Una partita a scacchi/Atto unico/Scena I
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Atto unico - Scena I
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SCENA I.
Renato e Iolanda.
Al levarsi della tela, Renato e Iolanda stanno presso la finestra come per interrogare il tempo. — La finestra mette una luce fredda e grigia, che è vinta da quella rossiccia del camino. — Durante la prima scena i servi recano due lucerne ad olio, di ferro, a becchi, e le posano sulla tavola.
- Iolanda
- E la pioggia continua, fredda, incessante e greve!
- Renato
- Oggi pioggia, Iolanda, domani avrem la neve,
- Essa è già nell’aria che turbina; io la sento.
- La Becca era coperta stamane.
- Iolanda
- E sempre il vento!
- Renato
- L’ora?
- Iolanda
- La sedicesima, padre.
- Renato
- È già notte oscura!
- Povera mia fanciulla, va, la tua sorte è dura,
- Vivere prigioniera con un bianco guardiano
- In questa tetra valle, dimora all’uragano!
- Che nebbia fitta! Senti che fischi! La montagna
- Rompe il vecchio nemico e nell’urto si lagna.
- Che crepiti d’abeti! Quanti son stesi al suolo!
- Iolanda
- Una buona giornata doman pel boscaiuolo:
- Li vedrem cigolando solversi in fumo. - È bella
- Sul tizzo che s’imbruna quell’azzurra fiammella.
- Le buone piante! Quando ardono sull’alare,
- Io le guardo, le guardo, le ascolto sospirare
- Con quei lunghi sospiri e penso alla foresta,
- Dove un giorno levarono fieramente la testa.
- Quanti urti coll’aspre valanghe han sostenuti!
- Quante rigide nevi sovra i rami barbuti!
- Ne verranno dell’altre.
- Renato
- Figlia, è freddo.
- Iolanda
- Venite,
- Padre, a sciogliere al fuoco le membra intirizzite.
- Mi direte le vostre gesta di cavaliero,
- Oppur la bella fiaba di Aroldo e il suo corsiero.
- Chiameremo compagni Cristoforo e Martino.
- Renato
- (seduto accanto al fuoco, nelle pareti del camino, e guardando la fiammata)
- Ne ho visti dei folletti su pel camino!
- No, non chiamar nessuno, figlia, voglio te sola.
- Siedi, fatti più accosto, così; la mia parola
- Cerca la via più breve per arrivarti al cuore.
- Tu sei la mia figliuola, Iolanda, il solo amore
- Ch’io mi abbia in questa terra, il solo, e tu lo sai.
- Quando mi sei vicina, figlia, non penso mai
- Alle mie rughe antiche e ai miei capelli bianchi.
- Iolanda, io sono vecchio, solo se tu mi manchi.
- Una volta, perdonami, ti bramavo un fratello,
- Che, come tu lo sei, fosse nobile e bello,
- Che tramandasse ai figli, pura e intatta, come
- Io la tenni dai padri, la gloria del mio nome.
- Iddio non mel concesse. Savie leggi le sue!
- Nel mio cuore, Iolanda, non c’è posto per due.
- Ora se ci ripenso, sono meco adirato
- Per quel tanto di affetto che ti avrebbe rubato.
- Vieni qui, figlia, senti, tu sei bella, e sei buona,
- E sei casta, il tuo nome val più che una corona.
- Avrai dieci castella, e possenti domini,
- Sarai donna e signora ne’ miei vasti confini,
- Ma...
- Iolanda
- Padre, ch’io continui? Se mi state a sentire,
- Io v’indovino tutto quello che vorreste dire.
- Renato
- Ebbene?...
- Iolanda
- A vostra figlia manca ancora uno sposo.
- Renato
- È vero. Un cavaliere nobile e generoso
- Che facendoti lieta faccia me pur felice.
- Io son presso al tramonto. Qualche cosa mi dice
- Che...
- Iolanda
- Non voglio sentirle queste brutte parole.
- Ritornerete giovane coll’anno e colle viole.
- Renato
- E poi questo castello ha troppi echi; le sale
- Così vuote e sonore mi fanno tanto male!
- Le vecchie travi han d’uopo di nidi e di canzoni,
- Han bisogno di strilli i monotoni androni.
- Mi mancano bambocci che mi turbino il sonno,
- Sai? Si diventa padre, per diventar poi nonno.
- I vecchi rimbambiscono ed amano i trastulli.
- Non fosse che a sgridarli, mi ci voglion fanciulli.
- Iolanda
- Voglio essere io sola ad amarvi.
- Renato
- Perchè?
- Ne’ tuoi figli, Iolanda, non amerei che te.
- Tu sei già troppo vecchia; tu sei seria e pensosa,
- Tu rifletti al da farsi, una gran brutta cosa!
- Ti sorprendo talvolta cogli occhi al cielo intenti,
- Tu non pensi a tuo padre, figliuola, in quei momenti.
- Insomma, tu sei donna; io, vecchio paladino,
- Anche quando ti abbraccio mi curvo ad un inchino;
- E poi, in questa valle maestosa ed oscura,
- C’è troppa solitudine, e c’è troppa paura.
- Tu non conosci i cieli aperti della piana,
- Nè i rasati orizzonti dalla curva lontana.
- V’han paesi, ove i fiori ridono sempre ai miti
- Zefiri. I miei castelli sono tetri e romiti!
- La vastità del cielo allo sguardo è contesa,
- Questa brutta montagna più che gli anni ci pesa;
- Qui s’invecchia anzi tempo, se il soave liquore
- Degli affetti non mesci nella coppa d’amore.
- Io son mortale, o figlia, via provvedi a te stessa.
- Iolanda
- (sorridendo)
- Sì, fonderò un convento per farmene badessa.
- Renato
- Tu ridi, folle.
- Iolanda
- Ebbene, veniamo al serio. Anch’io,
- Quando mi trovo sola meco stessa e con Dio,
- Sogno talora i gaudi dell’amore, e mi sento
- Addormentarsi l’anima tutta in un rapimento,
- E fingo che il mio fato conduca un forte e bello
- A superar la fossa del mio patrio castello.
- Lo ascolto in ton sommesso mormorarmi parole
- Più ardenti e più feconde che la luce del sole;
- E lo guardo negli occhi, che divampano fuoco,
- E mi cullo in visioni celesti, e a poco a poco
- Mi risveglio, e le sale del mio patrio castello
- Non suonan mai dei passi di questo forte e bello.
- Renato
- Al marchese d’Andrate opponesti un rifiuto:
- Era un bel maritaggio.
- Iolanda
- Non l’avevo veduto!
- Renato
- Il duca di Rosalba...
- Iolanda
- Oh! Il duca... in fede mia
- E’ sarà stato un forte, padre, ma bello, via!
- Renato
- L’animo generoso ogni bellezza avanza.
- Iolanda
- Sì, ma non veggo l’animo e veggo la sembianza.
- Se io mi fossi quale, voi dite, ch’io non sono,
- Avessi pure il cuore divinamente buono,
- Non troverei nessuno di virtù così sante
- Da sceverar dall’animo la causa del sembiante.
- La bellezza è l’impresa che i nostri sguardi arresta,
- Si cerca poi se al motto corrispondon le gesta.
- Renato
- E vuoi condur la vita in codesta maniera,
- Fra i trapunti ed il fuso, fra l’ago e la scacchiera?
- Iolanda
- Oh! La scacchiera, giusto men fate sovvenire,
- Vi debbo una rivincita.
- Renato
- No, lasciami finire,
- Tanto non ci riesco; con te non sono destro,
- L’allieva ha superato di gran lunga il maestro.
- Tu sei come la rocca di Bard, la non si piglia:
- Aggiungo questa gloria a quelle di famiglia.
- Dunque, il duca di Rosalba?...
- Iolanda
- Ah! Torniamo al soggetto?
- Se mal non mi sovviene, un dì mi avete detto,
- Che m’avreste lasciata assoluta padrona
- Nel dispor del mio cuore e della mia persona.
- Renato
- È vero, e, contro gli usi de’ miei padri, ti voglio
- Signora più assoluta che una regina in soglio.
- So che più d’un mi biasima sommessamente, ed io,
- Che chiamo di mie gesta solo giudice Iddio,
- Pensa che la tua scelta sarebbe arra sicura
- Di nome senza macchia, di cuor senza paura.
- Ma fra tutt’i signori che alle mie corti aduno,
- Io non t’ho fatta libera di non sceglier nessuno.
- Ami forse in secreto?
- Iolanda
- No.
- Renato
- Tel credo; dal cuore
- Altero sulla fronte salirebbe il tuo amore.
- Tu non sapresti infingerti.
- Iolanda
- Voglio farvi contento:
- Sceglietemi uno sposo voi stesso, io v’acconsento.
- La libertà vi rendo che m’avete largita,
- E aspetto la mia sorte.
- Renato
- Grazie, figlia.
- Iolanda
- Ho sentita
- La squilla della torre.
- Renato
- Un Landmanno, venuto
- A rendermi d’omaggio il debito tributo.
- Iolanda
- (dalla finestra)
- Son parecchi cavalli.