Un bel sogno/XIV
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XIV
Il tempo non aveva rispettata la felicità di Ermanno, e già sei giorni di beatitudine erano caduti sotto la sua gelida falce, senza quasi che i due innamorati se ne fossero accorti. — Nello avvicendarsi di tutte quelle ore di dolcezze era scomparsa ogni traccia di passato e d’avvenire; Laura ed Ermanno vivevano del presente; perchè pensare al domani se erano felici? — Sarebbe però savia cosa il tener conto del tempo nei momenti di benessere, sembrerebbe meno rapido il suo passaggio; mentre non curandosene affatto, si trova poi che il principio e la fine di un bene vanno confusi in un punto solo passato in un baleno.
Nè Ermanno nè Laura usarono di questa precauzione, e quando pensarono ai giorni che loro rimanevano ancora, si accorsero di essere alla vigilia dell’ultimo. L’ultimo giorno di una felicità che si spegne, è come l’estrema agonia dell’esistenza.
— Ohimè, sclamò Laura sospirando, quanto brevi mi parvero questi giorni.... come fugge rapido il tempo!
— Pur troppo Laura! La fase della mia felicità volge al suo termine, nondimeno, te ne prego, non lagnartene, ciò accresce il mio tormento.... è tale il nostro destino, un’ora di felicità per un’anno di dolore; ma che vuoi fanciulla mia! bisogna accettare quel lampo di bene, e rassegnarsi alle lunghe amarezze. — Io non mi lagnerò certo, perchè sarei un’ingrato; ormai sono avvezzo alle sofferenze, ed è per me gran ventura il soffio appena d’una speranza.... Ora poi so che tu mi ami, non è vero Laura?
— Oh! tanto....
— Ebbene, non è forse questa una gran cosa? Tu non puoi comprendere ciò che è per me l’amor tuo, tu non sai forse di quanto io ti vado debitore; ma è bene che tu ne abbia idea.... Giovinetto ancora perdei il mio povero padre, e da quel momento mi parve negato il sorriso della vita. Non ti dirò le pene e gli affanni di quella santa donna che è mia madre; i sacrifizi che essa fece per me, non possono venir ricompensati che in cielo.
Ho studiato ardentemente l’arte, compresi che per essa io doveva procacciare una tranquilla vecchiaia a mia madre; studiai, e mercè la ferma volontà, pervenni a migliorare la nostra condizione.... Ma ohimè! alla mia età non si vive di solo pane, io aveva delle secrete aspirazioni che mal ardiva confessare a me stesso; l’arte per svilupparsi abbisogna di qualche cosa più del matematico esercizio; l’arte deve scaturire dal cuore. Passo sulle soavi e nuove emozioni che mi cagionò la prima tua comparsa, e solo ti dirò che per quanto possa accadere in avvenire, io non avrò altro che a ringraziarti e benedirti per il bene arrecatomi dall’amor tuo.
Poichè la lotta è impossibile per me che ti amo tanto, lascio alle vicende della sorte lo svolgersi del nostro amore; ma non sono già acciecato al punto da non comprendere quale sia l’avvenire che mi è riserbato, e lascia che io ritorni sulla dolorosa via di quei presentimenti che ti danno tanta pena....
— Perchè, interruppe mestamente la giovinetta, perchè vuoi tu preoccuparli di ciò che Dio solo potrebbe prevedere? Te ne prego Ermanno, abbandona sì tristi pensieri....
— No Laura, ho bisogno di farti palese lo stato dell’anima mia. — Egli è per la tua pace che lo faccio, e un giorno ricordando ciò che sono per dirti, troverai che ho agito onestamente.
La giovinetta si tacque sospirando, ed Ermanno dopo una breve pausa proseguì: — È destino per certi esseri una sgradevole chiaroveggenza che distrugge colle nubi dell’avvenire la felicità del presente; si direbbe che per essi è istintivo il bisogno di soffrire, e che si studiano con ogni mezzo di eccitarne la causa. — Se un fortunato avvenimento li rallegra cercano subito nell’avvenire per trovarvi un dolore che freni lo slancio della loro gioia. — Io sono fra quelli; la tranquilla esistenza che ora passo al fianco di mia madre, è tutta una sequela di domestiche gioie; quella pace era il più bello de’ miei desiderii... ho toccata la meta, ma non per questo cesso di preoccuparmi dell’avvenire.
L’amore immenso di mia madre m’incute lo spavento ed il terrore per il giorno in cui ella mi sarà rapita; e con questo pensiero trovo modo di amareggiare quel po’ di bene che mi viene concesso.
Tu sei giovane, ricca, e bella!.... bella quanto può esserlo un angelo del cielo, lascia che te lo dica, ciò mi fa gran piacere. — Fissando gli occhi sul tuo volto così sereno, così puro, ammirando le belle pieghe delle tue chiome, abbracciando insomma collo sguardo tutta la tua bella persona, domando a me stesso se quel cuore che dà vita ed anima a tante grazie appartiene a me. — La realtà mi sembra sogno, e tu mi appari come dolce visione che io tento invano di realizzare.... eppure sei qui accanto a me, eppure ho fra le mie la tua graziosa mano e posso carezzare queste bionde treccie! — Io non so se la fantasia la più accesa possa crearsi un’immagine più bella e più sublime di quanto tu la sei per me.
Io invece sono povero, oscuro e vecchio d’esperienza; il sole per te nasce, per me tramonta, oggi tu sei all’alba, io alla sera; domani avrai il giorno, io la notte. — Tu vivi dell’avvenire, perchè la via delle illusioni è lunga ancora per te.... a me resta il presente; fra poco non avrò più che un passato!
Vuoi tu conoscere il mio avvenire? ascolta. Tu sei giovane; in questo periodo della prima età, nessuno può arrestare il corso delle idee, e le aspirazioni del cuore ingigantiscono man mano che si realizzano... Sei ricca, e le ricchezze aumentano la foga dei desideri ajutandone il conseguimento. Sei bella epperciò desiderata ed amata. — Nel tuo primo slancio d’affetto, ami la natura nel suo modesto stato; ma fra poco e senz’accorgertene tu subirai una rivoluzione d’idee che ti desterà sempre nuove aspirazioni.
La società ti schiude le braccia; nel suo seno tu troverai molte felicità; ma il tuo primo passo nel mondo sarà il segno della mia caduta. — Ovunque tu volga lo sguardo troverai sorrisi, sui tuoi passi si getteranno fiori, e tu rapita, inebbriata, ti dimenticherai del povero Ermanno che non ha mai sorriso.... Troverai uno sposo!....
— Oh! basta Ermanno per pietà! Non hai nessuna compassione di te.... Io non voglio maritarmi, non mi mariterò.... Non andrò in società....
— Lo so, e ti credo; so che tu ora in uno slancio generoso di cuore rinunzi al mondo per me.... Ma non sarà sempre così, nè te l’auguro certamente, povera fanciulla! — Perchè mai nata appena dovresti ripiegare su te stessa, nasconderti, e consumarti miseramente nella solitudine? Ti giuro che accettando il tuo amore ho accettata questa conseguenza; mi rassegnerò a tutto, purchè sia certo che tu non serberai memoria ingrata di me. — Io formo ora l’educazione del tuo cuore perchè un’altro ne possa godere le dolcezze, e bramo solo una qualche ricordanza per l’appassionato maestro....
— È una crudeltà, sclamò Laura singhiozzando, tu non hai cuore se mi maltratti in tal guisa; era così felice, ed ora mi fai piangere! — Le tue tristi profezie sono false, perchè sento che non potrà mai accadere ciò che tu mi dici; perchè sento di soffrir troppo al solo pensarvi....
— Perdono! disse Ermanno stringendole la mano.
— Cattivo, crudele....
— Via madamigella.... alzi lo sguardo, sorrida perchè ho finito....
— Ed ora comincio io....
— Avanti.
Laura si rasciugò gli occhi indi riprese con fuoco tra il serio ed il faceto, tra le lacrime ed il sorriso.
— Ella signor mio è un falso profeta, ella crede che io abbia il cuore duro, duro come macigno, come il suo che si compiace di torturarmi; ma io le dirò: prima, che non sono tanto bella quanto ella vorrebbe farmi credere, che ho tanto giudizio da non essere tenuta per una fanciulla che cambia affetti ad ogni voltar di vento. — Secondo che se sono ricca me ne importa niente, perchè quando si ama le ricchezze valgono a nulla; terzo che non andrò in società; quarto che se non posso maritarmi come la penso io starò zitella, capace anche di farmi monaca; infine che il mio Ermanno è un cattivaccio!....
— Come la mia Laura è la più cara di tutte le creature! interruppe egli abbracciandola.
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L’alba del domani, non sembrò più così serena ad Ermanno come quella dei giorni precedenti. Egli doveva partire, separarsi da Laura che ormai formava parte di sua vita, e forse chissà quando gli sarebbe dato di vederla!
La giornata passò triste e malinconica; invano Paolo studiavasi con ogni modo di confortarlo. Questo bravo giovinotto aveva compreso che la ferita di Ermanno era profonda, e prestavasi con ogni cura per dissipare i suoi tristi pensieri. — Dopo pranzo si recarono insieme a salutare la famiglia Ramati, e Paolo dovette sopportare le rampogne del padre di Laura perchè non erano stati a pranzo da lui.
Il commiato fu molto lungo, durò dalle quattro fino alle sette, il signor Ramati erasi in questo frattempo assentato, e Paolo allora spiegò tutto l’artifizio del suo spirito per far in modo che Laura ed Ermanno potessero dirsi qualche parola da soli; ei sapeva che entrambi si struggevano di questa voglia; ma pareva che madama non volesse più lasciare Ermanno, giacchè gli rivolgeva costantemente la parola.
Finalmente in grazia del ritratto di Laura che da una settimana era rimasto sospeso, riuscì a Paolo di staccare la madre per qualche minuto.
— Dunque domani!.... chiese Laura mestamente appena fu sola con Ermanno....
— Parto.... rispose egli.
— Ah! io sarò ben infelice domani!
— Non dirmelo Laura, io perderei quel po’ di coraggio che mi resta. — Promettimi che ti ricorderai talvolta di me.
— Sempre.... e tu scrivimi subito narrami tutto.
— Ma come?
— Indirizza pure la lettera a me, che mi verrà consegnata intatta; nessuno legge la mia corrispondenza, ho tante amiche che mi scrivono!
— Posso dunque?
— Ma certo.... scrivi.... scrivi più presto che puoi.
— Ora addio, sclamò Ermanno prendendole le mani, addio o giovinetta, e pensa che io vivrò della tua memoria!
— Non ci vedremo più?
— No, parto domani alle cinque.
— Alle cinque? sclamò Laura, potremo ancora salutarci prima della tua partenza.... ma da lontano; io sarò sul balcone di questa sala; passando nella via, tu potrai vedermi e salutarmi collo sguardo.
— Alle cinque! ciò ti costerà sacrifizio.
— Ma che? sono capace di non dormire per aspettarti. — Ora viene la mamma.... Addio Ermanno, e che il mio saluto ti accompagni durante il viaggio. Pensa a me che non ti dimenticherò mai; ricordati che ti aspetto in campagna. — Non potè proseguire, perchè già sentivasi la voce di madama Ramati che veniva a quella volta con Paolo.
Laura ed Ermanno si scambiarono un ultimo saluto, e si disgiunsero. — Quando gli amici decisero di andarsene, fu chiesto il signor Ramati, e qui cominciò la caterva dei saluti, che pareva non dovessero più terminare.
Suonavano le sette, ed Ermanno e Paolo uscivano allora sulla via. Il primo camminava macchinalmente senza profferir parola; l’estremo addio di Laura lo aveva grandemente addolorato. Andarono a cena, indi al teatro, d’onde uscirono di buon’ora dovendo Ermanno alzarsi presto all’indomani.
Se è vero che quel povero giovane trovò qualche felicità nel suo soggiorno in Milano, è pur vero che in quell’ultima notte scontò con tante angoscie tutte le gioie provate. — Dormì pochissimo, e quando riusciva ad assopirsi, tosto venivalo a tormentare un sogno penoso; se desto ei pensava che tra breve dovrebbe dividersi dalla sua Laura, e lasciarla così bella e seducente senz’alcuna vigilanza.
La facile famigliarità che si acquistava in casa Ramati, inquietavalo assai riflettendo che un giorno o l’altro qualche innamorato dei vezzi di Laura, potrebbe agevolmente introdursi nella famiglia, e rapirgli il cuore della giovinetta.
V’ha di più, malgrado la certezza che egli aveva di essere amato, tuttavia lo tormentava il dubbio di dovere un giorno rinunziare alle sue speranze. — Abbiamo detto speranze, e rettifichiamo la parola. In questa così bella fase d’amore non vi entrava nonchè un progetto, nemmeno il principio di un’idea; era un romanzo costruito senza base, o diciamolo pure, senza scopo; e giova rammentare le lotte morali subite da Ermanno prima di lasciarsi sopraffare da questo amore.
Egli riconobbe che tale relazione stava lontanissima dal concepimento di qualsiasi speranza, e non cessò mai anche amando di rassegnarsi come vittima di un accecamento di cui presentiva per istinto le conseguenze. — Comprendiamo che questo abbandono di Ermanno ad una corrente così fatale, potrà sembrare insensata e condannabile a taluni; ma le sono di quelle cose che si ripetono tutti i giorni, e se la ragione potesse sempre prevalere sulle deliberazioni dell’uomo, la società camminerebbe certamente senza gruccie. —
Parrà a molti che noi vogliamo giustificare il nostro artista, ma invece non facciamo che schermirlo contro chi, o per pregiudizii di casta e famiglia, o per aridità d’animo volesse riconoscere in quel povero giovane un’insensato amor proprio invece di un’eccessiva suscettibilità di cuore.
In fatti consimili non sappiamo se più abbia ragione chi condanna od il condannato; è certo però che mentre questi trova tanto coraggio da concepire idee d’uguaglianza malgrado la disparità di condizione, fonda il suo ragionamento sopra un principio incontestabile di natura; mentre il primo fabbrica le sue sentenze sui gradi di una gerarchia che sà più di stoltezza che di superbia.