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RVASI. — ATTO III. 39 E che te brama, a la sua volta, quella Liberamente, o sir, fu teco unita 1 Urvàsi (•» di‘parte). Q.ual meraviglia ! Or che vorrà più dire ? Dalla speranza il cor mi si rischiara Citralèca. Ora che tal licenza al sir consente La magnanima sposa, Pur tanto a lui devota, alfin concesso A te dell’amor tuo sarà l’amplesso. * Manàvaco (fra ti). Ha un bel merito iuver la mia regina: Fa come quegli che le mani ha tronche, E vedesi un ladron fuggir dinnanzi ; Pur, non potendo, come dee, ghermirlo, Dice: « Si lasci andar, siamo pietosi! » (alla regina) O che il sir dunque 4 a te come straniero? Ausinàri. La mia felicità non ho sprecato Per procacciar la sua? Lascio pertanto A te pensar s'egli mi sia diletto. Pururàvasa. Ad altra puoi donarmi ; e pur, se vuoi, Farmi tuo schiavo, o sospettosa; or vedi, Pago son io d’ogni destin, ma poi Vèr te, gentil, non son qua] tu mi credi. Ausinàri. Sia pur; ma, come pria fu stabilito, Il voto della pace or 4 compito. O fide ancelle, andiam Pururàvasa. Pur non si lascia Cosi tosto colui Con cui la pace s’4 pur or conchiusa. Ausinàri. Sacro 4 il mio voto alfin; secondo il rito Nobil signore, fa da me compito. (indi ti avvia eoi suo tiguito). Urvàsi. É il sir ben caro alla consorte, amica: Pur, come vuoi ch’io dica Al cor: Ritorna indietro? Citralèca. Oh! Perch4 mai Farlo tornar se certa 4 la sua speme ? Pururàv. (a Mandv.). Sarà ben lungi la regina? (appressandosi al sedile). Manàvaco. Or dici Pur tutto quel che vuoi, Ch4 lungi ell’4 da noi; E t’ha piantato li, siccome suole Un medico lasciar quell’ammalato Che più curar non sa Pururàvasa. Ma Urvàsi mia..... •