Trattato del piede/Parte seconda/Sezione prima - Piede dei didattili

Sezione prima - Piede dei didattili

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Sezione prima - Piede dei didattili
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SEZIONE PRIMA.


PIEDE DEI DIDATTILI.

Il piede del bue, della pecora e della capra, che compongono la classe dei didattili, differisce da quello del cavallo non solo per l’esterna conformazione, ma eziandio per rapporto alla struttura organica. I quadrupedi ruminanti hanno il piede biforcato e diviso in due parti (Tav. IV, fig. 1, 2, 3 e 5), che chiamansi comunemente unghielli (onglons)1. Considerati nel loro assieme e come non formanti che un tutto, questi unghielli presentano [p. 289 modifica]assolutamente la medesima conformazione dello zoccolo dei monofalangi; rappresentano, siccome quest’ultimo, una parte ovale, tronca posteriormente, meno dilatata nei piedi posteriori che negli anteriori, e più contornata al quarto esterno che all’interno, il quale è anche più debole. Lo spazio interdigitato (solco) è poco profondo e non si estende quasi al di là degli zoccoli: il suo fondo è formato da un prolungamento della cute, guarnito da peli nella pecora e nella capra; nel bue, i peli sono rimpiazzati da rugosità , tra le quali si accumula un umore sebaceo. Questo umore è secreto da un grande numero di follicoli, propri alla cute interdigitata, i quali divengono sede di un’alterazione particolare, che faremo conoscere più avanti.

Ogni unghiello costituisce un corpo piramidale, presenta tre faccie (Tav. IV, fig 4, d), la cui punta smussata e leggermente contornata indentro ne forma l’estremità anteriore, e la cui superficie esterna o parete è convessa, liscia e generalmente lucida, mentre la faccia interna di questa stessa parete corrispondente all’unghiello opposto, è inegualmente piana e guarnita d’asperità. La superficie inferiore o plantare non ha forchetta, ma il tallone che ne tiene luogo costituisce una grossa protuberanza molle ed arrotondata. Questa protuberanza deve la sua mollezza ed elasticità non solo alla flessibilità dell’ugna in questo punto, ma eziandio all’esistenza d’uno strato sotto-ungulato, il quale è cellulo-adiposo e forma un vero cuscinetto plantare, del quale si farà menzione. [p. 290 modifica]e 29o 3 L’orlo inferiore della parte convessa della nuraglia è più o meno sporgente, serve principalmente all’ap poggio, e riceve i chiodi impiegati a mantenere il ferro, che si applica sovente per difendere l’ugna e rendere il piede più sicuro. La parte interna della muraglia presenta, alla sua riunione colla suola, una depressione allungata, la quale corrisponde alle incavature laterali della forchetta nel cavallo.

Gli unghielli del piede biforcato hanno lo stesso modo d’organizzazione del piede del cavallo, e sono formati dallo stesso ordine di parti; ma offrono alcune particolarità rimarchevoli utili a conoscersi. Così, l’osso del piede, o meglio l’osso dell’unghiello, presenta una conformazione analoga a quella dello zoccolo nel quale è rinchiuso; offre quattro faccie, non è villoso che verso il lembo inferiore, non porta cartilagini laterali e presenta alla sua faccia superiore, 1° la superficie articolare, 2° due protuberanze, delle quali una anteriore e l’altra posteriore, 3° un gran foro situato al lato interno della tuberosità anteriore; questo foro penetra nell’osso, corrisponde all’uno dei fori della faccia plantare dell’osso del piede del cavallo, e dà passaggio all’arteria plantare.

Fra i legamenti laterali, l’interno, arrotondato e molto forte, differisce dagli altri per la lunghezza e grossezza (fig. 1, c, e; fig. 3,f, f); proviene dall’estremità inferiore dell’osso pastorale, passa contro l’osso della corona senza attaccarvisi, e s’inserisce alla parte anteriore ed interna del lembo superiore dell’ultimo falangeo. I due legamenti laterali esterni, [p. 291 modifica]distinti in anteriore e posteriore, sono sottili, disposti molto obliquamente e ricoperti dall’espansione piramidale dei tendini estensori. Il piede didattile offre pure un legamento trasversale (fig. 1, d; fig. 2, a), rotondo, albugineo, situato verso i talloni sotto la cute interdigitata, colla quale trovasi strettamente unito. Questo legamento molto grosso nel bue e sottile nelle pecore, s’inserisce con ogni estremità al lato interno della protuberanza posteriore dell’ultimo falangeo, serve a mantenere i due unghielli avvicinati, e concorre a consolidare il piede fesso (fig. 4, 6).

I tendini anteriori, provenienti dai muscoli estensori (fig. 1, e, 3), formano ad ogni falange due rami, l’uno dei quali interno (fig. 1, a, a; fig. 3, d, e, e), rotondo, segue la direzione della biforcazione del piede e va inserirsi alla sommità della protuberanza anteriore dell’osso dell’unghiello. Il ramo esterno(fig. 1, b, b; fig.3, g, g) costituisce un’espansione piramidale, s’attacca da un lato alla parte superiore ed anteriore del secondo falangeo o l’osso della corona, discende espandendosi, si confonde coi legamenti laterali esterni, e s’inserisce lungo tutto il lato esterno dell’ultimo falangeo. Così riunito a legamenti, questo ramo tendinoso forma un involto denso, che ricuopre tutto il lato esterno dell’articolazione dell’unghiello colla corona, e concorre a rassodare questa giuntura.

I tendini posteriori, sovrapposti (fig. 2) ed inguainati l’uno nell’altro, sono fissati da tre anelli legamentosi dietro i falangei, presentano la medesima [p. 292 modifica]disposizione come nel cavallo, e si trovano separati dalla cute mediante un grosso legamento piatto, il quale prende origine sotto lo sprone dello stesso lato e s’inserisce alla sommità della protuberanza posteriore dell’osso dell’unghiello. Questo legamento non è che la produzione d’un’espansione larga e densa, che discende dal ginocchio o dal garetto, involge e mantiene i tendini flessori applicati contro la faccia posteriore dell’osso del canone2. Al dissopra del legamento trasversale interdigitato, e nello spazio dei quattro primi falangei, ossa della corona e del pastorale, osservasi un grosso strato adiposo, il quale presenta una data consistenza ed i di cui usi sembrano essere, 1° servire di cuscino proprio a mantenere le ossa in un giusto distacco e rendere liberi i loro movimenti dall’uno all’altro; 2° mettere i vasi ed i nervi che lo traversano, al sicuro delle compressioni e dai stiramenti.

Il cuscinetto plantare, più adiposo ma meno denso che nel cavallo, forma la base o parte molle del tallone, si prolunga assottigliandosi sotto la suola, e trovasi accollato alle parti circonvicine da un tessuto filamentoso, denso e molto forte. Questo corpo adiposo, molto denso ed ordinariamente giallo nel bue, è bianco e sottile nella pecora.

Il tessuto reticolare, poco denso, non presenta fogliuzze che verso la parte inferiore della parete, ed [p. 293 modifica]offre una superficie vellutata nel rimanente di sua estensione.

L’apparecchio vasculare del piede del bue offre la medesima disposizione generale come nel cavallo, le sue principali differenze fannosi rimarcare al dissopra degli unghielli. Così le arterie (fig. 3, a, a, a) sono profonde e regnano nell’intervallo delle ossa del pastorale e della corona ove attraversano lo strato adiposo interdigitato: arrivando ad ogni unghiello, si dividono in due rami, dei quali l’uno, anteriore o preplantare, s’impianta nell’interno dell’ultimo falangeo; l’altro, posteriore o plantare, s’insinua sotto il cuscinetto plantare e gli sommhistra una o due ramificazioni finissime. Oltre queste divisioni, i piedi anteriori portano un’altra piccola arteria, la quale discende e serpeggia lungo l’orlo anteriore del solco.

Le vene provenienti dagli unghielli, formano due grossi rami poco profondi (fig. 3, b, b, b), situati in lungo sotto l’integumento e nel mezzo della faccia posteriore della dita. In seguito a corse forzate ed a certe riprensioni, questi vasi venosi acquistano grande sviluppo, divengono molto ramosi, sinuosi e sembrano moltiplicarsi. Bisogna anche osservare che i piedi anteriori presentano, lungo la faccia anteriore delle corone e delle pastoje, due o tre grosse ramificazioni venose, le quali, nell’ordine della circolazione, corrispondono all’arteria principale di questi stessi piedi.

L’ugna dello zoccolo difalange è bianca o nera, generalmente meno compatta, meno dura e molto [p. 294 modifica]meno densa di quella dei piedi del cavallo. La concavità dello zoccolo non offre fogliuzze che alla parte inferiore della muraglia, lungo la sua commessura colla suola; queste fogliuzze, paralelle e sottili, s’impegnano e s’incastrano, con corrispondenti lamine del tessuto reticolare. La superficie inferiore di questa scatola cornea forma una mezza volta ed offre un’e minenza prodotta dalla depressione longitudinale, che si osserva all’esterno dello zoccolo e corrisponde alla lacuna laterale della forchetta del cavallo.

Al pari del cavallo, lo zoccolo dei didattili dividesi colla macerazione a lungo continuata, in due parti, delle quali l’una appartiene alla parete e l’altra alla suola. Queste due parti costituenti presentano la stessa tessitura ed offrono le medesime considerazioni di quelle nelle quali siamo entrati parlando dell’ugna del cavallo.

Il piede della pecora e della capra presenta un canale tortuoso, follicolare, biancastro, chiamato comunemente canale della postema (canal du fourchet), e più esattamente seno tortuoso biflesso (sinus biflexe) (fig. 4, a). Formato da una ripiegatura della cute, questo serbatojo situato interiormente tra le due ossa coronali, immediatamente al dissotto dell’integumento che riveste il fondo della separazione degli unghielli, è aderente in modo debole, e tiene alle parti circonvicine, mediante un tessuto cellulare, adiposo, abbondante e floscio. L’estremità posteriore ed interna, che ne costituisce il fondo, è curvata e terminata in fondo cieco; mentre l’aperatura esterna (fig. 4, c; [p. 295 modifica]fig. 5, a), sempre libera, risiede anteriormente al quanto al dissopra del solco, e si fa rimarcare con una piccola ciocca di peli che ne sortono e sono di sovente aglutinati dal sucidume. La cavità di questo seno è seminata da peli e da grossi follicoli, destinati a secernere un umore sebaceo, giallognolo; per le elaborazioni che vi prova, questo umore si condensa ed acquista un odore molto forte di sucidume (suint).

L’uso di questo serbatojo interdigitato non è conosciuto, si presume solamente che serva a mantemere la pieghevolezza delle parti circonvicine; ciò che non è incerto, e che l’esperienza prova giornalmente, si è che trovasi di sovente sede d’una affezione grave, chiamata postema, e della quale parleremo qui appresso.



alterazioni alle quali sono generalmente esposti i piedi degli animali didattili.


I piedi didattili, teneri per natura, possono divenire cerchiati, depressi, troppo lunghi, indebolirsi per la logoranza ed offrire molte altre alterazioni; ma questi vizi o malattie non sono mai tanto pregiudicievoli quanto nel cavallo. D’altronde, ogni bue che soffra ai piedi e non vi appoggi sopra che con pena, vien messo [p. 296 modifica]in un buon pascolo, oppure è ingrassato nella stalla per essere in seguito consegnato al macello. Non è così pel cavallo, le cui spoglie sono quasi di niun valore, e non si rende utile che pei servigi resi durante la sua vita.

Le vacche da latte, le quali, come a Parigi, restano sempre rinchiuse nelle stalle, finiscono coll’avere i piedi del tutto difettosi; venendo trascurati i loro unghielli acquistano una lunghezza smisurata, divengono rugosi, si contornano su loro stessi, ed alcuni finiscono col prendere la vera conformazione del piede storto (pied-bot) del cavallo. In generale non si arreca che poca attenzione a queste sorta d’alterazioni, perchè gli animali sono destinati al macello, tosto che il dolore che risentono al piede divenga pregiudicevole alla secrezione del latte.

La lumaruola, l’arenatura, la riprensione, le punture, i chiovardi ed i fichi sono malattie del piede difalange, le più ordinarie e le più importanti a conoscersi; non sono però le sole che vi si manifestano; gli unghielli de’ buoi sono pure esposti a tutti gli accidenti cagionati dalla ferratura, ed a quasi tutte le affezioni accennate nel cavallo.

Sia per carattere, o per difetto d’abitudine, le bestie bovine non soffrono che venghino loro levati i piedi e vi resistono con tutte le loro forze: così trovasi obbligati contenerle e fissarle solidamente, allorchè havvi necessità di esplorarne i piedi, o praticarvi operazioni alquanto gravi. L’apparecchio il più sicuro ed il più speditivo per rendersi padrone d’un [p. 297 modifica]bue o d’una vacca, è senza contraddizione, un travaglio come quello descritto da Bourgelat, o come quelli che si riscontrano vicini alle officine di certi maniscalchi di campagna3.

Siccome i veterinari non trovansi che di rado a portata di queste macchine, vedonsi quasi sempre obbligati, per contenere questi animali, abbatterli o fissarli in piedi. Nel primo caso si fa uso delle pastoje ordinarie colla lunghina, e, mancando le pastoje, giungesi allo stesso scopo col soccorso di quattro corde passate nei pastorali e convenientemente fissate. Importa che il letto sul quale deve essere coricato l’animale sia alto ed ampio, uguale dappertutto e non contenga corpi esuberanti, siccome pietre, pezzi di legno. Non bisogna perdere di vista, nel effettuare questa manovra, che le bestie bovine sono non solo esposte agli stessi accidenti del cavallo, ma possono eziandio scornarsi (s’écorner)4, ciò succede di frequente allorchè si trascurano [p. 298 modifica]le precauzioni richieste in pari casi. La caduta d’una delle corna è molto più a temersi, allorchè si vogliono contenere gli animali in piedi; per poco possano muovere il capo e portarlo contro corpi resistenti, corrono rischio fratturarsi l’uno o l’altro corno; non si saprebbe adunque, procedendo con quest’ultimo metodo, avere sufficiente attenzione per contenere la testa. S’incomincia sempre coll’attaccare il bue o la vacca alla mangiatoja, ad un albero, ad un carro, ad un anello solidamente fissato nel muro ec.; si attacca l’animale o pel collo o per le corna sempre corto ed in modo da lasciargli la minore libertà possibile. Allorchè l’individuo è abituato al giogo, si può attaccarlo con una vecchia bestia docile, e capace d’ajutare a moderarne i movimenti disordinati; questo mezzo generalmente usitato, conviene soprattutto per gli animali i quali, in ragione della loro forza e cattiveria, offrono pericoli tanto per lor stessi quanto per le persone impiegate. Il giogo che fissa le due teste l’una all’altra deve essere solidamente attaccato ad un albero o palo nel mezzo di sua faccia anteriore o posteriore, ciò che varierà secondo le circostanze.

Tutte le volte che il bue è assoggettato sensa soccorso del giogo ed in modo che non possa abbandonarsi a [p. 299 modifica]movimenti pericolosi, bisogna affidare la testa ad un assistente che la rovescierà, come dirassi. Questo assistente comincia ad afferrare con una mano il corno dello stesso lato di quello del piede da levarsi, supponiamo sia uno dei piedi posteriori, e prende colle dita dell’altra mano il tramezzo nasale del musello, che alza nel medesimo tempo abbassa il corno. La testa una volta contornata sull’incollatura e mantenuta in questa posizione si trova al coperto d’ogni accidente, e l’animale non può eseguire movimenti disordinati. Per poter alzare l’estremità senza rischiare calci da lati o dall’indietro, alcune persone riccorrono alla coda che passano alla faccia interna della coscia, la contornano esternamente e posteriormente sulla grassella, e la confidano ad un assistente il quale, tenendone a due mani il ciuffetto, la tira a tutta forza in quest’ultimo senso. I muscoli delle regioni superiori essendo così compressi, perde il membro la libertà de’ suoi grandi movimenti e non può tirar calci; mentre l’assistente agisce sulla coda, si alza il piede ad un’altezza conveniente e lo si fissa in posto; quest’ultimo maneggio s’effettua col mezzo d’una corda precedentemente applicata allo stinco con un nodo corsojo e che si fa tirare indietro da un assistente.

In molti paesi del dipartimento di Maine-et Loire (Bas-Anjou), si ha l’abitudine contenere i buoi contro un forte carro a due rote, il quale offre i mezzi per attaccare la testa dell’animale e fissare stabilmente il piede sul quale proponesi eseguire [p. 300 modifica]un’operazione qualunque; s’incomincia col collocare il bue o la vacca contro l’una delle ruote, in modo trovisi la coda dell’animale dal lato del timone del carro; essendo la testa attaccata alla parte superiore di questa ruota, è confidata ad un’assistente, il quale la rovescia e la contiene siccome fu detto più sopra. Un’altro assistente applica una mano sulla corda tendinosa del garetto e stringe a tutta forza, mentre coll’altra mano, alza il membro e lo tiene sulla sua coscia mentre effettuasi l’operazione del piede. Questo maneggio basta comunemente per contenere gli animali i quali non si difendono che debolmente, ma gli individui vigorosi, indocili o cattivi necessitano altri mezzi. Per terminare di contenere questi animali, dopo che loro si è volta la testa, si può far uso d’una corda qualunque per comprimere il garetto ed impiegasi una lunga correggia per alzare e fissare il piede. Osserveremo però che la corda passata attorno al garetto, e che, per produrre l’effetto desiderato, deve essere stretta fortemente, determina l’indolenza delle parti inferiori ed ammortisce la loro sensibilità, grande inconveniente, allorchè si tratta scoprire un punto doloroso o riconoscere lo stato del l’affezione. È meglio, sotto tutti i rapporti, trascurare la compressione della corda tendinosa del garetto, e procedere subito all’applicazione della correggia allo stinco; tosto preso il membro col nodo corsojo della corda o correggia, bisogna passare l’altro capo del laccio attorno al timone della vettura, affine potere condurvi il piede, nonostante le scosse violenti e [p. 301 modifica]reiterate che fa l’animale allorchè si sente preso all’estremità. Fissando il piede al timone, bisogna avere la precauzione di fermare il laccio con un nodo il quale si possa sciogliere a volontà ed immediatamente; l’animale può alle volte rovesciarsi ed importa molto liberargli prontamente il piede, affine evitare accidenti spiacevoli. Allorchè si teme simile caduta, bisogna sostenere il corpo del bue mediante una lunga spranga, fissata colle sue due estremità, una al timone e l’altra alla ruota, in vicinanza della testa dell’animale; importa pure che l’estremità fissata al timone passi sotto la coscia del membro levato, ciò che stabilisce un punto d’appoggio solido e molto vantaggioso5.

La pecora, la quale non oppone alle forze dell’uomo che debole resistenza, è, fra tutti i quadrupedi domestici, il più facile a contenere; non esige, allorchè deve subire un’operazione al piede, che il soccorso d’una sola persona, senza impiego di lacci. Essendo l’animale rovesciato sul dorso, l’assistente ne tiene il corpo levato fra le sue gambe, mentre che la groppa appoggia quasi sola sul suolo. Se l’operazione deve eseguirsi all’uno dei piedi anteriori, il medesimo assistente s’impadronisce soltanto del membro opposto e lascia gli altri tre in libertà; se al contrario è uno dei piedi posteriori che deve essere operato, impugna con una mano le due estremità [p. 302 modifica]anteriori; si serve dell’altra mano per afferrare il membro posteriore sul quale non si deve operare, riconduce questo membro contro i due anteriori e li contiene tutti tre insieme; in quanto alla testa dell’animale, i di cui movimenti possono impedire, deve l’assistente, coll’uno de’ proprj gomiti, respingerla e mantenerla indietro e da un lato.

Le medicazioni delle piaghe od ulcere dei piedi fessi non richiedono comunemente che stoppe, involti e legature. Anzi possono certe medicazioni effettuarsi colle sole stoppe6: in questi casi si dispone una lunga e grossa faldella, la quale tien luogo d’involto di tela, e che si pone sopra tutte le piccole faldelle; s’applica questa nel suo centro, fra i due unghielli; mentre che i due capi od estremità vengono incrocicchiarsi, contornarsi ed annodarsi attorno de’ pastorali. I piedi operati e convenientemente medicati devono essere tenuti su buon strame ed al coperto d’ogni sucidume; il loro soggiorno nel fimo e nell’urina può far penetrare l’umidità a traverso della stoppa sino alla superficie della piaga, la quale essendo irritata, può prendere una cattiva direzione e passare dallo stato di piaga semplice a quello d’ulcera ribelle. [p. 303 modifica]

§ 1.° lumaca o lumaruola (limace).7

La lumaruola, affezione ulcerosa, si manifesta tra i due unghielli, intacca la cute di questa parte, si estende insensibilmente, s’approfonda, e giunge sovente sino al legamento interdigitato, che corrode e mortifica.

Questa malattia particolare ai fisipedi, non può essere paragonata ad alcuna delle affezioni del piede del cavallo, e differisce sotto molti rapporti, dal rifondimento del cane, col quale Favre l’ha assimilata8. Siccome è più frequente nei buoi o nelle giovenche impiegate a’ lavori agricoli, soprattutto allorchè sti animali abitano paesi montuosi e sassosi, la descrizione che daremo sarà tolta da difalangi maggiori.

La lumaruola incomincia con una leggiera infiammazione, i follicoli sebacei della cute interdigitata divengono rossi, prominenti; i tessuti vicini s’infiltrano poco a poco e determinano la tumefazione [p. 304 modifica]progressiva dell’integumento, il cui gonfiamento sorpassa ad una certa epoca il solco, e si rende palese anteriormente senza che siavi necessità far levare il piede. Aumentando il dolore negli stessi rapporti, l’animale zoppica sempre più e finisce col non appoggiarsi che con estrema difficoltà sul membro ammalato. Il fondo del solco, rossastro e rugoso nei primi tempi, imbianchisce poco a poco, prende in seguito una tinta livida, e si cuopre, siccome rapporta Favre, d’un po’ di materia di consistenza caseosa, di colore grigio biancastro e d’un odore forte e fetido. Continuando la malattia, si formano piccole ulcere, sorta di crepacce irregolari, nerastre, le quali si riuniscono in una sola o due cavità i di cui lembi sono filamentosi e callosi. Questa piaga, rossatra e dalla quale cola un umore icoroso, corrode insensibilmente, e finisce col mettere a nudo il legamento interdigitato. A questo tempo i dolori sono eccessivi; il pastorale, il nodello e persino lo stinco s’intumidiscono e divengono dolorosi; il bue non appoggia quasi più, o ben poco sul piede ammalato; la febbre di reazione è considerabile e non tarda a divenire generale; la ruminazione resta sospesa ed il marasmo si manifesta prontamente.

Le cause le più ordinarie della lumaruola sono la sordidezza e la rena che s’interna, per così dire, nella cute del fondo del solco. Pel soggiorno pro lungato tra due unghielli, il letame, i fanghi acri ed altre materie irritanti deteriorano insensibilmente la cute, la fanno screpolare, e danno così origine a [p. 305 modifica]diture, colle quali incomincia la malattia. Certe punture fatte alla cute del solco possono, pure cagionare la lumaruola e renderla molto grave.

Quest’affezione, rara nelle giovenche e ne’ tori, si manifesta più particolarmente negli animali che lavorano e faticano molto; diviene alle volte epizootica, percorre una grande estensione di paese, attacca molti animali senza però cagionare perdite sensibili. Alcune persone della campagna opinano, contribuire sovente la contagione alla propagazione della lumaruola: così gli animali messi in luoghi e nelle piazze nelle quali soggiornarono ammalati sarebbero nel caso di contrarre l’affezione e trasmetterla del pari. Non ebbimo occasione constatare sino a qual punto questa asserzione possa essere fondata, diremo solamente che dagli indizi raccolti, questo punto di patologia non sembrò decisivo, e se dovessimo dare il nostro giudizio sarebbe contro la contagione.

La lumaruola è senza contraddizione una delle malattie del piede le più ostinate. Tutte le volte non giungesi a dissipare l’infiammazione primitiva, passa allo stato d’ulcera corrodente, la quale ha sempre maggiore tendenza a corrodere che ad estendersi; e quando ha intaccato il legamento interdigitato, assume un carattere particolare di gravità, il quale non rende che troppo di sovente infruttuosi i mezzi curativi i meglio combinati. Per combattere con vantaggio la lumaruola, bisogna sempre avere riguardo allo stato in cui trovasi ed al decorso che tiene. La prima indicazione da soddisfare, in tutti i casi si è, [p. 306 modifica]di giungere a conoscere la causa occasionale, affine di allontanarla se è possibile, o far cessare la perniciosa sua influenza. Se l’affezione è incipiente, si può cercare di far abortire, per così dire, l’infiammazione, facendo passare l’animale in una corrente d’acqua limpida, e ponendolo, al sortire del bagno freddo, in luogo secco, nel quale il piede non possa essere impregnato d’urina o d’altri corpi irritanti. Allorchè la malattia è in corso da più di otto giorni, bisogna ricorrere ai bagni ed ai cataplasmi emollienti, e persistere nel loro uso. Le sanguigne locali non devono essere trascurate, e sono di rigore se l’intumidimento ed i dolori trovansi portati ad un alto grado; in ogni caso, favoriscono l’impiego dei bagni e concorrono efficacemente al distendimento delle parti. Queste sanguigne si praticano tagliando gli sproni con grosse forbici, volgarmente chiamate cesoje, oppure aprendo ora la vena del pastorale, ora la sotto-cutanea posteriore della gamba9. Durante questo tempo, la piaga verrà medicata con stoppe inzuppate nel vino tiepido o [p. 307 modifica]dell’acquavite diluita in una grande quantità d’acqua; tostochè l’infiammazione avrà perduto in intensità , si impiegheranno le lozioni astringenti, composte di sotto-acetato di piombo o di solfato di rame, rendendole più o meno concentrate, a seconda della renitenza del male ad una compiuta cicatrizzazione. Se malgrado questi diversi mezzi, la lumaruola progredisse sempre, e passasse allo stato d’ulcera, bisogna sostituire i caustici agli astringenti, affine cambiare questa cattiva direzione e richiamare lo stato di piaga semplice. Il medicamento più comunemente impiegato in queste circostanze, è l’unguento egiziaco, del quale aumentasi l’attività coll’addizione del sublimato corrosivo, e che rendesi meno forte mescolandolo con una certa quantità di sugna o meglio d’unguento populeo. Allorchè i lembi dell’ulcera sono neri, bavosi o callosi, è necessario amputare collo stromento tagliente tutte le carni di cattiva natura, e formare una piaga semplice ed unita. In queste circostanze, il cauterio attuale riscaldato quasi al colore bianco può rianimare l’ulcera e determinarne la cicatrizzazione; servesi a questo effetto d’un cauterio a punta arrottondata, e si ha cura di non abbruciare di troppo nè troppo profondamente.

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Tosto che l’aspetto della piaga sia favorevole e si preveda un corso salutare, si riviene all’uso dell’acquavite, oppure si medica semplicemente con stoppe asciutte, secondo lo stato del male. Verso la fine, ed allorchè non esiste più dolore nè calore, si applicano sulla piaga alcune polveri essiccanti, siccome calce spenta, allume calcinato, polvere di carbone, ec., e si termina così la cura della lumaruola; ma il successo dipende per la massima parte dall’attenzione apportata nel tenere i piedi ammalati al sicuro dell’umidità e del sucidume. Il trattamento meglio combinato e meglio applicato non è costantemente seguito da successo, la guarigione può compiersi soltanto in apparenza, e la zoppicatura ristabilirsi dopo qualche tempo. Questo succede allorchè il legamento interdigitato è intaccato e del quale non si può ottenere l’esfoliazione; la cicatrizzazione si opera come nella piaga la più semplice, sembra completa; ma il legamento ricoperto dalle parti molli mantiene un dolore sordo, il quale impedisce all’animale di servirsi francamente e liberamente del piede. In allora l’animale, non potendo lavorare, offre nessun’altra risorsa fuorchè il macello; se è una vacca, può ancora dar latte, a meno che il dolore, essendo forte, non ne diminuisca od alteri la secrezione.

Non ebbimo occasione osservare la lumaruola nelle bestie ovine. Egli è vero che Fabre ne parla nel precitato suo Traité du piétin; ma i fatti esposti da questo veterinario possono segnare tanto la postema quanto la lumaruola; imperocchè l’una e l’altra di [p. 309 modifica]queste affezioni incominciano con un’infiammazione.

Ciò che caratterizza essenzialmente la lumaruola è l’ulcera interdigitata, e non è presumibile che questa sorta di piaga possa stabilirsi nella pecora senza che il canale sinuoso ne divenga la sede principale.

§ 2.° arenatura (engravée).nota

L’arenatura, malattia identica alla contusione della suola o dei talloni nel cavallo, risiede alla faccia inferiore degli unghielli e dipende da violenze esterne, esito ordinario di marcie forzate su terreni duri, sassosi. Al pari della contusione, comincia con una irritazione dapprima leggiera, ma che aumenta progressivamente in ragione dell’insistenza della causa; essendo spinta ad un certo grado, determina una affluenza di umori nella parte, dalla quale risultano l’intumidimento, il calore ed il dolore più o meno intenso, ed in seguito diversi altri fenomeni gravi, come la riprensione, la caduta dello zoccolo.

I ruminanti, nei quali l’ugna è tenera, e vanno quasi sempre a piedi nudi, si arenano tosto che camminano su terreni duri e sassosi, e questa facilità ad arenarsi è molto maggiore, se la durezza del suolo 10 [p. 310 modifica]è accompagnata da aridità generale della terra e da eccessivo calore dell’atmosfera. Queste ultime circostanze rendono la malattia frequente nelle bestie da lavoro, soprattutto allorquando questi animali fanno viaggi, ai quali non sono abituati. D’altronde è cosa chiara che i buoi d’alta statura e molto pesanti non possono lavorare senza portar ferri ai piedi, a meno non camminino abitualmente su di un terreno molle e poco consistente.

L’animale arenato finge dapprima, finisce zoppicando sempre più, e prova, appoggiandosi sui piedi ammalati, il più vivo dolore, il quale cagiona alle volte la febbre, la tristezza e l’inapetenza. Se si cocostringe in allora il ruminante a camminare, cade tosto ripreso od incapace di sostenersi; tale è la sorte di molti buoi provenienti da lontane regioni, e condotti a Parigi per la macellazione.

Il cammino, causa occasionale dell’affezione, produce insensibilmente la logoranza, l’assottigliamento progressivo dell’ugna, e fa di sovente nascere alla suola ed ai talloni delle echimosi e compressioni. La malattia continuando a far progressi, si complica di tumefazione delle corone e delle pastoje, finisce col degenerare in riprensione, la conseguenza più ordinaria della quale è la caduta dello zoccolo dell’uno o dei due unghielli.

L’arenatura è molto frequente ne’ difalangi maggiori, sovrattutto in quelli che servono ai lavori dell’agricoltura. A meno non sia degenerata in riprensione, o non trovisi complicata da altre malattie, il [p. 311 modifica]riposo, i bagni, le sanguigne locali ed i cataplasmi emollienti sono i mezzi coi quali si fanno sparire tutti i sintomi di questa affezione. Nulladimeno, la cura non può essere considerata come completa se non se quando l’ugna abbia acquistato bastante spessore per ridonare al piede la primitiva solidità. La ferratura, essendo praticabile, deve essere impiegata tanto per guarire la malattia quanto per evitare la recidiva. Gli unghielli, provvisti di ferri ben fabbricati, ben imborditi ed attaccati solidamente, trovansi al coperto delle impressioni dolorose, esiti di lungo cammino su terreni duri, e sono per conseguenza csenti o poco soggetti all’arenatura. La ferratura non può convenire alle bestie da lana, nè può su di loro praticarsi; alcune volte è rimpiazzata da piccoli stivaletti, che si attaccano ai piedi di questi animali, per farli viaggiare e preservarli dai mali de’ piedi. Malgrado la sua utilità, quest’ultimo metodo non può impiegarsi che per un piccolo numero di individui alla conservazione dei quali si dia molta importanza: sarebbe troppo dispendioso e troppo lungo a mettere in pratica in un armento composto di più centinaja di teste.

§ 3° riprensione (fourbure).

La riprensione, la quale come fu detto è uno degli esiti frequenti dell’arenatura, presenta le stesse considerazioni generali come nel cavallo. Al pari del piede monodattile, consiste nell’infiammazione di tutto [p. 312 modifica]il tessuto reticolare, si annuncia sempre con caratteri gravi e se non è arrestata nel suo decorso, non tarda a far nascere la gangrena e cagionare la perdita dell’animale. Difatti i fluidi arrivano e s’accumulano senza cessare nel tessnto sotto-ungulato, determinano prontamente una febbre intensa di reazione, la quale dà il più ordinariamente luogo alla formazione di focolari purulenti. La materia di questi centri, imprigionata tra l’osso dell’unghiello e la suola d’ugna, fa soffrire considerevolmente l’ammalato; altera, disorganizza i tessuti interni, stacca l’ugna circolarmente, finisce col produrre diverse deviazioni dello zoccolo, di sovente ne cagiona la caduta. Tuttavia, quest’ultimo accidente, sempre grave non sopraggiunge che verso il quindicesimo o ventesimo giorno, dopo l’invasione della malattia, ed all’epoca in cui la febbre di reazione comincia a calmarsi. L’unghiello, privo di zoccolo, si cuopre insensibilmente d’un nuovo strato d’ugna, il quale mette tanto più tempo a formarsi, quanto più furono alterate le parti interne. Questo strato, del quale si può favorire l’accrescimento con diversi, mezzi, non presenta, da principio che una debole consistenza, una superficie irregolare e rugosa, in seguito di viene liscia, prende della solidità ed un certo spessore, ma non forma mai un ugna perfetta come la prima. Gli unghielli, guarniti di questi zoccoli di riproduzione, restano dolorosi e mantengono la claudicazione. Gli animali non potendo più essere con vantaggio impiegati ai lavori, trovasi il proprietario nella necessità d’ingrassarli pel macello. [p. 313 modifica]

Tutte le parti costituenti il piiede provano gli effetti della riprensione, ma non vengono tutte egualmente alterate, ve ne sono anzi che conservano sino ad un certo punto la loro integrità. Così l’ugna diviene rugosa, squamosa, friabile, lo zoccolo devìa in diversi sensi, può siccome fu detto staccarsi compiutamente ed essere rimpiazzato da un nuovo strato d’ugna. L’osso dell’unghiello partecipa quasi sempre alle de viazioni dello zoccolo, quest’osso si trova alle volte guarnito d’asperità o d’esostosi, e le sue porosità sembrano più grandi, più moltiplicate. Le vene che s’inalzano dall’interno degli unghielli sviluppansi considerevolmente, formano differenti seni, ec.

Il trattamento della riprensione dev’essere pronto ed energico. Prima ed indispensabile indicazione da soddisfare, consiste nel far cessare la causa occasionale tosto avvedesi dell’invasione della malattia o di sua già decisa esistenza; conviene dunque, prima di sottomettere gli animali ad un trattamento, metterli in riposo su di un buon strame, e ad un regime rinfrescante; se trovasi in vicinanza d’una riviera, bisogna condurvi gli ammalati e lasciarveli per qualche tempo. La sanguigna è uno dei più possenti mezzi terapeutici contro la riprensione, soprattutto allorchè l’affezione invase i quattro piedi ad un tratto; in questi casi sgraziatamente i più ordinari, bisogna praticare abbondanti ed ampie sanguigne, e replicarle finchè diminuisca la febbre di reazione ed il dolore locale; in generale la flebotomia è prescritta all’invasione della malattia, e durante tutto il tempo che [p. 314 modifica]il polso indica lo stato pletorico. La sanguigna alle giugulari sono quelle alle quali si ricorre in primo luogo; nulladimeno le sanguigne locali, alle cefaliche (sottocutanee anteriori degli avambracci), pei membri anteriori, ed alle sotto - cutanee dei garetti, (sotto-cutanee posteriori delle gambe), pei posteriori, non devono essere trascurate; alcuni pratici le considerano e le raccomandano anzi siccome le più efficaci in simili casi. Tutti gli altri mezzi curativi, che vennero indicati all’articolo della riprensione del cavallo, non trovano che un’applicazione più o meno completa; così, le frizioni irritanti sono sempre di gran soccorso, e non bisogna trascurarle,soprattutto se la riprensione si annuncia con sintomi gravi; faremo solamente osservare che nei membri anteriori queste frizioni devono estendersi al dissopra del ginocchio. L’immersione dei piedi in un liquido freddo ed astringente sarebbe pure convenevole, ma presenta troppe difficoltà per essere consigliato; del resto, il regime ed i cataplasmi astringenti sono gli stessi come pel cavallo.

I centri purulenti che possono manifestarsi sotto la suola, durante il corso della malattia, s’annunciano con punti più dolorosi, soventi volte col sollevamento o deviazione dell’ugna; bisogna allora armarsi d’un incastro, assottigliare poco a poco la suola d’ugna, e specillare finchè si giunga ad assicurarsi del punto preciso in cui esiste il focolare. Col mezzo d’una piccola apertura che si pratica in seguito coll’angolo dell’incastro o con una curasnetta, si dà scolo [p. 315 modifica]al pus e l’animale si trova sollevato. Ciò nulladimeno, quest’apertura sarà sufficientemente grande pel libero scolo della materia, ma non è necessario amputare tutta la porzione d’ugna distaccata, è meglio lasciarla sussistere, poichè può servire favorevolmente per la nuova cacciata. I centri purulenti, aperti come si disse, non richiedono altre cure fuorchè quelle prescritte per le piaghe semplici, e la loro cicatrizzazione conduce la formazione d’una nuova ugna per rimpiazzare quella che erasi staccata. Per favorire questa riproduzione cornea, sollecitare il consolidamento dello zoccolo, mettere al più presto l’animale in stato di camminare e di lavorare, si applicherà al l’unghiello ammalato un ferro leggiero che si farà guarnire e si attaccherà con quattro chiodi a lama sottile. La ferratura non sarà però messa in opera che ad una certa epoca, ed allorchè i centri purulenti non forniranno più materia. Tosto l’animale comincia ad entrare in convalescenza e camminare un poco liberamente, si agirà saviamente mettendolo in un pascolo; l’esercizio ch’egli prende in questo stato di libertà, eccita la circolazione nelle parti ammalate e contribuisce possentemente alla guarigione.

Allorchè vi ha caduta completa dello zoccolo, bisogna sollecitamente coprire la parte denudata, affine di preservarla dalle impressioni dell’aria e dal l’irritazione d’ogni altro corpo: si spalma la superficie con una sostanza grassa, e si applicaun apparecchio di stoppa fitta, che si lascierà durante alcuni giorni. Questo primo apparecchio non deve essere [p. 316 modifica]levato che quando il pus spandesi al dissotto, e che l’animale prova dolore in seguito alla compressione; il meglio si è lasciare questo primo apparecchio finchè un nuovo strato d’ugna siasi sviluppato. In ogni caso, bisognerà regolarsi a seconda di che venne detto per la setola e per la dissuolatura nel cavallo.

§ 4° stortilatura al nodello (effort du boulet).

In ragione della lentezza dei movimenti, ed anche per la divisione del suo piede, il bue è molto meno soggetto alle distorsioni del nodello che il cavallo, i cui movimenti sono quasi sempre precipitati, ed i cui forzati esercizj sono sì frequenti che variati. Nell’uno e nell’altro di questi quadrupedi, l’accidente riconosce le stesse cause, presenta gli stessi caratteri, segue lo stesso decorso e può avere i medesimi esiti. La distorsione del piede difalange può essere più forte, più pronunciata in un unghiello che nell’altro, ma non sembra suscettibile essere portata al grado elevatissimo, al quale giunge alle volte nel cavallo, che può complicarsi da laceramento più o meno completo dei legamenti laterali e capsulari. L’esempio di simile eccesso di stortilatura non fu ancora notato nel bue, e l’organizzazione del suo nodello, sembra se non renderla impossibile, almeno difficile.

La distorsione al nodello del bue richiede lo stesso trattamento di quello del cavallo, ed esige le stesse attenzioni. Il riposo deve sempre essere il primo [p. 317 modifica]mezzo a mettersi in pratica tosto avvedesi dell’esistenza dell’affezione; in seguito si ricorre agli astringenti, ai calmanti ed ai fortificanti, dei quali si combina l’impiego secondo i gradi ed i periodi della mala ttia. Faremo solamente osservare che tutti i mezzi indicati per la distorsione del cavallo non, possono trovare applicazione nelle bestie bovine, non abituate a lasciarsi levare i piedi, soprattutto i poste riori; perciò riesce sovente impossibile mantenere i membri affetti in un bagno particolare oppure coprire le parti inferiori con cataplasmi. L’astringente il più semplice ed il più facile ad impiegarsi, nelle prime ventiquattr’ore dall’accidente, è al certo il bagno di riviera; sgraziatamente non trovasi che di rado a portata di tale soccorso. Giunta la malattia allo stato infiammatorio richiede non solo i bagni caldi ed i cataplasmi emollienti, ma eziandio le sanguigne locali. Le evacuazioni sanguigne sono sempre prescritte, allorchè esistono forti dolori, si può aprire la vena sotto-cutane a posteriore della gamba, la quale somministra maggiore quantità di sangue; e questa sanguigna si pratica, siccome fu detto, alla faccia esterna ed inferiore della gamba, dopo il contorno del vaso sulla corda tendinosa del garetto; ha luogo alla cefalica pei membri anteriori (vena sotto-cutanea anteriore dell’avambraccio). I fortificanti comunemente usitati per la distorsione nel bue sono le frizioni spiritose ed i bagni aromatici; la cauterizzazione potenziale vantaggiosa per guarire la distorsione nel cavallo, non è quasi mai impiegata nelle bestie [p. 318 modifica]bovine, tanto a causa della troppo lenta azione del fuoco a produrre i suoi effetti, quanto perchè havvi vantaggio in queste circostanze ingrassare gli animali e condurli al macello.

Un mezzo ancora poco conosciuto, ed al quale riccorrono certi pratici per sollecitare la cura della distorsione e sovrattutto per prevenire nuovi stiramenti, consiste nel fissare i due unghielli insieme, in modo d’annullare ogni movimento parziale; a questo scopo, servisi d’una piastra di ferro, o d’una correggia di cuojo, stretta e forte; potrebbesi anche combinare l’impiego simultaneo di questi due mezzi. La piastra che può essere di tolla od essere fabbricata sull’incudine, s’attacca all’orlo esterno d’ognuno degli unghielli con chiodi sottili, e tiene così i due zoccoli avvicinati. La correggia, che per essere convenientemente fissata, deve portare un fermaglio ad una delle estremità, si contorna sugli unghielli, e li mantiene strettamente uniti; pria di procedere all’applicazione di questa correggia, è necessario praticare all’orlo convesso e vicino alla punta d’ogni zoccolo un intaglio o scanalatura, suscettibile di contenere i giri inferiori del laccio. Dobbiamo a Maillet, già menzionato, la cognizione di questo modo contentivo degli unghielli, nel caso di distorsione al nodello; comunicandoci questo mezzo, Maillet assicurò essere egli stesso stato testimonio dell’impiego di questo processo, averne riconosciuti e constatati i vantaggi. [p. 319 modifica]

§ 5° punture.

Le punture alle quali vanno soggetti i piedi didattili possono essere cagionate dagli stessi corpi e nello stesso modo di quelle che succedono ai piedi del cavallo; possono anche produrre gli stessi disordini ed avere i medesimi risultati.

Il bue all’aratro è esposto ad un genere particolare dipuntura, chiamato rigatura, solcatura (enraiement)11. Questo accidente assai frequente, ha luogo per l’ordinaio allorchè l’animale, giunto a capo del solco, ritorna si per tracciarne un nuovo. Alla fine d’ognuno di questi solchi, il bovaro, pesando sul manico dell’aratro per cavarlo dal solco, fa alzare la punta del vomere. Se in questo istante il bue si volge alla stretta e senza che il bovaro abbia smosso l’aratro, l’animale raggiunge l’estremità del vomere, e si ferisce più o meno profondamente. Questa sorta di lesione ha luogo eziandio allorchè l’animale, indocile o provando sorpresa, indietreggia ad un tratto o volgesi bruscamente da un lato; in fine i buoi attaccati troppo corti possono, allungandosi per tirare, solcarsi e pungersi gravemente.

Come il chiodo da strada, la solcatura può essere [p. 320 modifica]superficiale o profonda, leggera o grave, avere luogo verso la metà della suola, od in tallone, o vicino alla punta dell’unghiello, essere portata nel fondo del solco, od in fine nella piegatura della pastoja. La puntura avente sede verso la punta dell’unghiello è la più pericolosa e merita sotto questo rapporto maggiore attenzione che quella della metà della suola, sovrattutto della puntura in tallone che è la meno grave, e la ragione ne è troppo semplice, per abbisognare di spiegazione.

La puntura fatta tra i due unghielli degenera sovente in lumaruola ed esige lo stesso trattamento di questa affezione; diviene alle volte talmente grave, che il bue, abbenchè guarito, resta sempre zoppo e non può più lavorare. Le altre varietà di solcature sono identiche alle differenti sorta di chiodi da strada che mostransi nel cavallo, e delle quali abbiamo trattato a pag. 249 e seg.

§ 6° giavardi, chiovardi.

Queste malattie del piede del bue, che certi autori indicarono molto impropriamente sotto i nomi di fico e rospo, non sono che di tre sorta; il giavardo cutaneo, il tendinoso e l’incornato. Queste tre varietà di giavardi presentano gli stessi caratteri, le medesime considerazioni di quelle rimarcate nel cavallo; possono pure esigere le medesime operazioni e reclamare le stesse cure.

Il chiovardo cutaneo del bue produce [p. 321 modifica]mente maggiore intumidimento, maggior dolore che quello del cavallo, e degenera in chiovardo tendinoso. Determina quasi sempre un intumidimento considerabile, il quale abbraccia spesso le corone, le pastoje od il nodello nel medesimo tempo; altre volte l’intumidimento si propaga perfino alla parte superiore dello stinco, e cagiona una febbre generale, la quale fa molto soffrire l’animale, impedisce la ruminazione, lo rende tristo, disgustato, e lo fa dimagrare. Queste due prime varietà di giavardi determinano frequentemente la caduta d’un ampia porzione di cute, e complicano la malattia. Il chiavardo tendinoso dà sovente luogo alla formazione d’un capo morto, la cui caduta lascia allo scoperto una piaga più o meno profonda. La materia purulenta spandesi alle volte tra le ossa delle pastoje e necessita grandi aperture. Col suo soggiorno troppo prolungato, il pus può interessare il legamento interdigitato, complicare l’affezione e renderla anzi incurabile. Il giavardo incornato fa progressi rapidi e cagiona in poco tempo la caduta dello zoccolo, a meno non si prendino misure per arrestarne i progressi ed ottenerne la guarigione. In queste circostanze importa assai sbrigliare ed ampliare le piaghe, le quali vengono curate come quelle del chiovardo incornato del cavallo. [p. 322 modifica]

§ 7.° fico delle bestie bovine.

Sotto questo titolo, descriveremo una malattia particolare al piede del bue, la quale intacca la parte anteriore della riunione dei due unghielli (solco), con siste in vegetazioni carnose, pedicolate, ed offre analogia col pietino delle bestie ovine e col fico del cavallo. Incomincia con un intumidimento alla cute interdigitata, la quale protende all’infuori e dà nascita ad escrescenze rosse, filamentose, rigonfie alla loro sommità e disposte a ciocche. Quest’affezione generalmente ribelle, molto frequente in alcuni paesi, è distinta nel Bas-Anjou, sotto il nome di piede di gatto12; può esistere in un solo nei due piedi posteriori, come pure intaccare i quattro piedi nel medesimo tempo. In quest’ultima circostanza è molto difficile a guarirsi; il più di sovente resiste a tutti i mezzi impiegati e rende l’aninale inservibile.

La primavera è la stagione la più favorevole allo sviluppo di queste vegetazioni digitate. Infatti i bestiami, condotti il mattino al pascolo, hanno i piedi bagnati durante tutto il tempo della rugiada, e queste sorta di bagni irritano gli unghielli, i quali di vengono rossi e tumidi. Tutti i bovari intelligenti, conoscono questi effetti prodotti dalla rugiada della [p. 323 modifica]primavera e sanno che in quest’ultima epoca è frequente la lumaruola. Aggiungiamo che a questa medesima epoca l’uso del verde determina e mantiene la diarrea negli animali i quali, durante il loro soggiorno nella stalla, hanno i piedi posteriori immersi in un fimo liquido, infetto e nocivo. Quest’ultima circostanza spiega perchè il fico mostrasi più di sovente ai piedi posteriori, e perchè sia più ribelle.

Il fico non sviluppasi indistintamente in tutti gli individui sottoposti all’influenza delle cause sopraindicate; non si manifestano che in alcuni e sembra compagno di certe costituzioni; così è opinione generale, che questa malattia propagasi per eredità. Ciò non ostante la contagione non ha parte alcuna alla trasmissione, ed a torto asserirono alcune persone il contrario.

Nei primordi e finchè lo stato infiammatorio susiste, l’animale strascina il piede ammalato, finge o zoppica più o meno forte secondo l’intensità del dolore. Se il fico si stabilisce nello stesso tempo ai due piedi posteriori, l’animale sembra preso nel treno posteriore, pare cammini sulle spine, zoppica ora a destra, ora a sinistra. Questa prima claudicazione, sempre leggiera, sparisce dopo qualche tempo, e cessa nel periodo infiammatorio, ma si rinnova allorchè il fico ha preso una certa estensione ed impedisce i movimenti degli unghielli. La vegetazione carnosa, di cui trattasi, mette radici interne più o meno profonde, le quali giungono alle volte sino al legamento interdigitato; la sua parte esuberante esternamente, non acquista che una certa ampiezza e non oltrepassa [p. 324 modifica]mai la grossezza d’un uovo da pernice. Queste vegetazioni le quali persistono tutta la vita, se non giungesi a distruggerle con un trattamento razionalmente combinato, sono molto più perniciose poichè deteriorano insensibilmente il piede e lo rendono molto disposto alle impressioni delle forti battute o troppo a lungo continuate sul suolo. Se l’animale attaccato fico agli unghielli posteriori è forzato accelerare il cammino,principalmente su terreno duro e sassoso, le escrescenze digitate s’infiammano e divengono sanguinolenti. Continuando il cammino, il lavoro, gli unghielli si gonfiano, aumenta e propagasi il dolore; insomma, manifestasi la riprensione la quale termina questa serie di fenomeni. Gli inconvenienti sono molto più grandi, se l’affezione esiste nello stesso mentre alle quattro estremità; allora si è che l’ammalato cammina sulle spine, che la locomozione diviene una funzione penosa, e che i fenomeni sopra menzionati si succedono con rapidità.

In riassunto, i fichi hanno per esito primitivo l’inabilità dei piedi intaccati a sostenere viaggi: possono anche produrre altri sconcerti gravi, ma questi non sono che secondari, consecutivi; da ciò consegue essere la malattia molto meno pericolosa negli animali i quali, come le vacche da latte delle grandi città, sono nudrite ed abbeverate in stalle, e non prendono alcun esercizio. Sarebbe cosa interessante constatare; 1° se queste giovenche attaccate da fico, solamente ai piedi posteriori, od ai quattro in un tratto, sieno suscettibili divenire riprese a capo d’un [p. 325 modifica]certo tempo; 2° se, durante il corso dell’affezione, subisca il latte qualche alterazione.

Il trattamento dei fichi è puramente locale, e presso a poco uguale a quello prescritto pel porofico del cavallo; consiste nell’amputazione e cauterizzazione dei bernoccoli carnosi, e richiede sovrattutto medica zioni metodiche. Per effettuare la cauterizzazione tanto attuale che pontenziale, bisogna primamente fissare l’animale in una macchina (travail), oppure atterrarlo, rovesciarlo su di un buon letto di paglia, ciò che è preferibi le pel maggiore comodo dell’operatore. Per la cauterizzazione attuale bisogna munirsi d’un cauterio a punta e farlo scaldare. Il piede da operarsi essendo convenientemente fissato, s’incomincia coll’amputare le escrescenze più prominenti, applicandovi poscia il cauterio riscaldato sino al colore bianco, che si immerge a certa profondità, affine di distruggere, per quanto è possibile, le radici del fico. Cercando però raggiungere quest’ultimo scopo, importa assai non spingere il cauterio troppo avanti, temendo abbruciare il legamento interdigitato, accidente sempre grave, che mantiene la claudicazione e rende l’animale storpio. Terminata l’operazione, si scioglie da’ lacci l’animale, si conduce in luogo asciutto e su buon strame, rimanendovi sino alla completa caduta dell’escara ed alla cicatrizzazione delle piaghe. Questa prima cauterizzazione non è sempre seguita da successo, e non è raro il caso in cui, staccata l’escara, travedansi nuovi fichi; bisogna in allora ricorrere ad una nuova applicazione del cauterio attuale, anzi rinnovarla sino [p. 326 modifica]alla compiuta distruzione d’ogni morbosa vegetazione, ciò che prolunga la cura ed aumenta le spese.

Molte persone preferiscono a ragione la cauterizzazione potenziale, non solo a causa del suo più facile e meno pericoloso impiego, ma eziandio perchè è generalmente più efficace e rende più certa la guarigione radicale del fico. Effettuasi col sublimato corrosivo (deuto-cloruro di mercurio), ridotto in polvere ed applicato dopo l’amputazione della parte esterna del fico. L’animale essendo fissato siccome per la cauterizzazione attuale, s’incomincia col recidere la parte carnosa esuberante, formando una piaga unita la quale viene aspersa di sublimato corrosivo. Ma prima di applicare la polvere corrosiva, si passa tra i due unghielli la parte media d’una grossa e lunga faldella, della quale rilevansi successivamente i capi fino in pastoja, attorno alla quale sono contornati ed annodati insieme. È inutile spiegare che il capo anteriore sarà rilevato per l’ultimo, ed immediatamente dopo l’applicazione del caustico che deve mantenere applicato. Per compiere la medicazione, si involgono i due unghielli con un pezzo di tela fissata in pastoja, col mezzo di una legatura o d’una piccola corda.

A capo di cinque o sei giorni, procedesi con precauzione a levare il primo apparecchio. Se l’escara è ancora aderente alla superficie della piaga, si cerca smuoverla con una pinzetta, e se, non tiene che debolmente, la si stacca poco a poco, senza effusione di sangue e senza irritare la parte viva, si [p. 327 modifica]applica di nuovo lo stuello, come pure l’involto e si attende per due o tre giorni.Se la piaga sbarazzata dall’escara lascia vedere qualche vegetazione ficosa13, si copriranno queste vegetazioni di cattiva natura col sublimato, e si medicherà come la prima volta. Le seguenti medicazioni, che si eseguiranno nella stessa maniera, dovranno essere tanto più frequenti, quanto più sarà difficile ottenere la distruzione del fico. Si può secondo le circostanze moderare l’attività del caustico mescolandolo all’egiziaco od alla trementina liquida; in questo ultimo stato il caustico ha poca attività, e conviene allorchè le escrescenze morbose sono leggeri e sembrano sparire.

La cauterizzazione potenziale, siccome siamo dal farlo conoscere, riesce generalmente allorchè la malattia non esiste che ai piedi posteriori. Ma questo trattamento richiede, siccome abbiamo detto, due condizioni essenziali; 1° che le medicazioni sieno e seguite a proposito e colle attenzioni prescritte nella cura del porofico del cavallo; 2° che i piedi operati sieno costantemente tenuti al coperto dell’umidità e del sucidume. Tutte le volte che il fico intacca i quattro piedi ad un tratto, il trattamento è troppo lungo, dispendioso e di rado coronato da successo; in questo caso, è meglio non intraprenderne la cura, e consigliare al proprietario disfarsi dell’animale e venderlo pel macello. [p. 328 modifica]Pagina:Girard - Trattato del piede negli animali domestici.pdf/334 [p. 329 modifica]Pagina:Girard - Trattato del piede negli animali domestici.pdf/335 [p. 330 modifica]Pagina:Girard - Trattato del piede negli animali domestici.pdf/336 [p. 331 modifica]Pagina:Girard - Trattato del piede negli animali domestici.pdf/337 [p. 332 modifica]Pagina:Girard - Trattato del piede negli animali domestici.pdf/338 [p. 333 modifica]Pagina:Girard - Trattato del piede negli animali domestici.pdf/339 [p. 334 modifica]Pagina:Girard - Trattato del piede negli animali domestici.pdf/340 [p. 335 modifica]Pagina:Girard - Trattato del piede negli animali domestici.pdf/341 [p. 336 modifica]Pagina:Girard - Trattato del piede negli animali domestici.pdf/342 [p. 337 modifica]Pagina:Girard - Trattato del piede negli animali domestici.pdf/343 [p. 338 modifica]Pagina:Girard - Trattato del piede negli animali domestici.pdf/344 [p. 339 modifica]Pagina:Girard - Trattato del piede negli animali domestici.pdf/345 [p. 340 modifica]Pagina:Girard - Trattato del piede negli animali domestici.pdf/346

  1. Unghiello, diminutivo d’unghia, termine volgare impiegato per distinguere ognuna delle divisioni del piede didattile e del porco. Questa denominazione, sanzionata dall’uso, ha il medesimo senso dell’espressione zoccolo, per indicare il piede monodattile.
  2. Nei monodattili, trovansi le traccie di questa produzione legamentosa, alla quale si riuniscono i tendini dei piccoli muscoli lombricali e peronei.
  3. Queste sorta di costruzioni, o per meglio dire di macchine sono oggigiorno meno numerose che altre volte, perchè i veterinari essendosi moltiplicati, vanno curare bestiami a casa dei proprietari, ed una macchina fissata ad un punto fisso e non trasportabile rendesi compiutamente inutile. Nulladimeno i maniscalchi per praticare la ferratura dei buoi e delle vacche, non possono dispensarsi dall’avere un travaglio pei loro servizi particolari e giornalieri. Così, queste macchine sono più comuni nelle contrade in cui le bestie bovine abbondano, vengono impiegate a giornalieri lavori e portano ferri agli unghielli.
  4. Scornare, termine usato nelle campagne per indicare la caduta accidentale d’una delle corna. Questa caduta non comprende comunemente che la sostanza cornea, la quale si stacca, si disunisce dal sostegno osseo. Molti pratici assicurano essere alle volte questo accidente complicato dalla frattura di un pezzo più o meno lungo di nucleo; non ebbi mai occasione osservare questa complicazione che sono ben lungi dal rivocare in dubbio; quando ha luogo, deve rendere la malattia più grave e di più lunga guarigione.
  5. Questo mezzo usitato nel Maine-et-Loire ci venne comunicato da Maillet, sotto-professore alla scuola d’Alfort; dobbiano pure alla sua compiacenza molte osservazioni concernenti le malattie dei piedi del bue.
  6. È inutile il dire che le sostanze medicamentose fanno parte di gran numero di medicazioni.
  7. La denominazione di lumaca o lumaruola proviene probabilmente da ciò che ad una certa epoca l’affezione presenta una crepaccia flessuosa stabilita tra le rugosità formate dalla cute interdigitata. Questa malattia fu nominata limaruela da F. Toggia, e limassura da Fabre, il quale pensa potere essere compresa in un quadro nosologico, sotto la denominazione d’arsura interdigitata (arsura interdigitalis).
  8. Traité du piétin, inserito nel volume delle Mémoires de la Société royale et centrale d’Agriculture, pour 1823, pag. 259, un riassunto del quale trovasi nel Recueil de médecine vétérinaire, vol. del 1825, pag. 40 e seg.
  9. Rammenteremo essere la vena sotto-cutanea posteriore della gamba del bue un vaso considerabile, sporgente, posto obliquamente sulla corda tendinosa del garetto, proviene dal lato interno della depressione situata tra la corda e la tibia, si contorna dall’interno all’esterno, e dal basso all’alto sul tendine del calcagno e sparisce verso la metà della faccia esterna della gamba, ove si immerge tra i muscoli per andar a gettarsi nella vena grande muscolare della coscia.
    La flebotomia di questa vena si effettua mediante una piccola fiamma, applicata obliquamente sul vaso, nel punto in cui guadagna la faccia esterna della gamba ed un poco al disopra del suo contorno sulla corda tendinosa. Questa sanguigna molto vantaggiosa negli intumidimenti infiammatorj degli unghielli e delle parti vicine, fornisce molto sangue, del quale si arresta lo scolo applicando uno spillo, come per la sanguigna alla giugulare. Alcuni pratici fanno cessare lo scolo del sangue esercitando una semplice compressione sul vaso aperto durante quattro o cinque minuti, servendosi perciò d’un corpo duro e piatto, come di un pezzo di tegola, di lavagna, di pietra ec.
  10. Viene impiegato questo vocabolo perchè la malattia è ordinariamente cagionata da’ grani di sabbia che s’incastrano nel l’ugna e vi restano fissi. L’arenatura è un’affezione molto comune in tutti i paesi nei quali si educano molti animali a grosse corna, soprattutto in quelli nei quali sono impiegati, senza essere ferrati, alla coltura delle terre ed a’ differenti altri lavori.
  11. Nelle contrade della già Provenza e nelle montagne di Alvergna, ove l’aratro è molto in uso e quasi il solo stromento d’agricoltura, si distingue il vomere col nome di raye (riga) (rayelle nell’Alvergna), e chiamansi enraiment od enrayellement le punture cagionate dal vomere.
  12. Questa denominazione proviene senza dubbio dalla disposizione delle escrescenze carnose in ciocche pedicolate, disposizione alla quale si credette rimarcare una rassomiglianza colla superficie plantare della zampa del gatto.
  13. Vegetazioni ficose, che tengono della natura del fico.