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XV

Il giorno si annunziava. Gli estremi lembi del cielo già s’imbiancavano della luce mattutina, ed Ermanno non aveva ancor trovata mezz’ora di riposo. — Stanco per l’eccessivo pensare durante la notte, e certo che ormai era inutile l’abbandonarsi al sonno, si alzò ponendo mano a vestirsi.

L’aria fresca del mattino, invitava a respirarla, e riflettendo che molto tempo gli rimaneva ancora prima delle cinque, si assise sul balcone contemplando il cielo che pingevasi dei soavi colori dell’aurora.

Oh! quanti saluti, quanti sospiri egli mandò alle leggiadre nuvolette dagli orli dorati che si spiegavano leggiere come velo nello spazio celeste! — Era quella l’ultima volta che egli godrebbe di quel ridente spettacolo; l’alba di quel giorno segnava il tramonto della sua felicità, ed ei voleva impressionarsi di quell’ultimo sorriso di cielo per mai più dimenticare la dolce malinconia di quel placido mattino.

Oh! come dirlo l’addio ch’ei diede al cielo, al sole, all’aura?.... a lei! — Non avvi espressione che valga il silenzio di Ermanno e la mestizia del suo sguardo. — Egli solo, il poeta della musica, avrebbe potuto trarne un’idea cogli accordi del pianoforte; egli che in quel momento aveva l’anima commossa, il cuore oppresso, la fantasia accesa, avrebbe senza dubbio narrato in note lo straziante dolore che lo assaliva a quell’estremo saluto!