro in Francia non essendo pur uno restato vivo, & se non fu transportato Oro, come Drusio lo puote ricondure? Ancorche appartenghi ad altri indagare qual delle due opinioni habbi più del verisimile, non tralasciarò qui vi dire quanto scrive Verio.
Gli Senoni Francesi cosi chiamati perche novamente venero di Francia in Italia, Senoni mutata la lettera S. in C. fa Cenoni, Cenonis in lingua Latina e Cinos in Greco. Cinas significa in nostro linguaggio novo. Di questo medemo parere fù Polibio auttore di non mediocre auttorità, qual con grande diligenza scrisse molte cose di quella gente Barbara, & quanto fosse feroce; à nostro proposito (disse Polibio) della gente Francese, gli Senoni esser stati gli ultimi che venero in Italia habitando quella frà le Alpi (Monti quali dividono l’Italia dalla Francia, ma dalla parte della Savoia) & gli Apenini (Monti parimente che dividono l’Italia dalla Francia ma alla parte di Genova) verso la spiagia del Mare Adriatico che è quanto andavamo dicendo di sopra, gli Senoni essere stati gli ultimi forastieri, che habitarono l’Italia. Ma come non vi è convenientia di pareri circa il nome de Senoni, cosi sono varij & molti dubij dell’altre cose da quelli indagate, imperoche quanto con maggior acuratezza han voluto gli alti, & celebri ingegni de Scrittori, frà di loro differenti, darci in luce le cose antiche, tanto maggiormente ce l’hanno lasciate oscure, & confuse. Non ci è chiaro qual delli Scrittori fusse di maggior auttorità. Non sarà però cosa noiosa il sentire la varietà delle opinioni, il conflitto d’huomini saputi, & gravi, il parere prima di Giustino, cosa, & quanto scrisse de Senoni, non solo acciò seguiamo la di lui opinione, ma acciò non tralasciamo cosa habbin sentito in questo affare Auttori di consideratione. Scrive che gli Francesi cresciuti in ammirabil numero, mandarono trecento milla huomini à procacciarsi nove habitationi, come in pelegrinaggio, de quali altri si fermarono in Italia, predero Roma, & l’abbrugiarono. Altri passando il golfo di Schiavonia penetrorno l’Ongaria, superorno quelli Popoli, hebbero lunga guerra con gli paesi confinanti, & doppo varij successi divisero il loro Esercito, una parte drizzò il camino con il lor Capitano Breno verso la Grecia, altri seguitando un’altro Capitano, Belgio per nome s’inviarono verso la Macedonia. Questi rovinavano ogni cosa, tutto mandavano à fil di spada, fecero giornata, e furon gli Macedoni tagliati à pezzi.
Frà tanto Breno qual s’era steso nella Grecia parimente invase la Macedonia, volendo anch’esso esser partecipe delle richezze di quel Regno, stimò bene impadronirsi de spolij di quel Oriental paese, ne ponto s’inganò, percbe restato vincitore, hebbe grosse prede, saccheggiò quelli Territorij, rivolgendo d’avantaggio l’animo alli tempij delli Idoli, andò à quello di Apolline in Delfo, situato nel monte Parnaso, e datogli l’assalto, l’occupò, ritrovando varij doni del Re, & de Popoli. Gli Cittadini, vedendo tanta impietà, ricorsero al soccorso de loro Dei, furon esauditi, tutti gli Francesi restaron spaventati, alcuni da un horribil terremotto, con l’essersi stacata una parte del Monte furon atterrati, & da quella morti. Altri da una terribil tempesta accompagnata da innumerabili saete furon finiti. Breno ferito non potendo sopportare il dolore, da per se con il pugnale si diede la morte.
Questa opinione di Giustino fù abbracciata da Valerio Massimo. Breno dice Valerio (Capitano de Francesi) assalì il Tempio d’Appoline in Delfo, per voler Divino converse le mani in se stesso, dalle quali cose verisimilmente si può credere, che Breno, qual (come vuole Strabone) d’altri fù chiamato Prauso, si dasse con le mani proprie la morte, non morisse altrimente con l’Esercito in battaglia nelle strage Romani. Manco sarà fuori di proposito insinuare in questo luogo quanto ci lasciò scritto Paolo Diacono, l’Auttore delle Historie de Longobardi.
Vene Breno (conforme quest’Auttore) Re de Senoni Francesi con trecento milla di quella natione in Italia. Occupò Senogalia Breno Re de Senoni. col resto d’Italia sino à Roma con l’aiuto de Francesi Senoni, quali diedero anco il nome a Senegalia, & si condussero senza contrasto in queste parti alletati dall’avidità del Vino, qual gustarono transmesso, d’Italia in Francia. Una parte di questi furon tagliati, & morti dall’armi Greche vicino a Delfo. Un’altra parte si portò nell’Asia minore vicino à Capadocia, di dove prima quelli Popoli furon detti Gallo greci, poi Galati a quali l’Apostolo scrisse un’Epistola. La terza & ultima parte cioè cento mille restarono in Italia, edificarono secondo quest’Auttore) Pavia, Milano, Bergomo, Bressa. Diedero a queste Città il nome di Francia, di qua dalle Alpi.
Questi furon gli stessi Senoni Francesi, quali invasero la Città di Roma. Della morte di Breno non fa alcuna mentione Paulo Diacono. Ma ritorniamo à quanto scrisse Livio questo dice non essere stati primi à venire in Italia gli Francesi quali occuparono Clusio poi invasero Roma, poiche ducento anni avanti fusse preso Clusio, & sachegiato Roma si portarono gli Francesi in Italia Imperoche regnando in Roma il vecchio Tarquinio. Essersi li Senoni regnando Tarquinio, trasferiti in Italia. Ambigato Re delli Celti Francesi desiderando di sgravare il Regno al suo primo genito di tanto populo venuto in disorbitante numero, deliberò mandargli con nuova habitatione a cercar altra fortuna, mandò anche due valorosi giovini figlioli d’una sua sorella chiamati uno Bellovero, Sigovero l’altro. Bellovero s’indrizò verso l’Italia con gran quantita di Fantaria, & Cavallaria, seco condulsse gli Biturgi, gli Arverni, gli Senuni, gli Hedui, Ambari, Carmuti, & gli Aulerci, & favorito dalli Dei, giunse alle Alpi apposte, quali superate passarono per monti altissimi, e per selve, & boscaglie dell’Alpi Iulia, scaciati gli Toscani piantarono le loro tende vicino al fiume Ticino, nel Territorio, & Campagna de Pavesi, & Milanesi, nel qual luogo fabricarono una Città, qual poi fù detta Milano. Questi puochi anni doppoi disfatti al tutto, & destrutti furon da Romani. In quest’istesso tempo un’altro Esercito Alemano si condusse da quel paese (dobbiamo anco soggiongere questo) sotto la scorta di Elitovio Capitano, e con tal aiuto Beloverio passò le Alpi, & si fermò ne luoghi ove hora sono le Città di Verona & Brescia.
Dalli scritti di Livio si cava dunque che gli Senoni due volte sono venuti in Italia, & quelli che abbruggiarono Roma non esser stati gli primi, quali travagliarono l’Italia con le armi; Anco che Milano non sij stato edificato da Francesi quali seguirono Breno, ma da quelli, che venero in Italia sotto il commando di Belloverio, & occuparono la Campagna de Pavesi, & Milanesi. Sarà cosa buona racconrar parimente quanto narra Plutarco nel libro intitolato de fortuna Romanorum.
Gli Senoni Francesi dice, havendo inteso (abbruggiata che hebbero Roma) che la lor patria & habitatione veniva travagliata, & guastata dalli confinanti, ritornarono fatta la pace con Camillo alla Riva del Banabrio. Poi per valore di Camillo. Di nuovo furon scacciati d’Italia. L’istesso Plutarco in Camillo, & Mario scrive che gli Senoni Francesi puoco doppo ritornati in Italia restassero vinti da Manilio Torquato. Questi come Plutarco, Suido, chiamò Celti Senoni, che perciò vogliono alcuni fossero quelli, che combaterono con Camillo. Floro afferma esser stati gli medemi, quali furon superati da Valerio Caruino Consule Romano.
L’istesso Floro, & Plutarco vogliono che il residuo di questa natione restasse estinta in Toscana, appresso il Lago Vadimonio, disfatti à fatto da Dolabella, à tale che niuno restò di quel populo, qual potesse gloriarsi haver datta Roma all’incendio.
Tanto habbiamo volsuto dire acciò il Lettore da si gran numero d’oppinioni possa raccogliere quante volte gli Francesi Senoni habbino invasa l’Italia. Quelli, che abbruggiata Roma la seconda volta furon superati da Camillo. Quelli che Manilio Torquato, abbattuto il Capitano Francese, & levatoli la Collana (dal che prese il cognome) superò. Quelli che disfatti furon scacciati da Valerio Caruino, & quelli finalmente, che estinse Dolabella, esser stati gli Senoni che in quattro fiate venero in Italia, attrati dalla dolcezza, & delicatezza del Vino, & avidità di rubbare.
Siasi poi come più aggrada, sij statta qual si voglia causa che tirati habbi questa Canaglia in Italia, sij morto ove si voglia Breno con gli suoi, da qual si voglia luogo sij stato riportato il Tesoro, sijno stati l’istessi, sijno stati diversi quali più volte habbiano saccheggiata l’Italia manifesta è la diversità delle opinioni de Scrittori. Questo non sarà in vero cosa oscura, ma certa & chiara, Breno Prencipe, & Capitano de Senoni Francesi haver edificato la In che tempo fu fondata la Città di Trento. Città di Trento, dalla Creatione del Mondo fino alla venuta de Senoni in Italia l’anno 4810. avanti la nascita di Christo, & salute de Christiani anni 389. da Brenone Prencipe, & fondatore di Trento fino alla nostra età 2006. si saremo forsi stesi troppo in distesamente voler narare tante minucciole, ci perdonerà il Lettore, tanto conveniva, non potevano gli Trentini sapere distintamente, & cognoscere il lor fondatore & quando habbino havuta la lor origine. In che loco s’edificasse Trento. Dunque Trento è Città di Venetia, vogliamo dire spetante alla parte d’Italia fra il Mincio, & Tagliamento Fiumi. Situata sopra Verona alla radice dell’Alpi appresso il torrente chiamato Fersina: qual da Pergine scorrendo in varij giri, finalmente sbocca con gagliardo impeto nell’Adice. Questo torrente ha il suo principio in puoca acqua d’un Monte, alle volte talmente scarsa che affatto quasi riman secco, alle volte in un baleno tanto cresce, che con impetuoso, & velocissimo corso per torti canali portato, finalmente pervenuto à stretta Valle frà due Scapoli, ò Cengi, fatto maggiore dal proprio impeto, tutto spumante con formidabil strepito precipita nelle sponde, ò fauci di quella Vale, ristringe in picciol apertura le rupi, scorge, & ritarda non lungi dalla Città il di lui precipitoso corso, lui gli flutti impediti dall’angusto concorso de Monti, come sdegnati d’haver chiuse le voragini, serata l’uscita, ritenuti à forza gonfiando frà di loro mormorono, & le grandi pietre, che gli contrastano il corso fano con inportune strida ribombare l’aria.
Finalmenre superati tutti gli ostacoli, & quanto l’attraversava il corso sbucando à forza gli chiostri, & stretto, cascano con strepitoso suono d’alto monte d’acque in un profondo vedinsi rotti gli argini, fracassati gli terrapieni, sfondamentati gli penelli, & tutti gli ripari che furon d’arte humana fatti per freno di tali impeti, destruti, tutto il licentiato & sparso torrente, sfrenatamente consuma, mena seco, Stalle, Alloggiamenti, Tetti, Arbori, svelti fino dalle radici, nuotano gli Armenti, rovinano gli Campi, cascano le Capelle, & l’antiqui Altari delli Dei, successivamente poi tutto copre con cumuli di sabia, volta le grosse pietre, rotandole le trahe seco, fa questi sotto l’acqua battendosi rauco, & mutto suono, ovunque vien portato si fa ampia strada, rovina lungi dal proprio letto le Campagne.
Tanto alle volte crebbe nel liquefarsi le nevi il tempo della Primavera, ch’à forza entrato per la Porta & fino alle mura della Città; messe in conquasso, & terrore tutto il popolo. Più volte sbigotiti gli Cittadini dal pieno, & impeto di quello, s'hà fatto concorso noturno a tocco di Campana, & datto segno acciò ogn’uno si conducesse alle Porte nel modo si suol usare essendo quelle battute da inimiche squadre. E dunque situata la Città di Trento ove la Fersina precipitosamente sbocca in l’Adice.
Li Trentini già tempo si essercitarono nei ladroneci. Sopra Como alla radice dell’Alpi, come vuole Strabone habitano g1i Grisoni, gli Vienoni verso l’Oriente, dall’altra parte gli Lepuntij, gli Trentini gli Stani, & altri Popoli che occupano poco distretto in Italia, poveri dati in quel tempo all’infame esercitio del rubbare, & assasinare. Eransi fortificati dall’altezza de Monti, diffesi principalmente da vastissimi precipitij, da altissimi Monti, da scoscesi diruppi, che gli rendevauo liberi da qual si voglia offesa gli potesse esser fatta. In alcune parti era l’ascesa tanto stretta, difficultosa, malaggevole, e ruvinosa insieme, che manco gli Giumenti prima però avezzi, sorpresi dalla vertigine, potevano, senza gran pericolo di precipitare al basso ultimare la salita. Eglino donque per guardarsi dalle altrui insidie, si retiravano nelle cime, e quivi, quasi che da fortezza piena di scogli, gettavano all’ingiù nel piano il lubricoso giaccio, e riempiendone le profonde Valli, impedivano in tal guisa la strada, con renderla a chi s’havesse voluto avanzare, non manco pericolosa, che spaventevole. Si che era cosa quasi impossibile liberar tali cime de Monti da ladroni, ivi anidatissi. Non mancò Cesare Augusto d’aprire, & rendere facili simili strade, facendo quanto gli era possibile. Tanto basti circa l’origine de Trentini, da alcuni chiamati Tridensi, o come vogliono altri Lepontij.
Fù dunque Trento fabricato da Brenone Prencipe, & Re della Francia frà le Alpi. Doppo molti anni, come vogliono le historie fù cinto di Muraglie da Theodorico Re de Gotti, & a quel tempo Signore dell’Italia, il che, acciò si renda più chiaro, fà mestieri narrare brevemente l’historia del fatto.
Sotto il governo della Chiesa Romana di Simplicio Tiburtino, invase l’Italia con poderoso Esercito, il Re de Turcilinghi, & Eruli, per nome Odoacro, superò in battaglia costui vicino a Pavia Horeste patricio, facendolo prigione prima, e poscia morire, à vista di tutti, in Piacenza. Comiserò Zenone Imperatore tante calamità dell’Italia, spedì perciò con grosse squadre Theodorico Re de Gotti contra Odoacro, fù per il passato Theodorico, intimo, honorato, & in gran consideratione nella Corte dell’Imperatore. Si teneva certo dovesse liberare la povera Italia da tante incursioni, & travagli.
Vene Theodorico alla volta dell’Esercito di Turcilinghi, e seco azzuffandosi non molto lontano d’Aquileia, lo scompigliò, e messe in fuga tutti l’inimici Capitani, e superando in molte battaglie l’istesso Odoacro, lo ristrinse in Ravena, tenendolo ivi assediato per spatio di tre anni, ultimamente aggiustati insieme, ricevè quegli, per compagno dell’Impero il vincitore. Non poco poi convitò Theodorico à cenar seco Odoacro, col figliuolo, e servendosi dell’occasione, spensierati, & sprovisti ambidui, l’un, & l’altro fece passar di vita, restando egli in tal guisa Imperator di tutta l’Italia, non poco poi mosse guerra (sotto il governo della Romana Chiesa Gelasio) à Clodoveo Re di Francia, haveva questo tolto di vita Alarico, genero di Theodorico, fu superata da lui l’armata Francese, s’impadronì della Guascogna, aggiunse al suo Regno la Sicilia, Dalmatia, Schiavonia, Crovatia, Galia Narbonense, e la Borgogna, Trento cinto di Muraglie. situata frà gli populi Sequani: Poi per diffesa dell’Italia, e del suo Impero, da estranee incursioni, cinse con buone, & forte muraglie, la Città di Trento, volse concorressero à tal spesa gli SignoriFeltrini. Si ritrova un Editto alli sodetti del seguente tenore.
Editto di Theodorico à Feltrini
A Feltrini che possedono beni Theodorico Re.
quello si conosce essere giovevole à molti. Verrebbono vilipesi gl’ordini Regij, quando si commettessero negotij utili & di tanta consideratione à persone debili, & di poche forze. Comandò la nostra auttorità si fabricasse una Città nelle pianure Trentine, la stretezza del Territorio non può soggiacere à spese tanto gravi, hebbe la nostra vigilanza l’occhio (mediante le competenti mercedi) acciò dovessero tutti concorrere ad opera di tanta consequenza, cioè a cingere de mura la nuova Città. Sette confinanti, havete la vostra Città à questa contigua. Conviensi però con commun soccorso, con minor aggravio, con maggior gusto universale, & più sicurezza, ultimare quello, che non potrebbe esser terminato col solo aiuto de pochi. Da questo nostro decretto niun restarà libero, manco le Chiese, & Divini Tempij. State sani.
Da queste cose quali brevemente habbiamo radunate, resta chiaro quanto desideravamo sapere; cioè Trento esser stato fondato da Brenone, accresciuto, & cinto di mura da Theodorico Re di Gotti, l’Anno di Nostro Signore 515.
Perche si chiamasse Trento La causa per la quale cosi fosse chiamata questa Città ancora non s’ha saputa, se ingenuamente voglio dir il vero mai mi fù possibile trovarla in alcun Auttore, e non ostante habbi dimandato molti, niuno però potei incontrare che la sapesse, ò l’havesse letta; Congeturano però alcuni, cosi chiamarsi Trento, quasi torrente, dalli trè Torrenti, che cadono dalle cime de vicini Monti, appresso la Città. Il I. vien condotto, in stretto canale, per la Porta de l’Aquila, indi passando, per mezo della Città, finisce in l’Adice. Il II. la Fersina, della qual sopra facessimo mentione. Il III. & ultimo più discosto dalla Città, communemente vien detto Saletto, qual per Campagna di Trento amena. mezo de Vignali, & amena Valle, ristretto frà muri, & pontelli, per diffesa della Campagna, con velocissimo corso, sbocca anch’esso in l’Adice.
Altri vogliano chiamarsi Tridento, per esser statta nel principio della sua fondatione dedicata à Nettuno, Dio del mare, pono facilmente quelli persuadere, & darci à credere la loro opinione, havendo dalla lor parte verisimile argomento, come quelli di Rendena (dicono questi) adorarono Saturno, così quelli di Trento Nettuno, qual per scettro, & insegna porta (come finse, & fabulò l’antichità) il Tridente ò Forzella con tre ponte, in quella guisa che Giove a il fulmine, Plutone il venenoso Cane, chiamato Cerbero.Confirmarono quello lor pensiero con manifesta congietura, & potente testimonianza.
Dicono ritrovarsi nella faciata della Chiesa di S. Vigilio, che riguarda la piazza, una pietra (come si può vedere) antichissima, rotta, & rasa dall’antichità d’ogni parte, in questa appare intagliata la forzella Tridentale, il che ci deve indure a facilmente credere che havessero gli Trentini già tempo sacrificato a Netuno, & quindi poi havere la Città sortito il suo nome. Per simili raggioni non deve stimarsi vana l’opinione d’alcuni, i quali affermano la Giudicaria cosi chiamarsi, quasi dedicata à Giove, & la Valle di Sole, ad Appoline. So altri haver voluto Trento, cosi chiamarsi per altre cause: Ma essendo le raggioni loro appoggiate a fintioni più che à verità d’Historia, non giudichiamo cosa degna fraporle in questa nostra, non essendo bene, si confondi la fintione con la verità. Sij stata la causa di tal nome qualsivuoglia, non ci dee affligere, ne indure à maggior studio, & fatica nell’indagarla, non è cosa che molto importi.
Ciò e ben degno d’eterna memoria, che quelli monti cavernosi, recetacoli di ladroni, nascondigli di fiere, à nostri tempi, si sian domesticati, fatti accessibili, facili a passaggieri, patenti, & aperti, à nationi forestieri, che desiderano trasportarsi di là, o di qua curiosi di vedere nuovi Paesi. Dalla parte Settentrionale primieramente, fà mestieri di scendere per altissime, & difficili cime de Monti, ma giunto che sarai alli confini di Trento scoprirai una deliciosa pianura; passa per mezzo di questa un Fiume, d’ambe le rippe si vedono spessi Villaggi, indi facilmente si fà passaggio nella bella Italia.
Quindi da tutte le parti d’Italia per Monti spezzati, e precipitosi, per basse Coline, si può passare alla parte Settentrionale, & altri popoli, habitanti alle radice de Monti, il viaggio però più commodo, & facile è Trento. Onde quelli che vengono ad habitare il bel Campi Fertili. paese, fertile d’ogni cosa, in eccellenza, oltre la rippa del Pò, situato à piedi dell’Alpi, si sono ridotti ad un vivere affabile, domestico, & à tutte le nationi adatatto, bisogna confessarlo, l’esperienza ci rende vera testimonianza, haver li Trentini costumi conformi alla naturale, & Divina legge, e molto diversi da loro antecessori. Gli monti quali parevano esser fondati à sola diffesa d’huomini scelerati, poveri, e malvaggi, ansij della vita, & facoltà de passaggieri, Monti, che davano ricetto, & sicurezza alli Assasini, datti à simili misfati, hora si vedono coltivati, fenduti coll’arratro, spolverizati con restelli, con diligente cultura domati, si che non solo portano abbondantissimo raccolto de Biade, Vini, & altri frutti necessarij, ma anco nelle delitie parve conformassero la loro natura à costumi delli habitanti: si ridussero a meglior fruge mutato che hebbero quel lor malvagio vivere. Viveuano prima gli huomini Trentini di rapina, godeuano gli monti dirutti, & cavernosi, cangiando eglino vita, sortirono gli monti altra conditione, erano caverne da furti, si resero fruttiferi à virtuosi, si che rendono maraviglia.
Pascoli. Vedonsi di presente da passaggieri, Valli herbose, Selve amene, grassi Pascoli; quantità di Greggi erranti, Coline vignate, Campi Selve. seminati, dal che gli Trentini non solo ricevano il necessario, ma molti si riducan à gran richezze. Non cedono ad altri Paesi in sicurezza de sudditi, non si trova in altri luoghi maggior sollecitudine, & diligenza d’agricoltori, riportano il nome sopra gli altri, se gli convien l’eccellenza in quest’arte. Vivevano prima di sangue humano, si procacciano hora il lor moderato vito con honorate fatiche.
Sono zelantissimi della Christiana, & Romana Religione, diffendono quella con ogni lor spirito, contra chi la volesse impugnare, reprimono la pazzia delle venenate lingue, che interpretando malamente, & à lor capricio la Sacra scrittura, cosi perturbarono le menti delli huomini, che giunsero sino à por l’interesse della Catolica Fede, à manifesto pericolo. Ma perche siamo usciti dal raconto di quanto incominciassimo à narrare (qui non è luogo di querelle) torniamo à ripigliare l’Historia.
Gli Trentini han degenerato assai da suoi antecessori; Attendono, hora alli studij, & all’arte militare, non meno che all’agricoltura, sono tanto desiderosi de civil, & militare lode, che niente più gli preme, quanto un picciol mancamento, & danno d’honorevolezza, & gloria. Quanto sij appreggiata la coltura de Campi da quanto s’è detto, & d’altri argomenti appar chiaro, imperoche quivi si scoprono le fertilissime Valli, le Coline esposte al Sole, principalmente quelle che fanno corona alla Città. Gli luoghi più temperati & basii, ove il freddo non può esercitar ogni sua forza, non cede à qualsivoglia paese nell’eccellenza, & bontà de Vini. Dove la terra per diffetto, & asprezza de luoghi non è fertile, supplisce l’industria delli habitanti. Penetrano fino alle viscere de monti, si procacciano il vitto col cavar metalli, de quali Minere dove si cava il Mettallo. n’abbondano, massime dalla parte che riguarda l’Italia, quanto cavano trasportano alle vicine Città & ivi lo vendono, ò permutano in altre cose, cosi si fanno con tali mercantie ricchi.
Fù simil trafico lodato da Platone, esercitato dalli Re d’Egitto, & altri Prencipi. Restò dunque dalli predetti Auttori fondata, aggrandita, & cinta de mura la Città di Trento, in luogo ameno, & fruttifero, luogo assai commodo per negotij, situato frà gl’Alemani Trento mezo trà la Germania e l’Italia. ed Italiani, abbraccia mezzana l’una, & l’altra natione, la Tedesca accoglie ben lassa da lungi, & difficili viaggi, fatti per altissimi, e sassosi monti, quali verso l’Italia si van abbassando, & sempre via più rendendo piacevoli, & domestci, principalmente la dove cominciano ad avvcinarsi alli Campi Trentini. L‘Italiana ancora con ben gnti] incontro subito, che hà superata la strettezza, & prime spondi, overo buche de monti, venendo con più commodo, & breve viaggio per le spiaggie sotto l’Alpi, desiderosa soccorrere tutti, riceve con ogni umanità, & alleggrezza.
Fù anco à nostri tempi da Bernardo Clesio Cardinale, & Prencipe di Trento di Chiese, Palaggi, Rigani che frà stretti canaletti, fatti di pietre vive ma inculte, corono per tutte le contrade della Città, maravigliosa, & deliciosamente adornata. E aggiustata al gusto Trento Città guarnita. de gran Prencipi, trattiene per qualche spatio di tempo li personaggi, il piacevole albergo, & amorevolezza de Cittadini. Non è manco chiara per le mura, che per li edificij, tiene trè facciate de mura con spessi Torrioni, non già fatti di quadrelli, come universalmente Trento Cità munita. hanno l’altre Città dell’Italia, vengono serate con pietre tagliate dalli vicini monti, & da buoni Artefici livelate, la facciata verso la sera in parte vien chiusa dalle mura, uscendo dal mezzo giorno in forma di corno, termina al Fiume. D’indi il rimamente dalla sera, piegandosi verso il Settentrione viene leggiadramente accompagnata dal Fiume, irrigando le case che sono fuora delle Mura. Porte della Cità di Trento. Ha parimente la Citta quattro Porte, la Porta ove l’Adice, rotte le sue impetuose onde ne travi, & sostegni del Ponte, vien batutto dal profondo, e conduce alla volta di Brescia, fù anco chiamata la Porta Bresciana, hoggi vien detta di S. Lorenzo. La seconda chiamasi di S. Croce, questa conduce verso Verona, si legge essersi chiamata la Porta Veronese. La terza vien detta la Porta dell’Aquila, e contigua alli horti del Castello; Escono per quella gli viandanti per il Territorio Feltrino, & Vicentino. La quarta è situata frà l’Adice & il Castello, riceve nella Città quelli che stanchi vengono dalla parte Settentrionale, & e detta la Porta del Borgo S. Martino.
Questa Città hora vien prudentemente governata dalla vigilanza di Bernardo Clesio Cardinale, & Prencipe, si può veridicamente chiamare Madre d’ingegnosi, è fornita, & ripiena di prestantissimi ingegni, adottrinati in tutte l’Arti liberali. Può star al pari di qual si voglia vicina Città, negli encomij d’opre heroiche, & chiari esempi d’ogni virtù.
Perche dicessimo di sopra, esser la strada d’Italia per Trento frà l’Alpi, ove fù edificata, ci par anche espediente dire alcuna cosa de confini d’Italia, dove termini frà Monti, discorrere etiandio brevemente del nome dell’Alpi, e come diano strada à passagieri. Bisogna dire il vero; Sono l’Alpi grandissima fabrica della natura, sortirono tal nome perche le cime delle Montagne sempre sono L’Alpi dove cosi dette. bianche dalla neve perpetua, furon chiamate con altro nome, Albie però communemente eran dette. Servio asserisse Alpi esser nome, & vocabulo Francese, e importare il medemo, che in nostra lingua alti Monti, perche sono Monti che dividono la Francia Cisalpina overo Lombardia, dalla Transalpina, qual propriamente è la Francia, questi Monti sono altissimi, soprastanti all’Italia. Riprova Strabone l’opinione d’alcuni, quali vollero dire le Alpi comminciassero da Porto di Monseco, chiamato anco il Porto d’Hercule, tenendo esso haver principio nella Savoia, ma s’ingana e l’argomento è manifesto, perche frà il Porto di Monseco, e Genoesi ritrovasi una gran Città dell’Alpi, prima chiamata Alpi dall’asilo, posto al Mare Ligurio. Plinio lo chiamò Albio, si che le Alpi diedero il nome alla Città d’Alpio, come se l’Alpi s’estendessero sino là a quella Città. Seno delle Alpi E anco cosa chiara, che le Alpi nella radice fano pianura concava, habitano il mezzo di quello gli Sallagozzi, per altro nome detti Sallasij, l’estremità terminano in modo di corni, l’una volta alle spiaggie del Mare Adriatico, l’altra vien piegata alla marema Genovese, presso alla Fiera di Genova, la dove gli Sommità delle Alpi. Monti Appenini si congiungono con la Alpi, le più alte cime di questie, alle spiaggie Genovesi, dove hanno il lor principio (conforme vien detto) sempre più innalzandosi: fino alle cime, sono sopra gli popoli Carni, confinanti con le genti d’Istria, si che queste, & quelle fano apparenza d’un solo Monte. Indi dalle cime s’abbassano à parte contrarie, & si levano in varie somità, quelle sono giudicate le più eminenti, dalle quali scaturiscono diversi Fiumi, che scorono per contrarij, & diversi paesi, come sono quelli che separano la Francia, dal Piamonte, & Lombardia.
Afferma Strabone Historiografo, ritrovarsi un gran Lago nelle concavità de Monti, sopra gli Popoli Meduali, & due fonti poco lontani l’un dall‘altro. Dall’uno nascere il Fiume Druentia qual per strade, e torti canali viene à precipitare nel Rodano. Di rimpetto uscire Duria Fiume, questo in parte contraria cala per li Saragozzi; & finalmente termina nel Pò. Dall’altro fonte afferma sortire il Pò, nel pincipio assai veloce, & impetuoso poi calatto alla pianura, rafrena pian pano il corso, si che piacevolmente va scorrendo per la Lombardia fino al scaricarsi per sette boche nel Mare Adriatico. Vien parimente riferito, nelli monti che sono sopra gli Popoli di Carintia ritrovarsi un Lago, dal quale prende principio il Fiume Stara, qual unitosi con Attage Fiume, seco lo conduce nella spiaggia Adriatica. Aggionge dalla parte contraria del medemo Lago, nascere un’altro Fiume, detto Attesino, qual poi entra nel Danubio. Tanto afferma Strabone. Dal che (tralasciando molte altre cose) apertamente si cava quelle essere le più alte cime de Monti, quali mandano à basso diversi Fiumi, che scorono per diverse parti del Mondo.
Confine dell’Italia. Resta hora vediamo, qali sijno gli confini dell’Italia, verso le Alpi. Prende l’Italia il suo principio (se crediamo à Strabone) da le più basse radici dell’Alpi, trascorre per la spiaggia maritima Genovese, s’estende poi fino al Fiume Varro, e dalli confini di Toscana, fino à Pola d’Istria: opera fatta da Colchi.
Quelli che habitano frà il Fiume Varro, & la Città di Genova, vicino al Mare sono stimati Italiani. Anzi vuole l’istesso Auttore, dalla terra Antipoli fino a Marsilia, & poco più oltre la natione de Salij, habbi posseduto le soprastanti Alpi: che gli Salij siano stati chiamati dalli antichi Greci, Ligurij, che il paese parimente, hora habitato da Massiliensi, siasi dalli medemi nomato Genovesato, ò Liguria, come voglian dire. Che li seguenti populi, da quella pianura fino al Fiume Rodano, fossero dalli Ligurij, o Genovesi nomati Galli, ò Francesi. Plinio pari mente pose gli Salij, & altri populi celeberimi fra gli Genovesi, oltre le Alpi. Che se il Genovesato conforme il testimonio di quasi tutti gli Auttori, e numerato fra le Provincie dell’Italia, argumentano molti, stendersi l’Italia, fino alli confini del Genovesato, & consequentemente, Termine dell’Italia. tutta quella pianura (qual vien detta Liguria) fino al Fiume Rodano, necessariamenre spettarsi alla iurisditione dell’Italia. Vediamo hora quanto sij alla parte Italiana favoreuole l’auttorità di Plinio; afferma questo che Tarmione Fiume sei miglia di là d’Aquileia, sij stato l’antico termine della creisciuta Italia, hora essere il Fiume Arsia di là di Polo, & la Terra di Nesatto. Quanto poi alle Alpi. Afferma essere opinione, che gli Grisoni discendenti dalli Toscani, scacciati da Francesi terminino l’Italia, poi dall’altra parte à Schiena di questi ritrovarsi, gli Popoli Euganei, quali scacciati dalle proprie habitationi da Troiani, venuti in Italia, sotto la condotta d’Antenore, si riduissero à questo luogo: & occuparono l’Alpi dette Graie. Stimano nel passaggio che fece Hercule per quelle, si fermasse quivi la natione Greca per habitarvi (donde ne presero il nome) & la nobil schiatta d’Euganei.
Và ramemorando Plinio molte altre nationi, le quali habitano l’Alpi; Ottudurensi, Centroni, le Città Cotiani, Caturirgi, Vageni; & quelli communemente, che vengono detti Montani tutti spettanti all’Italia. Poi doppo haver soggiunto, le genti Alpine esser state vinte, & superate sotto gli stendardi, & auspici d’Augusto; questa è dice egli, l’Italia consacrata alli Dei, queste le lor genti, queste le terre de Popoli Italiani, à guisa che se prestare vogliamo fede à Plinio, ragionevolmente dobbiamo credere le cime alte delle Alpi essere gli confini dell’Italia, finalmente ampliata.
Anco Tolomeo consente, haver l’Italia dalla parte Occidentale la sommità delle Alpi, conforme che si estende in linea dal Monte Adula fino alla bocca del Fiume Varone; col Monte Adula per linea che può ergersi frà gli Fonti del Fiume Reno, & Danubio si termina la parte Orientale della Rhetia; Dal Settentrione le cime delle Alpi, sopra la Retis, li Monti Peonij, & Ocri, sopra la Vindalicia, la confinano. Indi il Monte Caruania sopra l’Istria, & sotto Norico: & finalmente il letto del Mare Adriatico dal Fiume Tilavento, fino alli Monti Gargano, e Hidrunte adequatamente frà proprij fini la restringono, & compiscono. Si che dalla parte Settentrionale Pola, secondo Strabone, è secondo Tolomeo, di la non molto dalla Terra Nesatto. Secondo Plinio, qual passò un poco più avanti, il Fiume Arsia confina l’Italia. Della larghezza dell’Alpi non occorre parlarne; essendo diverse l’opinioni delli Auttori.
Questo sol, parmi si debba aggiungere, là consistere la maggior larghezza, ove le cime parono più sotile, nei luoghi che separano la Germania dall’Italia. Cento miglia, & più in alcuni luoghi, hanno queste di spatio; hebbe la natura gran riguardo all’Italia, riuscendoli molto favorevole, in munirla con tanti bastioni, & forti ripari, nel mantenerla libera dall’impero di straniere nationi; Nel trattenere lontani gli nemici dalla Città, madre de veri studii, & fomentatrice di tutte le virtù. Ma perche frà molte gravi persone del nostro tempo versa difficoltà, dove sijno gli confini hora dell’Italia, nelle Alpi principalmente, quali dividono le Terre, & la natione Latina dalla Vindelicia, pregati, non potiamo mancare di scriuere quanto quelli intorno a ciò sentano. Alcuni tengono Bolgiano, discosto da Trento 35. miglia, Borgo alla riviera dell’Adice, per dove si passa in diverse parti dell’Alemagna, essere il mezo, frà ambe le nationi, & ivi finire l’Italia; si fondano costoro nelle seguenti ragioni, o congieture; poiche parlano quelli in lingua Thedesca, d’indi fino à Trento, tale, che parlano ambi gli linguaggi tanto imperfetamente, & con mesculio d’entrambe le favelle, che difficilmente si puono intendere. Quanto poi vassi alcuno più scostando, tanto più espedito, & purgato si fà il parlar Italiano. Perche dunque in Bolgiano si scrive, secondo il costume Thedesco, perche hanno la lingua dalla nostra molto diversa, e perche gli populi parimente più alti seguono gl’istessi ritti, ragionevolmente affermano molti, esser quello il principio dell’Alemagna. Non vorrei alcuno restasse in errore; Sono cento anni in circa, che quelle genti s’hanno usurpata la lingua Thedesca, per avanti parlavano Italiano, come hora fanno gli Trentini. Altri Auttori sono d’altro parere, estendono più oltre gli confini dell’Italia, pare (dicono essi) cosa spropositata attribuire ad altre nationi le radici dell’Alpi, che riguardano l’Italia, pregiudicandosi alla grandezza di quella, stimano per ciò cosa molto più probabile estendersi più lontani gli di lei termini; questi impiegano ogni lor potere in persuadere la lor opinione ad altri, si movono principalmente da questo argomento, perche ritrovasi di qua da Presanone dieci miglia, Un Borgetto dal volgo detto la Chiusa, cosi chiamata per serarsi, & concorrere insieme ivi gli Monti, quasi la natura habbi voluto ivi nel concorso di tante Rupi precipitose chiudere l’entrata dell’Italia, & reprimere la ferocità de Tedeschi.
Si sforzano con più viva raggione costoro dar ad intendere questo lor pensiero. Aggiungono, gli Populi di qua dal sudetto Borgo esser tutti sotto il Vescovato di Trento. Vero e che à nostri Termini dell’Italia al tempo nostro. tempi per molte cause viene annoverato Trento frà gli Confini della Germania, & il Vescovo frà gli Prencipi dell’Imperio, conforme però à quello che scrivono gli antichi Auttori è frà gli termini dell’Italia, si che necessariamente bisogna dire gli stessi esser gli termini di Trento, & dell’Italia.
Altri contrariando alle sopradette opinioni, parlano, & vogliono dividersi la Germania dall’Italia dalle cime de Monti, contendono ciò essere vero, da quello medemo che han visto. Riferiscono essesi fra il Ponte de l’Eno, ò Isprugh; & il Borgo chiamato Sterzano, un Monte di mirabile altezza, e detto monte in lingua lor propria Prener, significano con tal nome la forza del freddo, che si fa sentire in quello horribilmente, Prener in lingua Italiana sona abbrugiare, anidansi colà giaci, & nevi che durano anco il tempo dell’Estate, spirano dall’alta cima, per cosi dire del Cielo venti crudelissimi, quali abbrugiano le membra de passeggieri, sono alti 5. miglia dalla radice, altretanti sono di discesa verso il Settentrione, si che senza mentire, dicono essere largo dieci miglia, & più alto di tutti gli Monti, che si ritrovano à quella parte. Nella cima ritrovansi due Laghi, sono questi frà se lontani un tiro di saeta, dall’uno scaturisce un rivolo, qual piega il suo corso ver l’Italia, Cade per rovinose rupi in una Valle, finalmente scarica in un’altro torrente, chiamato in lor lingua Aysorch, corse opinione essere il torrente Hisavo (quindi gli Populi preso Brunech son detti Hisarci) scorre preso la Città di Pressanone, & con perpetuo impeto tutto spumante entra nel Fiume Adice, non molto discosto da Bolzano. Dall’altro Lago esce un’altro piciol rivoletto, pare in principio prendi bando dal fonte per sassi, in picciol canale, poi crescendo si fa più violente, & impetuoso, quello si porta alla parte Boreale, verso Insprug tutto strepitoso con velocissimo, & precipitoso corso, ove il torrente s’incorpora nel Fiume Eno. Ciò tengono per infallibile argomento haver voluto la stessa natura, dividere due nationi, di contrarij genij, medianti l’alti cime d’un Monte, ce lo volse dar ad intendere col corso di due contrarij Fiumi, quali partono à mezzo l’Alpi, si che la parte ver il Settentrione appartenghi alla Germania, la contraria ver l’Austro, dalla più Nomi delle Alpi. alta cima all’Italia. Tanto, circa gli confini dell’Italia, conforme gli pareri d’antichi & moderni basti haver detto.
Alpi Maritime. Ci resta dichiarare gli nomi dell’Alpi: Furon dalli nostri antenati, alcune chiamate maritime, son quelle che confinano il Mare Ligurtico, cioè del Genoesato, per dove si passa alla Provincia Narbonense. Altre furon da Cesare & altri dette Lepontine, Leopontie. dalle quali prende la sua origine, il Fiume Reno, frà gli confini del Vescovato Sedurese, & quello di Coira, per usar nomi de nostri tempi. Gli Popoli Lepontini, secondo Tolomeo, habitano le Alpi Cottie, da qual si deve credere, haver l’Alpi sortito l’istesso nome. Non mancano Auttori anco, che affermano chiamarsi Cotie. quell’Alpi, Cottie, o dalli Populi Cottij, natione Genovese, quali poi furon detti Salasij, o pur dal Re Cottio, qual soggiogati gli Francesi, le accomodò con gran macchine, & le rese assai commode a viandanti, per queste si passa in luoghi vicini al Reno, sono hora chiamate gli Monti di S. Nicolò, & S. Gottardo.
Alpi Greche. Altre son chiamate Alpi Greche, da Hercule, qual primo superate le difficultà dell’Alpi, penetrò nell’Italia. E fama che per queste Cesare alli Confini delli Centroni, hoggi chiamati Tarantasij; conducesse il suo Esercito, nella Francia, non sono queste tanto difficili, & pericolose, come l’altre, che riguardano l’Italia. Vogliano altri queste esser le medeme, che chiamano Penine, l’opinione Alpi penine. de quali non piace ad altri, anzi pertinacemente l’impugnano, essendo le Penine quelle per cui passò Annibale, che sono diverse dalle Greche. Altre Alpi sono chiamate Rethie, sotto le quali Alpi Rethie. habitano gli Grisoni, non è dubbio esser quelle, che confinano col Territorio Trentino & Veronese, per le quali s’hà il passo per la Svevia, & Austria. Ritrovansi delle altre dette Alpi Giulie, di Giulie Alpi. queste ne fà mentione Tacito, v’è opinione che sijno le vicine alle Rethie, per dove dalla parte di Treviso, si và alla parte della Germania, per il Friolo; fermiamo alquanto il corso, per non parere vogliamo troppo minutamente trattare di questi Monti, purche s’intenda la diversità de Monti, ciò à noi e bastevole, e solo sarà bene aggiungere come sijno transitabili, conforme l’opinione de Auttori. In più luoghi han gli passi aperti.
Passo delle Alpi. Strabone fa mentione de quattro soli transiti dell’Alpi. Il primo per il Genovesato, vicino al mare Thireno. Il secondo per gli Taurini, per dove e fama passasse Annibale. Il terzo per gli Salasij. Il quarto per gli Grisoni, tutti difficili, & precipitosi. Viene gagliardamente disputato del passo de Penini, il che nel leggere più volte travaglia, quindi sia necessario intendere prima, quanto Transito del Peno. variamente si tratta di quello. Questa convenientia si trova frà scrittori, haver Annibale per gli Taurini, natione Genovese, vicina alla Francia, fatto passare il suo Esercito nell’Italia, ma per dove passasse l’Alpi, non è chiaro. Il volgo crede haver egli superato il Penino, venendo d’Ispagna, per invadere gli Romani. Onde anco (dicono) haver havuto il lor nome quelli Monti Poeno in nostra lingua significante Cartaginese. Annibale era Cartaginese, si che pare quelli Monti habbin preso il nome da Annibale.
Celio non consente à tal pensiero, Annibale (dice) non condusse il suo Esercito per quelli Monti, lo condusse per il Monte Cremonio. L’opinioni di costoro vengono ributate dall’auttorità di Tito Livio, lasciò questo in scritto, non haver potutto il Cartaginese passar per il Monte Penino, manco per le cime del Monte Cemanio. Non l’haverebbono quelle Selve condoto ne Taurini, ma per Boscaglie montuose à Francesi Libui, manco esser verisimile, che egli habbi potuto havere il passo per quelle, aperto, essendo le strade che conducono al Penino tutte occupate, & circondate da natione mezza Tedesca. Dalle parole di Livio s’ha il Penino condure alla Francia, & esser lontano dalle Taurine Selve per le quali si vede esser passato Annibale: tanto si conferma anco con l’auttorità di Tacito.
Scrive Tacito essere l’Alpi Penine, per dove si và dall’Italia in Germania. Torna molto al proposito il raccontare quivi quanto da Tolomeo ci fù lasciato in carta, acciò più chiaramente conosca quanta discrepanza sij frà Auttori, circa questi Monti; favorisce però all’opinione di Livio, & Tacito. La parte di mezzo giorno (dice Tolomeo) della Rethia, vien terminata dalle Alpi, quelle, che risguardano l’occidence, verso la Francia, sono le Greche. L’altre sono le Penine, per mezzo all’origine del Fiume Livio, qual separa la Rethia dalla Vindalicia, Provincia della Germania, la cui principal Città è Augusta, & sbocca nel Danubio. Manco dobbiamo senza consideratione passar quanto dice Plinio, questi pare che sia dell’opinione di Tolomeo, cosi egli parla.
Dalle radici dell’Alpi, Augusta de Populi Taurini, schiata antica de Luguri, o Genovesi, poi Augusta pretoria de salassij, dirinpetto le due Bocche dell’Alpi Greche, e Penine: per queste sono chi pensano esser passato il Cartaginese, per quelle Hercule. Alpi Greche. Quindi è manifesto l’Alpi Greche, & Penine, non essere le medeme, conforme alcuni vogliono. Il Penino soprastà alli Grisoni, non alli Francesi, da che si cava, il passo per il Penino, non condure nelli Territorij circa il Pò, ne quali Annibale sbocò per gli Taurini; portano gli Penini nel Territorio Trentino, si che appare falsa l’opinione di quelli, che vogliano per gli Penini esser Annibale transcorso in Italia, & che poi quelli Monti habbino havuto il lor nome, contro l’opinione de quali giova assai à Tito Livio, & Tolomeo, la Geografia di Strabone, disse questo, il paese de Salassij, esser assai amplo, una Valle rotonda d’ambi le parti, una Campagna chiusa da Rupi, & gli suoi confini estendersi fino alle cime. Quelli che dalla parte dell’Italia sono sopra gli Monti, hanno una strada per la Valle sodetta, qual poi si parte in due, l’una porta per gli Penini, & cime de Monti, impossibile à Carri, & altri Giumenti, l’altra più longa assai, porta per gli Centroni, alle Alpi Greche, ne quali gli Centroni habitano, sopra gli Salassij, secondo Tolomeo, di modo che per la campagna de Salassij, dove si divide in due strade, stà aperto il passo all’una & l’altra parte. Appare dunque dalla lettura di Strabone essere diversi Monti, l’Alpi Penine, & Greche.
Il Monte Penino esser diverso dalle Penine Alpi. Sono etiandio altri, che dicono l’Alpi Penine essere quelle, quali Cesare chiamò altissime, questo noi vogliamo lasciare al giuditio de più periti. Con l’auttorità dunque de molti resta confutata l’opinione de quelli che volevano, Annibale havesse condotto il suo Esercito alla volta di Roma, per gli Monti Penini, si come rende testimonianza Strabone: (per epilogare quanto habbiamo detto) essendo la strada per il Penino, a quelli tempi impossibile per condure Cariaggi, & quasi tutta serata da nationi meze Thedesche, si anco, come vuole Celio, conducendo il Penino in Germania, & perche Tolomeo afferma il Penino start in vicinanza, & attacato al principio del Fiume Licio, si che dalla Rethia per li Penini si passa nelle Valli del Trentino; bisogna che per queste ragioni confessiamo non haver potuto Annibale condur per luoghi inacessibili, tanti Carri, Cavalli, & Elefanti. Ne pare verisimile che Annibale Soldato astutto, dal Rodano, superata la cima del Monte Adula, qual dell’occidente serra la Rethia, habbi senza raggionevol causa voluto torsi tanto fuori di strada dal suo diritto viaggio, con lontanarsi tanto dall’Italia, dove era il suo pensiero, e facendo cosi lunghe girate haver voluto penetrare nel Territorio Veronese, di dove ancora gli sarebbe stato necessario, fare mille giri, contrastare di più con diverse nationi, avanti fosse pervenuto per assalire gli Romani suo principale scopo.
E anco per altro capo manifesto, esser il Cartaginese venuto per gli Taurini ne luoghi oltra il Fiume Pò; Principiò non tantosto smontato dalle Alpi la prima Battaglia con Romani, nel Territorio Milanese, presso il Fiume Ticino, nel qual luogo il Consule Romano andò ad incontrarlo la prima volta, dal che manifestamente si vede gli Penini esser molto distanti da dove penetrò Annibale in Italia, questa raggione move molti à credere, l’Esercito de Cartaginesi esser stato condotto per gli Taurini. Livio parimente afferma, che Annibale, fattosi avanti le schiere, si fermò sopra un certo tal scoglio d’un Monte, dove d’ogni intorno potesse esser dalle squadre veduto, e fatto fermare tutto l’Esercito gli andava con premura mostrando l’Italia, & le Campagne intorno al Pò sotto gli Monti Alpini, il che non haverebbe potutto fare dall’altra parte dell’Alpi, devesi dunque conchiudere esser vero che Annibale sia venuto per gli Monti Taurini. Anco Plutarco scrive, doppo che Annibale hebbe superate l’Alpi in spatio di quindeci giorni, esser gli Cartaginesi discesi nel Territorio Taurino. Per il che pare più verisimile (dice Plutarco haver Annibale passato il Monte di Genua (cosi dal volgo sono chiamare quelle Alpi) che da una parte hà il Fiume Lucetia quale passò col suo Esercito andando verso l’Alpi, l’altra parte ove sbocca ne’ Taurini occupa la gente Genovesa. Manco è verisimile, haver egli passate l’Alpi Greche, erano già resi facili, & aperti dalle fatiche d’Hercule, per dove Annibale condusse l’Esercito, erano luoghi (come vuole Plinio) inacessibili, imperoche essendo gionti a una rupe, senza via, ne sentiero, fece abbrugiare un Monte di legne stipate. Con tal incendio infondendovi dell’accetto, fece marcire quella horida ruppe, poi con furia l’aperse: quando havesse seguitata tal strada Hercule non havrebbe ritrovati simili intoppi, che anzi le strade aperte. Hora torniamo al noltro proposito, habbiamo alquanto deviato dal nostro scopo, ritorniamo dunque alle due strade di Strabone; nel paese de Salassij, & stiamo à quella, che conduce dalla Valle de Salassij, per gli Centroni, nelle Alpi Greche, per dove (dicesi) haver conduto Cesare il suo Esercito nella Francia, sarà più chiaro in tal guisa dove sijno, & à qual parte pieghino le Alpi Greche.
Strabone riferisce che gli Meduli Populi della Francia, soggiornano oltre le Alpi vicine dove il Fiume Rodano, & l’Isara s’incorporano, l’altra parte dell’Alpi ver l’Italia vien habitata da Taurini, natione Genovese & dal rimanente de Liguri. A questo Territorio sono attacati gli Sidoni, & Cotij, dopò questi, & il Pò, seguono gli Salasij, sopra questi, nelle cime sono gli Centroni, gli Canturigi, gli Veragni, gli Natuati, & il Lago Pelemina, per quale vien portato il Fiume Rodano, da dove prende il suo principio, ne molto lungi sono gli confini del Reno, & il Monte Adula, dal quale, ver la parte Settentrionale, scorre il sudetto Fiume, dalla parte opposta il Fiume Abdua entra nel Lago Lario presso Como, che perciò altri anco lo chiamano Lago di Umo. Sopra Como alla radice dell’Alpi sono gli Grisoni, poi gli Venoni alla parte meridionale. Dall’altra parte habitano li Lepontij, Trentini, Stani, & molte altre nationi Italiane. Tolomeo pose gli Lepontij nelle Alpi Cottie, gli Centroni Cathurigi, & gli Secutiani nelle Alpi Greche.
Da quanto habbiamo detto chiaramente si vede, le Alpi Greche risguardare la Francia vicino al Principio del Fiume Rodano, & il Monte Penino piegarsi all’Oriente, col stendersi fino al principio del Fiume Licio.
A sufficienza hormai s’hà veduto non esser le medeme le Greche, & Penine Alpi, ne esser venuto Anibale per le Greche in Italia, manco haver potutto condure Esercito si numeroso, con bagagli, & arme per il Monte Penino, resta dunque sij venuto, ò per le selve Taurine, ò per l’Alpi Penine. In conformità bisogna dire consequentemente, che l’Alpi Penine sijno discoste dal Monte Penino, conducono quelle (come vuole Plinio) per le bocche, & aperture, dirimpeto à Salassij in Italia. Il Penino per li Monti Trentini. Molti in ciò son restati inganati, han creduto esser l’istesso Monte, l’Alpi Penine, & il Penino; Nacquero per tal causa frà Scrittori diversi contrasti, & dispute, il che per l’ambiguità de’ luoghi, partorì non poca oscurità à quelli che leggono. Altri han volsuto, che à quel tempo si sij stato celebre il nome de Cartaginesi, quali invasero Roma, che non solo habbino dato il lor nome à luoghi per dove passavano, ma ancora à tutte le Alpi spetanti all’Italia.
Quivi forsi, havendo l’occhio Servio, etimologiò il Monte Apenino, quali Alpi del Peno, cioè del Cartaginese. Quando volessimo frapore la nostra opinione, & diffendere per qual parte sij penetrato in Italia Annibale, non potressimo raggionevolmente se non dire sij venuto per le Alpi Penine.
Livio è d’opinione non esser le Penine cosi state dette dal passaggio de Africani, ne d’altre nationi, hebbero (dice egli) tal nome da un fiero, & crudel habitatore di quelle Cime. Ciò aiuta l’opinione di quelli che contendono Annibale non esser passsato per l’Alpi Penine.
Altri scrivono il Monte Penino, qual dicessimo condure in Italia per le Boscaglie Trentine, non haver sortito tal nome dal Cartaginese, ma dalla propria di lui somità, & cima detta per essere altissima penna. Habbiamo adunato, & detto de Senoni. dei Trentini, e delle Alpi, più brevemente sij stato possibile, in tanta varietà d’opinioni, quanto, ci fù lasciato scritto da diversi Auttori, frà di loro discrepanti, acciò non sij tanto pesante la fatica, à chi sono studiodi delle Historie Trentine.
Il Fine del Secondo Libro.