Pagina:Cagna - Un bel sogno, Barbini, Milano, 1871.djvu/145


— 139 —

che mi scossero tanto dolcemente? — Ah! chissà quanti giorni vedrò nascere e morire colla stessa monotona regolarità prima che io possa rivederti, prima che il suono soave della tua voce risvegli l’anima mia dal suo profondo letargo! Quei pochi giorni di felicità che pareva non dovessero mai più terminare, passarono quasi senza che io me ne accorgessi, e quando giunsi agli estremi istanti, allorchè ero sul punto di partire, trovai che aveva ancora mille e mille cose a dirti.

«Chi mi ritorna quelle ore soavi passate al tuo fianco o Laura?... Io penso fra il gelo della mia solitudine alle dolcezze dei nostri cari colloquj in cui più che il labbro parlavano gli occhi ed il cuore; ed ora più nulla che un doloroso ricordo mi rimane di quella felicità che avrei appena ardito di sognare. Tutto mi sembra visione, e parmi di essere solo ed isolato nel mondo, condannato a vivere per sperare in un’avvenire lontano ed incerto.

«L’avvenire!... E può mai questa parola suonare come una speranza per gli uomini se l’ultimo punto di esso è la morte? Come mai fra un presente infelice ed una morte inevitabile può la mente trovare nella via di mezzo qualche bricciolo di fede che lo attacchi ad una speranza; come si può sognare la felicità quando si è in preda del dolore? — Per me lo confesso, tutto è triste, monotono; dacchè io ti ho lasciata, non ebbi che noie e sconforti — L’anima mia troppo prostrata non sa trovare nelle memorie del passato un riflesso di calma; e sì che fui felicissimo.

«Ti ricordi Laura, di quel giorno in cui abbiamo passato per la prima volta la Romanza? Io non lo dimenticherò mai più, e solo nel ripensare a quei momenti, parmi di essere ancora nella tua cameretta — Oh! quanto è bella! mi ricordo ancora del leggiero