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ziare al governo di una Chiesa, che era risorta, e quasi creata per le sue fatiche; e fu accettata la rinunzia dal Sinodo e dall’Imperatore più facilmente di quello, che sembra che ei si aspettasse in quel tempo, nel quale egli avea forse sperato di godere i frutti della vittoria. Ecco dove vanno a finire le lodi del Sig. Gibbon! Nei santi ed ingenui petti di Gregorio e Basilio ascondevasi la radice di tutti i mali, la superbia, ed il più abbominevol del vizi, l’ipocrisia. Si può egli mai con più sottile scaltrimento attaccare la santità di due tra i più illustri Dottori della Chiesa, e come tali riconosciuti dalla medesima1 per lo spazio non interrotto di quattordici secoli?

Nè io vo’ già negare, che il Nazianzeno adoperasse dei modi non plausibili per sottrarsi alle cure del litigioso Vescovado di Sasima, nè che egli giungesse perfino sul primo fervore a rampognare Basilio, che l’eminenza della sua sede lo avesse reso orgoglioso; ma non per questo Basilio era tale, come lo afferma francamente il Sig. Gibbon, nè tale in realtà reputavasi da Gregorio. Imperocchè questi medesimo giustificò di poi bastevolmente Basilio2 dicendo, che egli in quella occasione avea preferito, senza riguardo agl’interessi dell’amicizia, tutto ciò, che a suo avviso poteva contribuire al divino servigio; ed in un’arringa

  1. V. Tillem. Mem. Eccl. T. IX. p. 132. e 134. Bolland. 9. May p. 370.
  2. S. Greg. Naz. Orat. V. p. 135. spiritum amicitiae posthabere minime sustinuisti, quandoquidem pluris nos fortasse, quam alios omnes ducis: ita rursum spiritum nobis longe anteponis. Parlò anche più chiaro nell’Orazione funebre 20. p. 357. Vedi la Vita di S. Basilio Tom. III. Ediz. de Bened. p. 112.