Una partita a scacchi/Atto unico/Scena II
Questo testo è completo. |
Atto unico - Scena II
◄ | Atto unico - Scena I |
SCENA II.
Un servo, poi Oliviero conte di Fombrone, Fernando, e Detti
- Servo
- Il conte di Fombrone
- Sollecita la vista del mio nobil padrone.
- Renato
- (premuroso)
- Il conte di Fombrone? Fategli tutti onore,
- E sia sulle mie terre, più che ospite, signore.
(Entrano Oliviero e Fernando)
- Renato
- (a Fombrone)
- Oliviero, ben giunto, nobile e vecchio amico,
- Questo è un giorno di festa pel mio castello antico!
- Oliviero
- L’amicizia è l’altrice delle gioie più sante
- E non l’ho mai provata siccome in questo istante.
- Renato
- (prende per mano Iolanda e la presenta ad Oliviero)
- La mia figlia Iolanda.
- Oliviero
- (inchinandosi)
- Dio lega opposte cose,
- Il rigor delle nevi, la beltà delle rose.
- Renato
(a Iolanda, indicando Fombrone)
- Tu conosci il suo nome, fummo compagni, quando
- Le braccia eran robuste ed era aguzzo il brando,
- Corremmo insiem le corti e guerreggiammo allato,
- E se lo seppe il vinto signor di Monferrato.
- Oliviero
(indicando Fernando)
- Il mio paggio Fernando.
- Renato
- (dopo aver guardato il paggio con attenzione benevola e riposto con un cenno del capo al suo grave inchino, volgendosi a Fombrone)
- Cresciuto alla tua scuola
- Avrà pronta la mano e lenta la parola.
- Il sangue assiderato vivo al fuoco discorra,
- Son pungenti le brezze che soffia questa forra.
- Mescete il Mommeliano.
(I servi eseguono)
- Oliviero
(sedendo accanto al fuoco)
- Per Dio, ti giuro il vero,
- La tua figliuola è bella, e forte è il tuo maniero.
- Renato
- Dimmi di te, Oliviero, rechi in fronte dipinto
- Che lottasti cogli anni e, sempre, hai vinto.
- Oliviero
- È passato il bel tempo.
- Renato
- La quercia il gel non teme.
- Chi direbbe a vederci che siam cresciuti insieme!
- Non ti dieder disagio queste brevi giornate?
- Le strade sono lunghe, Fombrone, e mal fidate;
- Odo narrar sovente di violenze e rapine.
- Non t’insorse disgrazia?
- Oliviero
- Per poco in sul confine
- Della montagna, dove la valle si disfalda
- Non uscivo malconcio.
- Renato
- Come! Narra.
- Oliviero
- La salda
- Spada, e l’animo ardito del mio paggio Fernando
- Mi tolsero di briga. Venivam cavalcando
- Il mio paggio e due bravi, quando dalla foresta
- Uscì un sibilo acuto: sollevammo la testa,
- E ci apparve sbucata sul margin della strada
- Di dieci malandrini armati una masnada;
- Stemmo, e il maggior di quelli fattosi a noi dinante
- C’impose di seguirlo con un piglio arrogante.
- Fernando a lenti passi gli si mosse vicino:
- - Forse ti seguiremo, ma insegnane il cammino: -
- Gli disse, e con un colpo lo stese a terra. Tosto
- Minacciosi i rimasi ci furono daccosto,
- Meno per trar vendetta del capo insanguinato
- Che per far bella ruba del bottino agognato.
- Eran nove gagliardi, armati e risoluti,
- Noi quattro, io vecchio, i luoghi minacciosi e sconosciuti.
- Il mio paggio mi guarda, poi mi s’accosta, in atto
- Di chi voglia ricevere qualcosa di soppiatto,
- Indi a furia di spronate, lancia il cavallo a volo.
- Subito alle calcagna gli si muove uno stuolo
- Di cinque masnadieri; e a noi priva di gloria,
- Ma sicura ed agevole rimase la vittoria.
- Iolanda
- Fu raggiunto dai cinque?
- Oliviero
- Poco tratto di via
- Percorso egli si volse, e al branco che venia,
- Sorridendo con volto nobilmente sdegnoso,
- Volse dell’armi audaci lo slancio impetuoso.
- Era solo, piantato come un Centauro antico,
- Sul dorso flessuoso del corsiero. Il nemico
- Gli facea ressa intorno urlando a tutta possa.
- Ei pronto alla parata, tremendo alla percossa,
- Tenea con lenti giri quanto è larga la strada.
- Già nei cozzi continui aveva rotta la spada,
- Quando sbrigati i quattro che ci stavano di fronte
- Noi giungemmo ed i ladri preser la via del monte
- Lasciando di tre morti le spoglie il sul terreno.
- Iolanda
- E non foste ferito?
- Oliviero
- Io no, Fernando al seno
- Ebbe una scalfitura ch’oggi è saldata, è vero?
- Fernando
- Sì, conte.
- Renato
- La tua mano, o giovine guerriero.
- Sei un prode, in te il senno è pari all’ardimento.
- Tuo padre nel ritorno t’abbraccerà contento.
- Fernando
- Non ho padre, signore.
- Renato
- Così giovane? Avrai
- Una madre.
- Fernando
- Neppure, e non li ebbi mai.
- Renato
- Il tuo nome?
- Fernando
- Fernando. La mia sorte è severa.
- Se mi farò uno stemma, avrà la sbarra nera.
- Renato
- Tu sei sangue di principi!
- Fernando
- Se mi dà vita Iddio,
- Farò diventi gloria l’esser sangue mio.
- Renato
- Fiere parole!
- Fernando
- Il vanto vuol essermi concesso,
- Dacché tutto che sono, nol debbo che a me stesso.
- Renato
- Sei giovane e fidente, l’anima hai franca e ardita,
- Apprenderai cogli anni la scienza della vita;
- Ma ti darò un consiglio, io che ho vissuto tanto:
- L’opera è più gloriosa scompagnata dal vanto.
- Fernando
- Io penso che su giovane bocca il vanto non convenga,
- Se il labbro non promette più che il braccio mantenga.
- Renato
- Non ti dolga, Fombrone, s’io biasimo le sue mende;
- Amo in lui la prodezza, ma l’orgoglio m’offende.
- Fernando
- Rispetto in voi l’antico coraggio e il nome antico,
- E del mio buon signore il più fidato amico;
- Ma portare dimessa la fronte io mai non soglio,
- È fra le mie virtudi, prima virtù, l’orgoglio.
- Renato
- Che sai tu della vita, fanciul, chi te l’apprese?
- Perchè la guancia hai bella e le pupille accese,
- Perchè il vigor degli anni ai perigli t’indura,
- Perchè tutta al tuo sguardo sorride la natura,
- Perchè fissando intrepido il destin che s’avanza,
- Senti un nervo nel braccio, nel cuore una speranza,
- Perchè non ha che stelle la tua notte serena.
- Perchè se il labbro ha sete sempre la coppa hai piena,
- Perfin contro il futuro spingi il folle ardimento?
- E gridi alla tua sorte: Io voglio e non pavento?
- Ma non lo sai, fanciullo, non te l’han detto ancora
- Che assai lungo è il cammino, che la vita è di un’ora?
- E che prima di giungere al culmine agognato,
- Avrai le mani lacere e il viso insanguinato?
- Che dovrai divorarti il sopruso e l’affronto?
- Che oggi ti chiami aurora, e domani tramonto?
- Ero ancor piena l’anima di splendide chiemere
- Se volavano al vento le guerresche bandiere;
- Sentivo ancora i fremiti generosi e la sete
- Dei perigli, e correvano le mani irrequiete,
- Correvano a brandir l’asta; al nome di gloria
- Mi luceva negli occhi l’ardor della vittoria;
- E un giorno all’opra usata cesse il vigor, mi parve
- Un peso insopportabile la mia spada. Le larve
- Svaniron tutte, i moti del mio cuor furon muti,
- E i miei sogni di gloria, non erano compiuti!
- Fernando
- Vecchio, sei grande e nobile, come nessun fu mai;
- Dirò superbo un giorno: lo vidi e gli parlai.
- La tua grave parola fu quella di un veggente.
- Sì, le tue sagge norme le terrò fisse in mente.
- Però la mia fortuna alla tua non somiglia:
- Tu avesti in sorte un nome, un tetto, una famiglia.
- Fu la scuola di un padre che t’educò alla vita,
- E sprone alle grandi opere fu la grandezza avita.
- L’armi pria che un cimento ti furono un trastullo.
- Io crebbi solo, un orfano no, non è mai fanciullo.
- Nell’età dei sorrisi, dei baci e degl’incanti,
- Non conobbi che l’ire, non conobbi che i pianti.
- Io non avevo un nome, che per sacro legato,
- Dovessi far più illustre o serbare onorato;
- Io non avevo un padre, che premio al mio valore,
- Baciasse in sulla fronte il giovin vincitore.
- Di ritorno dal campo, triste conforto m’era
- La venale larghezza di una soglia straniera.
- Quanto le glorie illustri di tanti avi ti fenno,
- Guadagnarlo dovetti coll’opera e col senno;
- Nessun l’onor m’apprese, nessun m’apprese Iddio;
- L’onor, l’armi, la fede sono retaggio mio.
- Lasciai lembi di carne in più di una tenzone,
- Lasciai lembi di cuore al piè d’ogni blasone.
- Fidente nel mio fato, invido mai non fui
- Sotto l’acerbo insulto della grandezza altrui.
- Superando gli ostacoli che incontravo per via,
- M’era fonte di orgoglio la solitudin mia
- Ed or che, me volente, s’appiana il mio sentiero,
- Or che son fatto paggio e diverrò scudiero,
- Or che, mercè maggiore d’ogni maggior tesoro,
- Son presso al battesimo degli speroni d’oro,
- Vuoi ch’io sappia frenarmi e rimanermi muto?
- No, no, no, nol posso, per tanti anni ho taciuto!
- Son forte, la mia spada nessuno al mondo agguaglia,
- E non è lieve impresa lo sfidarmi a battaglia.
- Freccia non esce invano mai dalla mia faretra,
- E nella più minuta delle mire pènetra.
- S’io gli imposi il cappello, il falco mai non erra,
- E torna colla preda vittorioso a terra.
- Nè dell’arti gentili la scienza obliai
- E so dal mio liuto trarre sirvente e lai;
- Di sonanti ballate so far velo al pensiero,
- So raccontar d’amore al par d’ogni troviero;
- Spezzai più d’una lancia correndo la gualdana,
- Più d’uno sguardo ottenni di bella castellana.
- Renato
- Per Dio, soverchio ardire sopportar non mi giova.
- Bada non mi sovvenga di metterti alla prova,
- Chè se falli!...
- Fernando
- Signore, fate a vostro talento,
- Accetterò con gioia qualunque esperimento:
- Ma lasciate ch’io noveri tutte le mie virtù,
- E poi venga la prova, non vi chieggo di più.
- Per studiare a tentarli ed a schermir gli attacchi,
- Appresi le difficili movenze degli scacchi,
- E nessuno mi supera...
- Renato
- Dacchè ne porgi il destro,
- Noi ti vedremo all’opera, o d’ogni arte maestro.
- A te, figliuola, insegnagli, nè sarà poca gloria,
- Come si faccia a vincere, senza gridar vittoria.
(a Fernando)
- Qui si porrà all’aperto la tua scienza nascosta.
- Perderai, tel predico.
- Fernando
- Lo vedremo... E la posta?
- Renato
- La posta? Se tu vinci, io ti do per consorte
- La mia figlia Iolanda.
- Fernando
- E se perdo?
- Renato
- (traendolo in disparte, sommesso)
- La morte.
- Fernando
- L’offerta è troppo bella per opporvi un rifiuto.
- Renato
- Accetti?
- Fernando
- Accetto, conte.
- Renato
- Se perdi...
- Fernando
- Avrò perduto.
- E non mi sentirete lagnarmi o maledire;
- Se non appresi a vivere, ho imparato a morire.
- Renato
- A te, figlia.
(I due si apprestano a giuocare)
- Fernando
- (a Renato)
- Scusate il soverchio ardimento,
- Ma un giuoco tal richiede un giuocatore attento.
- Il conte di Fombrone presso il fuoco vi aspetta,
- Direte insiem le gioie dell’età prediletta.
- Qui si vuol esser soli.
(Il tavolino a cui stanno seduti i due che giuocano è vicino al proscenio, mentre invece il camino è in fondo alla scena. Olivero è presso il camino).
- Oliviero
- Il mio paggio ha ragione.
- Renato
- Ed eccomi a’ suoi cenni. Mesci ancora, Fombrone.
- Oliviero
- Fosti con lui severo.
- Renato
- Troppo?
- Olivero
- No. Anch’io soventi,
- Ebbi a fargli rimbrotto, e con acerbi accenti;
- Ma è così bello il roseo confidar nel futuro,
- Chi ignora i disinganni! Renato, è così puro!
- La gioia è così piena dentro quell’occhio nero!
- Così lucente, sotto quel crin folto, il pensiero!
- Ed io lo vidi all’opera, e lo so forte ed audace.
- Quel suo animo baldo e leale mi piace,
- E mi ricorda i giorni della mia giovinezza.
- Renato
- (fra sè)
- Come sfida la morte con eroica fermezza!
- Oliviero
- Tu pensi?...
- Renato
- Nulla.
- Oliviero
- Eppur ti leggo nelle ciglia...
- Renato
- Vorrei che avesse a vincere.
- Oliviero
- Per sposare tua figlia.
- Renato
- È vero!
- Oliviero
- Convien dire ch’ella giuochi a pennello,
- Se offristi al vincitore un premio come quello!
- E tu che avrai, se perde, in cambio alla fanciulla?
- Renato
- (esitando)
- Nulla.
- Oliviero
- Nulla? Davvero?
- Renato
- (quasi parlando a sè stesso)
- No, non voglio aver nulla,
- Un tal patto non regge.
- Oliviero
- E Renato pretende
- Riprender la sua fede?
- Renato
- E se egli me la rende?
(I due continuano a parlare sommesso).
- Iolanda
- Che hai, paggio Fernando? Non giuochi e non favelli.
- Fernando
- Ti guardavo negli occhi, che sono tanto belli.
- Iolanda
- Ed io senza periglio decimo le tue schiere;
- Già perdesti una Torre, e do scacco all’Alfiere,
- Se non provvedi tosto a metterlo da banda.
- Attento ai mali passi.
- Fernando
- Grazie, bella Iolanda.
- Pensavo a mille cose lontane, e stavo muto
- Per la triste certezza che tanto avrei perduto.
- Eccomi a tal ridotto che un sol passo non feci.
- Iolanda
- Vuoi tu, paggio Fernando, che mutiamo le veci?
- Fernando
- No, tienti la tua sorte e lasciami la mia.
- Iolanda
- A te, non trovi nulla che t’ingombri la via?
- Oh la sventata! Vedi che ho messo il piede in fallo.
- Ti do scacco all’alfiere, e disarmo il Cavallo.
- Fernando
- (prende il cavallo)
- Non ardirei di prenderlo, l’accetto come un dono.
- Iolanda
- Vedi l’avventurata giocatrice ch’io sono!
- Neppur credi all’errore.
- Renato
- (avvicinandosi)
- Come sta la partita?
- Fernando
- Io perdo.
- Renato
- (contento)
- Sì? Fanciullo, facciamola finita,
- Smetti il giuoco, fu scherzo la scommessa.
- Fernando
- Vi pare!
- Con voi, nobil signore, non ardirei scherzare,
- Nè con veruno al mondo, intorno a un argomento...
- Renato
- Tu perdi, me l’hai detto tu stesso.
- Fernando
- E non consento
- Perdente a grazia alcuna, ché vincitore, avrei
- Altamente vantati tutti i diritti miei.
- Renato
- Bada a tentar la sorte, paggio, bada!
- Fernando
- La tento.
- E data una parola, signor, non mi ripento.
- Renato
- E tal sia
(s’allontana e poi ritorna).
- No, sei giovane, fanciullo, e ardimentoso
- E d’una tua disgrazia non mi darei riposo.
- Smetti quella fierezza, renditi al buon consiglio,
- Io te ne prego, come si pregherebbe un figlio.
- Sei in tempo, ritraggiti, tu sai quanto t’aspetta...
- Iolanda, te ne prego, digli che mi dia retta.
- Iolanda
- Perché mi dovrò esporre io pure ad un rifiuto?
- Un istante può rendergli il terreno perduto.
- Renato
- La vanità di vincere ti fa di questo avviso.
- Iolanda
- O padre!
- Renato
- Ma tu ignori che s’ei perde, è deciso.
- Fernando
- (interrompendolo)
- Conte... Fate opra inutile, nessuno mi cancella
- Dal cuore una promessa.
- Renato
- Ti lascio alla tua stella.
(Renato va di nuovo presso Fombrone, con cui conversa a bassa voce. Iolanda e Fernando giocano per alcuni istanti senza far motto).
- Iolanda
- Che volle dir mio padre con quelle sue parole:
- Se egli perde è deciso?...
- Fernando
- Nulla ch’io sappia — fole...
- Iolanda
- Eppure mi pareva che parlasse assennato,
- E tu l’interrompesti tutto quanto turbato.
- Che perdi tu, se perdi?
- Fernando
- Nulla che mi stia a cuore.
- Iolanda
- Mio padre più ti teme vinto che vincitore.
- Non so perchè, Fernando, son pensosa e afflitta.
- Fernando
- Bella Iolanda, allegrati, sarà mia la sconfitta.
- Iolanda
- Oh! Perchè con sì tristi presagi ti martelli?
- Fernando
- Io? Ti guardo negli occhi, che sono tanto belli!
- Iolanda
- Sei mesto nel sembiante, perchè? La tua ferita
- Ti duole forse?
- Fernando
- Punto... Com’è bella la vita!
- Iolanda
- (Pausa).
- Paggio Fernando, è molto lontano il tuo paese?
- Fernando
- Io nacqui dove l’aria è tepida e cortese;
- Dove la terra è piena di cantici e di fiori.
- Dove in grembo alle Muse sorridono gli amori.
- Dove nel mari si specchiano i pallidi oliveti,
- Dove i colli son ricchi d’aranci e di palmeti,
- Dove tutto è profumo, dove tutto è sorriso,
- Dove non si vagheggia più bello il Paradiso,
- Dove spiran le brezze del sonante Oceàno,
- E quel vago paese è lontano, lontano.
- Iolanda
- Le donne vi saranno leggiadre e amorose.
- Fernando
- Sì, facili all’amore, ma folli e obliose;
- Sì, il mio sole di fuoco nutre beltà procaci;
- Sì, Quelle labbra ardenti sono fatte pei baci;
- Ma noi cresciuti ai torridi meriggi, e in mezzo ai fiori
- Inebrianti e pinti dei più vivi colori,
- Amiamo i molli petali flessuosi e pallenti,
- Amiamo le corolle bianche dei cieli algenti,
- Ed una treccia bionda, e un occhio azzurro, e un bianco
- Viso ed un abbandono soavemente stanco,
- Ci suscitano le accese fantasie del pensiero
- Più che una chioma bruna e più che un occhio nero.
- Il mio mare lontano è azzurro, azzurri i monti
- Che si veggon da lungi e son d’oro i tramonti.
(Pausa).
- Tu sei bella, Iolanda.
- Iolanda
- Com’è dolce il tuo dire!
- Fernando
- Senti, hai tu mai pensato che si possa morire
- Prima d’aver provato che cosa sia l’amore?
- Prima che un sol fiorisca dei germogli del cuore?
- Prima di bisbigliarsi le più ardenti parole?
- Prima d’aver goduta la tua parte di sole?
- Iolanda
- Oh no!
- Fernando
- No, non è vero? Se non fosse che un’ora,
- Un’ora dell’ebbrezza che ogni ebbrezza scolora,
- Le mie pupille un’ora fissate nelle tue,
- E poi venga il destino.
- Iolanda
- Si morirebbe in due.
- Fernando
- Che morbidi capelli!
- Iolanda
- Perché parli di morte
- Quasi che ti volessi doler della tua sorte?
- Fernando
- Come hai dolce il sorriso!
- Iolanda
- Perché, paggio Fernando,
- Mi guardi così mesto mesto?
- Fernando
- (ricomponendosi)
- Nulla, andavo pensando
- A speranze impossibili, a confusi desiri;
- Giochiamo, ho fatto un sogno d’oro...
- Iolanda
- Perché sospiri?
- Fernando
- Sospiro... la mia pace, le mie terre lontane.
- Iolanda
- E gli sguardi ottenuti di belle castellane.
- Fernando
- Bada, or sei tu che perdi.
(indicandole il giuoco).
- Iolanda
- Me ne dai con premura
- L’avviso, la vittoria par ti metta paura.
- Fernando
- Oh! Ma non sai, Iolanda, che ho giocato la vita?
- Non lo sai che se perdo questa volta è finita?
- Non lo sai che sei bella, come nessuna al mondo?
- Che amo il tuo fronte bianco ed il tuo crine biondo?
- Che di mio non ho nulla che il sangue delle vene?
- Che sono solo al mondo se tu non mi vuoi bene?
- Iolanda
- E tu, cieco, non vedi che m’affanno da un’ora
- Per goder quest’ebbrezza che ogni ebbrezza scolora?
- Oliviero
- (a Renato)
- Guarda com’è pensoso, colla testa china...
- Renato
- Come va la partita?
- Fernando
- (sorridendo)
- Do scacco alla Regina.
- Iolanda
- Ascoltami, Fernando, questa è la prima volta
- Che mi giunge una voce d’amore a me rivolta.
- Se tu sapessi come li ho sognati soventi,
- La tua maschia sembianza, i tuoi nobili accenti!
- Quante volte, seduta sul verone, alla sera,
- Invece del monotono ritmo della preghiera
- Mormoravo parole febbrili ed interrotte,
- Chiedendo al ciel benigno un raggio alla mia notte.
- Se tu sapessi, come dietro le vetriate
- Passavan lunghe e fredde le vedove giornate!
- Se vedevo una donna con in braccio un bambino,
- Se mi giungean le note di un nunzial festino,
- Guardavo alle mie vesti, ai monili, alle anella,
- E mi sentivo povera più che un’umile ancella.
- Sentivo qui nel cuore uno sgomento arcano,
- E nel paterno petto mi rifugiavo invano,
- Venner marchesi e conti a cercarmi in isposa,
- Ma tutti li respinsi per ripugnanza ascosa.
- Tu giungesti, Fernando, tu che sei forte, e bello,
- E una voce nell’anima mi gridò tosto: è quello.
- Fernando
- La tua mano, Iolanda. Mano bianca, sottile,
- Non avrai tu la sorte di un umil paggio a vile?
- Iolanda
- È il destin che ci unisce nella sapienza sua;
- Guarda, due mosse ancora e la vittoria è tua.
- Renato
- (avvicinandosi)
- A che ne siamo?
- Iolanda
- (sorridendo)
- Padre, la vostra figlia invitta
- Medita il disonore di una prima sconfitta.
- Renato
- Perdesti?
- Iolanda
- Non ancora, ma perderò.
- Renato
- Fernando,
- Ascoltami, sospendi, io vaneggiavo quando
- T’offersi quella sfida. Scegli fra i miei castelli
- Il più forte, il più ricco, è tuo; ma si cancelli
- Questo patto impossibile, rendimi la mia fede,
- Ti farò ricco e nobile... è un padre che tel chiede.
- Fernando
- Signore, a tanta offerta una risposta sola:
- Amo la figlia vostra — Conte, ho la tua parola.
- Renato
- La terrò, se lo imponi, ma se onor ti consiglia,
- Se in cuore un po’ d’affetto tu nutri per mia figlia,
- Pensa, e s’io ti rammento tristi cose, perdona,
- Pensa che già respinse una ducal corona,
- Ch’essa è quanto rimane di un antico lignaggio,
- Pensa che più d’un principe invidia il suo retaggio.
(Fernando esita; Iolanda se n’avvede e lo spinge con gesti a giuocare).
- Iolanda
- (a bassa voce)
- Giuoca, Fernando.
- Renato
- Un giorno, paggio, tu pure, è vero,
- Sarai forse possente e ricco cavaliero,
- Ma finor...
- Iolanda
- (a bassa voce)
- Giuoca, giuoca, un passo sol.
- Renato
- Finora
- Di tua vita, Fernando, tu non sei che l’aurora;
- Iolanda è bella, è ricca, e... suo padre tel dice,
- A lungo non potrebbe con teco esser felice.
(Mentre Fernando esita, Iolanda di soppiatto lo piglia dolcemente per mano, e fa lei una mossa per lui).
- Iolanda
- Padre, è tardo il consiglio, quello che è fatto è fatto,
- L’onor vostro è impegnato.
- Renato
- Che dici?
- Iolanda
- (alzandosi e con lei tutti)
- Scacco matto.
- Oliviero
- Fernando ebbe il demonio o l’amor dalle sue.
- Iolanda
- (a Renato)
- M’offrivate uno sposo e lo scegliemmo in due.
- Renato
- E così mi ti mostri vergognosa ed afflitta?
- Iolanda
- (abbracciando suo padre e porgendo una mano a Fernando)
- Chi vince è di famiglia, quindi non c’è sconfitta.
- Renato
- (a Fernando)
- Dacchè il fasto di un nome non ti concesse Iddio,
- Ti sembra a sufficienza degno ed illustre il mio?
- Fernando
- Signor...
- Renato
- Sei prode all’opera e assennato al consiglio,
- Ed io ringrazio il cielo che m’ha donato un figlio.
- Fernando
- (dopo di essersi inginocchiato ai piedi di Renato il quale gli pone le mani sul capo, s’alza e si volge a Iolanda senza dire parola).
- Iolanda
- E ancor, paggio Fernando, mi affisi e non favelli?
- Fernando
- Io ti guardo negli occhi, che sono tanto belli.
(Cala la tela)
Torino, 1871.