Vicramorvasi/Atto IV
Questo testo è incompleto. |
◄ | Atto III | Atto V | ► |
ATTO IV. (dietro la tema, strofa introduttoria di Sahagidnia e Citralèca). =|| Del Iago dei cigni nel limpido seno. Nel lago di molli delizie ripieno. Li dove si schiude del sole all’ardore Il fiore di loto dal rosso colore, La coppia dei cigni chc intorno s’aggira, L’amica perduta, gemendo, sospira ! ||= (vengono sulla scena SahAGIÀXIA e ClTRALÈCA), Citral. (guardando l'oriente) Del limpido lago nel seno profondo Che placide gioie fan sempre giocondo, La coppia dei cigni con l’animo affranto S’affanna ed ha gli occhi velati di pianto. Ouell’ombra ond’i, mia cara, la tua sembianza offesa, Oscura come un’arida centifoglia, palesa Pieno d’ambascia il core: su via, cara, mi svela La causa dell’affanno che nel tuo cor si cela, Perch'io pur nel dolore ti sia compagna. Oh amicai Inver, se tu sapessiI Ma, che vuoi che ti dica? Mentre di Sùrya al sacro servigio io sono addetta In questa primavera, l’amica mia diletta Ahil m’ha lasciata sola! Comprendi? Or come vuoi Ch’ io non viva in affanno ? Sahagiàxia. Citralèca. •14 VICRAMÒRVASI. — ATTO IV. Saiiagiània. Citralèca. Saiiagiània. Citralèca. Saiiagiània. Citralèca. Saiiagiània. Citralèca. So ben d’cntnmbe voi Lo scambievole affetto, ma pure Io meditai. In questi giorni, a lungo. « Di lei chc avvenne mai? a Finché d’un caso strano consapevole io fui I E quale? Urvàsi, stretta con quel buon re di cui Ha Làcsmi la tutela (vago d’Urvàsi al segno Di lasciare all'arbitrio de’ suoi ministri il regno) — Nel bosco Gandamàdano — là, Urvàsi e il pio sovrano N'andavano a diletto sul fiorito altipiano Del monte di Cailàsa T’intendo: oh si che quello É luogo di delizie I Quand’ecco, in sul più bello, In fra i mucchi d’arena, che son sulla riviera Dell'erma Mandachini, scherzar vaga e leggiera Una giovane silfide; per poco il re la mira; Ma Urvàsi, che ciò scorge, tosto 4 presa dall’ira Invero, ella non tollera nulla, immenso è ’l suo amore, Forza 6 del fato e poi ? Presto, del suo signore Ogni ossequio respinse: quindi col cor turbato, Poi ch’ella fu da Bàrata maledetta, obliato Il decreto divino, nel bosco di Cnmara Entrò senza volerlo, ma del suo danno ignara! Misera amica Urvàsi! (Chi non fu mai concesso Alle giovani donne d'entrare In quel recesso). Ed ecco in lei svanire già la sembianza umana E l’agil sua persona trasformarsi in liana: Or, colà, si rattrova sul limitar del bosco Nulla al destili s’oppone! Davvero io non conosco Alcun’altra chc siasi cangiata in simil guisa. Dunque? Il re, dall’istante chc fu da lui divisa La fanciulla leggiadra, folle s’aggira intorno, E « Urvàsi » chiama « Urvàsi » chiama la notte e il giorno! (guardando il Mo) Penso che questo cumulo di nubi che or si stende In si fosche volùte sul nostro capo e rende Inquiete perfino l’almc più quete, aliimèl Renderà più furente, più disperato il rei (iiro/a) =|| Nell’acque deterse del lago sereno Che tante dolcezze nasconde nel seno, La coppia de’ cigni con teneri accenti, Con gli occhi coperti da lagrime ardenti, Dal duolo commossa d’intorno s’aggira E sempre l’amica perduta sospirai ||= Saiiagiània. Citralèca. VICRAMÒR VASI. — ATTO IV. Saiiagiània. Citralèca. Saiiagiània. Pururàvasa. Ma di' : v’ha qualche mezzo per riunirli ? Un solo: La gemma del connubio, che scintilla sul suolo Di color rosso nato dal sanguinar dei piedi Di Giuri ; ed oltre questo, null’altro v’è. Ma credi Tu che gente siffatta, di si eccelsa natura, Possa restare a lungo soggetta alla sventura? Ohi venir dee per certo qualche aita che faccia Ritornar quel demente signore fra le braccia Della sna fida amica; purtroppo ho questo in mente! Presto, al culto di Sùrya, signor dell’oriente. (strofa) =|| Il cigno nel lago leggiadro si duole Tra’ fiori di loto dischiusi dal sole ; E mentre alle sponde gemendo s’avvia L’amata compagna nel lago desiai ||= (finisci l'introduzione). (dietro la scena, strofa introduttoria di PURURÀVASA). =|| Gii furibondo il sir degli elefanti, Poiché la dolce amica a lui fu tolta, Slanciando va le forti membra innanti In fra li arbusti della selva folta, Col grave corpo, per furor gii bieco, Va tralci e fiori trascinando seco. ||= (il re, forsennato, entra col guardo fisso nell'aria), O ricsaso perverso, oli, t’arresta, T’arresta; ove ten’ vai, Trascinando l’amica mia diletta? (osservando) Oh 1 perchè mai balzando in su la vetta Dell’erta rupe, il ricsaso malvagio Dall’alto mi saetta? (afferra una zolla e si avventa per colpirlo). (dalla scena, strofa) =|| Il giovine cigno che il vivo dolore Del bene perduto nasconde nel core. Con l’umide ciglia dal pianto disfatte, L’immobile lago con l’ali dibattei 11= 46 VICRAMÒRVASI. — ATTO IV. (Pururàvasa, tornando in sé, con tristezza) Ah noi Di piova turgida Questa è una nube immensa, Che sovra me s’addensa, Un ricsaso non è. Laggiù, quell’arco è l’iride Che tcndesi a’ miei sguardi; No, dagli acuti dardi L’arco gucrrier non è. E questa che in me penetra Quasi puntura infesta, Goccia di piova è questa, Punta di strai non è. Un’abbagliante fólgore Qual lidia pietra & quella. Ah noi che Urvàsi bella, Urvàsi mia non è! (come stordito cade). ( poi sorgendo e sospirando) Non è notturno ricsaso Chc la diletta mia Da gli occhi di gazzella porta via; É questo il nero nugolo Apportator del nembo, Chc folgore e baleni accoglie in grembo. (con tristezza) Dove, oh dove è il mio bene? Dove in preda allo sdegno ancor s’aggira Dal suo poter divino a me celata? A lungo in lei non può durar tant’iral Sari volata al cielo? Nel suo tenero petto, Mosso a pietà, ritornerà l’affetto ? (con furia) No, chc i maligni spiriti, Nemici degli dei, Mai non potran colei Rapir da canto a me: E pur da gli occhi miei La bella andò lontano I Di questo fato arcano Il senso, inver, qual è? (meditando) VICRAMÒRVASI. — ATTO IV. 47 (guardando intorno, sospira e piange) Ahi! sciagura a sciagura ognor s’aggiunge! Non basta mai sol una A quelli che son vittime Dell’avversa fortuna! Ahi ! quanto è triste non averla allato, Diviso esser da lei, mentre il recente Piovoso nembo s'i nel eie! levato, E nuove gioie al nostro amor consente; Mentre ne manda amica la ventura Bei giorni di diletto e di frescura. (di nuovo in delirio) Nube, t’arresta ; tu chc in ciel ti stendi Gravido il seno d'incessanti piove, Nube, t’arresta, al mio voler t’arrendi : Io scruto queste vie per ogni dove, E se ritrovo l’amor mio diletto, Da te ogni cosa sopportar prometto. A torto la cagione Si vuol trovar sovente Di ciò che accresce l’ansic della mente! Pur con la gente — prèdica l’asceta: ¦ Causa del tempo i il re, signor di tutto I » Se vero fc questo, il mio sovran volere Oh perché mai non in'è concesso imporre A quel nugolo immenso Che innanzi a me discorre? (delirando) Al susurro dell’api inebriate Dall’acre olezzo dei novelli fiori, Alle dolci melodi armonizzate Da li usignuoli, amabili cantori, Con le fogliuzze tremule, agitate Dal zefiro che scherza ai primi albori, Con gli ondeggianti rami e indietro e innanzi, L’arbor di Cìlpa quasi par che danzi. Più non fa d’uopo ch’io comandi al nembo: Ecco, egli alfin coi procellosi segni Di farsi ligio e servo Del re par che si degni : 48 VICRAMÒRVASI. — ATTO IV. (strofa) (osservando) Di baleni dorati il nembo adorno E sul mio capo il padiglion del trono; I rami chc la brezza Agita intorno Di penne e gemme i miei Gabelli sono; II bel pavone, or che inen caldo è il giorno, È il mio giullar col suo stridente suono; L’acque che scendon giù dal monte al piano Mercanti son che glungon di lontano. Sia pur; ma a me che vale La pompa del corteggio, Se colei che ho perduto e vo cercando Qui, nel bosco solingo ancor non veggio? =31 Dal corso già stanco l'eccelso elefante Rapito alle gioie dei teneri amori, Trafitto dal duolo rivolge le piante All’erta silvestre smaltata di fiori. ||r= (guardando intorno con gioia) Alfine son contento! Che, mentre son qui tutto Ne* propositi miei saldo ed intento, Mi veggio maturar qualche buon frutto! Questi fior’ di Candàlia a me presenti Che brinati hanno i lembi e rosseggiami, Fan si che quei begli occhi io mi rammenti Rossi dall’ ira e da’ suoi caldi pianti ! Venne forse di qua? Per pormi almeno Sulla traccia di lei In sì vasto camtnin, che far dovrei ? Se il piè fin qui sospinto La mia diletta avesse, Del piè di lacca tinto Vedrei le tracce impresse, Or che di pioggia è molle L’arena in queste zolle. Qui, certo, avrei sorpreso Segni nel suol profondi, Per l’ondeggiante peso De’ fianchi suoi ritondi ; Ma traccia non si vede Di quel vezzoso piede.
VICRAMÒRVASI.VICR.ORVASI. - ATTO IV. 49 Alfin l’ho ritrovata!
Dopo si lunghi affanni ecco una via Per rintracci. quella sdegnosa mia!
E questo il vel tra verde e cilestrino Come ventre gentil di parrocchctto, Che, malferma per l’ira, in suo cammino Ella lasciti sfuggir dal roseo petto; E v’è il color che il pianto Ic rimosse bel rubino delle labbra rosse. s Adunquc io vo. ghermirlo.....
Vaggira intorno, poi tornando gi, tem laringe) Oh me infelice! Quel che un vel credei E. un po’ di verde zolla, Tempestata di rossi scarabei E, intanto, or chi m’addita Or chi m’addita In questa.
Solitaria foresta L’amica mia genti! che m’è sfuggita, In sul declivio dell’erbosa balza Il bel pavone lentamente sale; E già la coda a larghe piume innalza Scompigliata dal vento orientale, E mentre il collo variopinto stende Stride e lo sguardo all’ampie nubi intende.
(Pagnedvasa ti avviti.; per interrogare il para.) =11 L’eccelso elefante già rapido fuggc, Rimove ogn’impaccio che incontra per via; E attonito c folle pel duol che lo strugge, Veder la diletta compagna desial (Pungravara, dopo breve intervallo) Bel signor dei pavoni, t’arresta, Parla c dimrni in tua dolce favella Se vagando nell’ernia foresta Hai veduto l’amica mia bella; Quasi dg no, agile e presta, lla le membra di svelta gazzella; A tai segni ch’or ora t’ho detto De la bella puoi scorger l’aspetto. RVASI. — ATTO IV. (osservando) (guarda intorno) (strofa) (in delirio avanzandoti, e congiungendo le mani alla fronte). Bel pavone dal collo cilcstro H dall’occhio di màndorla bianco, Hai tu visto nel bosco silvcstro La mia bella dall’agile fianco, Dal grand'occhio— a’miei sguardi sostegno — Lei, che a tanto dolor mi fa segno? E chc? Per me non v’ha risposta? Ei lieto S’è messo a far la danza? So ben io la cagion di sua baldanza! Or che il fulgido volume Di sue piume Sparso è ai venti orientali, Poiché Urvàsi in queste arene Più non viene, Ei temer non pub rivali. Se colei, d’amore in braccio. Scioglie il laccio Di sue chiome infiori ascose, Chc più vale al paragone Il pavone Con le penne sue pompose? Sia pure; ma più nulla Vo’ chiedere a costui Chc tanto gode alle disgrazie altrui! M’inganno? É mai dell’usignuol la sposa Quella che solitaria, là, si vede? Sovra un ramo di Giàmbu, or che l’estate È per finir, lascivamente siede. Ho inteso a dir che saggia ognun ritiene Questa specie d’uccelli, Cosi che forse interrogarla è bene; Col cor dalla gioia vagante lontano, Crucciato dal pianto cui spreme il dolore. L’eccelso elefante, qual denso uragano, Del magico bosco disfida l’orrore. 11= (Pururàvasa, alla sposa dell’usignuolo) Qui, nel bosco a tuo diletto Tu di Nàndana t’aggiri; Tu, che traggi su dal petto Quei dolcissimi sospiri, VICRAMÒRVASI. — ATTO IV. 5' Non hai visto il vago aspetto Chc tormenta i miei desiri? Sai tu dirmi dove sia La diletta amica mia? DelPamor la messaggiera T’han chiamata ognor gli amanti : Arme sei che l’ira altiera Pieghi c vinci in cor di tanti ¦» Con la grazia lusinghiera Con cui mòduli i tuoi canti; Quella a me recar tu dèi, O me adduci accanto a lei ! (apprettandoti alquanto a sinistra) Parla; chc vuoi tu dire? Forse: « Perché la bella t’ha lasciato? » « Come lasciò si fido innamorato? » Senti: sdegnata cll’è; ma mi conforta Ch’io dell’ira cagion non fui giammai; La femmina ha capricci, e tu lo sai, Pur se non v’abbia l’uom colpa di sorta. (con trepidazione sempre più avvicinandosi) (poi stando sulle ginocchia e ripetendo la strofa « Senti: sdegnata cll’è..... » guarda all'intorno). Infelice son io! Chè pur costei, Già lungi se ne vola a suo bell'agio, Senza prestare ascolto ai detti miei ! Ben è ver quell’adagio: « Benché sia grave, l’altrui dolore Non tocca il core! » Ella ogni ossequio sprezzando, in duolo Mi lasciò solo. Ed or già folle — d’ebbrezza, cieca — Colà si reca Dov*è maturo del Giàmbn il frutto, E con l’asciutto Labbro, ansiosa, tutto a sue voglie L’umor nc coglie; Quasi che il labbro premesse stretto Del suo diletto. VICK AMOR VASI. — ATTO IV. (strofa) Tu, dal canto soave Come l’amica mia, Ahimè I tu pure se’ fuggita vial Sdegno non ho per tc: va, sii felice..... («' Ina) Io vo’ cercar frattanto La mia diletta..... Oh che? Dal destro canto Della selva s'ascolta un tiatinnlo 0 m’inganno, o mi pare 1 sonaglietti udir del suo calzare É dessa, & dessa: andar a lei vogl'io! =|| L’eccelso elefante col volto affannato Da che gli fu tolta la tenera amica, Con l’occhio da pianto perenne tarbato, Vacilla ed il corpo trascina a fatica. Dal rapido corso bruciate ha le membra, E quasi disfatto dal duolo già sembra; Poiché de la bella gli manca l’amore. Egli arso è dal foco d’immenso dolore; Nel bosco s’aggira tremante e stravolto E lagrime ardenti gli rigano il volto! ||= Pururàvasa (mtslainetiU) Strilli acuti fùr, che diede Regal cigno d’andar vago Là, di Manoso nel lago, Poi chc foschi vide al ciclo Densi nugoli far velo : De’ calzari del suo piede Non fu quello ch’io credetti Tintinnìo di sonaglietti ! Eh via, si lasci andar; pure uno stuolo Ancor v’é qui d’augelli desiosi D’andarne insieme al lago: Pria che lungi da me sciolgano il volo Vo’ che parlino anch’essi: Oh! nuove del mio bene aver potessi! Tornare al lago Mànaso, Cigno, regai tu brami ; Ma lascia andar, ti supplico. Della ninfea gli stami. So ben chc tu, cogliendoli Per cibo, intorno vai; Lascia, se poi vuoi prenderli, Ancor li troverai. VICRAMÒRVASI. — ATTO IV. (guardando al traverso) (ttrofe) Oro all’affanno toglimi; Bel cigno, dimmi aita A ritrovar la tenera Fanciulla a me fuggita. L'hai tu veduta? Dimmelo: Quegli davvero è saggio Che preferisce al proprio Sempre l'altrui vantaggio! » Ecco in alto ei rimira, e par che dica: « SI, l’ho veduta la tua dolce amica ! » (avvicinandoti folli) Orsù, cigno, rispondi : Perchè quel che vedesti a me nascondi? Oh! se la bella da le curve ciglia Non venne mai del lago alla riviera, Quel tuo leggiadro andar che al suo somiglia, Poi ch’ella incede amabile e leggiera, Chi te la diè quella movenza snella? Oh si! Tu l’hai rubata a la mia bella; Su, dimmi allor quel che a ragion t'ho chiesto: Chi una parte rubò sa dove è il resto. (va di nuovo ruttando la strofa, in delirio). • Questi un re punitore Di ladri è, affi! a Quel cigno avrà pensato; E vinto da terrore, Ad un tratto lontan se n’è volato! Ov’è più folto e solitario il bosco Or io m’addentro; oh come, All’amata consorte assiso allato, £ il pàpero beato Che Ciacravàco ha nome! =|| Già folle d’amore, rapito al suo bene Nel bosco s’aggira l’eccelso elefante; Nel bosco sonante — d’un mùrmurc lene Tra’verdi germogli di floride piante! |)= [*/ papero Ciacravdeo] Sacro augello che intorno tcn1 vai Dalle penne di cròcei colori, La mia bella vedesti tu mai Nella lieta stagione de’ fiori? (inginocchiandoti) ( itrofa) VICRAMÒRVASI. — ATTO IV. O « dall’anca ritonda » m’ascolta, A me in preda a tant’ansia rispondi: Vago augello, vedesti talvolta La mia bella da’ fianchi ritondi ? Tn mi chiedi: Chi son? — Se desio Di saperlo tu nutrì nel core, Luna e Sole ho per avi, e son io Della terra e d’Urvàsi signore! Taci e perché ? M’ascolta: A te parlar io bramo, e tu sai bene Che alla stregua de’ propri I casi altrui considerar conviene: Tu gemi, sol che la compagna fida Per breve tratto agli occhi tuoi s’asconda, Benché da lei null'altro ti divida Che di verde ninfèa picciola fronda. Oh! se tu levi al ciel si forti strìda Temendo ch’ella voli ad altri sponda, Perchè sprezzato si da tc son io Che pure son lontan dall’amor mio? In ogni loco — ahimè! — l’iniqua sorte Mi persèguita, e pure Nel più folto del bosco io mi sprofondo, (avanzandoti e guardando) La ninfèa chc tra le foglie, Che tra’ fiori questo sciame Susurrante d’api accoglie, Chc il vaghissimo fogliame Denso oppone al mio cammino, De la bella il volto pare Oliando il labbro a ribaciate Sospirando m’avvicino. « Non ti sturbi, o gentil, la mia venuta! » Si pure è ben ch’io dica All’ape in su quel loto, Chè giovar mi potria farmela amica. ==)| Col cor ch’è, nel duolo d’amor, più tenace, Solingo, del bene perduto più vago, Il giovane cigno non trova più pace, E l’acque dibatte del limpido lago. 11= Pururdvaia [all'ape] Se visto hai tu del bosco in fra i recessi Qjiegli ebbri sguardi, a chc negar lo vuoi? VICRAMÒRVASI. — ATTO IV. Ape gentile, il ver tu mi confessi, Chè dir d’averla vista, affé non puoi: Se tu libato il bel profumo avessi Chc viene col respir sui labbri suoi, Non ti vedrei bear nel mite odore Chc di quella ninfèa tramanda il fiore! (avanzandoti e guardando) Oh ! l'eccelso elefante Con la diletta sua compagna allato A un tronco di Cadàmba Con l’ampio tergo, se ne sta poggiato E par chc dall'affanno e’ si consumi Rapito al gaudio de’ suoi dolci amori, Mentre s’inebria in mezzo a’ bei profumi Che lo sciame dell’api invola ai fiori (osservandolo, scn^a apprettarti) D’Olibano ad un ramo ei scherza intorno, Che ha d’un acre liquor l’essenza rara. Che di novi germogli è tutto adorno, Ed offerto gli fa dalla sua cara (prima osservando, poi appressandosi all'elefante per interrogarlo) O bel principe elefante, Tal vigore in te s’aduna Che travolgi annose piante Per trastullo ad una ad nna: Hai tu visto il bel sembiante Che in fulgor vince la luna? Non hai visto tu colei Chc turbato ha i giorni miei? La gentil, cui giovinezza Ride in cor perennemente, Che sul vago crine è avvezza Il gesmino a pór sovente, Chc d’amor quand’ha vaghezza Quasi par luna crescente, Dimmi or tu dal guardo acuto, Quella bella hai tu veduto? (ascoltando con gioia) Racconsolato io son! Con quel barrito Ch’ei manda già dalla profonda gorga M’annunzia alfine eh’ io potrò vederla ! 5* VICRAMÒRVASI. — ATTO IV. (oitervando) Un affetto ben forte, O principe elefante. Mi stringe a te: pari è la nostra sorte: Del mondo in fra i potenti io son signore, Tu nella specie tua t'ergi legnante ; Tu dalle tempie versi acre sudore, Io spargo i miei tesori ad ogni istante. Fra tante perle Urvàsi ho eletto in core, Tu nella torma la diletta amante : Sol chc non tocchi a te l'aspra disdetta D’esscr lontano dalla tua diletta! Vanne pur, sii felice ! 11 monte è qui Surabicànda detto, Che ricco di squisiti allettamenti £ alle ninfe diletto: Alfin di si bel monte alla pendice Io troverò la mia leggiadra Urvàsi ; Perchè si tenebroso? Or con la luce Della fòlgore almeno Tutto vedrò Che? Non un sol baleno? Ancor questa sciagura Q.ui mi restava; ah no! non vo’ tornare Se pria non giro quest’immensa altura. [ Sta il cignal nei boschi ed erra, Scava a terra Col suo dnro artiglio teso; Gira intorno, striscia al suolo, Ed è solo A frugar nell’erba inteso.] \al monte Surabhdnda] O bel monte da’ fianchi sporgenti, Cui d’amore i convegni fan lieto, Dimmi tu, fra’ tuoi poggi ridenti, Di tue selve nel folto segreto, Dimmi tu: la mia bella nascondi? La mia bella da’ fianchi ritondi? Come? Tace? E pur esso Tanto è da me lontano Chc di farmi ascoltar tentato ho invano; Gli parlerò dappresso: Tu che nel seno hai limpide cascate Ch’han del cristallo i fulgidi bagliori, VICRAMÒRVASI. — ATTO IV. 57 Tu chc le belle vette al ciel levate Adorni in giro di novelli fiori, Chc allieti il verde de le tue vallate Con l’armonia che fan d’Indra i cantori, Quella beltà smarrita, ond’io m’attristo, » Del bosco al limitar non hai tu visto? (allottando con gioia) <• Visto! » ripete il monte? « Visto ! » si, mi risponde ' Cerchiamo (guardando intorno, poi con aiutatela) Oli me infelice ! Questa è l’eco che, giù, nelle profonde Gole della montagna si disperdei (cade stordito, poi ti leva con turbamento) Alti ! Come sono affranto ! E pure qui, daccanto Alla montana rapida corrente, L’impeto io voglio rimirar dell’onde. (aggirandoti ed osservando) Come awien che all’aspetto Del torbido torrente lo provi nel mio cor quasi un diletto? Questa che a sè contrae crucciata l’onde, Che d’augelli ha nel scn turba tremante, Chc bianca spuma intorno a sè diffonde Qjul nell’ impeto un velo fluttuante, Che torta c a sbalzi corre in fra le sponde, Urvàsi è questa chc il gentil sembiante, — Movendo in giro e di vedermi ardente — Nell’acque tramutò d’una corrente. « Gentil, ch’a la tua riva Gli augelli fai tremare, Che mòrmori giuliva Qual d’api un alveare, Che vai con ansia viva A riversarti in mare, Placata io ti desio, Deh! càlmati, amor mio! » Con le braccia cui leva alta marea Rotta nell’aria al buffo d'oriente. Mentre fra cigni, c conche, e fior si bea, Danza coi nembi l’oceàn fremente; Gli cinge il sen la cèrula ninfea, Ed or più ratte l’onde ed or più lente Col ritmo ei spinge della larga mano, Più gonfio reso già — dall’uragano. 8 58 VICRAMÒRVASI. — ATTO IV. (strofa) (awicinadaosi) • Qual ombra di difetto In me, vezzosa, hai scorto, S’io per mio sol diletto Vivo in tc sola assorto, E se vèr te l’affetto Più saldo, in cor io porto? Perchè sprezzar, crudele. Lo schiavo tuo fedele?» Ma perchè tace? Ahi! Onesta è una riviera E non è Urvàsi bella! Oh certo ! In qual maniera Per mover contro l’oceàn, repente Pururàvasa or ella avria lasciato? Pur, senza tema o turbamento, il bene Vno! essere acquistato. Ed io pur qui ritroverò colei ! La ninfa dai begli occhi Qui sparve agli occhi miei Oh! Chc veggio? Un’antilope: (girando - osstrvando) Nuove d’ Urvàsi chiederle vorrei ! =|| Di Nàndano al bosco dolcissimo in fondo Di novi germogli tra li alberi adorno. Nel bosco di molli canzoni giocondo Che i vaghi usignuoli gorgheggiaao intorno, Dal duolo bruciato — lontan dall’amante S’aggira Airavato — l’eccelso elefante. ||=r [parlando deJl’anlllopè] Quel sno nitido vello al sol lucente Della silvestre dea l’occhio m’appare, Allor chc sopra un ramosccl fiorente Viene il tenero sguardo a riposare. Egli a la sposa ha le pupille intente Che lenta di lontan vede spuntare: Poiché più tarda nel cammin la rende Novo figliuol chc dalle mamme pende. « Nel bosco hai visto una beltà divina Dal peso de’ bei fianchi illanguidita, A cui trabalza il sen quando cammina, Piena di gioventù, sottil di vita, Che come cervo ha la pupilla fina, E che del cigno la movenza imita? Parla: a strapparmi all’occàn t'affretta Che me separa dalla mia diletta! » VICRAMÒRVASI. — ATTO IV. 59 (il avvicina eongisingendo le mani alla fronti) « L’hai tu veduta la diletta mia? In fondo al bosco hai visto la mia bella? Se brami or tu che un suo segnai ti dia, « Grand’occhi ell’ha come la tua gazzella. » ^ (o«mando) Che? Senza dare ascolto Al mio folle lamento * Solo all’amata egli ha lo sguardo intento! Vero è l’antico detto — oh ben lo veggio — « Ch'è la grave sciagura Segno all’altrui dileggio! » — (avanzandoli) Ed io m’addentro ancor nella foresta Ahimè ! Che vedo mai ? Del suo passaggio altra vestigia è questa ! Ecco, alfin dal rotto calice, Tra le fronde porporine, Di Cadàmba il fior qui schiudcsi Che d’estate annunzia il fine, Il bel fior di chc adornavasi La mia bella il lungo crine. (aggirandoli id osservando) Chc sarà mai quella rossigna scheggia Chc dal crepaccio di quel verde masso SI vivida rosseggia ? Non è sanguigna carne che sfavilla D’un elefante da lion già vinto? Il fulgore non è d’ignea scintilla? No, chè la piova già l’avrebbe estinto. Questa è una gemma chc rosseggia e brilla Al par d’Asòca in florido recinto, E, perchè trarla da quel masso or vuole. Par che col raggio la saetti il sole. (s'inchina per raccoglierla). (strofa) =|| Soltanto all’amata legando ogni affetto, Con l’occhio già reso dal pianto più fosco, Dai lunghi travagli crucciato l’aspetto, L’eccelso elefante s’aggira nel bosco. ||= A la gentil chc le ricciute anclla Orna co’ fior* dell’albero divino Io voglio porre in su la fronte bella Tra i vaghi fiori il fulgido rubino: Ma la bella or non trovo ; e non vorrei Questa gemma offuscar coi pianti miei ! (la getta via) 6o VICRAMÒRVASI. — ATTO IV. (Una voce dalla leena) « La gemma ripiglia, che nata è dal piede Di Gàuri sanguigno — sul rotto macigno: Colui chc la gemma nel pugno possiede Congiunto al suo bene — repente diviene. » Chi mi chiama? Il dio Ciàndro, il sommo nume: Chc? Vuoi tu ch’io ripigli La preziosa gemma? Qual mercede mi vien da’tuoi consigli! (riprende la gemma) Se al derelitto corc, Gemma, tu presti aita Per racquistar l’amore Di lei dall'agil vita, Vo’ aver del tuo fulgore La fronte redimita, Come in sua luce viva La luna in fronte a Siva. (aggirandoli e guardando) Questa liana è d’ogni fior già priva; Perchè solo a vederla 11 cor s’avviva ? Ed il pensiero affranto Par che qui si riposi ad essa accanto? Di pianto Urvàsi ha la pupilla aspersa, Questa di piova ha rorida ogni branca; A ricchi vezzi la mia bella è avversa, Questa nel verno de’ suoi fiori è stanca; Quella è silente, in gran pensiero immersa, Dell'api a questa il mormorio qui manca; Somiglia in tutto alla diletta mia Chc mi lasciò sdegnata e fuggi via ! Oh si! Voglio abbracciarla Onesta cara liana, Chc imita si l'amica mia lontana (avvicinandosi) O liana, ho perduto il cor mio : Ma se il fato vuol renderla a me, Più in tal bosco venir non vogl’io. Nè d’Urvàsi qui spingere il piè. (mentre abbraccia la lianat al posto di questa appare Uri-dii). (Pururàvasa con gli occhi chiusi, fingendo l'impressione éi un soave contatto) Ahimè ! Che awien ? Sento tornarmi il core O m’inganno, o mi sembra Di toccar le sue membra Pururàvasa (guardando in aria). VICRAMÒRVASI « — ATTO IV. In quante cose veder credei, Ma sempre indarno la mia diletta I Or che sul core la tengo stretta Più aprir non voglio questi occhi miei. (a poco a poco aprendo gli occhi) Che mai? Davvero Urvàsi? (cade stordito) Urvàsi. Su, fa core, o gran re..... Su, ravvivati Pururàvasa (ripigliando i sensi). O bella, io torno in vita Torno in vita per te! Quando, o sdegnosa, a tc strappato io fui, Su di me s’addcnsàr tenebre orrende: Or ti ritrovo e son come colui Chc presso a morte i sensi suoi riprende. Urvàsi. Perdonami, signor, se l’ira mia Di cosi gravi affanni T'ha gittato in balia... Pururàvasa. Tu, mia vezzosa, uopo non hai di tante Parole per calmarmi: A farmi lieto basta il tuo sembiante! Hd or mi narra: in cosi lungo tratto Di tempo a me nascosa, Dimmi, chc dunque hai fatto? Il bel cigno, il pavon, l’usignuolo, L’oca, l’ape e l’eccelso elefante, La montagna e la riva sonante, La gazzella dall’agile pii, Qui — nel bosco volgendo le piante, Io, piangendo, richiesi di te! Urvàsi. Con gli arcani miei sensi ho visto, o sire. Quello chc oprasti..... Pururàvasa. Ma chc vuoi tu dire Con questi sensi arcani? Io non t’intendo... Urvàsi. Adunque, o sir, m’ascolta: Avendo fatto un voto il sommo Iddio Della guerra una volta, Ratto cacciar si volle in questa parte Della folu boscaglia Chc Sàcala Calùso è nominata; E die legge Pururàvasa. Che cosa? Urvàsi. Che se mai donna fosse Venuta in questa ascosa Parte della boscaglia, in un istante 62 VICRAMÒRVASI. — ATTO IV. In formo di liana Avria tutto cangiato il suo sembiante: H che null’altro, eccetto duella vivida gemma un di prodotta Dal rosso piè di Càuri, alfin l’avrebbe AU’imagine prisca ricondotta. Io col senno turbato, Quando il maestro mio mi maledisse, — Il precetto divin dimenticato — Fin qui mi trascinai In questo bosco orrendo, che a donzella Concesso di varcar non fu giammai! Ma non v’entrai — ch’a un tratto Mi vidi tramutare In liana, del bosco al limitare! Pururàvasa. Se temevi per me quand’io dormiva Stanco dal gaudio, o bella, a tc daccanto, Or che fosti di me si a lungo priva, DI, come regger tu potesti a tanto? Stretta in pugno ho la gemma Che congiunge gli amanti [mostra la gimmo) Urvàsi. Che mai? La gemma del connubio detta? Perciò tornata, o mio signor, son io Stretta fra le tue braccia all’esser mio! PURURÀVASA (adattando la gemma sulla fronte d'Urvdsi). Or che la gemma brilla Sulle tue chiome, quel gentil sembiante Più fulgido sfavilla Siccome un fior di loto rosseggiante. Urvàsi. Pururàvasa. Urvàsi. Pururàvasa. Lusinghiero ! — Ma pur, da lungo tempo Già, noi da Pratistàna siam partiti : Su via, torniamo adunque Chè ornai crucciati i sudditi saranno Or fa quel chc ti pare. Hd in qual guisa il re desia tornare? Su quella lieve nuvola Che come carro ondeggia, Tu pel sentier dell’aere Conducimi alla reggia: Intorno ad essa brilli L’iri nel ciel sereno, E siano i suoi vessilli I guizzi del baleno! VICRAMÒRVASI. — ATTO IV. (strofa) =|| Il giovane cigno d’amore gii freme Or ch’egli e la bella folleggiano insieme, Or ch’egli, beato, siccome desia, Nell’ampio orizzonte ritrova la via. ||= (ji avviano). (finisce il 40 atto).