Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano/Riflessioni d'ignoto autore sopra i capitoli XXVI, XXVII e XXVIII

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Riflessioni d'ignoto autore sopra i capitoli XXVI, XXVII e XXVIII
28 Indice V


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RIFLESSIONI

D’IGNOTO AUTORE

SOPRA I CAPITOLI

XXVI,XXVII E XXVIII

DELLA STORIA DELLA DECADENZA

E ROVINA DELL’IMPERO ROMANO

DI

EDOARDO GIBBON

DIVISE IN TRE LETTERE

DIRETTE

AI SIGG. FOOTHEAD E KIRK

INGLESI CATTOLICI


LETTERA I.

L’amorevolezza, con cui accoglieste le brevi e semplici mie riflessioni sul VI. e VII. Tomo della Storia del Sig. Gibbon della traduzione Pisana, le quali v’indirizzai sì per rendervi cauti nella lettura di un’opera pericolosa, che per varj titoli doveva sollecitare la vostra letteraria curiosità, come ancora per animarvi a far uso in difesa della Religione Cattolica del vostro raro talento e sapere: ed inoltre il compatimento, che elleno meritarono presso il dotto ed illustre Pre[p. 403 modifica]lato della vostra nazione, Monsignor Stonor1, mi rendono coraggioso ad indirizzarvene, unicamente pei fini medesimi, alcune altre poche, le quali mi son presentate alla mente in leggendo l’ottavo Tomo uscito ora alla luce. Ma in questo ancora sono tanto gli abbagli del Sig. Gibbon e tanto varj, che senza nojarvi, censurandoli ad uno ad uno, vi mostrerò soltanto l’Autore sempre coerente a se stesso nel pungere ed avvilire il partito Cattolico; non accorgendosi egli per avventura, quanto, così adoperando, ponga in diritto i suoi leggitori di applicare ai suoi libri i giudiziosi canoni fissati da Plutarco nel suo aureo Opuscolo de Malignitate Herodoti, per giudicare del merito di uno Storico.

Siccome un adulatore artificioso ed astuto frammischia talora tra molte e lunghe lodi qualche ombra di biasimo2, così la malignità ai delitti medesimi accoppia la lode, affinchè quelli ritrovino più agevolmente [p. 404 modifica]credenza. Vediamo se il Sig. Gibbon usa un cotal modo tanto coi Padri Greci che coi Latini. Basilio e Gregorio Nazianzeno (egli dice) eran distinti sopra tutti i loro contemporanei per la rara unione di profana eloquenza e di ortodossa pietà. Essi avevano coltivato i medesimi studj liberali nelle scuole di Atene, si erano ritirati con egual divozione alla solitudine... e pareva totalmente spenta ogni scintilla di emulazione e d’invidia nei santi ed ingenui petti di Gregorio e Basilio. Ma che? l’esaltazion di Basilio alla sede Archiepiscopale di Cesarea scuoprì al Mondo, e forse a lui medesimo l’orgoglio del suo carattere. Il primo favore, che Basilio fece all’amico, fu preso per un insulto, e s’ebbe forse l’intenzione di farlo. Invece d’impiegare i sublimi talenti di Gregorio in qualche utile e cospicuo posto, l’altiero Prelato (Basilio) diè il Vescovado del miserabil villaggio di Sasima al Nazianzeno: e questi dopo di essersi sottomesso con ripugnanza a tale umiliante esilio, e dopo di aver ajutato il proprio padre nel governo della nativa sua Chiesa, conoscendo bene di meritare un’altra udienza ed altro teatro, accettò con lodevole ambizione l’onorevole invito, che gli fu fatto dal partito ortodosso di Costantinopoli. L’istesso Gregorio sotto il modesto velo d’un sogno descrive il proprio buon successo nella predicazione, che ivi ebbe, con qualche umana compiacenza; ivi il Santo, che non avea superate le imperfezioni dell’umana virtù, fu profondamente sensibile al mortificante riflesso, che l’entrar che fece nell’ovile era piuttosto da lupo che da pastore: ivi infine dopo molto l’orgoglio o l’umiltà gli fece evitare una contesa, che avrebbe potuto imputarsi ad ambizione ed avarizia, e propose pubblicamente, non senza qualche dose di sdegno, di [p. 405 modifica]rinunziare al governo di una Chiesa, che era risorta, e quasi creata per le sue fatiche; e fu accettata la rinunzia dal Sinodo e dall’Imperatore più facilmente di quello, che sembra che ei si aspettasse in quel tempo, nel quale egli avea forse sperato di godere i frutti della vittoria. Ecco dove vanno a finire le lodi del Sig. Gibbon! Nei santi ed ingenui petti di Gregorio e Basilio ascondevasi la radice di tutti i mali, la superbia, ed il più abbominevol del vizi, l’ipocrisia. Si può egli mai con più sottile scaltrimento attaccare la santità di due tra i più illustri Dottori della Chiesa, e come tali riconosciuti dalla medesima3 per lo spazio non interrotto di quattordici secoli?

Nè io vo’ già negare, che il Nazianzeno adoperasse dei modi non plausibili per sottrarsi alle cure del litigioso Vescovado di Sasima, nè che egli giungesse perfino sul primo fervore a rampognare Basilio, che l’eminenza della sua sede lo avesse reso orgoglioso; ma non per questo Basilio era tale, come lo afferma francamente il Sig. Gibbon, nè tale in realtà reputavasi da Gregorio. Imperocchè questi medesimo giustificò di poi bastevolmente Basilio4 dicendo, che egli in quella occasione avea preferito, senza riguardo agl’interessi dell’amicizia, tutto ciò, che a suo avviso poteva contribuire al divino servigio; ed in un’arringa [p. 406 modifica]fatta nell’adunanza dei Vescovi5 intervenuti alla sua consacrazione tessè un elogio eccellente a quel grande Arcivescovo, ragionando delle virtù episcopali, che egli poteva apprender da esso; tra le quali e’ parrebbe che l’alterezza, l’invidia, l’emulazione e l’orgoglio tanto meno si potessero annoverare, quanto più debbono i Vescovi rassomigliarsi al divino Pastore e Maestro mansuetissimo ed umil di cuore.

Sarà poi almen vero, che Gregorio per l’alto concetto, che avea di se stesso, ricusasse il governo di Sasima e di Nazianzo, ed accettasse quello della nuova Capital dell’Impero? Per verità fino ai dì nostri si era creduto, che il Nazianzeno avesse cercato mai sempre di ascondersi agli occhi degli uomini, a segno tale da venirgli imputato da taluno a delitto6 un soverchio amore per la solitudine. Da questo amore si ripetevano unicamente le acerbe querele fatte all’amico sul Vescovado di Sasima, a cui aveva sovente7 manifestato il suo disegno di ritirarsi totalmente dal Mondo, morti che fossero i suoi genitori, e da cui ne aveva riscossi dei segni di approvazione. Ci confermava in tale opinione il leggere nella mentovata Orazione8, che Gregorio, quanto maggiori lumi acquistava, tanto più si alienava coll’animo dalle dignità della Chiesa, che tutte riputava sublimi per timore di esserne indegno, o di addivenirne superbo, e cadere come Saulle: ben persuasi di non poter ritrovare miglior testimone dei sentimenti del Nazianzeno, tranne colui ch’è il [p. 407 modifica]solo scrutatore dei cuori umani, del Nazianzeno medesimo9. Ma quelle, mi si dirà, son parole. Son parole, egli è vero, ma dimostrate per sincerissime da una serie costante di azioni, che son quei frutti, dai quali siamo istruiti a discernere la santità dall’ipocrisia. Non vi volle forse tutta la violenza e la tenerezza di un genitore cadente per trar Gregorio dalla sua solitudine, ed indurlo10 a divider con esso il governo della nativa sua diocesi? E non protestossi, nell’occasione di arrendersi a tai premure, di non volergli succedere in conto alcuno dopo la morte, protesta che ei rinnovò alla presenza dei Vescovi, i quali assisterono ai funerali del padre defunto, contestandone l’ingenuità e colle replicate suppliche per far eleggere il nuovo Pastore a Nazianzo11, e colla sua ritirata nel Monastero di S. Tecla e Seleucia?

Ma che forse non accettò l’onorevole invito, che gli fu fatto dal partito ortodosso di Costantinopoli? Sì lo accettò; ma fu di mestiero svellerlo a forza dal suo ritiro, dov’ei ritrovava le sue delizie12. Sì lo accettò; ma per terger le lagrime di tanti fedeli13, che si dolevano della sua renitenza: lo accettò finalmente, ma non già prima che molti tra i suoi amici medesimi14 lo riprendessero e lo condannassero come poco curante del ben della Chiesa15. [p. 408 modifica]

E qual città era ella mai a quei giorni Costantinopoli da stimolar l’ambizione di Gregorio già vecchio, mal sano, ed infievolito dalle austerità della penitenza16? I Macedoniani, gli Apollinaristi, gli Eunomiani, e gli Arriani principalmente vi trionfavano: nè ciò è attestato dal solo Gregorio, il quale insolentemente da Gibbon vien paragonato ad un medico sempre disposto ad esagerare l’inveterata malattia, che egli ha curata, ma da Sozomeno, da Ruffino, e da Filostorgio medesimo17. Ivi i Cattolici omai ridotti ad un piccol drappello erano divenuti soli il bersaglio della più fiera persecuzione, di cui Gregorio stesso provò ben tosto il furore, essendo lapidato villanamente18: ed ivi pure nel tempo di Eudosso e Demofilo godeva (son parole del Sig. Gibbon) una libera introduzione il vizio e l’errore da ogni Provincia dell’Impero19. E questa poteva esser l’udienza, questo il teatro, questo l’utile e cospicuo posto da soddisfare la vanità e l’ambizione?

Ma volete ancor meglio conoscere quanto codesto spirito dominasse Gregorio? Il Cinico Massimo colle arti più inique si fa ordinar Vescovo di Costantinopoli, e Gregorio risolvè tosto di ritirarsi da quella città; nè per distorlo dal suo disegno vi volle meno, che un popolo si confinasse nella Chiesa, ove egli era adunato, per un’intiera giornata a pregarlo e scon[p. 409 modifica]giurarlo, e protestasse di volergli impedir la partenza a costo ancor della vita20. Espulso Demofilo, e condannato dal Sinodo di Costantinopoli il perfido usurpatore, Teodosio21, giusto estimatore del merito di Gregorio, lo chiede per Vescovo di quella Capitale, e Melezio e gli altri Prelati dell’Oriente violentano replicatamente la sua modestia, e lo collocano sul trono Arcivescovile altra volta da lui rifiutato22, malgrado i suoi gemiti e le sue grida23. L’Imperatore, il quale ebbe parte alla sua istallazione, fu altresì testimone della sua resistenza24; la quale sarebbe anche stata maggiore, se Gregorio non avesse sperato di contribuire alla pace di Antiochia e del Mondo Cristiano nel grado di Vescovo d’una città situata tra l’Oriente e l’Occaso.

Ed infatti presentatasi in breve l’occasion favorevole di stabilirla per la morte del Patriarca Melezio, vedendo Gregorio riuscire inutili tutti i suoi sforzi, e defraudate le sue speranze, non esitò punto ad abbandonare l’abitazion vescovile, ed a proporre di lasciar la sua sede. Accettata la proposizione dal Sinodo, restava l’assenso Imperiale. Le preghiere del Santo furono così vive e pressanti, che Teodosio si arrese, ma non già volentieri, nè più facilmente di quel che egli credeva. Questa è una voce maligna, che sparsero allora i nemici del Nazianzeno25

Imperator... cedit ac votis meis
Ille haud libenter
, ut ferunt, cedit tamen,

[p. 410 modifica]la quale riproducendosi ora dal Sig. de Gibbon non recherà maraviglia s’ei tace, e che i personaggi più riguardevoli della città, portatisi da Gregorio a scongiurarlo, piangendo, di non abbandonare il suo popolo, lo intenerirono con le loro lacrime, ma non lo piegarono26; e che i più gravi membri del Sinodo non tanto per il disordinato procedere contro Paolino, quanto per non udire la proposizion di rinunzia del Nazianzeno, si chiuser le orecchie, batteron le mani, e si separaron dagli altri; e qual giudizio per fine formi un istorico (da lui sovente allegato, ma non già in un tal fatto) di quest’azione, la quale fu certamente una delle più eroiche in tutta la Storia Ecclesiastica27. Ma se il Sig. Gibbon avesse indicati tai fatti, io avrei molto men ragione di asserire, che egli si trova delineato in Plutarco.

Lo scrittore di cui parla quel Savio, debbe intrudere nella sua storia, benchè poco a proposito (e qui rammentatevi, che il Sig. Gibbon si propone di far la storia della decadenza e rovina dell’Impero Romano) le disavventure, le azioni vituperevoli, e le scelleraggini delle persone28, e per lo contrario dee omettere [p. 411 modifica]ciò che avvi di buono, quantunque abbia relazione al racconto già incominciato: anzi egli dee attribuire le belle e notabili azioni ad una cagione viziosa, interpretarne sinistramente i disegni, e sempre crederne il peggio, od almen sospettarlo29. Per questo appunto l’A. attribuisce ad alterezza ed orgoglio in S. Basilio l’elezione che fece di Gregorio al Vescovado di Sasima, e la ripugnanza di questo per Sasima e per Nazianzo ad emulazione ed invidia, ed alla cognizione, che aveva di meritare altra udienza ed altro teatro: perciò vuol che Gregorio stesso descriva il proprio buon successo nella predicazione con qualche umana compiacenza, tuttochè nel medesimo luogo ei protesti30 di non insuperbirsene neppur in sogno; nè sa decidere se l’orgoglio o l’umiltà lo inducesse a ceder la cattedra di Costantinopoli e per questo istesso, invece di osservare, che generalmente fu accettata la rinunzia più agevolmente di quello che si doveva da [p. 412 modifica]un’adunanza di Vescovi, gli piace di dire più facilmente di quello che sembra, che ei s’aspettasse.

Ma che si pretende dal Sig. Gibbon, potrebbe dirmi un lettore poco avveduto, mentre egli confessa che Gregorio era uno dei più eloquenti e pii Vescovi di quel tempo, un Santo, un Dottor della Chiesa, la sferza dell’Arrianesimo, la colonna della Fede ortodossa, un membro distinto del Concilio di Costantinopoli, in cui dopo la morte di Melezio esercitò l’uffizio di Presidente? Si pretende, per dirlo in breve, meno ironia, e più buona fede. Ed infatti se un tal elogio fosse sincero, come oserebbe, oltre il già divisato, di porre in ridicolo il Nazianzeno per aver raccontato come uno stupendo prodigio, che nella nuvolosa mattina della sua istallazione, quando la processione entrò in Chiesa, comparve il sole; mentre egli dichiarasi31 di narrarlo soltanto per esser sembrato a molte persone un tratto di Provvidenza, avendo tanto contribuito a tranquillare gli animi dei Cattolici, ed a sedare il tumulto? E come potrebbe conchiudere la storia che riguarda Gregorio medesimo, dicendo che la tenerezza del cuore e l’eleganza del genio riflette un più brillante splendore sulla memoria di lui, che il titol di Santo, che si è aggiunto al suo nome32. Ma il fine che il Sig. Gibbon [p. 413 modifica]si è proposto con quel cumulo di titoli luminosi dati in quel luogo a Gregorio, ei medesimo lo manifesta, ed è per impor silenzio all’importante bisbiglio della superstizione e del bigottismo, argomentando ad hominem, come suol dirsi, sull’autorità delle adunanze del Clero33 derise dal Santo e specialmente dal Concilio di Costantinopoli, che ora trionfa nel Vaticano, ma su di cui i Papi lungamente avevano esitato, di modo che la loro dubbiezza rende perplesso, e quasi vacillante l’umile Tillemont. E qui appunto è dove trionfa la malignità dello Storico. Imperciocchè se la sobria testimonianza della storia dee accordare alla personale autorità dei Padri, adunati in un Sinodo, un peso proporzionato al merito loro, leggete Teodoreto34, e il Baronio35, e vedrete che non vi è forse stato Concilio composto di un numero maggiore di Santi e di Confessori, quanto quello, di cui si ragiona. Ve ne furono certamente di qualità assai differenti, onde venne trattato con tal disprezzo dal Nazianzeno „jusqu’à l’appeller une assemblée d’oisons, et de grues, qui se bottoient, et se dechiroient sans discretion, une troupe de geais, et un essaim des guespes, qui sautoient au [p. 414 modifica]visage dés qu’on s’opposoit à eux„. Cito la versione del testo fatta dal Tillemont36, affinchè in secondo luogo osserviate, che egli leggermente, ma ingenuamente al pari di le Clerc, ma però con minore impudenza, indica tali passi. E finalmente era pur necessario ad uno storico ingenuo l’avvertire, che quella lunga dubbiezza dei Papi intorno alle decisioni di quel Concilio è stata unicamente in rapporto alla disciplina ed alla polizia della Chiesa, e non intorno alla Fede: distinzione essenzialissima e già fatta dal S. Pontefice Gregorio M.37. Che poi il simbolo Costantinopolitano sia stato costantemente fin dalla più remota antichità riguardato dalla Chiesa universale siccome Regola inconcussa di Fede, dimostrasi ad evidenza coll’autorità del Concilio ecumenico Calcedonese celebrato soli ottant’anni dopo, di Gelasio Pontefice del V. secolo38, di S. Gregorio M. che si protesta di venerare i quattro primi Concilj, numerando il Costantinopolitano in secondo luogo, come i quattro Evangelj39, del V. Concilio ecumenico, in cui ciascuno dei Padri così professò: suscipio Sanctas quatuor Synodos, et quae ab ipsis de una eademque fide definita sunt; e per tacere le molte altre testimonianze arrecate da [p. 415 modifica]Lupo e Natale Alessandro40, con quella di Fozio, il quale dice nel Libro de Synod. delle decisioni drammatiche del Concilio Costantinopolitano: Quibus haud multo post et Damasius Episcopus Romae (allora vivente) eadem confirmans, atque eadem sentiens accessit.

Una somigliante misura di lodi e d’ingiurie possiam rilevarla eziandio relativamente ad Ambrogio, S. Arcivescovo di Milano. Poichè in un luogo asserisce il Sig. Gibbon che l’attività del suo genio presto lo pose in istato di esercitare con zelo e con prudenza i doveri dell’Ecclesiastica potestà: in un altro confessa che egli nel più eminente grado riuniva in sè tutte le virtù Episcopali, ed intanto ora il dileggia per aver encomiato il S. Vescovo Ascolio coi titoli di murus fidei, gratiae, et sanctitatis, osservando con insulso e puerile motteggio, che la prontezza e la diligenza di lui in correre a Costantinopoli, in Italia ec. non è virtù che convenga nè ad un muro, nè ad un Vescovo; quasi che disdicesse ad un Vescovo l’intervenire ai Concilj, l’opporsi con intrepidezza Apostolica al furor degli Eretici, ed il non risparmiar fatiche e disagi per la tranquillità della Chiesa Universale41. Ora l’accusa per essersi contraddetto ed avere sconvolto il suo sistema [p. 416 modifica]teologico, assicurando che Valentiniano, quantunque non battezzato, era stato introdotto senza difficoltà nelle sedi della beatitudine eterna: ora con la sua ragionevolezza incredulo al par di Giustina sulla illuminazione del cieco Severo deride le teatrali rappresentazioni, che si facevano per l’artifizio ed a spese dell’Arcivescovo: ed ora infine pretende, che, insieme con gli altri Vescovi, Ambrogio fosse animato da uno spirito di persecuzione così crudele da procurare un editto Imperiale per punire come capital delitto la violazione, la negligenza e anche l’ignoranza della divina legge. Fermiamoci brevemente sopra ciascuno di questi articoli.

E primieramente qual contraddizione vi è mai a negare che senza il lavacro battesimale si dia la rigenerazione, e la remission dei peccati negl’infanti ed eziandio negli adulti, i quali quantunque credano, e facciano buone opere o senza cagione legittima lo differiscono o mancano di quella carità, che si domanda perfetta; e per lo contrario ad affermarlo di quelli, i quali, ardendo di carità, hanno un desiderio vivissimo di battezzarsi, ed in tale disposizione son colti da una morte non aspettata? Così conciliasi senza stento S. Ambrogio con se medesimo da Chardon, e dagli altri Teologi, come sapete42. Aveva pertanto43 ragione il S. Arcivescovo di consolare le Principesse Giusta e [p. 417 modifica]Grata, le quali erano dolentissime, che il loro fratello Valentiniano fosse morto senza battesimo, perchè ei conosceva a fondo la carità di quel Principe, il quale aveva esposta la propria vita per la salvezza degli uffiziali, contro i quali aveva macchinato il Conte Arbogaste: Quid illud quod mori non timuit? Imo pro omnibus se obtulit... occidit itaque pro omnibus, quos diligebat44; e sapeva altresì quanto ardentemente egli avesse bramato di battezzarsi: Atqui etiam dudum hoc voti habuit, ut et antequam in Italiam venisset, initiaretur, et proxime baptizari a se velle significavit, et ideo prae ceteris causis me accersendum putavit45. Del resto il linguaggio del Santo non è quello di uno che sia sicuro, che Valentiniano fosse stato introdotto senza difficoltà nelle sedi della beatitudine eterna, ma di uno che spera soltanto, benchè con fiducia, della salute di quel Sovrano: altrimenti sarebbe stato inutile il celebrare i sacri misterj per esso, ed il pregare dì e notte per lui e pel fratello, com’ei promette dicendo46. Nulla nox non donatos aliqua precum [p. 418 modifica]mearum contextione transcurret, omnibus vos oblationibus frequentabo. Ma siccome questo è un luminoso testo per provare la pratica già introdotta nel IV. secolo di pregare e di offerire il sacrifizio pei defunti; così conveniva o dissimularlo, o maliziosamente stravolgerlo.

Secondariamente io protesto di rinunziare alla ragionevolezza del nostro secolo quand’io debba credere, ciò che raccontasi del cieco illuminato, nella scoperta dei corpi de’ SS. Gervasio e Protasio una teatrale rappresentazione che si faceva per l’artifizio, ed a spese dell’Arcivescovo, e per conseguenza unirmi con gli Arriani a deriderla47. Sia pure testimone del fatto Ambrogio medesimo. Ma qui si trattava di una persona notissima: era noto il suo nome, nota la professione, note le sue vicende, noti coloro, che lo avevan soccorso nella sua cecità. Lo sia Paolino Segretario di Ambrogio. Non avrà dunque la vita di S. Ambrogio scritta da esso il pregio di una testimonianza originale accordatole liberamente dal Sig. Gibbon solo perchè un tal miracolo proverebbe il culto delle Reliquie ugualmente che la fede Nicena? Di grazia permettetemi di esclamare con esso ad altro proposito: oh! l’ammirabil regola di Critica! Lo sia per fine Agostino proselito del medesimo. Sarà per questo la testimonianza di lui tanto sospetta da dover credere Ambro[p. 419 modifica]un impostore solenne? Eppure egli parla di un tal prodigio non solo nelle sue confessioni48, ma ancora nella grand’Opera de Civitate Dei49; ed ivi ne parla come di un fatto avvenuto immenso populo teste, e nuovamente in un sermone recitato in Affrica lo ratifica come testimone oculato50.

Nè vi deste a credere, che io pretendessi di sostener questo fatto come un articol di Fede51: esigo solo, che si ponga in bilancia tuttociò che lo rende credibile come quello che ad esso si oppone, e mi lusingo, che la ragionevolezza di qualunque lettore, non prevenuto contro i miracoli52, avrà una conferma, che nella storia del Sig. Gibbon vi è il quarto tra i segni di malignità divinati di sopra53.

Passiamo ora all’editto Imperiale rappresentatoci da questo novello Demade come una legge di Dracone vergata non atramento sed sanguine. Comprende forse quella porzione di legge generalmente tutti i sudditi [p. 420 modifica]dell’Impero, come li comprende il principio della celebre Costituzione cunctos populos, a cui ella appartiene, od almeno tutti i Cristiani? No certamente. Ella non altri riguarda, che i soli Vescovi, uffizio de’ quali è, secondo l’Apostolo, exhortari in doctrina sana, et eos qui contradicunt arguere: e ciò deducesi dall’esser posta nel Codice Teodosiano54 sotto il titolo = de munere seu officio Episcoporum in praedicando verbo Dei =, ed è confermato dall’espressioni d’ignoranza, e di negligenza, le quali risguardano chi è destinato alla pubblica istruzione. Imperocchè i veri termini della legge non son già quelli del Codice di Giustiniano55 contro la fede dei manoscritti, e del testo Greco allegati dal Sig. Gibbon, ma sono i seguenti = Qui divinae legis sanctitatem aut nesciendo confundunt, aut negligendo violant et offendunt, sacrilegium committunt = . Siccome poi il ministero dei Vescovi è sacrosanto, così gl’ignoranti, ed i trascurati ονομα Ψιλός περιφεροντες secondo l’espressione di S. Basilio, son dichiarati saviamente sacrileghi, cioè profanatori, ed indegni del lor ministero. Questa, e non altra, è la pena capitale minacciata dai Cesari in quell’editto. E poichè tra le quattro leggi, che son sotto il titolo de crimine sacrilegii nel Codice di Giustiniano, appena una se ne ravvisa, che tratti del vero e proprio capital delitto del sacrilegio, rifletteremo col Ch. Gotofredo nel Comentario alla nostra = Quo etiam [p. 421 modifica]exemplo liquet de erroribus dicam ne an fraudibus Triboniani? e noi diremo del Sig. Gibbon56.

Fin qui possiam dire che il Sig. Gibbon denigra la fama dei Santi con qualche arte ed astuzia; ma nella causa dei Priscillianisti Agostino e Leone spacciano intorno ad essi scandalose calunnie, e il Tillemont, l’utile spazzino! che su questo punto ha ammucchiato tutta la spazzatura dei Padri, le ingoia come un fanciullo. Or che sarà mai di Agostino, il quale ripete sì scandalose calunnie e nella risposta al Commonitorio di Orosio57, e nell’Epistola al Vescovo Cerezio58 e nel Libro de Haeresibus59, ed in quello ad Consentium60; e non solo non le ritratta, ma nelle Ritrattazioni medesime le rinnova61? [p. 422 modifica]Siamo ben da compiangere noi Papisti, i quali decantiamo per luminari di S. Chiesa uomini di tal carattere! Si cancellino adunque dai nostri fasti i nomi di Agostino e Leone, e non si alleghi mai più nelle cattedre l’autorità di calunniatori sì scandalosi. Ma insieme con essi cancellisi quello di S. Filastrio Vescovo di Brescia; giacchè nel suo libro de Haeresibus sotto il nome di occulti, ed astinenti Manichei62 affermò che i Priscillianisti = resurrectionem negantes, sub figura confessionis Christianae multorum animas mendacio, ac pecudiali turpidine non desinunt captivare: e cancellisi insieme con S. Delfino, che Priscilliano e due suoi seguaci ebber contrario a Bordeaux, con S. Ambrogio, che lor si oppose a Milano, e con il S. Pontefice Damaso, il quale essendo stati già condannati dal Sinodo di Saragozza ricusò per fin di vederli63, cancellisi, io dico, con tutti questi ancor S. Girolamo. Ma perchè? dee soggiungere il Sig. Gibbon con Beausobre, di cui adotta la critica su questo fatto64. „Quel témoignage que celui de S. Jèrome, écrivant de sang froid, et en Historien! Priscillien, dit il, fut opprimè par la faction, par les machinations d’Ithace, et d’Idace. Parle-t-on ainsi d’un homme coupable de prophaner la Religion par les [p. 423 modifica]plus infames cérémonies, et d’enseigner la perfidie, et les parjures?65. Attenzione miei Signori: Itacio fu sin d’allora ripreso da tutti i Santi, ai quali dispiacquero egualmente gli accusatori che i rei66, e fu ancora severamente punito per aver preso le parti di accusatore, contro il mansuetissimo spirito della Chiesa67, ed il carattere Episcopale, non tanto per zelo di Religione quanto per odio, e forse anche per interesse in un giudizio di morte. Il linguaggio adunque di S. Girolamo, che disapprova in quel luogo la condotta della fazione Itaciana non giustifica Priscilliano per verun conto; tanto più che in quel luogo medesimo siamo avvertiti da lui, che Priscilliano veniva accusato da alcuni come sostenitore dell’eresia delli Gnostici, e da altri difeso: parole, che dai nostri Avversarj prudentemente si omettono. Quindi è che noi dubiteremmo tuttora ciò che S. Girolamo abbia creduto di Priscilliano, se dopo qualche tempo non avesse scritto così a Ctesifonte = Priscillianus pars Manichaei, de turpitudine cujus te discipuli diligunt plurimum … soli cum solis clauduntur mulierculis, et illud inter coitum, amplexumque decantant68.

„Tum pater omnipotens, foecundis imbribus aether etc.... qui quidem partem habent Gnosticae haereseos de Basilidis impietate venientem etc. Quel [p. 424 modifica]tèmoignage que celui de Jèrome, che parla meglio informato con questo tuono di sicurezza! Quid loquar de Priscilliano et saeculi gladio, et TOTIUS ORBIS auctoritate damnatus69? Si parla forse così di un uomo, che credasi messo a morte più per le cabale altrui, che per i proprj delitti? E qual testimonianza non è mai quella di Sulpizio Severo contemporaneo, scrittore corretto ed originale, il quale parla da Storico, e a sangue freddo per modo da non defraudar Priscilliano di quelle lodi, che a lui si dovevano? Ora egli attesta70 che la causa di quell’eretico essendo stata commessa ad Evodio uomo ardente e severo, ma giusto al sommo, quo nihil umquam justius fuit71, egli Priscillianum gemino judicio auditum, convictumque maleficii, nec diffitentem obscoenis se studuisse doctrinis, nocturnos etiam turpium foeminarum egisse conventus, nudumque orare solitum, nocentem pronuntiavit. Notaste? Priscilliano, non in giudizio tumultuario, ma in due formali giudizj ascoltato da un giustissimo giudice fu dichiarato reo e perchè così fu convinto, e perchè tale si confessò. Si parla così di chi è condannato per confessioni estorte dal timore, o dalla pena, o per vaghe narrazioni figlie della malizia, e della credulità? E perchè non osservare, giacchè il Sig. Gibbon inciderat in locum, qui ad historiam pertinet72, che fu ripetuto il terzo giudizio, e non più sostenendo le parti di querelante l’indegno Vescovo Itacio, ma l’Avvocato del Fisco Patricio, in esso l’ere[p. 425 modifica]tico subì la condanna? Perchè non far avvertire, che colui che parla di tortura in quell’occasione è Pacato, cioè a dire un ignorante, quantunque umano Politeista (per confessione fatta dal Sig. Gibbon senza tormenti), e che esso ne parla da Oratore ed in termini molto vaghi73; e per lo contrario Sulpizio rispetto alla confessione di Priscilliano, già pienamente convinto non ne fa motto: anzi scrive che tre persone, benchè più vili ante quaestionem74 manifestarono i proprj delitti, e quei dei compagni? Poteva ancora, e doveva avvertire scrivendo senza malizia, che Massimo stesso, inviando, per quanto sembra, il processo dei Manichei, com’egli chiama i Priscillianisti75, al Papa Siricio, senza parlar di tormenti, dà tanto peso alle lor confessioni, che non le stima soggette ad eccezione veruna76: e poteva e doveva finalmente osservare, che Leone Papa non fece uso sicuramente della tortura nei suoi diligentissimi esami: eppure non esitò di asserire pubblicamente nei suoi sermoni77 dei Manichei dei suoi tempi = Prosit universae Ecclesiae, [p. 426 modifica]quod multi ipsorum . . . in quibus sacrilegiis viverent eorumdem confessione patefactum est = . Sicut proxima eorum confessione patefactum est ut animi, ita et corporis pollutione laetantur78, = e per imporre un eterno silenzio all’importante bisbiglio della malignità, ne fece spargere gli atti per tutti i Vescovadi d’Italia79. Onde quando noi non avessimo altra testimonianza che quella di S. Leone intorno agli errori, ed alla condotta dei Priscillianisti, e fosse del tutto improbabile, che sotto il nome di Manichei quelli ancora si comprendessero, ragion vorrebbe tuttavolta, che noi giudicassimo, non aver lui senza esame diligentissimo accusato i Priscillianisti, come non osò di accusare i Manichei. Ma poichè una congettura sì forte viene autenticata dal fatto, siccome è evidente dalla lettera di quel S. Pontefice a Turibio di Astorga intorno ai Priscillianisti propriamente detti80; cesseranno, a mio credere, le meraviglie che Tillemont abbia ingojate come un fanciullo le scandalose calunnie d’Agostino, e Leone, tanto più che le osservo ingojate con pari facilità, non vi dirò dal Baronio81, da Graveson82, da Natale Alessandro83, da Fleury84, da [p. 427 modifica]Racine85, dall’Orsi86 forse superstiziosi e bigotti; ma da un Alberto Fabricio87, da un Cave88, da un Spanemio89, da un Erasmo90, dai Centuriatori di Magdeburgo91, e perfin da Basnage92. O vedete quanti fanciulli và indiscretamente a percuotere la rigida sferza del Sig. Gibbon. Conchiudiamo pertanto col nostro Plutarco, che egli „ = Quid ni? Homo est scribendi gnarus, oratio jucunda, venustate et vi quadam praedita, et narrationibus inest elegantia, ac

Sermonem veluti cantor.

non quidem scite, sed tamen suaviter proposuit. Verum sicut in rosa cantharides, ita hic cavendae sunt CALUMNIAE ejus, et INVIDENTIA sub laevibus, et teneris latentes figuris verborum: ne per imprudentiam absurdas, et falsas de praestantissimis (Ecclesiae) viris opiniones concipiamus„.


fine del volume quinto.


Note

  1. Il Sig. Giovanni Kirk in data di Roma dei 12 Giugno 1784 scrisse all’Autore delle Riflessioni in questi termini. Monsig. Stonor is Wholly of your mind, that Gibbon of all other Libertines or Deists is the most dangerous, as he has disguised himself under the cloak of authority. . . . . . Hence it is that he approves of your having published a precaution, that heedless readers may not be deceived with his fluid and nervous style, and with the fame, that he has acquired. He was pleased with. . . and desired me, if you should send any thing else of that nature to give him the satisfaction of the perusal of it. ec. ec.
  2. Plut. Ex versione Xylandri Itasil. 1570. Sicut. . . . . qui ex arte et callide adulantur aliquando multis et longis laudationibus vituperationes admiscent leviculas. . . . . ita malignitas; ut fidem criminibus faciat, laudem simul ponit.
  3. V. Tillem. Mem. Eccl. T. IX. p. 132. e 134. Bolland. 9. May p. 370.
  4. S. Greg. Naz. Orat. V. p. 135. spiritum amicitiae posthabere minime sustinuisti, quandoquidem pluris nos fortasse, quam alios omnes ducis: ita rursum spiritum nobis longe anteponis. Parlò anche più chiaro nell’Orazione funebre 20. p. 357. Vedi la Vita di S. Basilio Tom. III. Ediz. de Bened. p. 112.
  5. S. Greg. Naz. Orat. 7.
  6. Tillem. Mem. Eccl. T. IX. p. 558. Du Pin. 656.
  7. Carm. I. p. 7.
  8. Or. VII. p. 142-43. etc.
  9. Leggete di grazia la sua Oraz. Apologetica. Tom. I. Orat. I.
  10. Carm. I. p. 8. 9. Carm. VI. p. 74. Orat. 8. p. 147-48.
  11. Carm. I. p. 9. Epist. 65. p. 824. Epist. 222. p. 900.
  12. Orat. 25. p. 439.
  13. Ep. 222 p. 910.
  14. Ep. 14 p. 777.
  15. Tillem. Mem. Ecclesiastic. Tom. IX. p. 412 T. IV.
  16. Vedi l’Oraz. 27 „de se ipso et ad eos, qui ipsum Cathedram Constantinopol. affectare dicebant„.
  17. Soz. l. 4. C. 2. 7. Ruff. L. 1. c. 25. Philost. l. 8 c. 2, Greg. Carm. 1 p. 10. Orat. 32 pag. 525.
  18. Tillem. Mem. Eccles. T. IX. pag. 407 e pag. 431.
  19. Sozom. l. VII. c. V. Suida in V. Δημοφιλος Niceph. L. 12 c. 8.
  20. Carm. I. p. 17. 18. Orat. 28 p. 483.
  21. Soz. L. 7. C. 7.
  22. Vedi l’Oraz. 27 sopracc.
  23. Carm. I. p. 24.
  24. d. Carm. p. 30.
  25. Carm. I. p. 30.
  26. Carm. I. p. 30.
  27. Sozom. L. 7. c. 7 ex Vales. Ac mihi quidem sapientissimum hunc virum tum ob alla multa, cum maxime in hoc negotio mirari subit. Nam neque fasta elatus propter facundiam, nec inanis gloriae studio ei Ecclesiae praesidere concupivit, quam pene extinctam ac mortuam ipse regendam susceperat. Sed reposcentibus Episcopis depositum reddidit, nihil de multis laboribus conquestus, nihil de periculis, quae adversus haereses decertans subierat etc.„ V. Tillem. Tom. I. Mem. Eccl. p. 479. e Basnage Annal. V. III p. 76. ec.
  28. „Jam quod ab altera parte huic respondet, nemo non videt, bonum scilicet aliquod videri impune posse omitti. Sed tamen malitiose hoc fit, quando quod omittitur in locum incidit, qui ad historiam pertinet. Illibenter enim laudare non est, quam libenter vituperare, honestius, fortasse etiam turpius„. Plutar. de Herod. Malignit.
  29. Id ibid. „Quartum ergo signum est ingenii in historia scribenda parum aequi, cum duo sunt aut plures una de re sermones, deteriorem amplecti. . . Ac de rebus, quas gestas fuisse constat, caussa autem et institutum actionis in obscuro est; malignus est, qui in deteriorem partem conjecturas facit . . . tum qui praeclaris factis caussam subjiciunt vitiosam, calumniandoque in sinistras abducunt suspiciones de latente ejus, qui rem gessit, consilio; quando ipsum factum palam vituperare non possunt.... hos liquet ad summam invidentiam et nequitiam nihil sibi fecisse reliquum„.
  30. Orat. 19. p. 78.
  31. Carm. I. de V. S. p. 22. 21.
  32. Neppur questo elogio è senza eccezione. Nel N. 1. intende di dir solamente, che tal’era l’indole naturale di Gregorio, quando non era infiammata o indurita dallo zelo religioso. Il fondamento dell’eccezione è l’esortazione fatta a Nettadio di perseguitare gli Eretici di Costantinopoli. Perchè dunque non citare nè le parole, nè il luogo? La ragione è patente. Perchè tutta la persecuzione doveva consistere in pregare l’Imperatore a non permettere, che gli Apollinaristi colla loro libertà di predicare, e con la loro licenza rovesciassero un domma fondamentale. Vedi la Lett. a Nettar. indic. col tit. di Orazione 46. La mansuetudine di S. Gregorio verso gli Eretici è sorprendente. Vedi la sua Ep. 81. e Tillem. nella sua vita art. 67.
  33. Il disprezzo dell’A. pe’ Sinodi quantunque legittimi ed ecumenici è già manifesto dal Cap. 20. della sua Stor. T. IV. in f. Vedi la Confutazione del Ch. Sig. Ab. Spedalieri P. 1. Sez. 5 c. 4.
  34. L. V. C. 7 e 8.
  35. Ad. an. 381. §. 22. V. Basnage Annal. Vol. III. p. 76.
  36. T. IX. M. Eccl. V. de S. Gregoire de Naz. art. 69. p. 473.
  37. Lib. VI. Ep. 31.
  38. Can. Sancta Romana Dist. 15. „Sancta R. Ecclesia post illas veteris testamenti et novi scripturas... etiam has suscipi non prohibet. S. Synodum Constantinopolitanam, mediante Theodosio Seniore A., in qua Macedonius haereticus debitam damnationem excepit„.
  39. L. I. ep. 23 p. 390.
  40. Lup. in Schol. T. I. p. 368. Nat. Alex. Diss. 37. ad saec. IV.
  41. Ita ne raptus est murus fidei gratiae et sanctitatis, quem toties ingruentibus Gothorum catervis, nequaquam tamen potuerunt barbarica penetrare tela, expugnare multarum gentium bellicus furor?. . . Urgebat et praeliabatur S. Acholius non gladiis, sed orationibus, non telis, sed meritis percurrebat omnia excursu frequenti Costantinopolim, Achajam, Epirum, Italiam. Venit enim tamquam David ad pacem populi reformandam. V. Ep. XV. et XVI. S. Ambros. Hermant. V. de S. Ambr. L. 3 c. 6. Till. T. 9. M. Eccl. pag 478. Vedi Van-Espen. de Cura Episcop. Part. I. Tom. 16. cap. 3. etc.
  42. Chardon. T. I. p. 86. etc. L’A. de Re Sacramentar. L. 2. Quaest. 6. Append. §. I. Berti de Theol. discipl. L. 31. c. 23. Prop. 2.
  43. V. Trident. Syn. Sess. 6. cap. 4. et Sess. 7. c. 4.
  44. De Ob. Valent. Consol. T. 2. p. 1188. etc.
  45. Ibid. §. 53 ivi S. Ambr. porta la parità del Martirio. „Quid aliud in nobis est nisi voluntas, nisi petitio? Si quia solemniter non sunt celebrata mysteria hoc movet: ergo nec martyres, si cathecumeni fuerint, coronentur... Quod si suo abluuntur sanguine, et hunc sua pietas abluit et voluntas. Nel qual luogo notano gli eruditi Editori Benedettini: Idem sensus fuit totius Christianae antiquitatis, circa Martyres... Et certe ne Ambrosius videatur hic loqui ad gratiam. Vide Serm. 3. in Psalm. 118. N. 14. Sed ei praeiverat Tertull. L. de Bapt. c. 16. Cyprian. Ep. 73 ad Juba. jan. et al. sicut eosdem Augustinus, posterioresque in hoc secuti sunt.„
  46. P. 1194. § 76. l. cit. V. Not. B. Editor.
  47. S. Ambros Serm. 2.
     Negant coecum illuminatum, sed ille non negat se sanatum. Notus homo est, publicis cum valeret mancipatus obsequiis, Severus nomine, lanius ministerio. Deposuerat officium postquam inciderat impedimentum. Vocat ad testimonium homines, quorum ante substentabatur obsequiis etc.
  48. S. Aug. lib. 9. Cons. C. 7.
  49. Lib. 22. C. 8.
  50. Serm. 39 de divers. „Ibi eram, Mediolani eram, facta miracula VIDI, novi attestantem Deum pretiosis mortibus sanctorum suorum. Coecus notissimus universae Civitati illuminatus est. Cucurrit, adduci se fecit, forte adhuc vivit. In ipsa eorum Basilica, ubi sunt corpora totam vitam suam se serviturum esse devovit„.
  51. V. Franc. Veron. Reg. Fid. Cath. §. 3. in Append. ad Natal. Alexand.
  52. Il Sig. Gibbon non vuol miracoli di veruna sorta, nè in verun tempo: egli investe quelli degli Apostoli, e di Gesù Cristo medesimo. Vedi il Saggio di Confutazione di Niccola Spedalieri ec.
  53. Quantum ergo signum est etc. Vedi il Muratori De Ingenior. moderat. in Relig. neg. l. 3. C. 11.
  54. Lib. 16. Tit. 2. L. 25. p. 64. In quello del Cuiacio Lugduni 1566 si legge sotto il tit. generale de Episcop. et Cler.
  55. Lib. 9. T. 29. L. 1.
  56. V. Sulle leggi contro gli Eretici Enr. Cocc. de Hug. Grot. Lib. 2. cap. 20. §. 50, il quale cita le dissertazioni di B. Par. Tom. 2. Ed. Lausan. 1752. p. 403. = „Ita jure communi, et legibus primorum Christianissimorum Imperatorum tota haec causa accuratissime saeculo IV, et V definita est, et omni ex parte pro natura delicti, et modo circumstantiarum aequa justaque satis severitate in haereticos a Catholicae Ecclesiae regula deviantes animadvertitur„. Vedi ancora Not. Vales. ad cap. 3. L. 7. H. E. Socrat. Si conviene però del principio Platonico, che la pena della ignoranza, e del semplice errore sia l’istruzione: onde sono lodevolissimi que’ Sovrani i quali con una giusta tolleranza provvedono egualmente alla Religione e allo Stato.
  57. T. 8. p. 811. Ed. de’ Maur.
  58. T. 2. Ep. 237. p. 850.
  59. Haeres. 70.
  60. Contr. Mendac. T. 6.
  61. L. 2. Retract. C. 60. „Tunc et contra mendacium scripsi librum, cujus operis ea causa extitit, quod ad Priscillianistas investigandos, qui haeresim suam non solum negando, atque mentiendo, verum etiam pejerando existimant occulendam, visum est quibusdam Catholicis Priscillianistas se debere simulare, ut eorum latebras penetrarent. Quod ego fieri prohibens hunc librum condidi„. - Un nemico così giurato della menzogna, e della simulazione dovremo dirlo calunniatore? È ella questa la ragionevolezza del nostro secolo?
  62. Jo. Albert. Fabric. collect. veter. PP. Brixieni. p. 45.
  63. Sulp. Sever. Hist. Sacr. L. 2. Edit. Hieron. de Prato T. 2. §. 47. 48.
  64. Histoire des dogm. de Manich. T. 2. I. 9. p. 755.
  65. Hieron. in Catalog. Script. N. CXXI.
  66. Sulp. L. 2. Hist. S. §. 50.
  67. Socrat. H. E. Lib. 7. C. 3. S. Leon. Ep. 15. Ediz. del Cacc. v. Hermant. V. de S. Ambroise L. 5. C. 4. e L. 7. C. 1.
  68. Epist. ad Ctesiph. adv. Pelag.
  69. Ibid.
  70. Lib. 2. Hist. Sac. §. 50. Ed. Hieron. de Prato.
  71. Sever. Sulp. in Vit. Mart. C. 20.
  72. Plutarch. loc. cit.
  73. Paneg. ad Theodos. C. 29. „Quin etiam cum (Episcopi) judiciis capitalibus adstitissent, cum gemitus, et tormenta miserorum auribus ac luminibus hausissent etc.„
  74. H. S. L. 2. §. 51.
  75. Vedi Calogerà Vol. 27. Bachiar. illustr. seu de Priscill. haeres.
  76. „Quid adhuc proxime proditum sit Manichaeos sceleris admittere non argumentis, neque suspicionibus dubiis vel incertis, sed ipsorum confessione, inter judicia prolatis, malo quod ex gestis ipsis tua sanctitas quam ex nostro ore cognoscas, quia hujuscemodi non modo facta turpia, verum etiam foeda dictu proloqui sine rubore non possumus„. Baron. Annal. T. 4. ad An. 387. p. 440.
  77. Serm. 6 de Epiph. C. 5.
  78. Serm. 4 de Nativ. C. 4. Serm. 2 de Pentec. C. 2. V, Cacciar. de Manich. haeres. Cap. 7 e 9. Exercit. de Priscill. haeres.
  79. Epist. ad. Episc. Ital. — Ad instructionem vestram ipsa acta direximus, quibus lectis omnia quae a nobis reprehensa sunt nosse poteritis. 8. Ap. Quesnel. al. 11. Cap. 1.
  80. Ep. 15 ac Turrib. Asturic. C. 4 — qui sicut in nostro examine detecti atque convicti per omnia sint a nostra fidei unitate discordes. '
  81. Ann. T. 4 p. 359 etc.
  82. T. 1. H. E. p. 301. 302. Romae 1717.
  83. T. 4. Sec. 4. Art. 17.
  84. T. 4. Hist. Ec. Ed. Bruxell. p. 384. etc.
  85. Sec. 4. Art. 15 §. 22.
  86. Stor. Eccl. Lib. 18.
  87. Sopr. Cit.
  88. Sec. 4 an. 381 vol. 1 p. 278.
  89. T. 1 p. 891.
  90. In Epist. S. Hieron. ad Ctesiph. T. 2 p. 164 in Not.
  91. Centur. 4. C. 5 p. 225 e Cap. 11 p. 812.
  92. Annal. Polit. Eccl. T. 3 p. 72.