[p. 65modifica]ATTO V.
(Entra fatante Mandvaeo).
Manàvaco. Qual fortuna I II mìo sire nella reggia sen viene
In compagnia d’Urvàsi, dopo chc fra le amene
Plaghe del bosco Nàndano visse a lungo in diletto.
Ed, intanto, per rendersi presso i sudditi accetto,
È dover che il governo finalmente ei ripigli;
E pure al pio sovrano — tranne il non aver figli —
Non resta alcuna cosa di che s'abbia a lagnare !
Or che il giorno ricorre della festa lunare,
Dopo essersi tuffato nella sacra corrente
Del Gange e nella limpida Yamùna, immantinente
Alla reggia è tornato: già, con unguenti ha cura
Di profumar le membra.... n’andrò da lui...
(Voce dalla scena) u Sciagura !
Quel rubino fiammante che ascoso nel fogliame
Fu di rosei convolvoli, che — secondo le brame
Del sire avrìa dovuto splendere sul suo serto —
Da un avido avvoltoio subito fu scoperto
E preso, chi l’augello suo cibo volle farne
Avendolo scambiato con un brano di carne! »
Manàvaco. Questa si ch’è sciagura ! Sommamente diletta
£ al mio nobile amico cotesta gemma detta
Dell’unione : or senza compire il consueto
Abbigliamento, il sire si leva dal tappeto
E qui corre alPistante. Su, vado alla sua volta
Per cucirmi a’ suoi fianchi....
Pururàvasa. Qjiì, qui, Reciàco, ascolta...
(finisce l’introduzione)
9 [p. 66modifica]66
VICRAMÒRVASI. — ATTO V.
(entra il re, l'auriga, il ciambellano, ReCLÀCO, il corteggio).
Pururàvasa. Su, dov’ò quel rapace? Egli stesso
Della morte il supplizio s’impone,
Ei che un furto si vile ha commesso
Del signor nell’eccelsa magione.
Reciàco. Con la gemma che fulgida
Pende dal rostro adunco ci baldo incede;
Ed ecco alfin qui l’aere
Tutta all’intorno rosseggiar si vede!
Pururàvasa. Egli in rapidi giri intorno scuote
Qual aurea striscia il fulgido rubino;
E accelerando più l’agili ruote
Segna di foco un cerchio a sè vicino.
Come acceso carbon se iu giro è mosso
Che stende in aria come un cerchio rosso.
Che v’è da far?
Per lui pioti non v’è:
Sia punito il colpevole!
Ben dici! L’arco, a me!
Comanda, o sir
Si vede ancor quel tristo?
Oh si; verso la plaga
Di mezzogiorno or volgere l’ho visto.
Con la gemma che risplende
D’un purissimo fulgore,
Chc nelParia al sol s’accende
Qual d’asòca un rosso fiore,
Ei d'un bel vermiglio adorno
Rende il cielo a mezzogiorno.
[una del seguito entra con l’arco in mano]
Ancella. Ecco l’arco, o signore.
Purukàvasa. Si, l’arco ; ma a che giova
Se fuor di tiro il perfido si trova?
Gii il rubino da lungi nell’etra
Presso al fosco avvoltoio sfavilla,
Come all’orlo di nuvola tetra
Lohitàngo il bell’astro scintilla.
Nobil Talavio
Ciambellano. Sire,
Son pronto a’ tuoi comandi.
Paruràvasa. Orbene, io voglio
— S’annunzi a’ cittadini in nome mio —
Manàvaco.
Pururàvasa.
( Uno del seguito').
Pururàvasa.
Manàvàco.
PururÀV. (guardandolo).
VICRAMÒRVASI. — [p. 67modifica]ATTO V.
67
Ciambellano.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Ciambellano
(rientrando)
Pururàvasa.
Reciàco.
Pururàvasa.
CiamBELL. (osservando).
Pururàvasa.
Ciambellano.
Pururàvasa.
Ciambellano.
Chc dal notturno nido ove s’asconde
Li, dell’albero in cima.
Quell’uccello ribaldo a me sia tratto.
Quel che vuoi sari fatto.
Affidati ; chi, ovunque
Voli il tristo di gemme rapitore,
No, non potria scampar dal tuo furore.
No, della gemma dall’augel ritolta
La vaghezza io non pregio ed il valore:
Io bramo quel rubin chc un’altra volta
M’ha stretto insieme al mio soave amorei
Evviva, evviva il sire I
« Compito il rio delitto
L’augel di morte degno,
In mezzo al ciel trafitto
Dai colpi del tuo sdegno,
Qui cadde, a noi dappresso;
E dal suo rostro aperto
Caduta è al tempo stesso
La gemma del tuo serto. 11
Ed or che l’ho forbita
A chi vuoi darla?
All’altro gemme unita
Va, serbala, Reciico.
A’ tuoi comandi, o sire, (via)
Senti, Talavio, mi sapresti dire
Di chi sia quella freccia?
V’è certo un nome impresso,
Ma di sccrnerlo, inver, non m’è concesso.
Orsù, recami il dardo,
Vogl’io quel nome indovinar
Chc dunque
Tu vi scorgi, o signor?
M’odi, Talavio;
Ho Ietto il nome dell’arcier
T'ascolto.
Pururàvasa (leggendo).
« Questo che ratto a struggere
Ogn’inimico vale,
Questo è l’acuto strale
D’Ajùso giovinetto,
D’Urvisi e Pururdvasa
Figlio, ed arcier perfetto ».
Manàvaco.
Ben m’allegro con te d’un tal figliuolo ! [p. 68modifica]68
VICRAMÒRVASI. — ATTO V.
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Manàvaco.
ClAMBELL. (mirando).
Pururàvasa
Manàvaco.
Pururàvasa.
Ma, come avvien? Chi, se ne togli solo
Le feste di Naimisa, ognor restai,
Ognor, daccanto alla leggiadra Urvàsi j
Ni in alcun tempo mai
Col seno oppresso dal crescente germe
La vaga ninfa ho scorto;
Un si prode figliuol donde m’è sorto?
Forse chc in brevi di quel corpo, stanco.
Si rilassò qual pindula cintura?
E come fiore di Lavàlia bianco,
Pallida diventò la sua figura?
Ed apparvero insicm sul seno adorno
Pallide ruote a le mammelle intorno?
L'opre d’Urvàsi, agli occhi tuoi nascoste
Dal sovrumati potere,
Esser non dènno poste
Dell’opre a par di femmina mortale.
Si, comprendo, sia pur; ma, dimmi, quale
È la cagion di farmene un mistero?
« Or chc gli ho dato un figlio,
Ei me — qual vecchia — spregerà, per certo ! »
Avrà detto la ninfa in gran pensiero.
Via, da banda le ciarle, e tai sccicti
E meglio meditar
Ma chi può mai
A mistero divin drizzar la mente?
Vittoria al re, vittoria I
Sire, una penitente
Dall’eremo di Ciivano qui giunta,
Insieme a un giovinetto.
Or domanda venirne al tuo cospetto.
Vengano entrambi senz'indugio
[// Ciambellano esce; poi rientra con la penitente Sa*
tiavati ed il giovane AjùsJ.
Oh certo!
Il giovin Csitrio è quello,
Di cui, sovra il quadrello
Chc il vùlture colpi, leggemmo il nome!
Somiglia al sire !
É pur cosi, ma come?
Mirando quel garzon chc s'avvicina
Sento chc l’occhio già di pianto ho pieno;
Sento chc il core a tenerezza inclina,
E chc l'animo mio divieti sereno;
Ni l’usata fierezza in me s'ostiaa
VICRAMÒRVASI. — [p. 69modifica]ATTO V.
Mentre palpiti ardenti io provo in seno;
E di stringerlo forte io già desio
In un tenero abbraccio al petto mio.
(avvicinandoti) Augusta, io ti saluto!
Satiavàti Della stirpe lunare
Tu sempre, o mio gran re, tu sii sostegno! *
(a sè) Già — senz’averne alcun indizio — pare
Che del suo sangue un nobile rampollo
. Egli abbia nel garzon riconosciuto.
(ad alta voce, ad Ajùs) Egli è tuo padre; a lui volgi un saluto !
[Ajus, congiungendo le mani alla fronte, t’inchina al padre
che ha gli occhi pieni dì lagrime'].
Pururàvasa. Vivi tu lungamente, o figlio mio I
AjÙS (abbracciandolo,]
tra ti)
Pururàvasa.
Satiavàti.
Pururàvasa.
Satiavàti.
Pururàvasa.
Satiavàti.
Pururàvasa.
Satiavàti.
Pururàvasa.
« Egli è tuo padre ! » Quella pia m’ha detto,
Ed io — suo figlio — sou di gaudio pieno;
Qual mai di quelli non sarà l’affetto
Che vivon sempre alla famiglia in seno?
Perchè tu, diva, sei fin qui venuta?
Ascoltami, o signor; questo garzone
Fu, nato appena, al mio poter commesso,
Nè so per qual cagione.
Dopo alcun tempo, in tutto
Opel che s’addice a Csàtri, e in tutto il resto
Dal venerando Ciàvano fu istrutto;
Appresa ogni dottrina,
A tirar l’arco s’addcstró ben presto-...
Si ch’era in buone mani
Pur oggi, essendo andato
Insicm ad altri di quell'crmo istesso
A coglier fiori, c frutta, c legna, ed erbe,
Ha il figlio tuo commesso
Fallo chc mal s’addice
Degli asceti dell’ermo al pio contegno.
Chc fece mai?
Fè segno
Della sua freccia un vùlture rapace,
Chc di carne un brandello avea nel rostro,
E s’era in sulla cima
D’un albero dell’eremo posato
Orsù, mi narra; e dopo?
Poiché l’evento a Ciàvano fu noto,
Ei m’ordinò a tal uopo
Di ricondurre a Urvàsi il giovinetto ;
E per vederla or venni al tuo cospetto.
T’assidi... (l’adagiano sopra un sedile recato dai domestici),
Urvàsi, intanto, [p. 70modifica]7°
VICRAMÒRVASI. — ATTO V.
Nobil Talavio, avvisa (Talavio esce)
E tu vieni, o figliuolo, a me daccanto !
Vieni: l’amplesso del figliuolo amato
Tutte le fibre accende al genitore!
Vieni, t’affretta a rendermi beato,
Qni piagati, o figliuol, sovra il mio core,
Qual si piega la luna a carezzare
Le cristalline gemme a lei più care!
Satiavàti (ad Ajùs). Il padre tuo carezza (il giovinetto ti appretta al re).
Purur. (abbracciandolo). Sii pur cortese verso il buon Bramano
Cli’c a me compagno fido
Orben, che temi? All’eremo dintorno
Pur vi sarà di scimmie qualche covo
Signore, io vi saluto.
Sii sempre lieto c sempre il benvenuto! (entrano il
Di qua, di qua, signora... [Ciambellano e Urvàsi)
Chi è quel garzon, là, — presso
L’aureo soglio — cui stringe il sir le chiome ?
Oli! non m’inganno: è desso!
Con Satiavàti il figlio mio diletto!
Oh meraviglia! Oh come
Ei, si tosto, divenne un giovinetto ?
Purur. (osservando). Qui venendo la mamma ha il guardo avvinto,
O mio fanciullo, al tuo leggiadro aspetto,
Mentre sul sen le s’agita respinto
11 vel dall’onda del novello affetto.
Manàvaco.
AjÙS (ridendo).
Manàvaco.
Ciambellano.
Urvàsi.
Satiavàti (ad Ajùs). Vieni incontro alla mamma..
Urvàsi.
Satiavàti.
Ajùs.
Urvàsi.
Pururàvasa.
Satiavàti.
[indi col fanciullo t’appretta ad Urvàsi]
Io, qui, prostrata
Sono al tuo piede, augusta!
Tu da! tuo sposo ognor sii venerata!
Madre, m’inchino a te !
Sii la gloria del padre ! Evviva il re !
E sii tu pur la benvenuta ! Siedi, (tutti siedono)
Ecco, alfine tu vedi
Che il tuo figliuol d’ogni bcU’aite esperto,
Di cingere corazza 6 in grado ornai;
Sccura, a me tu l’aifidasti un giorno,
Ed or di Pururàvasa al cospetto
Alle tue cure il tuo figliuol commetto:
Or bramo indi ritrarmi.
Chi il mio dover d’asceta
Qui ancora a lungo d’indugiar mi vieta.
VIC [p. 71modifica]RAMÒRVASI. — ATTO V.
71
Urvàsi.
Pururàvasa.
Satiavàti.
Ajùs.
Pururàvasa.
Satiavàti.
Ajùs.
Or che ti vedo, poi chc lungamente
Fosti da me lontana,
Di doverti lasciar son ben dolente !
Però non vo’ che al sacro tuo dovere,
O donna veneranda, ancor sii tolta;
Vanne pur, se t’aggrada,
Ma fa ch'io ti riveda un’altra volta !
Reca l’ossequio, o pia,
A Ciàvano gentil da parte mia.
T’obbedisco
Ma come?
Egli è ver che tu parti ?
Dì condurmi con te vorrai degnarti
Ah no, noi puoi, figliuolo :
In sino ad ora un solo
Dei braminici gradi hai tu raggiunto;
Però da questo punto
Dèi conseguirne un altro.
O mio garzone,
Attendi a quel chc il gcnitor t'impone.
Ma almcn, dal collo ceralo
Quel bel pavon mi manda.
Che con le pinmc all’acre
Par che un ventaglio spanda.
Che, col gentil solletico
Dell’irto suo ciuffctto,
Sovra il mio sen posandosi
Prender solea diletto.
Satiavàti,
Urvàsi.
Pururàvasa.
Satiavàti.
Pururàv. (ai Urvàsi).
Manàvaco.
L’avrai
Nobil signora,
Mi prostro a’ piedi tuoi!
M’inchino a te!
Salute a tutti voi !
[Satiavàti va via]
Pel tuo leggiadro figlio in questo giorno
Non son trai padri forse il più beato ?
Com’Indra chc le rocche abbatte intorno
E per Giaiànte, a lui da Sàci nato !
Ben tu dicesti, amico!
Ma la leggiadra Urvàsi
Perchè il suo volto inonda già di pianto?
Pururàvasa.
Or che alfin nel figlio affermasi
La mia stirpe gloriosa,
Urvàs [p. 72modifica]i.
Pururàvasa.
Urvàsi.
Pururàvasa.
Urvàsi.
Tutti.
Ciambellano.
Manàvaco.
Pururàvasa.
VICRAMÒRVASI. — ATTO V.
Tu, mcntr’io di gaudio sfolgoro,
Versi lagrime, o vezzosa :
Versi lagrime, e, a vederle
Sul tuo sen dall'ansia oppresso,
Par che offuschino il riflesso
Del moni! de le tue perle.
Ascolta, o sir; poc’anzi, qui presente
Il mio figliuolo ho visto;
E pel gaudio repente
S’i ravvivato il cor; ma poi, sentendo
o Indra » da te, pur nominar poc’anzi,
Al pcnsicr mi ritorna un suo decreto....
Ma, parla adunque
O mio buon sire, ascolta :
Poscia chc il cor mi fu da tc rapito,
Dal mio maestro Birata, una volta.
Fui maledetta, o re; mi volle allora
Indra dal ciel bandir, ma fece in pria
Un suo decreto
Parla, orsù, chc disse?
Ascoltami, o gran sire; egli soggiunse:
« Allor chc il re, l’amico mio diletto,
D’un suo figliuolo, nato
Da te, vedrà l’aspetto,
A me dappresso ritornar dovrai I »
Ahimè! che far potea?
Per non esser d’allora a te ritolta,
Qui, teco a lungo di restar cercai,
Affidando il bambino
All’alma Satiavàti, a lei ch’è sempre
Al venerando Ciàvano dappresso
Nella selva romita.
Ora chc il tuo figliuolo è in grado alfine
D’accrescer sempre del tuo nome il vanto,
Ora che a me ritorna,
Di, potrò star più in pace a te daccanto ? («/ re caie simulo)
Consòlati, o signore
Dàtti pace, fa cuore
Che veggio, ahimè ! Qpal sacrilegio è questo ?
Oh qual evento al mio desir funesto !
Or chc, bella, con te dall’agil viti
Il mio figliuol riebbi ad un istante,
M’è venuto a colpir la tua partiti,
Come colpisce fòlgore fiammante
L’arbor cui prima dall'ardor solare
Valse un provvido nembo a riparare.
VIC [p. 73modifica]RAMÒRVASI. — ATTO V.
73
Manàvaco.
Urvàsi.
Pururàvasa.
Ajùs.
Pururàvasa.
Ciambellano.
Pururàvasa.
Purur. (guardando in]
aria).
Congiunte insiem son triste e lieta sorte I
Pur, del re degli Dei segui il volere.
Oh me infelice ! Oh morte !
Appena il figlio mio
Qui cosi prode ritornar ved’ io
Alili sono in Ciclo a ritornar costretta!
Tu mi darai licenza
Ah no, diletta!
Non dir chc di lasciarti io m’accontenti; ,
Chfc Tesser schiavo dell’altrui potere
Fa si chc ognuno i suoi desiri annienti,
Dunque, del tuo signor segui il volere;
Ma re quest’oggi il mio figliuol diventi :
H mentre al regno ei volgerà il pcnsiere,
10 mi trarrò, solingo, al bosco in seno
D'agili torme di gazzelle pieno !
Non voler, padre, ad un torello imporre
Un giogo, che sul collo
D’esperto bue s’impone.
Non c cosi, figliuolo I
Fra gli altri eletto il giovine elefante,
Tien, più chc un vecchio, i suoi soggetti in freno;
E più vivo talor, più penetrante
Di tenerella biscia è il reo veleno ;
Avvien cosi del giovine regnante
Che a custodir sue terre attende appieno:
Del governo ci fa nell’ardua cura
Esperti non l’età, ma la natura.
Nobil Talavio
Sire,
Io sono al tuo comando.
Tosto al Regio Consiglio or vanne a dire
Ch’io vo* che il mio figliuol sia consacrato
(i7 Ciambellano con tritila va via ; tuttiin atto di sconforto)
Da chi viene un tal lampo ? (osservando distintamente)
Nirado Venerando!
Qual lidia pietra di lontan s’accende
11 ciuffo di sue chiome in oro tinto ;
Ha da candide intorno aurate bende
Qual da raggi lunari il corpo avvinto ;
Fulgor di giovinezza in lui risplende
Che par di fiori e vaghi frutti cinto;
Che par di Cilpa un ramo d’oro adorno
Chc i suoi novi germogli àgiti intorno.
Presto, il dono ospitale!
io [p. 74modifica]74
VICRAMÒRVASI, — ATTO V.
Urvasi. È pronta l’Arga (presentando il dono ospitaie).
Nàrado (entrando). Sia sempre vincitore
Del medio mondo l’almo protettore!
Pururàvasa. Salute, o venerando !
Urvàsi. A te m’inchino,
Nàrado. L’una e l’altra, vivete, ognor vicino!
Purur. (ad Urvàsi). Si fosse invcr ! (ad alta voce) D’Urvàsi mia diletta
Il figlio a tc si prostra
Nàrado. A lungo ci viva !
Pururàvasa. T’assidi a me dappresso, (indi in alto rispettoso)
A intrattenerti meco,
Di, qual cagione, o Nàrado, t’adduce?
Nàrado. D’Indra un messaggio io reco.
Pururàvasa. Pronto ad udirlo io son.
Nàrado. Dunque, m’iscolta:
Indra ch't ognor col suo potere intento
A scoprire ogni evento,
Fra l’altre cose il tuo proposto appreso
D’entrar nella foresta,
Or ti fa dire:
Pururàvasa. Su, chc mai comanda?
Nàrado. < Un orribil certame, o re, s’appresta
— Come fu dai veggenti
Dei tre mondi avvisato —
Fra gli Asari e gli Dei ; prode alleato
Tn l’armi invitte non dovrai deporto;
£ fin quando avrai vita,
Urvàsi qual legittima
Sposa avrai teco, o mio signore, unita ! »
Urvàsi. Finalmente una spina
Mi s’è tratta dal cuore!
Pururàvasa. Dal sommo dio pur sommo ebbi un fivorc !
Nàrado.
Se in ogn’opra il dio t’aita,
Va, palesa il tuo valore.
In oprar ciò ch’egli vuole:
E cosi con pari ardore
Sempre al foco il sol dà vita,
Ed il foco avviva il sole.
Purur. (guardando »/] Qui, RAmba, orsù, col consueto rito
cielo). Ogni cosa s’appresti,
Per consacrare il baldo giovinetto.
RÀMBA (entrando). Gli apparecchi son questi
Pel sacro rito, o sire.....
Nàrado. Sovra il trono seduto,
Prence di lunga età, vogl’io mirarti. (RAmba fa sedere il principe Ajùs)
O prence, io ti salato!
VICRAMÒRVASI. — [p. 75modifica]ATTO V.
75
Pururàvasa.
Urvàsi.
Ràmba.
Urvàsi.
Pururàvasa.
Nàrado
Pururàvasa.
N ÀR ADO.
Pururàvasa.
Vieni, o figlio, ad accrescere ,
L’eletta stirpe mia!
Del padre il detto a te propizio sia !
(dotta scena dot cantori divini) * ,
»
1°
Come il divino asceta Atri immortale %
Simigliarne divenne al creatore,
E Luno ad Atri, e Buda a Luno eguale,
E Buda infine al nostro pio signore,
Tu, per la tua virtù che ognor prevale.
Tu rassomigli in tutto al genitore:
E in tc raggiunge la tua schiatta pia
Il sommo d’ogni ben chc il ciclo invia!
2°
O nobil prence, al genitor risale
Ed 6 col suo congiunto il tuo valore:
Ed ora in te costante, in te leale,
Vie più si svolge c più s’acquista onore;
Ed ecco alfin la maestà regale
Per te s’accresce di sovran fulgore,
Come arricchito d'onde avvien che sia
Dall’Imavàntc il Gange per la via!
Brava l’amica mia!
Ella ha visto non solo
Consacrare qual prence il suo figliuolo,
Ma più dal suo consorte
Non deve andar lontano.
Comune a tutti il nostro gaudio sia ! (prendendo il garzone per mano)
Vieni; c la tua maggiore
Madre, o diletto, a salutar ne vieni.
Or tutti insicm n’andremo al suo cospetto.
Allo splendor di cosi lieto evento
Che Ajùso addita a succcssor del padre,
Del giovin Mahaséno io mi rammento
Quand’ Indra il fc' signor de le sue squadre !
Mi favori ben Indra !
Dimmi, chc brami più dal mio signore?
Vo’, se gli aggrada, un ultimo favore :
Fra due beni che son tra lor diversi
Un mirabile accordo alfin vi sial
Se mai congiunti non potean vedersi,
VICRAMÒRVASI. [p. 76modifica]— ATTO V.
Or si vegga» Fortuna e Poesia!
Possa vincere ognuno i casi avversi
Iìd abbia insieme quel chc più desia!
Tutti abbian parte a fortunati eventi,
E In ogni loco vivano contenti !
{coti vanno via tulli).
(Finisce il $° atto del Vicramòrvasi di Calidasa)