XV

../XIV ../XVI IncludiIntestazione 30 aprile 2021 100% Da definire

XIV XVI

[p. 136 modifica]

XV

Il giorno si annunziava. Gli estremi lembi del cielo già s’imbiancavano della luce mattutina, ed Ermanno non aveva ancor trovata mezz’ora di riposo. — Stanco per l’eccessivo pensare durante la notte, e certo che ormai era inutile l’abbandonarsi al sonno, si alzò ponendo mano a vestirsi.

L’aria fresca del mattino, invitava a respirarla, e riflettendo che molto tempo gli rimaneva ancora prima delle cinque, si assise sul balcone contemplando il cielo che pingevasi dei soavi colori dell’aurora.

Oh! quanti saluti, quanti sospiri egli mandò alle leggiadre nuvolette dagli orli dorati che si spiegavano leggiere come velo nello spazio celeste! — Era quella l’ultima volta che egli godrebbe di quel ridente spettacolo; l’alba di quel giorno segnava il tramonto della sua felicità, ed ei voleva impressionarsi di quell’ultimo sorriso di cielo per mai più dimenticare la dolce malinconia di quel placido mattino.

Oh! come dirlo l’addio ch’ei diede al cielo, al sole, all’aura?.... a lei! — Non avvi espressione che valga il silenzio di Ermanno e la mestizia del suo sguardo. — Egli solo, il poeta della musica, avrebbe potuto trarne un’idea cogli accordi del pianoforte; egli che in quel momento aveva l’anima commossa, il cuore oppresso, la fantasia accesa, avrebbe senza dubbio narrato in note lo straziante dolore che lo assaliva a quell’estremo saluto! [p. 137 modifica]

Alle quattro svegliò l’amico dicendogli; «Paolo, sono le quattro, ho ancora un’ora di tempo ed esco per poco; ritornerò a prenderti se verrai ad accompagnarmi.»

Discese nella via, le strade erano quasi deserte. Laura non abitava molto lungi, e quando la casa di lei gli apparve in vista, si accorse che tutti erano ancora al riposo; le finestre ed i balconi stavano chiusi. — Aspettò passeggiando lungo la via; era la mezza dopo le quattro, e nessuno ancora! Ella è restata presa dal sonno, pensava fra sè; e già rammaricava di non poterla più vedere, quando sentì un rumore come di finestre che vengano aperte; si volse e vide affacciarsi al balcone una bianca figura.

Era dessa! — Aveva i capelli spartiti in due lunghe treccie che cadevano giù per le spalle; una vesticciuola candida come neve, ed un fazzoletto di seta rossa, legato bizzarramente al collo.

Era pur bella! Sembrava la personificazione di quel ridente mattino, il fiore che sbuccia ai primi raggi di sole. — Appena i loro sguardi s’incontrarono, ella sorrise come per dirgli: Vedi se son di parola... vedi se ti amo. — Ma tosto quel sorriso si dileguò, e la giovinetta riprese un’aria mesta, espressione di un’affettuoso saluto che costa un palpito al cuore ed una lagrima agli occhi.

Ermanno passeggiò ancora per qualche minuto fintantochè vide apparire sull’angolo della via una vettura di piazza che ad un suo cenno fu dirizzata alla sua volta. — Era tardi. Alzò un’ultimo sguardo, fece un leggiero saluto col capo, indi salì sulla vettura e partì di galoppo.

Finchè fu possibile, egli si rivolse per vederla, e non si potrebbe dire con quanto dolore si allontanasse da quel luogo. — Laura stette al balcone finchè la car[p. 138 modifica]rozza fu in vista, ed allorquando scomparve dagl’occhi suoi, ella rientrò in casa sfogandosi in lagrime..... Povera Laura!

Ermanno ripassò in fretta da Paolo per prendervi la valigia, e trovò l’amico ancora in letto. Non eravi tempo da perdere, lo salutò promettendogli di scrivere appena in Brescia, e risalì sulla vettura che lo attendeva in istrada.

Giunse alla stazione pochi minuti prima della partenza, e prese posto in un vagone. — Poche ore dopo Ermanno discendeva a Brescia.


Ermanno a Laura

«Mia cara Laura

«Egli è vero pur troppo che le ore liete trasvolano rapide come lampo, mentre quelle del dolore passano lentamente trascinando a stento i loro eterni minuti — Quei pochi giorni di mia dimora a Milano mi sembrano un sogno di cui io serbo soavissime rimembranze, un’onda di felicità che passò d’un tratto, e che ora mi lascia in una angoscia senza fine!

«Da tre giorni sono in Brescia e nonpertanto non seppi ancora avvezzarmi alle mie solite abitudini; da tre giorni vivo qui preda d’una tristezza che mi desta lo scoraggiamento della vita. Io l’aveva preveduta questa fase di dolore che mi assalirebbe nel separarmi da te adorata Laura, e chissà quando potrò trovare un po’ di tregua a questa sconfortante mestizia che intristisce tutti gli oggetti che mi circondano.

«Quando ti rivedrò?... Quando mi sarà dato di stringerti la mano, di sentire del tuo labbro quelle parole [p. 139 modifica]che mi scossero tanto dolcemente? — Ah! chissà quanti giorni vedrò nascere e morire colla stessa monotona regolarità prima che io possa rivederti, prima che il suono soave della tua voce risvegli l’anima mia dal suo profondo letargo! Quei pochi giorni di felicità che pareva non dovessero mai più terminare, passarono quasi senza che io me ne accorgessi, e quando giunsi agli estremi istanti, allorchè ero sul punto di partire, trovai che aveva ancora mille e mille cose a dirti.

«Chi mi ritorna quelle ore soavi passate al tuo fianco o Laura?... Io penso fra il gelo della mia solitudine alle dolcezze dei nostri cari colloquj in cui più che il labbro parlavano gli occhi ed il cuore; ed ora più nulla che un doloroso ricordo mi rimane di quella felicità che avrei appena ardito di sognare. Tutto mi sembra visione, e parmi di essere solo ed isolato nel mondo, condannato a vivere per sperare in un’avvenire lontano ed incerto.

«L’avvenire!... E può mai questa parola suonare come una speranza per gli uomini se l’ultimo punto di esso è la morte? Come mai fra un presente infelice ed una morte inevitabile può la mente trovare nella via di mezzo qualche bricciolo di fede che lo attacchi ad una speranza; come si può sognare la felicità quando si è in preda del dolore? — Per me lo confesso, tutto è triste, monotono; dacchè io ti ho lasciata, non ebbi che noie e sconforti — L’anima mia troppo prostrata non sa trovare nelle memorie del passato un riflesso di calma; e sì che fui felicissimo.

«Ti ricordi Laura, di quel giorno in cui abbiamo passato per la prima volta la Romanza? Io non lo dimenticherò mai più, e solo nel ripensare a quei momenti, parmi di essere ancora nella tua cameretta — Oh! quanto è bella! mi ricordo ancora del leggiero [p. 140 modifica]e delicato profumo dei fiori, della mesta luce che penetrava per le cortine; tutto spirava il candore e la purità, e non v’ha oggetto benchè piccolo che non mi sia rimasto impresso — Mi ricordo ancora che noi eravamo soli, io seduto al piano, tu al mio fianco... Ti parlava de’ miei dolori spingendo l’ingratitudine sino al punto di dubitare dell’amor tuo; e tu povero angioletto piangevi, piangevi amaramente! — Oh! perdonami perchè allora io vaneggiava; se non avessi tutta la certezza di essere amato, se la speranza che tu potrai amarmi per l’avvenire non venisse a consolarmi, io sarei ben infelice!

«Ma tu lo dicesti, e le tue lagrime protestarono altamente contro il mio scetticismo; l’aureola di tutta luce che circonda la cara tua persona, disperse le nubi dell’incertezza; ed ora credo e ti amo — Credo perchè ho bisogno di credere, amo perchè sento che la più grave delle sventure non vale il sacrifizio del tuo amore — Sia che vuolsi, io vivrò di esso finchè il tuo cuore risponderà al mio; sarò infelice perchè lontano da te, ma mi verrà di gran conforto il pensiero che in qualunque momento ti ricorderai di me compiangendo la mia sorte!

«Addio sogni di gioventù, chimere della fantasia io vi abbandono per vivere di una memoria: non è forse possibile il trovare delle dolcezze riandando sul passato?... Mi proverò. Il tuo nome o Laura sarà la mia bandiera, e formerà coll’arte la mia fede.

«Prima di proseguire, lascia che io ti dica quanto bene mi abbia arrecato il tuo ultimo saluto nel mattino della mia partenza — Per tutta la notte che lo precedeva non potei chiuder occhio; all’alba ero già vestito, e stava sul balcone di Paolo salutando quel nascente sole al cui tramonto io doveva assistere molto lungi da Milano; la bella e cara città che ospita nel suo seno la mia adorata Laura. [p. 141 modifica]

«A tutta prima avrei creduto che tu malgrado la più gran voglia fossi rimasta addormentata; ti accerto che ciò mi avrebbe afflitto, e sai perchè? Perchè così era provato che l’idea della mia partenza non aveva turbato i tuoi sonni — Ma tu venisti — Oh! come eri bella Laura mia; lascia che lo ripeta, come eri sublime; tu mi apparisti più leggiadra dell’aurora che aveva poco prima salutata! — Quella vesta bianca, quelle treccie bipartite che ornavano il tuo pallido volto, si sono impresse nella mia memoria, ed io non so ricordarmi la tua graziosa figura senza quel modesto abbigliamento.

«Con quale trasporto avrei baciato il lembo della tua veste, e prostrato a’ tuoi piedi mormorarti parole d’amore... ma ciò non era possibile, ed io dovetti appagarmi di vederti. — Quell’estremo addio mandato in silenzio era ben straziante, e la pena che mi piombò nel cuore in quel momento, è indescrivibile.

«Fu quello un punto ben strano per me, giacchè mi trovava sotto la pressione di due grandi ed opposti sentimenti: non saprei dirti quand’è che io sia stato più felice di quanto lo era in quell’istante, come non so immaginarmi in qual ora di mia vita io abbia provato un dolore tanto atroce come quello di separarmi da te così bella, da te che mi salutavi mestamente, senza poterti dire: Addio, senza poter sfogare in parole l’anima mia, e palesarti che al punto di partire io sentiva di amarti immensamente...

«In tanta tenzone di gioia e dolore, nello avvicendarsi ed urtarsi di sì varie emozioni, io non sapeva più a che decidermi; ma intanto io soffriva perchè il dolore preponderava, e ben annunziavalo questo povero cuore che gemeva oppresso. — Mi rimanevano ancora pochi minuti per recarmi alla stazione, e fu forza partire.... abbandonarti. Mi diedi coraggio [p. 142 modifica]concentrando nell’ultimo sguardo tutta la mia tenerezza, e ti salutai con lagrime.

«Quella carrozza colla precipitosa sua corsa ti celò ben tosto a me, ed io non cessai di salutarti finchè l’ultimo punto della tua bianca figura disparve allo sguardo mio. Partii, lasciando teco tutto ciò che è dell’anima, più non ti vidi ma tu sei rimasta qui in questo cuore.

«Arrivai a Brescia, e puoi figurarti come addolorato. Rividi mia madre; la buona donna non mi aspettava così presto, ed allorchè venne ad aprirmi, cadde nelle mie braccia. — Ingrato! Nel mio soggiorno a Milano l’aveva quasi dimenticata; ma io sconterò con tante cure e sollecitudini questa piccola ingratitudine di cui sono a te debitore, mia bella Laura. — Eccomi a Brescia colla persona, ma pur troppo a Milano col cuore che tu m’involasti coll’ultimo tuo sguardo. Abbine cura fanciulla mia, e perdonami tutti i dolori che posso arrecarti con questo forsennato amore.

«E tu che fai! Come vivi, a che pensi?.... Io mi figuro colla massima compiacenza che tu debba essere sempre afflitta, e vedi quanta barbarie, quest’idea mi cagiona uno strano piacere. Oh! quanto sarei lieto che la stessa mia malinconia venisse ad assalirti; te ne faccio augurio di tutto cuore. — Perdonami questo slancio d’egoismo; io sono tale che mal so adattarmi all’allegria, giacchè essa rivela sempre alquanta spensieratezza; un labbro facile al riso non può esser sincero nel parlare d’amore.

«Scrivimi presto per dirmi che la mia partenza ti ha addolorata, che il mio ultimo saluto ti strappò una lagrima di dolore, ed io ne sarò supremamente lieto. — In quei pochi giorni passati fra tante dolcezze sento che l’anima mia ha subita una felice modificazione, ed ora se tu mi vedessi mentre ti scrivo, ho il sorriso [p. 143 modifica]sulle labbra; parmi di parlarti, o meglio che tu sii qui al mio fianco leggendo tutto ciò che mi cade dalla penna.

«Leggi fanciulla, leggi avidamente, e nel disordine di queste idee, in questo miscuglio di tormenti e di gioie, abbi la più certa prova della confusione che mi desta in cuore la sola memoria di te. — Per essere felice non ho che da chiudere la mente alle dubbiezze dell’avvenire e vivere del presente, giorno per giorno, senza spingere lo sguardo al domani; ma pur troppo non sempre so frenare questa miserabile fantasia che è feconda solamente nei presagi di tristezza; — Io non mi ricordo che essa abbia mai saputo concepire un’idea di speranza.... mai!

«Compatisci, Laura mia, a questo difetto che è in me natura, e perdona se per timore di perderti già pavento di averti perduta. — Io farò ogni possibile per renderti meno penoso il gravame di questo cuore malato che tu pietosamente ti assumesti di consolare; il tuo amore è per me onnipossente, e non diffido di poter mercè tua salvarmi.

«Addio, fanciulla adorata, e questo ardente saluto che parte dall’anima possa volando sull’aure giungere a te, e confortarti nella tua mestizia — Scrivimi presto, affinchè se mi e negato di vederti, possa almeno conoscere il tuo pensiero. Non dimenticare giammai che il tuo Ermanno vive qui solo e desolato, che suo unico conforto è la certezza dell’amor tuo, e la speranza di presto rivederti.

«Ermanno»

[p. 144 modifica]

Questa lettera rivela chiaramente lo stato d’animo di Ermanno; il disordine e la confusione delle idee vi appariscono ad ogni tratto. In ogni parte di essa vi regna lo sfasciamento, l’incoerenza, e mal si potrebbe definirne il carattere. Talvolta lo stile è tenero ed appassionato, talor freddo e monotono, e vi sono dei punti in cui vi si scorge una certa ilarità che per poco ancora cadrebbe nel giocoso.

Il senso predominante ma è l’amore il più puro e casto, che sorride e sospira ad un tempo istesso.

Però Ermanno aveva detta parte della verità; ma non ebbe il coraggio di dirla tutta; per un sentimento di generosità che si può facilmente comprendere, egli tacque in quella lettera su certo proposito che maggiormente lo inquietava, volendo nascondere a Laura una profonda ferita riportata a Milano, e palliandola con alcuni lampi di allegria non al certo addicevoli allo stato dell’anima sua.

Allorchè nasce un dubbio, non è sì facile dileguarlo, ed Ermanno che dal suo soggiorno a Milano aveva riportata la fede più sicura dell’amore di Laura, trovò pur colà maggior alimento alle incertezze sull’avvenire. La lettera che segue diretta a Paolo è l’espressione fedele del suo stato; coll’amico ei si mostra più sincero che non coll’amante.


Ermanno a Paolo

«Mio buon amico,

«Più tento di attaccarmi all’albero della vita per raggiungerne la cima, più sento che i miei sforzi per quanto grandi, diventano inutili — Quindici giorni sono, io era tormentato da un’ardente desiderio che [p. 145 modifica]aveva prescritto come meta estrema di tutta la possibile felicità; conseguito quel desiderio, parevami che più nulla mi rimanesse a sperare, perchè tutto avrei ottenuto — Ho realizzato il mio sogno, soddisfeci alla mia brama, e nonpertanto eccomi maggiormente afflitto — A guisa dell’errante pellegrino che erpicandosi faticosamente sulla vetta della montagna, già si rallegra seco stesso pensando al momento in cui ne avrà toccata la punta, io credetti che recandomi a Milano, potrei d’un tratto deporre il fardello delle mie pene... Ma ohimè! Non fu così; il pellegrino giungendo al culmine del monte, scopre altre catene di roccie più erte e malagevoli, ed io di ritorno da Milano, trovai d’aver arricchito di un nuovo aggravio il peso de’ miei dolori.

«Con te, mio buon Paolo, il mio cuore si dilata e lascia scorrere la larga vena delle sue amarezze, con te solo ho il coraggio di confessare l’avvilimento del mio spirito.

«L’eleganza, il lusso e tutto ciò che proviene dalle ricchezze, mi destò sempre se non lo sprezzo almeno l’indifferenza, giammai il fasto impose a’ miei sensi perchè l’anima mia aspirò sempre a qualche cosa di migliore che non sono i proventi di un lauto patrimonio. — Nell’arte mia rinvenni i veri tesori di gioie che scuotono l’anima esaltandola al culto di un bello soprannaturale, non concepibile che negli slanci della fantasia; ma non avrei mai creduto che dall’alto dei miei sogni spingendo lo sguardo a terra, venissi abbagliato dalla luce di un po’ d’oro accumulato.

«Eppure è così, mio buon amico, e con labbro tremante per vergogna ti confesso che il mio spirito rimane soggiogato e riconosce tacitamente la superiorità esercitata dalle ricchezze. — Non ho mai osato di [p. 146 modifica]palesarti a voce questa strana reazione de’ miei sentimenti, perchè mi avviliva il solo pensarvi; ma ora che sono solo, ora che la mia mente si studia sempre di viemmeglio affliggermi, non so più tacerti questa nuova sventura.

«Nel porre il piede per la prima volta nella casa di Laura, io era ben lungi dall’attendermi un colpo di tal natura; ma quando entrai in quelle sale ricche di quanto si possa immaginare, fra quel miscuglio di tappeti, sete, velluti, mobili, dorature e mille altri fregi, perdetti quel sentimento innato di dignità che ci pareggia a chiunque, e pensai essere ben meschina cosa l’elevatezza dell’anima a fronte di tante ricchezze accumulate dalla fortuna.

«Condannami pure, ridi anche se lo potrai, ma io rimasi sorpreso alla vista di quel fasto, rimasi soggiogato; e mi fu forza riconoscere la distanza enorme che mi separa dalla famiglia Ramati.

«Oh mia povera cameretta delizia dei tempi passati, io posi due anni di continue cure per adornarti ed abbellirti, fra le tue mura era felice; ed ora disparve tutto il tuo prestigio! Più ti guardo e più mi sembri squallida. Ove sono le bellezze che io scorgeva altre volte in te? Le tue mura sono aride e disadorne, ed un lembo solo del tappeto che cuopre il pavimento di quelle sale, vale ben più di te e de’ tuoi miseri arredi.

«E dire che qui, in sì meschino tugurio ho ardito di concepire le più strane follie; ho sperato l’amore di una donzella che abita un palazzo, e respira in un’atmosfera di sontuosità, avvezza alla luce dell’oro come io a quella del lumicino che mi rischiara nelle notti di studio. — Oh il pazzo! Ora solamente comprendo tutta l’assurdità delle mie speranze, ma troppo tardi perchè io possa approfittare di un ravvedimento che [p. 147 modifica]mi getta nella più profonda desolazione; troppo tardi perchè il cuore possa gridarmi: ritirati sciocco, e pensa a lavorare per guadagnare il pane a tua madre!... Mia madre, povera e santa donna; se tu sapessi quante cure si prende di me vedendomi sempre sì malinconico. — Pretende che mi consigli col medico, perchè teme che io possa ricadere in quel malore che mi colpì qualche anno fa; ma conosco troppo bene il mio male, e so che la scienza non vi rimedia.

«Malgrado che la stagione sia poco addicevole, passo intiere giornate studiando i capi–lavori dell’arte mia; nella ventura settimana, o tutt’al più fra quindici giorni spero di potermi riposare alquanto evitando la fatica di dar lezioni. Buona parte delle mie allieve sono ite in campagna, le altre non tarderanno molto. — Ebbi incarico da un distinto prelato Bresciano di musicare una messa per funerali; è questo un genere di musica che mi piace sopratutti, e puoi figurartelo ho subito accettato; ma è un lavoro lungo e difficile, e converrà che mi accinga con tutto l’impegno.

«E tu che fai a Milano? Per te che sei di tutt’altro carattere che non del mio, non vi sono nè pene nè dolori, e col tuo formidabile buon umore, puoi distruggere un’esercito di dispiaceri. — Oh quanto t’invidio, e come di buon grado mi farei potendolo seguace dei tuoi principii!

«Taluni tenderebbero a credere che la malinconia sia un’affettazione... no mio caro Paolo; sonvi proprio degli sciagurati, ed io fra quelli, che non sanno mai appagarsi di nulla nè v’ha cosa che ecciti la loro allegria. Te beato le mille volte che sei in Milano e puoi vedere la mia Laura ad ogni giorno!

«Ieri le scrissi una lunga lettera, tuttavia ti prego di salutarla tanto e poi tanto per me; non prenderti soggezioni giacchè ella non ignora che tu sei al fatto [p. 148 modifica]di tutto; sollecitala per quanto puoi a scrivermi che ho gran bisogno di una sua lettera in questi giorni di tristezza. Ricordati della copia del suo ritratto che mi promettesti. L’attendo ansiosamente; e quando mi sarà dato d’averla, non mi sembrerà più d’esser solo, perchè fissando quella tela, potrò colla mente far rivivere le sembianze di lei, ed in esse consolarmi alquanto. — Se egli è destino che un giorno io debba rinunziare al suo amore, mi sarà caro di poter talvolta mirare l’immagine di colei che prima e sola fece battere questo cuore.

«Ti prego inoltre di renderti interprete per me presso i genitori di Laura, ringraziandoli per le tante premure e cortesie usatemi; e tu mio carissimo abbiti una stretta di mano dal tuo

Ermanno


Paolo ad Ermanno

«Se la mia penna fosse abile quanto la tua, se io sapessi dirti in parole tutto ciò che mi destò nell’animo la tua lettera, ne avresti una di quelle epistole formidabili al cui confronto le prediche del reverendissimo Fra Paolo Segneri starebbero come Giotto a Raffaello; ma siccome, veh! come sei fortunato, per scrivere qualche pagina di roba, ho duopo di spremere e torturare il mio povero ingegno, evito un prolegomeno troppo fastidioso, e passo subito in materia.

«Da quanto ho potuto finora osservare nel poco tempo che mi trascino in questa Valle di lacrime che si chiama mondo, parmi di aver scoperto le tracce di un fenomeno psicologico molto curioso. Vi sono di [p. 149 modifica]quei cotali a cui un filo d’erba sembra una trave, e scambiano un mucchio di terra per una montagna; fanatici, provani, che vedono nero in pieno sole, intolleranti ad ogni dolore, impazienti ad ogni fastidio, e debolissimi di spirito, si adombrano per nonnulla, si esaltano per un’inezia; e creano nei voli lirici della loro fantasia tutta quella congerie di spettri che turbano i sonni, e scoprono precipizi fra i ciottoli delle vie.

«Si direbbe che costoro guatano il mondo traverso ad una lente che ingrandisce a dismisura le cose più piccole; e non mi stupirei per niente se scambiassero la marmitta che scalda al fuoco per Sodoma e Gomorra divorate dalle fiamme. Non v’ha pena per quanto lieve che essi non la caratterizzino fra le orribili, e per la puntura d’una zanzára, sarebbero capaci di rinnovare le lamentazioni del fatidico Geremia.

«Uno sprizzo di sangue è per essi un torrente senza fine, l’incostanza di una pettegola, un’infamia, un’abbominio; il sorriso di una donna un raggio di sole, e Dio sa se un giorno o l’altro non mi diranno che le lucciole sono aquile di Giove colle loro saette.

«Oh! anime disgraziate, toglietevi gli occhiali che v’ingannano la vista, se non volete che si dica di voi come del bue che si aggioga facilmente per ciò solo che vede grosso. Toglietevi gli occhiali, e guardate mo’ se il mondo è tanto brutto quanto ve lo pinge la vostra malata immaginazione. Risparmierete così la fatica di un compianto inutile sui destini dell’uomo nato per tutt’altro che per crucciarsi di tutte le inezie che gli traversano la via!

«Tu mio buon Ermanno hai la disgrazia di appartenere a quella schiera di predestinati; tu pure negli slanci d’un febbrile esaltamento studiando la vita traverso a quella malaugurata lente, trovi che tutte le sciagure, tutti gl’infortuni sono a te solo riserbati, [p. 150 modifica]e spingi l’errore al punto da invidiare financo quei tapinelli a cui natura più benigna alquanto concesse un bricciolo di senno per distinguere il reale dall’immaginario.

«Se la ragione si potesse trangugiare come un farmaco dello speziale, te ne consiglierei l’uso di buona dose; ma pur troppo non avviene dello spirito come del corpo che si può curare colle risorse della medicina! Però lascia che te l’ dica questa tua smania di esagerare trasmoda in eccessiva. Mio Dio, io non so vedere tutto il male che tu scorgi in questo amore, e se tutti dovessero crucciarsi tanto per simili cose, il mondo risuonerebbe ovunque di lamenti, pianti ed alti lai; e perchè poi?.... In fondo a tutte queste peripezie, non vi si trova altro che la cenere di un po’ di paglia bruciata rapidamente.

«Bada che ti parlo da vero amico, perchè m’interesso vivamente delle cose tue: sii più ragionevole, e non pensar troppo profondamente su ciò che potrà accadere; sii filosofo, e prendi il bene ove lo trovi, senza curarti d’altro. — Hai per le mani un romanzetto patetico, interessante, e tu sciagurato già ne predici una spaventevole catastrofe. — A tuo modo mio caro distruggi tutto il prestigio di questo dolce idillio del tuo cuore; già si sa, tutto finisce al mondo, ma se l’uomo dovesse affliggersi pensando che dopo pranzato perderà l’appetito, che dopo dormito non avrà più sonno, la sarebbe ben grossa: tal succede di te, non hai ancora colta la rosa, e già pensi che domani sarà appassita; ma allora mio caro rifletti che tu pure un giorno o l’altro morrai, e così sarà finita.

«In quanto poi alle tue idee sulla mia felicità, lascia che io ti disinganni alquanto, ed a quel che sembra tu guardi colla stessa lente tanto il bene quanto il male; non mi stupisco dunque se tu trovi in me [p. 151 modifica]alcunchè da muoverti invidia; accade di noi che ci crucciamo poco dei nostri affari come degli infermieri i quali a motivo della loro salute sono costretti al penoso incarico di vigilare sugli ammalati.

«Conti tu per nulla il servizio di moccolino che vado facendo da qualche giorno a questa parte? Se tu mi vedessi in certe occasioni non sono più riconoscibile. — Laura sempre desolata per la tua partenza mi mette a parte di tutte le sue pene, mi confida tutti i suoi dolori, ed io la consolo per quanto posso offrendomi per avallo e garanzia sul conto tuo. — Il da fare che ebbi nei giorni passati mi merita un diploma di Confratello della benemerita Compagnia di Misericordia, e per quanto tu faccia, non potrai restituirmi tutta quella riconoscenza che ho diritto di pretendere per servigi prestati.

«Oltre a ciò aggiungi le piaghe tue che io debbo medicare con cataplasmi e cerotti, e Dio sa con qual frutto! rispondere alle tue lettere che mettono i brividi al solo leggerle, e curare certe malattie di cuore, che non entrano per nulla nel mio comprendonio. — Dà retta a me, e sii più assennato nel giudicar le cose; tutti, qual più, qual meno abbiamo i nostri piccoli fastidii, e bisogna saper tollerare alquanto.

«Io spero che attorno a questa buona lavata di testa, non avrò sciupato ranno e sapone, e che saprai compatire se la mia amicizia, trasmoda forse in rigore; ma voi altri poeti siete come i cavalli capricciosi; più si rallenta loro il morso, e più essi si danno a precipitosa corsa, mentre basterebbe una buona stretta ai fianchi per calmarli. — Se io ti lasciassi sempre dire a tuo modo, proseguendo in questa via esaltata, finiresti poi per crederti davvero un gran martire, ed allora daresti nelle smanie prorompendo in parolone contro la vita, le sue lusinghe, ed i suoi disinganni; [p. 152 modifica]come quei tali che si vedono tuttodì passeggiare per le vie con tanto d’occhialetto e di cravatta, allegri, vivaci che è un piacere il vederli, che hanno poi il coraggio scrivendo ad una qualche signora del bon ton di parlar di torture, di morte; e taluni anzi spingono la cosa al punto da paragonar la loro vita alla passione del Nazareno, e la via dal caffè al teatro allo scosceso calle del Golgota.

«Di tali esaltazioni sono pieni i romanzi, ma pur troppo nella vita reale il tedio dei bisogni materiali scema per gran parte il volo della fantasia, e ne rallenta il corso; ed io compiango di tutto cuore quegli sventurati che colpiti da una specie di mania si abbandonano preda delle idee formando di esse la parte essenziale dell’esistenza. — Accusami pure, se il credi, di materialismo e pessimismo; ma che vuoi? la Teoria delle Anime, non entra nelle mie competenze.

«Nel mondo fisico vi sono troppe realtà, nel morale troppe illusioni, perchè io debba esitare nella scelta; ed è perciò che una donna, non sarà mai altro per me che una donna, e non mi viene certamente il ticchio di concentrarvi in essa tutte le mie aspirazioni.

«È però ben strana la potenza di questo vostro cuore, o visionarii, che s’immischia in tutte le cose vostre; per me ti assicuro che il mio anche funzionando regolarmente, se ne sta ozioso e polveroso in un angolo dello stomaco, e davvero non ho nessun lagno da fare sul suo conto. Il tuo invece mio caro Ermanno, è un repubblicano sfegatato, non quieta mai, e ad ogni momento ti scivola sulle labbra. Il cuore e la ragione formano in te due partiti ribelli come i Guelfi e Ghibellini, e finchè non verranno fra loro d’accordo, prevedo che il regno del tuo spirito, non avrà mai pace. — Impegnati per quanto puoi in queste trattative di riconciliazione, del resto a te [p. 153 modifica]toccherà la peggio. L’odio delle fazioni, è la rovina di un paese; procura dunque di porre sulla buona via il cuore e la ragione, ed allora soltanto sarai tranquillo.

«In altri tempi, forse, erano d’uso certe abitudini poco lodevoli. Nella dubbiezza delle intelligenze non del tutto incivilite, accadeva talvolta che fra le moltitudini, qualcuno emergesse per una stranezza sua particolare; la storia ci tramanda i nomi di una quantità di donne, che dedite al culto d’amore, fecero ad esso i più grandi sacrifizii. — Era consuetudine nei paladini del Medio Evo, il farsi ammazzare per gli occhi della loro bella; ma per buona sorte ai tempi che corrono, si ha ben altro a pensare. Il progresso colle sue emanazioni invade la mente degli uomini preoccupandoli di mille e mille cose, per cui ben poco tempo si avanza da sciupare dietro al carro di Cupido; e tu potresti percorrere in lungo e in largo tutta la superficie del globo, senza trovarvi più nè una Penelope, nè una Lucrezia, nè una Didone, nè una Saffo. — Il salto di Leucade, ora lo fanno i banchieri falliti, e gli inglesi affetti di spléen acutissimo. — Persuaditi infine, che Werter e Jacopo Ortis altro non sono che caricature sbagliate di un’alienazione mentale.

«Se tu fossi con me qui a Milano in questa graziosa città emancipata da ogni pregiudizio, vorrei in breve convertirti e rimetterti a dovere quella parte di cervello che ti scappò fuor de’ gangheri.

«Ma tu sei lungi, ed altro non mi è dato che sovvenirti di buoni consigli, i quali se a nulla ti giovano, tolgono per altro a me ogni rimorso inquantochè in questi momenti, ebbi il coraggio di dirti la verità schietta e netta.

«Ho finito quasi il ritratto di Laura, e presto te [p. 154 modifica]ne manderò copia. — Sentii con vera soddisfazione l’incarico che avesti per un lavoro di tutto impegno; spero che nelle ore di tue occupazioni tu potrai ritornar padrone assoluto della tua mente. L’arte è una grande egoista, e confido che essa potrà, se non guarire, almeno modificare la tua infiammazione di sentimentalismo.

«Te ne faccio augurio di tutto cuore.

Paolo


Laura ad Ermanno.

«Amico mio. — Mio caro Ermanno! e non sarà mai che io veda distolta dall’anima tua quella tristezza crudele che avvizzisce le gioie del nostro amore? Il cielo sì prodigo a me di conforti, ti è tanto avaro da non concederti mai un’istante di calma.... non è dunque vero che un’affetto profondo abbellisce l’esistenza anche allora che si è lungi da chi si ama, se tu soffri cotanto lontano da me?.... La tua lettera fu uno strazio per il mio cuore, e su quelle pagine improntate d’amarezza, ho versate molte lagrime. — Oh! quante volte l’ho letta e riletta; fermandomi sopra ogni frase, studiandone ogni accento, cercava di trasfondere nell’anima mia un riflesso delle tue pene; con ciò mi pareva di alleviare il tuo travaglio.

«Perchè mai, mio buon Ermanno, non puoi tu essere felice quanto io la sono. La certezza, del tuo amore paralizza in me ogni altro pensiero, e non vivo, non respiro che della tua memoria. Guardo ed accarezzo con estrema compiacenza tutto ciò che hai tocco colle tue mani, nella mia stanza serbo gelosamente il tuo bastoncino di giunco che nascosi a tua insaputa; tutto mi parla di te, e sembrami talora di vederti là sulla poltrona ove eri solito a sedere mentre [p. 155 modifica]io in piedi a te d’accanto, ti contemplava collo sguardo, ed ammirava col cuore....

«Là tu mi sorridevi stendendomi la mano che io premeva fra le mie senza trovare una parola che ti dicesse tutta la mia gioia, tutto l’amor mio. — Oh! pensa Ermanno, pensa come me a quegli istanti passati così rapidamente, e dimmi se non ti senti nell’anima un sussulto di felicità pari alla mia.

«Non dubitare di me, mio caro, non reputarmi tanto leggera da credere che al primo volger di vento io possa menomamente obliarti. Chi ti conosce come io ti conosco, non potrà a meno di amarti, e per sempre. — Feci più volte l’esame della mia coscienza, ed alla notte quando l’immagine di te viene a carezzarmi la mente, penso a’ tuoi dubbi sulla mia costanza, e ponendomi la mano sul cuore come per interrogarlo sulla durata del mio affetto, egli mi risponde palpitando: Sempre. Sì mio amato, sempre, nè accadrà mai che per un solo istante io possa dimenticare che tu sei per me la persona più cara di questo mondo.

«Ed è vero che vi siano donne capaci di mutar sentimenti ad ogni tratto?.... Non lo credere, è una calunnia: le donne che tradiscono la fede non possono amare. — Io guardo il cielo, il sole, le stelle, e dovunque incontro il tuo mesto sorriso; ogni alitar del vento, ogni folata dell’aria, mi porta all’orecchio il tuo nome.

«Talora passeggiando in giardino, vedo un fiore che si dondola leggermente agitato dallo zeffiro; lo guardo, lo fisso, e sembra ch’ei m’inviti a coglierlo dicendomi: vieni Laura, vieni a recidermi per lui, ed allora corro, schianto il fiore, e lo bacio. — Tuttociò che faccio e dico, parmi che sia a te diretto; alla sera prima di mettermi al riposo, mi aggiusto i capelli senza saperne il perchè, mi alzo alla mattina ed indosso quella veste bianca che ti piace tanto. [p. 156 modifica]

«Non sai tu che facesti di me una gran vanerella? Figurati che tormento di continuo lo specchio per vedere se sono tale da poter realmente piacerti; non sempre rimango contenta dell’esame, e vorrei persuadermi d’esser proprio tale da farmi amare sempre più dal mio adorato Ermanno.

«Come ci trasforma l’amore! Non mi riconosco più, e parmi di mutar carattere ogni giorno. Se tu sapessi quanto buona sono diventata da che ti amo! Le cose più piccole m’interessano vivamente, e talora sono trascinata a certe idee, che sembrano follie. — Ieri per esempio, mentre metteva il solito zuccaro nella gabbiuola del mio cardellino, mi venne un triste pensiero che quasi quasi mi forzava al pianto.

«Ho pensato fra me che quella povera bestiolina tenuta prigioniera poteva avere la sua famiglia altrove, e che in cuor suo dovesse dolersi amaramente di me che lo privai della libertà per mio diletto. Pensai che quella povera creaturina dovesse soffrire e piangere perchè separato e lontano da’ suoi piccini, e mi pareva che fissando in me i suoi occhietti mi dicesse: Madamigella, mi lasci in libertà, mi lasci volare al mio nido; ho dei piccini da nutrire, una compagna fedele che mi aspetta, che mi ama e piange la mia perdita....

«Mi venne voglia di fare la sua felicità, parevami che tu fossi dietro di me a mormorarmi: lascialo fuggire, lascia che scorrendo le libere aure del cielo ei possa raggiungere colei che lo attende tanto ansiosamente.... lascialo per amor nostro! — Aprii la gabbia e mi staccai d’un passo per osservare.

«Il cardellino sulle prime non si accorse di aver la prigione aperta; quando se ne avvide, discese con tanta precauzione, lento lento come se fosse colto dallo stupore.... salì sullo sportellino, guardò parecchie [p. 157 modifica]volte all’intorno come se cercasse di persuadersi della realtà; volgendo la sua graziosa testolina verso di me stette a fissarmi alquanto, mandò un leggiero gorgheggio, battè le ali, e via di volo nel libero cielo.

«In un baleno egli scomparve dagli occhi miei, ma io stetti lungamente rivolta a quella parte donde era sparito, e quando rinvenni in me, mi accorsi di avere gli occhi umidi di pianto. — Or non è più quella cara bestiolina che mi rallegrava co’ suoi melodiosi gorgheggi, non sarà più necessario che io sciolga fra le erbe del mio giardino quei fuscellini a lui sì graditi; il piccolo prigioniero non è più, partì salutandomi e dimenticando persino lo zuccaro di cui era sì ghiotto.

«Non ho agito bene, mio Ermanno? Perchè fare l’infelicità di cotesti esseri per soddisfare un semplice capriccio? io vorrei poter beneficare tutto il mondo, e ciò perchè ti amo tanto, e penso che tutto quello che faccio possa meritarmi sempre più il tuo affetto.

«Ho tanti saluti da porgerti per la signora Salviani. Ieri fummo a trovarla, ed in confidenza, se io non fossi più che certa dell’amor tuo diverrei gelosa per gli elogi che essa ti fece. — Ricordati che ti aspettiamo in campagna, verrai bene a passare qualche giorno alla mia villa? La mamma incaricò il signor Paolo di rinnovartene invito, e conta su te. Partiremo alla fine del mese, vale a dire fra qualche giorno.

«Non vedo l’ora di abbandonare questa nojosa Milano per recarmi in campagna. Sono certa che colà passerò vita felice, perchè fra quella solitudine beata, mi sarà dato di pensare sempre a te, mio caro Ermanno.

«Scrivimi subito per dirmi quando verrai a trovarmi; noi ci fermeremo sin verso la fine di ottobre. Anche il signor Paolo sarà dei nostri; che bravo [p. 158 modifica]giovinotto! io lo amo come un fratello, è tanto compiacente, tanto caro! Figurati che viene quasi tutti i giorni a trovarci. Il mio ritratto è finito, per quello di papà abbiamo deciso di aspettare. — Io so che il signor Paolo, farà due copie del mio; una per te. Egli me lo ha detto, egli che con una delicatezza veramente squisita, mi parla sempre di cose che mi danno gran piacere.

«Quando mi ricordo del giorno della tua partenza, mi viene ancora un sospiro. — Figurati che in tutta la notte precedente non mi fu dato di dormire un’ora. Parevami ad ogni tratto che spuntasse l’alba, e per accertarmene scendeva dal letto onde scrutare il cielo, ma desso era ancora coperto di stelle. — L’ultima volta che mi destai, la mia camera era tutta inondata della luce del mattino; temetti che fosse tardi, e mi vestii in fretta per venirti a dare l’ultimo saluto.

«Credo al tuo dolore nell’abbandonarmi, perchè il mio era pur grande; e non v’ha parola che possa dirti tutto quello che mi veniva alla mente. — Oh quanto ho desiderato di stringerti la mano! Potendolo avrei avuto il coraggio di scendere nella via, giacchè non sapeva più reggere all’affanno; in quel momento dolce e terribile sentii quanto grande fosse l’amor mio, e se tu mi avessi letto in cuore, mai più ti verrebbe il minimo dubbio sulla mia costanza. — Nell’atto che tu salisti in carrozza, poco mancò che non mi sfogassi in dirotto pianto, ma mi feci forza, e cercai un sorriso per rivolgere a te mio povero amico; un falso sorriso che ti consolasse alquanto. Partisti, la carrozza si allontanò rapidamente, ed il fragore delle ruote mi piombò amaro nell’anima. Un minuto dopo tu non eri più in vista, ed angosciata, oppressa, mi ritirai nella mia camera per lasciar libero sfogo al pianto che mi soffocava. [p. 159 modifica]

«Oh! Ermanno, cattivo amico; dopo tutto ciò, potrai ancora dubitare di me, potrai tu credere che io debba dimenticare quel dolore che nella stessa sua intensità serbava alcunchè di soave al punto, che desidero talvolta di piangere come allora? Non ci voleva meno di una tua lettera per calmarmi, e Dio sa quanto ansiosamente l’attendeva; ti seguii col pensiero durante il viaggio, ti accompagnai a casa tua ove credetti che appena giunto tu mi avresti subito scritto. Ma non fu così, perchè il domani tanto desiderato mi portò nessuna novella. Nelle ore che per solito mi giungono le lettere, io era tutta sconvolta, ed appena sentiva suonare alla porta, correva io stessa ad aprire... ma nulla, nulla affatto! — Quando mi pervenne finalmente la tua carissima lettera, poco mancò che non venissi meno per la gioia.

«Perchè non sei tu qui, mio Ermanno per comprendere ciò che non so dirti con parole!.... Perchè non sei qui vicino a me a vedere le mie lagrime che sono emanazioni di pensieri che non posso esprimere, ma che sento nascere dal cuore ed attraversarmi la mente come lampi di fuoco. — Ah! è vero pur troppo che io sono una bambina, se non so tradurre su questa carta una sola di quelle emozioni che si agitano nell’anima mia per farti credere che per tutta la vita io non potrò mai altro che amarti, e sempre amarti.

«Che io non le senta più quelle tue parole di desolazione che mi straziano; se tu sapessi quanto male esse mi fanno, ne saresti assai più avaro. — Deh! fa che non sia troppo lontano il giorno in cui noi ci rivedremo: ricordati che la tua Laura ti aspetta ansiosamente per piangere sul tuo seno e dirti con quelle lagrime tutto l’amore che ti porta.

«Vieni, vieni presto

Laura».

[p. 160 modifica]


Ermanno a Paolo.

26 Luglio

«Mio caro, io debbo prima di tutto ringraziarti per i tuoi buoni consigli che vorrei poter accettare se entrassero nel mio modo di vedere. — I tuoi sforzi però, ottimo amico, sono come quelli del medico che cerca di combattere un male sconosciuto. Ciò nonpertanto non deve scemare a me la riconoscenza; ora però sono in condizione da abbisognare più dell’opera tua che de’ tuoi consigli. Ti prego di ringraziare Laura per la sua carissima lettera, e dille che le sue parole mi fecero un gran bene.

«Il conte S.... uno de’ miei più affezionati protettori, vuole ad ogni costo che mi ritiri per qualche tempo nella sua villa onde lavorare attorno alla Messa Funebre. — Ciò mi torna molto giovevole, perchè come sai in campagna si è assai più concentrati; mia madre verrà con me, e ci fermeremo colà finchè avrò terminato il mio lavoro.

«Esitai molto prima di accettare, ma il conte mi sollecitò con tanta premura, che infine dovetti accondiscendere. — Tu conosci quel brav’uomo, e sai quanto mi ami, l’interesse e le cure che ei si prende a mio riguardo sono tali che per quanto io faccia, non potrò mai sdebitarmene. — Partirò dopo domani, e ti prego di notificarlo a Laura. Dimmi pure quand’è che la famiglia Ramati lascierà Milano per recarsi in villa, e mandamene l’indirizzo affinchè io possa sapere ove dirigere le mie lettere.

«Attendo sempre quel ritratto. — Ti scriverò poi più a lungo; per ora una stretta di mano, e credimi tuo

Ermanno».

[p. 161 modifica]


Ermanno a Laura.

12 Agosto

«Sono le quattro del mattino. — Il cielo è serenissimo, azzurro e limpido come immenso oceano, e dalla finestra ove ti scrivo abbraccio collo sguardo il grandioso panorama di uno dei più ridevoli paesaggi. — Dall’alto di questo colle sulla cui vetta sorge la villa che mi ospita, vedo sotto di me un lago tranquillo che giace fra i colli verdeggianti, terso e trasparente come puro cristallo, increspato appena dalla brezza mattutina. — Spingendo più oltre lo sguardo, veggo spiegarsi una bella corona di graziose colline fresche e ridenti, popolate di case e paeselli che spiccano come rose sopra un tappeto verde e cupo. Più in là chiudono l’orizzonte le cime delle Alpi illuminate con tinte d’oro dal nascente sole, e fra quei dirupi io discerno ancora qualche striscia di neve che perdura ostinata malgrado i calori della stagione. Al di là del lago sorpassando i colli ed i monti ritrovo gli estremi lembi del cielo sfumati a mille colori che si perdono nella nebbia dell’infinito.

«Rivolgendo lo sguardo ad occidente, vedo un caos interminato di pianure e colli che si alternano bizzarramente, confondendosi in lontananza coll’orizzonte; il sole che s’innalza lentamente, spande i suoi raggi luminosi su quella striscia di terra, che irrorata dalle rugiade della notte, si presenta come un’immenso piano lucente di mille colori a guisa di un vasto campo di perle.

«Le gemme della natura, sono ben più modeste e più belle di quelle che sortono lavorate dalle officine; [p. 162 modifica]bastano un raggio di sole ed una goccia d’acqua per formare i più brillanti rubini.

«Oltre al limite che l’imperfezione dello sguardo non può varcare, oltre alle sfumature dell’orizzonte, havvi una terra benedetta come questa dal sorriso della natura; dessa è la Brianza, ed io senza poterla scorgere mi figuro di vederla segnata nei confini del cielo come un punto quasi impercettibile, mi figuro che appena al di là di quel velo sottile ed impenetrabile che mi sbarra la via dello sguardo, debba trovarsi quell’Eden delizioso che non ha nulla da invidiare a tutto quanto mi sta innanzi. — A quel punto immaginario, sono costantemente rivolti i miei sguardi, se potessi raggiungerlo lo farei con tutta l’anima; ma pur troppo malgrado i miei ardenti desiderii, quel punto vagheggiato, serba la sua desolante distanza.

«Io non so se tu mia Laura mi abbia già compreso. Non è la Brianza per sè stessa che mi attiri tanto ardentemente, ma sei tu fanciulla mia, tu mia Laura che soggiorni in cotesti luoghi; tu che io cerco col pensiero fra i ridenti colli e le balsamiche aurette. — Ti cerco in quel punto lontano che brilla come un faro luminoso.... La tratta non è lunga, io penso che una rondinella, un passero, una mosca potrebbero in brev’ora trasvolare su quel tratto di spazio che mi allontana da te, e raggiungerti; ed io che agisco sotto l’impulso di un’intelligenza, io che ho il coraggio di concepire i più strani desideri, non ho la forza di conseguirne un solo.

«Egli è ben meschina creatura l’uomo! Fu detto che volere è potere, ma se ciò fosse, a quest’ora non sarei qui ma in Brianza nel tuo colle, nel tuo giardino, a’ tuoi piedi per dirti che ti amo tanto!.... Ma ohimè pur troppo quell’ardito aforisma chiude nel [p. 163 modifica]suo concetto un’idea inconseguibile, ed altro non posso che mandarti un saluto da lungi.

«Da quindici giorni, mi trovo qui fra queste allegre collinette con un cielo calmo e delizioso, un’aura soave come carezza di piuma; e sento che il mio spirito abbattuto si rialza, che l’anima mia penetrata dallo sconforto, riprende la via di una fede sublime.

«Tutto qui è placido, affettuoso, tutto ha l’impronta di un ingenuo sorriso, tutto sembra armonico, ed il sibilo dell’aria che striscia fra i fogliami dei vigneti, racchiude in sè le modulazioni di un canto pastorale che mi commuove le più recondite fibre del cuore. In questi pochi giorni ho tanto bene dimenticato il mondo, che mi ricordo solamente di quelli che amo.

«Io non so dirti, mia Laura, quale soave mestizia trasfonda in me questo patetico soggiorno, ma egli è certo che qui mi trovo cambiato, e solo fra il riposo di una sì placida esistenza posso concepire una felicità possibile all’uomo che sa contentarsi delle scarse gioie che presenta la vita.

«Oh quante belle speranze mi si ridestano in seno fra le mollezze di questa dolce solitudine, quanti bei sogni!.... Ma non senza dolore mi accorgo che anch’essi sono baleni di luce artificiale che spariranno colla mia partenza da questi luoghi. — Ho lavorato molto, ma più di tutto ho pensato a te mia bella Laura, alle gioie del nostro amore, e stamane non seppi resistere al desiderio di mandarti un saluto dall’alto di questi colli.

«Addio dunque, fanciulla mia, in queste parole si comprendono un’infinità di dolcezze che io stesso non so dirti. Addio, possa questo mio saluto trascorrendo il tratto di cielo che mi separa da te, giungerti nell’istante del tuo risveglio, sicchè il primo pensiero [p. 164 modifica]ed il primo sospiro che ti partono dal cuore siano per il tuo

Ermanno».


Ermanno a Laura.

18 Agosto

«Grazie, mille volte grazie, la tua cara lettera fece completa la mia felicità; io non so dirti quante volte l’abbia letta e riletta, ed ancora mentre ti scrivo, tengo spiegato innanzi a me quel piccolo foglio di carta, che mi fece tanto bene. — Le rugiade della sera, il sole del mattino non sono sì benefichi al fiore come lo furono per l’anima mia le tue dolci espressioni che mi rimasero impresse nella mente a caratteri indelebili. — Dunque mia cara Laura, tu pensi sempre al tuo povero Ermanno? tu mi ami sempre come prima, e lascia che prostrato a te dinnanzi, angelo mio, io te ne renda grazie, lasciami dire che le tue care parole operarono in me la più santa delle rigenerazioni.

«Oh! io non so descrivere la mia felicità, ma tu devi comprenderla; fra i nostri cuori esiste una tal relazione, per cui si svela ogni mistero dei nostri affetti, direi quasi che tutto ciò che mi hai scritto, io l’ho già ascoltato altre volte dal tuo labbro. Dove.... quando? Non lo so. — Forse i nostri pensieri sprigionandosi dall’angusta cerchia in cui sono costretti, per librarsi ai voli dell’infinito, si incontrano talora per via, si confondono scambiandosi il loro secreto. Le tue idee sono allora le mie, ed unificati mercè di questa corrente misteriosa, ci parliamo spesso quel linguaggio che va diritto al cuore, agitandolo dolcemente.

«Tutto ciò è follia m’avveggo, le mie parole sanno [p. 165 modifica]di eccessivo romanticismo, ma io non ho nessuna colpa, o mia Laura, se tutte le volte che penso a te, m’inebbria un profumo tale di poesia, che mi trae fuori della realtà. — Io non ho nessuna colpa, se ovunque nel cielo, nel lago, nei colli, nei fiori, ed in tutta natura veggo la mia Laura.

«Spesso m’assale una vaga inquietudine, una stanchezza morale che mi opprime e sconforta; anche la natura nel suo grandioso assieme, inspira talora la malinconia più desolante. — Nel contemplare quest’immenso tratto di colli, valli, e pianure che si spiegano agli occhi miei, penso fra me stesso che questo soggiorno può essere un cielo di delizie per coloro ai quali arride la felicità; alla vista di tanta maravigliosa creazione assorta nel riposo, vergine da ogni corruttela del mondo, il cuore si dilata, e pregusta le gioie di una fortunata calma.

«Io pure cerco d’inebbriarmi nell’abbracciare avidamente questo immenso giardino che perdesi lontanamente in un roseo orizzonte, mi trasporto col pensiero su pei ciglioni delle Alpi, ed allorchè il giorno sta sul cadere, allorchè la natura, tutta s’imbruna dei morenti colori del tramonto, e la brezza vespertina mi aleggia in viso, fissando lo sguardo sul tranquillo specchio del lago solcato in lontananza da una barca che si discerne appena per un punto nero ed una lunga striscia sull’onda, mi figuro che quella navicella sia l’imagine della speranza. — Costringo l’occhio a seguirla finchè il punto nero rimpicciolendosi sempre più perdesi in una vaga sfumatura, e quando tutto è scomparso, me ne resto immobile, fisso a quella volta. — Le tenebre della notte, celano il punto delle mie illusioni, e sospirando ritraggo lo sguardo.

«Tal è la vita mia buona Laura. — Una memoria, una speranza e un punto. — Jeri nel silenzio della [p. 166 modifica]notte allorchè tutto era tranquillamente sepolto nelle tenebre, mi affacciai alla finestra; il cielo era bruno e tempestato di stelle, la luna era nel suo primo quarto, e già tendeva a celarsi, dietro le Alpi. Ecco un’altra immagine della fugacità della vita, pensai fra me, e fissando lo sguardo su quell’arco lucente e sottile come lama di pugnale, stetti contemplandolo finchè lo vidi scomparire, e quando l’estrema punta fece capolino dalla vetta del monte, la salutai sospirando! — Non vi rimase che un’aureola di luce biancastra, che lentamente andava dileguandosi; indi a poco, più nulla, oscurità completa....

«La notte regnava tranquilla, il lugubre silenzio, era rotto solamente dai monotoni strilli delle cicale; queste allegre colline verdi e fiorite apparivano come un’ammasso di ombre cupe, ed il lago riflettendo i pochi raggi luminosi sparsi nell’aria, sembrava simile a vasta palude, ornata d’una corona di tenebre. — Oh quante volte cercai nello straziante spettacolo della notte per trovarvi il secreto dell’esistenza! La natura muore tutti i giorni, l’estremo saluto del sole che si spegne, non precede di molto il sorriso del sole che rinasce, ma l’uomo non gode di quest’alternativa regolare di luce e tenebre; pur troppo nella vita, al dolore sussegue spesso lo sconforto, allo sconforto la desolazione, senza che mai l’alba di una speranza, apparisca anco da lontano!.... Ma io vaneggio, e tu mia Laura, puoi con tutte le ragioni, tacciarmi di oscuro ed ipocondriaco. Tu sei appena sull’aurora della vita, ed io crudele cerco di sconfortarti colla pittura del tramonto.

«Perdonami sai fanciulla mia, perdona a questo povero pazzo che si trascina per un mare di deliri. È tanto strano ciò che succede in me da rendermi incerto sulla realtà del mio stato. Parmi di esser felice, [p. 167 modifica]e di non esserlo, nè so spiegare come ciò avvenga; ma già la colpa è tutta tua se questo cervello si esalta.

«Le ombre della sera che si avanzano, m’impediscono di più oltre estendermi; ho promesso meco stesso di dirti tuttociò che mi passerebbe per la mente prima che sopraggiungesse la notte, ed ecco adempita la mia promessa; ci vedo appena, e non mi rimane che il tempo di farti un saluto.

«Addio, mia Laura, scrivimi presto, dimmi tante cose, ma sopratutto ripetimi che mi ami. Il pianoforte è a pochi passi da me.... vado a mandarti un saluto melodico suonando quel Notturno che ti piace tanto «Al chiaro di luna».

«Addio, adorata

Ermanno».


Laura ad Ermanno.

29 Agosto.

«Mancando da alcuni giorni di tue novelle, io era assai inquieta, tanto più che non ebbi ancora risposta all’ultima lettera che ti scrissi. Questo ritardo straordinario mi sorprese non poco, giacchè se è vero che tu ricevi con gioia le mie lettere, le tue io le attendo ansiosamente, e non so darmi pace allorchè vengono deluse le mie aspettazioni.

«Jeri il signor Paolo mi scrisse da Milano, dicendomi che tu sei ammalato. Ed è vero mio Ermanno? Pur troppo così dev’essere, perchè diversamente come potresti lasciar correre tanto tempo senza mandare una lettera alla tua Laura che aspetta sempre. — Povero amico, povero Ermanno!.... e dire che io fui tanto ingiusta da dubitare un’istante che tu mi avessi [p. 168 modifica]dimenticata. — Oh! perdonami sai, non era la tua Laura che pensava così, no, il mio cuore era troppo sicuro; fu una stranezza crudele della mente.

«Pensai molto sulle cause che potevano trattenerti dallo scrivermi, ma infine non ne trovai una plausibile sembrandomi che non vi possa essere giustificazione alcuna per tale dimenticanza. Sapeva che hai molto lavoro, cercai di persuadermi che le occupazioni ti togliessero il tempo di scrivermi, ma che vuoi? Sono tanto egoista da non voler cedere davanti a qualunque ostacolo.

«Vedi come si corre nel pensar male! Mentre io m’insospettiva, tu mio povero Ermanno eri malato e sofferente. — Mio Dio quest’idea mi dà rimorso; l’hai detto tante volte che sono una bambina, e finisco col persuadermene.

«Frattanto tu mio buon amico, sei oppresso dal male; il signor Paolo, mi disse non esser cosa tanto seria, ed aggiunse che tu stavi meglio, ma io non ci credo, potrebbe essere una pietosa bugia, e non presterò fede al tuo miglioramento, finchè tu stesso non ne darai prova scrivendomi appena ti sarà possibile.

«Jeri l’altro la signora Salviani venne a farci visita accompagnata da un giovinotto milanese suo cugino; le prime parole di quella buona signora, furono per te; ella ti aspetta sempre. — Domani andremo con papà alla sua villa che dista pochi passi dalla nostra; mi fermerò fino a sera, e ciò mi fa lieta perchè almeno potrò parlare di te con qualcuno che ti conosce. — Quanto sarei felice, se al mio ritorno trovassi una tua lettera! oso appena sperarla, e tu mio Ermanno fa di non tardarmi troppo questa gioia.

«Povero amico, è ben crudele il nostro destino! Nel dolore della lontananza eraci non lieve conforto [p. 169 modifica]lo scambio di lettere, ed ecco che subito la fatalità ci perseguita, e ti fa cadere ammalato. È una barbarie. — Intanto, finchè tu non sia guarito, ti scriverò tutti i giorni; sono certa che ciò ti farà piacere, perchè ogni mattina, svegliandoti, tu troverai una mia lettera al tuo capezzale che ti porterà il primo saluto.

«Così potessi venir io a surrogare la tua povera mamma! Con quanto amore ti assisterei vegliando le notti, e prestandoti tutte quelle cure che io sola saprei immaginare. Stamane i’ era in giardino con quest’idea per la mente, e parevami di vederti nella tua camera più pallido dell’usato; io era al tuo fianco, ti parlava del nostro amore e di tutte quelle cose che tu solo sai comprendere; tu mi guardavi sorridendo, stendendomi spesso la mano come per ringraziarmi... Oh! sono certa che tu a questo modo, guariresti presto, perchè tanto farei, tanto pregherei la Santa Vergine, che infine tu saresti salvo. — Ma ohimè, ciò non è possibile, ed io debbo starmene lontana da te che amo tanto, e che soffri forse per causa mia; questo pensiero mi eccita al pianto; perchè mio buon Ermanno, io sento che per quanto faccia, non riuscirò mai a renderti felice!

«Sopportiamo, o caro, l’amarezza del nostro destino; non può essere che il nostro amore debba recarci per unico frutto una lunga serie di dolori.... Chissà, un presentimento secreto, mi dice che un giorno forse, saremo felici. — Spera, mio buon Ermanno, spera con me nell’avvenire; esso è incerto, ma non potrà essere ingiusto.

«Il signor Paolo, mi scrisse che fra pochi giorni verrebbe a trovarci; se tu fossi allora guarito, sono certa che non mancheresti di venire; la sarebbe pure una grande fortuna!

«Jeri ho detto per te una grossa bugia, della quale [p. 170 modifica]spero non ne terrà calcolo il cielo. La mamma mi vide al collo la tua medaglietta: chi te l’ha data, mi chiese — io era davanti allo specchio, e mi vidi venir rossa per la confusione, perchè fui colta troppo di sorpresa. Non mi passava in mente neanche il nome di una qualche amica; infine mormorai: Letizia, ma colla timidezza di chi è persuaso di non essere creduto.

«Il cuore mi batteva tanto forte da togliermi financo il respiro; e perchè poi? Se anche avessi detto alla mamma che quella medaglia era una tua memoria, sono certa che non le avrei fatto dispiacere, ed in confidenza, credo che ella sospetti alcunchè del nostro amore. — Non me ne tenne mai parola, ma io indovino tanto bene dal suo volto ciò che le passa nell’animo, che giurerei di non errare.

«Ti assicuro, mio Ermanno, che non mi preoccuperei per niente, se il nostro secreto venisse scoperto; il tuo amore m’infonde tanto coraggio, che mi sento orgogliosa di possederlo, e colla massima compiacenza volgendo uno sguardo alla turba dei giovinotti eleganti, non ne trovo uno che s’uguagli menomamente a te....

«Ma io parlo, parlo e forse troppo, perchè tu avrai bisogno di calma.... Oh la cattiva ciarliera che io sono! Per dirti tutte queste fanciullaggini, scordava quasi il tuo male, e comincio a credere che se fossi al tuo capezzale ti sarei poco giovevole. Compatiscimi mio caro, e procura di guarir presto. — Ricordati che io conterò i giorni, l’ore, i minuti sempre anelando ad una tua parola apportatrice di buone nuove, e che non avrò più pace finchè non mi verrà una tua lettera.

«Addio, a domani.

Laura».

[p. 171 modifica]


Paolo ad Ermanno.

10 Settembre.

«Da due giorni mi trovo qui alla villa Ramati, ove appena giunto mi colmò di gioia la notizia che mi diede Laura della tua guarigione. Ti assicuro che ero assai inquieto per la mancanza di tue lettere, e se Laura non avesse saputo qualche cosa del tuo stato, non avrei indugiato a venirti a trovare. Fortunatamente ciò non è necessario, e ne sia lode al cielo; ora sapendomi qui non ti costerà gran fatica l’indovinare lo scopo di questa mia lettera, della quale prima di tutto, dichiaro che intendo essere assolto.

«Se ti scrivo, non è tutto per mio volere, giacchè in questi giorni passai sotto gli ordini di madamigella Laura che mi comanda di rivolgerti la parola, mettendomi a forza la penna fra le dita.

«Laura adunque mi ordina di dirti, che noi siamo felicissimi per la tua guarigione, e ne rendiamo grazie al Signore; ma siccome tu hai la smania di occuparti di soverchio e facilitare così una ripresa al male, noi ti preghiamo, e se fa duopo ti comandiamo di dar passo per ora agli impegni, e goderti la convalescenza. Per ciò, al solo scopo di prevenire i funesti effetti di una ricaduta, ti dichiariamo che sei atteso qui senza fallo entro domani, od al più tardi per il giorno dopo.

«Quest’ordine è scritto sotto gli occhi di Laura che in questo punto mi dice averti già ella tenuto parola in proposito, perciò credo che non ti farai di troppo desiderare, e.... volerai ad appagare le nostre brame. — È inutile che io ti aggiunga preghiere dopo quanto ti avrà scritto questo angioletto che mi sta [p. 172 modifica] alle spalle sorridendo ad ogni parola che mi sfugge dalla penna. — Ho meco la copia di quel certo ritratto, e ti giuro che se non vieni tu stesso a prenderla, perderai sovr’essa ogni diritto.

«A me parrebbe di averti detto tutto, ma il consigliere che mi sta ai fianchi, non la pensa così, e mi ordina di scrivere sotto il suo dettato.

«Ecco: la mamma ed il papà Ramati ti pregano per mezzo mio di ricordarti della tua promessa. La signora Salviani ti desidera, io ti aspetto, ma Laura ti vuole. Ella ha sognato la notte scorsa che tu le dicesti di venir domani, epperciò ti previene che all’ora dell’arrivo della vettura ella sarà sul terrazzo a spiare sulla strada, e che se tu non verrai sfogherà il suo rancore collo scrivente, il quale perciò ti supplica di salvarlo da tanto periglio.....

«Qui tace la delicata vocina della mia direttrice, e qui faccio punto anch’io perchè dopo tanto, non mi resta più nulla a dirti. — Addio.

Paolo».