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scena ii. 37
Nell’età dei sorrisi, dei baci e degl’incanti,
Non conobbi che l’ire, non conobbi che i pianti.
Io non avevo un nome, che per sacro legato,
Dovessi far più illustre o serbare onorato;
Io non avevo un padre, che premio al mio valore,
Baciasse in sulla fronte il giovin vincitore.
Di ritorno dal campo, triste conforto m’era
La venale larghezza di una soglia straniera.
Quanto le glorie illustri di tanti avi ti fenno,
Guadagnarlo dovetti coll’opera e col senno;
Nessun l’onor m’apprese, nessun m’apprese Iddio;
L’onor, l’armi, la fede sono retaggio mio.
Lasciai lembi di carne in più di una tenzone,
Lasciai lembi di cuore al piè d’ogni blasone.
Fidente nel mio fato, invido mai non fui
Sotto l’acerbo insulto della grandezza altrui.
Superando gli ostacoli che incontravo per via,
M’era fonte di orgoglio la solitudin mia
Ed or che, me volente, s’appiana il mio sentiero,
Or che son fatto paggio e diverrò scudiero,
Or che, mercè maggiore d’ogni maggior tesoro,
Son presso al battesimo degli speroni d’oro,
Vuoi ch’io sappia frenarmi e rimanermi muto?
No, no, no, nol posso, per tanti anni ho taciuto!
Son forte, la mia spada nessuno al mondo agguaglia,
E non è lieve impresa lo sfidarmi a battaglia.