[p. 31modifica]ATTO III.
(entrano Duu Discepoli di Barata).
i“ O mio fido Pailàva, tu sei stato finora,
In compagnia di Bàrata, ncll’eccclsa dimora
D’Indra, giacché il maestro te volle aver dallato;
Del tempio d’Àgni a guardia qui invece io son restato.
Via, dimmi un po’: il consesso divin fu soddisfatto
Dell’opra del maestro?
2» Non ne so mente affatto;
Ma Urvàsi, in questi e in quelli vari moti d’affetto,
Nelle « Nozze di Làcsmi » (cosi quel dramma è detto
Clic poc’anzi ha la diva Sarasvàti composto)
Urvàsi non aveva, certo, il cervello a posto.
i“ Insomma, le sarebbe sfuggito, a quanto pare,
Qualche svarione ?
2» Errava spesso nel recitare.....
i» E come?
2° A lei di Làcsmi toccò la parte, e quella
Di Varimi alla ninfa Mènaca: c pur, quand’clla
Fu da costei richiesta: » De’ tre mondi gli croi
Qui stan con Indra; in quale riporre il cor tu vuoi? »
i° Orbene?
2° a In Purusòttama », la ninfa dovea dire;
Ma invece « In Pururàvasa » la si lasciò sfuggire !
i° Per fermo i nostri sensi sono schiavi del fato:
E poi, dimmi, il maestro per questo fu adirato?
2° La maledisse. Invece, benigno Indra l’accolse.
i° Davver?
2° SI a quella in pubblico Bàrata allor si volse:
o A te ch’a’ miei precetti non hai prestato ascolto,
A te d’ogni divina scienza il poter fia tolto. »
Ma il sommo Indra che abbatte rocche e città, vedendo
Quella vezzosa niufa che all’anatèma orrendo [p. 32modifica]33
VICRAMÒRVASI. — ATTO III.
I”.
2°
Ciambellano.
Chinava per vergogna lo sguardo, « Ah no ! » riprese : •
Io compensar ben deggio con un atto cortese
Quel prode mio compagno di vittorie, che stretto
É a te, ninfa leggiadra, da un vincolo d'affetto.
Anzi al Ragiàrsi invitto — poiché da te si vuole —
Stringiti lieta, insino ch’egli abbia da te prole!
Un cosi nobil tratto parmi ben degno invero
Del sommo Indra, che legge dell’uomo nel pensiero.
Ma d’andarne al maestro sarebbe tempo forse:
L’ora della lavanda col ragionar trascorse, (tonno vìa).
(finisce l'introduzione).
(entra il CIAMBELLANO).
A cumular le sue ricchezze intende
Ogni buon padre dell'età nel fiore:
Poi gravi de’ suoi pesi i figli rende,
H si riposa il vecchio genitore;
Sol per me non han tregua le vicende
D’alzar, bassar la voce a tutte l’ore;
£ chi alla cura d’una donna è addetto
Peso più grave è a sopportar costretto!
Del re di Casi la leggiadra figlia,
Poi ch’è gii tutta in un suo voto assorta.
Si mi dicea poc’anzi :
« Alfin deposta ogni fierezza, or io
Mandai la fida Nipunica al sire,
Chè un voto vo’ compire;
Or tu stesso l’invita in nome mio. »
Frattanto qui mi toccherà aspettare
Finché saran compiti
I consueti vespertini riti :
E pure è ver, quest’ora del tramonto
Nella magion del re gioconda appare!
Della pace notturna desioso
Nella gabbia il pavon cerca riposo;
E i culmini, e i colombi accovacciati
Dintorno, in cima alla magion regale
Gii son dal denso fumo avviluppati
Che lento in su dalle finestre sale.
Pel sacrificio della notte Tare
Di novi fior si veggion coronare;
Gii, con gli sguardi a’vari uffici intenti,
S’aggruppano a vicenda intorn [p. 33modifica]o a quelle
(entra,
Pururàvasa (« ir).
ClAMB. (avanzandoti).
Pururàvasa.
(a Manàvaco)
Manàvaco.
Pururàvasa.
Manàvaco.
VICRAMÒRVASI. — ATTO IH. }}
E gii sovr’ogni aitar faci lucenti
Pongon del gineceo le vecchie ancelle. <
(osservando)
Ohi di qua finalmente il re s’avvia!
In fra l'nccese tede m
Delle donzelle del regai corteggio
Fulgido il sire incede;
Pari ad alato monte che abbandona
L’immobil roccia, qui venir io veggio
L’altiera sua persona,
Qual monte cui la falda é rivestita
Dai tralci di carnicara fiorita.
Or io m’inoltro per mostrarmi al sire.
come i italo indicato, ii re col suo corteggio, indi Manàvaco).
In regie cure assorto,
Gii senza gravi ambasce il di passai;
Come passar può mai
La lunga notte senz’alcun conforto?
Evviva il re ! L’augusta mia regina
Con tale annunzio, 0 sire, a te m’invia:
Li, sul Palazzo della Gemma é grato
Rimirar della luna il bel chiarore;
Finchè Rohini si congiunga a Ciàndro,
Ella restar con te lassù desia
La mia regina ad obbedir son pronto. ( Gambettano esce).
Che pensi or tu ? Di sì gentile invito
Qual sari la cagion?
Io penso ch’ella
Col pretesto del voto, alfin pentita, ,
Del regale da lei sprezzato omaggio
Or qui ne venga a cancellar l’oltraggio.
D’egual parere io sono.
Se pria spregiò l’ossequio del consorte,
Pentita poi divien donna sagace;
E con lusinghe e con maniere accorte
S’ingegna a far la pace.
Additami la via
Che sul Palazzo della Gemma adduce.
Di qua vieni, o signor, per questa scala
Ch’é di gemme e cristalli e che somiglia
Del Gange all’onda limpidetta e fresca. [lire la scala),
I ncantcvole é ognor questa dimora I (imitano con la mimica l'alio di sa[p. 34modifica]5
?4
VICRAMÒRVASI.
(Muniiv. osservando) Stiamo in vedetta : or ora
Il dio Ciàndro, o signor, fulgido appare....
Dalla tènebra folta abbandonato
Ecco, alfin l’oriente
A poco a poco rosseggiar si vede.
Pururàvasa. Mentre il vel della notte si dirada
Lento lento, laggiù, nell’aria scura,
Qjiesta regione orientai m’aggrada
Or che la luna appar dietro l'altura
Siccome due begli occhi a me rivolti,
Cui più non copra il vel di ricci folti.
Manàvaco. Ve’ come Ciìndro, il re dell’erbe, è sorto
Al par d’una focaccia inzuccherata.
Pururàvasa. Ogni oggetto al ghiotton fa sognar cibi !
(Pururàvasa inginocchiandoli con le mani giunte sulla fronte).
Augusto re degli astri, io ti saluto 1
Manàvaco.
Purur. ( secondo iV]
consiglio di Manàvaco]
siede; indi volgendosi]
al séguito).
Corteggio.
Purur. (osservando la]
luna, a Mandvaco).
Manàvaco.
Pururàvasa.
Te, che dei saggi all’opera
Limpida face sei,
Che con la dolce ambrosia
Inebbri e Man! e dei,
Che le notturne tenebre
Fughi dall’orizzonte,
Te adoro, o lnme'candido,
Che brilli a Siva in fronte.
Poc’anzi dal dio Ciìndro, il tuo grand’avo,
A me Braman venne uno scritto, in cui
Seder ti si consente:
Almen cosi pur io
Adagiarmi potrò comodamente.
Al chiaror della luna
Hanno le vostre tede un fioco lume;
E non ve n’ha più d’uopo: or voi potete
Andarne a riposar
Come t’aggrada, (tutti si ritirano).
Or la regina qui verrà, ma intanto
L’affanno mio vo’ confidarti
Invero,
La vaga ninfa non si mostra ancora ;
Ma l’affetto gentil che a te la stringe
Ben far secura pnò la tua speranza.
Sia pur: ma l’alma mia più s’addoloraI
Ma [p. 35modifica]nàvaco.
Pururàvasa (dando
di presagio).
Manàvaco.
URVÀSt (guardando]
si stessa).
Citralèca.
Urvàsi.
Citralèca.
Urvàsi.
Citralèca (ira si).
Urvàsi.
ClTRAL. (alenando).
VICRAMÒRVASI. — ATTO III.
Viva ha un’asia d’amor l’alma inquieta ;
Ma poi clic di raggiungere
Quel ben ch’ella desia tutto le vieta,
Più cresce in essa l'impeto:
Lo stesso awien sovente
Allo sboccar di rapida fiumana
Cui rotta è la corrente
Da varchi angusti e da rocciosa frana.
Son cosi le tue membra illanguidite,
Che — senza aver più cibo — or ben potresti
Unirti con le Apsàrase celesti I
un segno] Or clic da tanti affanni oppresso giaccio.
De' tuoi detti speranza in cor mi viene:
Cosi mi dà a sperar questo mio braccio
Col frequente sussulto di sue vene.
Augurio di Bramàu non vien mai meno!
(vengono per la via del cielo URVÀSI con ricco abito
e Citralèca).
Si ricca veste, affi, mi sta a pennello,
Di gemme adorna rilucenti e rare;
Nè meglio mi può star questo mantello
Colore di zaffiro.
Per farti elogi, inver, non ho parole ;
Essere il re vorrei per ammirarti I
Ahimè! non so che far: tu a me lo guida!
Ovver, se più t’aggrada, or me conduci
Di quel beato sir uc la dimora.
Ma, forse non sai tu che noi siam giunte
Alla magion del re? Come la vetta
Di Cailisa eccelso, il suo palagio
Nell’onda tersa dell’albor lunare
L'aurato guglie e i culmini riflette.
Col tuo potere arcan sappimi dire:
Ov'è quel rubacuori e che mai pensa?
Orben, vo’ farle una burletta..... (ad alta voce) senti,
Mia fida Urvàsi, io lo discerno alfine:
In loco di diletto
Ei se ne sta volgendo in suo pensiero
Il piacer d’un incontro desiato.
Taci, il tuo detto non mi tocca il core,
Che già da lui mi fu rapito. Oh! intendo.
Dopo d’aver fra te fantasticato
Tu vorresti di me prenderti gioco!
Or ben quel tuo Ragiàrsi [p. 36modifica]3&
VICRAMÒRVASI. — ATTO III.
Pururàvasa.
Urvàsi (fra ti).
Citralèca.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Urvàsi (mi disparte).
Manàvaco (<i Punir.).
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Citral. (o Uniti).
Li — seti Palazzo della Gemma — è insieme
AI suo fido Bramino: a lui n’andiamo, (ambedue discendono).
[dall'altra parte della scena]
Pur ne la calma della notte, amico,
La ferita d’amor s’accresce alquanto
Ahimè! di tali accenti
M’è oscuro il senso, cd io nel cor gii fremo:
Ma qui, senz’esser viste,
Le sue parole udremo:
Fugar vo’ il dubbio che mi fa si triste I
Fa pur come t’aggrada —
Son grati invero della luna i raggi
Pregni cosi di nòttarc divino
Sfugge ad ogni conforto il mio dolore I
Non della luna il limpido chiarore,
Non uu letto di fiori ricoperto,
Non, sul corpo, di sandalo l’odore,
E non di gemme un serto;
Sol quella ninfa, o il ragionar di lei
L’affanno mio potrebbe far più mite :
E soltanto cosi lenir potrei
Del core le ferite I
O cor, che fosti a me da lui rapito.
Il dolce frutto di tua lunga assenza
Ora, in un punto solo, hai qui raccolto. —
Pur, quando non m'è dato
D’addentare, o signor, ghiotta focaccia
O di sorbir grata bevanda, io penso
A queste cosi care leccornie,
E mi par quasi di gustarle
E pure
Tu, presto o tardi, il desiderio appaghi.
E tu pure, o signor, pago sarai.
Almen lo spero
Intendi
Tu che davver non ti contenti mai?
Pururàvasa (m disparte). Vita ha soltanto del mio corpo un lato,
Ch’ai rimbalzi del carro in su qucll’erte
Alle sue vaghe membra ho un di serrato :
Tutto il resto non è che un peso inerte.
Urvàsi. Perchè restar cosi perplessa? (avanzandosi con impeto) Oh vedi 1
Amica Citralèca,
Io gli son presso ed egli immobil restai
Citralèca. Non hai rimosso, o frettolosa, il velo
Che invisibil ti rende!
VICRAMÒR [p. 37modifica]VASI. — ATTO Iti.
[dalla scena) Di qui, regina, vieni (Tulli prillano orecchio. Urvdsi con la compagna
MaNàV. (c»« tur prua). S’appressa la regina, [i'commotsa).
Suggellati la bocca, o signor miol
Pururàvasa. Tu pur riprendi il tuo contegno.
Urvàsi (a Citral.). Amica, .
A noi che resta a far? •
Citralèca. Non affrettarti,
Invisibil tu sei : nè l'alma donna
Qui potrà stare a lungo,
Giacché per un suo voto al re qui venne.
(entra la regina con le pcrione del suo legnilo che portano le offerte tacriftcali).
Ausinàri (a Nipunica). Vedi : il beato Ciàndro,
Or che a Rohini si congiunge, appare
Ancor più rifulgente.
Nipunìca. Il tuo nobile sire a te congiunto
Ben più fulgido inver dovrà sembrare ! (t'inoltrano).
Manàvaco. O che la mia regina offrir mi voglia
Sacrificali doni,
O ch’ella, smessa ogni fierezza, alfine
Col pretesto d’un voto a te ne venga.
Oh come agli occhi miei sembra più bella I
Pururàvasa. Di quel che m’hai tu detto
Sol questi ultimi accenti a me son grati.
In bianco velo ed in pomposa veste
Tra ricche bende avvolta
Del Dùrba a’ variopinti fior’ conteste,
Or ella a questa volta
Col suo corteo s’avanza
Non so quale a compir voto lunare;
H, smessa ogni baldanza,
Al guardo mio benigna in volto appare!
Salve, figlio d’eroi I
Vittoria al sire!
Prosperi sempre la regina!
Oh sempre
Tu sii la benvenuta!
Col nome di regina ognun l’esalta,
Ed a ragion, costei
Nemmen da Sàci per vaghezza è vinta.
Oh che! Tu lodi un altro vago aspetto?
Un mio voto a compir venni, o signore.
Clic ben ti sarà a cuore :
Chiedo perdon del tuo disturbo.....
Oh credi !
Un favor mi concedi.
ÀUS1N. (avvicinandosi).
Corteggio.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Urvàsi (in disparte).
Citralèca.
Ausinàri (a Purur.).
Pururàvasa. [p. 38modifica]38
VICRAMÒRVASI. — ATTO III.
Manàvaco. Oh avvenga spesso un tal disturbo, in cui
Chiamato io sia per celebrare il rito
Sacrificale I
Pururàvasa. E come
Si chiama questo voto?
(la regina guarda Nipunica).
Nipunìca. O sir, La face col marito ha nome.
PURUR. (guardando la regina).
Citralèca.
Ausinàri (m disparte).
MaNÀV. (rx Pururdvasa).
Ausinàri.
Corteggio.
Ausinàri.
Corteggio.
MaNÀV. (prendendo il]
vassoio coi confetti).
CORTEGGIO.
Ciambellano.
Ausinàri.
Pururàvasa.
Ausinàri (facendo atto
La tua persona delicata e snella
Come stel di ninfèa
Perchè, fissa in tal voto, or sciupi, o bella ?
Perchè tu grazia implori
Da quei che prima a te chieder dovea
Sùpplice, come schiavo, i tuoi lavori?
[URVÀSI ridendo, quasi indispettita]
E pur grande vèr lei del re la stimai
Ma gli nomini di mondo, o scioccherelli,
Da un altro amore posseduti, sono
Abilmente gentili I ,
La forza del mio voto, oud’è colpito
Il re, fa si ch’egli gentil diventi.
Contraddir non convienti
L'atto gentil de la consorte.
Ancelle,
Le sacre offerte qui a recar v’invito;
Mentr’io di Luno i vivi raggi adoro,
Che il mio palagio inondano di luce.
L’offerte or vedi : al tuo voler siam pronti.
Su, porgetele a me. (fa atti di adorazione alla luna coi fiori e te altre offerte).
Gradisca or queste
Offerte inzuccherate il pio Bramino,
E poscia il ciambellano.
Come t’aggrada; orsù, degno Manàvaco,
Dalla regina accogli
Del sacrificio i doni.
Vivi beata; e ben ti sia ferace
Tal voto, o mia signorai
Ecco la tua
Parte, buon Ciambellano.
Oh benedetta
Sia sempre la regina!
Ed ora a te, mio sire
Ecco, son pronto.
di venerazione al re ed inchinandosi con le mani giunte sulla Jrotile).
Ciàndro e Rollini a testimonii invoco
E scongiurar del mio signor vo’ l’ira:
D'ora inuauzi colei ch’è a te gradita
VICRAMÒ [p. 39modifica]RVASI. — ATTO III.
39
E che te brama, a la sua volta, quella
Liberamente, o sir, fu teco unita 1
Urvàsi (•» di‘parte). Q.ual meraviglia ! Or che vorrà più dire ?
Dalla speranza il cor mi si rischiara
Citralèca. Ora che tal licenza al sir consente
La magnanima sposa,
Pur tanto a lui devota, alfin concesso
A te dell’amor tuo sarà l’amplesso. *
Manàvaco (fra ti). Ha un bel merito iuver la mia regina:
Fa come quegli che le mani ha tronche,
E vedesi un ladron fuggir dinnanzi ;
Pur, non potendo, come dee, ghermirlo,
Dice: « Si lasci andar, siamo pietosi! »
(alla regina) O che il sir dunque 4 a te come straniero?
Ausinàri. La mia felicità non ho sprecato
Per procacciar la sua? Lascio pertanto
A te pensar s'egli mi sia diletto.
Pururàvasa. Ad altra puoi donarmi ; e pur, se vuoi,
Farmi tuo schiavo, o sospettosa; or vedi,
Pago son io d’ogni destin, ma poi
Vèr te, gentil, non son qua] tu mi credi.
Ausinàri. Sia pur; ma, come pria fu stabilito,
Il voto della pace or 4 compito.
O fide ancelle, andiam
Pururàvasa. Pur non si lascia
Cosi tosto colui
Con cui la pace s’4 pur or conchiusa.
Ausinàri. Sacro 4 il mio voto alfin; secondo il rito
Nobil signore, fa da me compito.
(indi ti avvia eoi suo tiguito).
Urvàsi. É il sir ben caro alla consorte, amica:
Pur, come vuoi ch’io dica
Al cor: Ritorna indietro?
Citralèca. Oh! Perch4 mai
Farlo tornar se certa 4 la sua speme ?
Pururàv. (a Mandv.). Sarà ben lungi la regina? (appressandosi al sedile).
Manàvaco. Or dici
Pur tutto quel che vuoi,
Ch4 lungi ell’4 da noi;
E t’ha piantato li, siccome suole
Un medico lasciar quell’ammalato
Che più curar non sa
Pururàvasa. Ma Urvàsi mia.....
• [p. 40modifica]1°
VICRAMÒRVASI. — ATTO UI.
Urvàsi (tra li).
Pururàvasa (tra
Citralèca.
Urvàsi (perplessa).
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Urvàsi.
Citralèca.
Pururàvasa.
Urvàsi (a Gtraltca).
Manàvaco.
Potesse almen compire
Quest’oggi ii suo desire!
Alfine, di soppiatto, in questo loco
De’ suoi sonagli i tintinnii lontani
Deh ch’io dapprima intenda !
Poi da tergo movendo a poco a poco,
Mi faccia agli occhi benda
Con le tènere palme di sue mani.
Oh ch’ella alfin rivolta a questa via,
Per pudore indugiando in suo animino,
A passo a passo ricondotta sia
Dall’accorta compagna a me vicino!
(dall'altra parte della scena)
Su, vanne, amica; il suo desire adempì.
l'arò il giochetto? (venemlo alle spalle del re, gli capre gli ticchi con
[le inani; Cstralèct si dd a conoscere a Manàvaco).
Oh che? Sarà mai questa
La vaga ninfa nata
Dalla coscia di Nara?
Oh ! Come hai fatto
A indovinarlo?
E come
Discerner non potrei l’amata Urvàsi?
Lieve discesa agli occhi miei dinnanti
Qual altra man potea
In me destar così gentil tremore?
Non s’avviva del sole ai saettanti
Raggi il fior di ninfea
Come fa della luna al mite albore.
Ahimè! Queste mie mani
Col diamante, ìnver, sembrati saldate,
Ch’io più da gli occhi suoi non so ritrarle! (con gli occhi socchiusi,
[ritraendo le mani dagli occhi del re, retta trepidante ; avanzandosi alquanto)
Evviva, evviva il sire !
Fortuna a te per si leggiadro amante!
Secondo le mie brame or tutto avviene.....
In dono a me concesso
Ei fu dalla regina, ed or di lui
Io prenderò possesso.
Son indiscreta forse?
Ohi come mai,
Mentre qui siete, qui non splende il sole?
VICRAMÒRVASI. — [p. 41modifica]ATTO III.
4'
Pururàvasa (guardando Urtili).
S’afBda al tuo dcsir la mia persona
Or chc alfin la regina a tc mi dona:
Ma chi concesse mai la prima volta
Chc l’anima da tc mi fosse tolta ?
Citralèca.
Pururàvasa.
Citralèca.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Risposta ella non ha: lasciate ch’io
Vi riveli una cosa
A udir son pronto.
Or chc giunge al suo fin la primavera, »
10 son, ne) tempo della state, addetta
Del divo Surya al culto:
Oh fate si chc Urvàsi mia diletta
Nella mia lunga assenza, a voi d’accanto
11 Ciel non abbia a sospirar giammai!
Il Cielo sospirar? Come t’inganni !
Colassi! non si mangia c nou si beve,
E senza batter ciglio
A mo’ di pesci là restar si deve.
Come potrebbe — è ver — porre in obblio
L’immenso gaudio dell’cccelsc sfere?
Ma suo vassallo sarò in terra anch’io,
Ni ad altra donna volgerò il pensiere!
Citralèca. Or son tranquilla. — Orsù, coraggio, e addio !
URVÀSI (abbracciando Gtraltca con tenerezza).
Che tu non m’abbi ad obliar
Citralèca (sorridendo). Sol io
Di ciò ti prego, Urvàsi,
Mentre tu sei nel uovo amore assorta.
(t'inchina al re e va via).
Manàvaco. Con te m’allegro, o sir, poiché tu sei
Nella tua brama soddisfatto alfine.
Pururàvasa. É ver : son paghi i desideri mici !
Se pur di tutte le corone avessi
Ricco di gemme e di tesori un soglio,
E l’imperio del mondo aver potessi
Tutto in mio pugno, « Altro — dirci — non voglio
Che, come schiavo, appiè di lei restando,
Pèndere lieto da ogni suo comando. »
Urvàsi. Ahi ! Nulla io ti so dire I
Purur. (col braccio ior-] Or nulla più mi vieta
reggendo Uniti). D'accrescere c far pago ogni desire!
Urvàs [p. 42modifica]i.
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Urvàsi.
Pururàvasa.
VICRAMÒRVASI. — ATTO III.
Vedi — i raggi lunari
Mi fan beato col candido lume:
Per me graditi al pari
I dardi or son dell’amoroso nume;
Ed ogni cosa in pria
Aspra ed avversa a la mia dolce impresa,
Or che tu sci già mia,
Ogni cosa benigna a me s'ò resa!
Son io, signor, ben ria :
Ché tanto a lungo desiar mi feci!
No, non dirmi cosi, diletta mia
Un mal chc alfine sia disfatto, in bene
Dopo lungo soffrir cangiar si suole:
Più — dell'ombra il ristor grato diviene
A quei che prima s’è bruciato al sole.
A lungo tu, signora, hai venerato
I raggi del dio Ciàndro; 4 tempo ornai
Di ritornar
Tu stesso
La via le additerai.
Di qui, di qui, signora
O mia vezzosa, ed ora
È questo il mio desir
Dimmi, che brami?
Qnand’era privb il cor d’ogni contento,
L’ore notturne, ahimè ! nel mio martire.
Addoppiandosi ognora a cento a cento,
Parea che non volesser mai finire 1
Se così lungo è stato il mio tormento,
Or che in te vo’ far pago ogni desire
Oh ! pur ora la notte eterna sia,
Mentre ti son d’accanto, Urvàsi miai
(/avvialo).
(FINISCE IJ. 3° ATTO).