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dell'impero romano cap. xxxix. | 233 |
essi avevano soggiogata1. Emanarono degli editti reali per impedire gli abusi, la trascuratezza o le depredazioni de’ cittadini medesimi; e per le riparazioni ordinarie delle mura e degli edifizi pubblici, si destinarono uno sperimentato Architetto, l’annua somma di dugento libbre d’oro, venticinquemila pezzi di materiali, ed il prodotto della dogana del Porto Lucrino. Una simil cura s’estese alle statue di metallo o di marmo, sì degli uomini, che degli animali. S’applaudiva da’ Barbari allo spirito de’ cavalli, che hanno dato al Quirinale un nome moderno2; furono diligentemente restaurati gli Elefanti di bronzo3 della Via sacra; la famosa vitella di Mirone ingannava il bestiame, quando passava pel Foro della Pace4; e fu creato un ufiziale apposta per difendere quelle opere delle arti, che Teodorico risguardava come l’ornamento più nobile del suo Regno.
Seguitando l’esempio degli ultimi Imperatori, Teo-
- ↑ Quanto alla cura, che si presero i Goti delle fabbriche e delle statue, vedi Cassiodoro (Var. I 21, 25. II 34. IV 30. VII 6, 13, 15) ed il Frammento Valesiano (pag. 721).
- ↑ Var. VII 15. Questi cavalli di Montecavallo da Alessandria erano stati trasportati a’ Bagni di Costantino (Nardini pag. 188). Se ne disprezza la scultura dall’Abbate Dubos (Reflex. sur la Poesie et sur la Peinture Tom. I sect. 39) e s’ammira dal Winckelmann (Hist. de l’Art Tom. II pag. 159).
- ↑ Var. X 10. Essi erano probabilmente un frammento di qualche carro trionfale (Cuper, de Elephant. II. 10).
- ↑ Procopio (Goth. l. IV c. 21) riporta una sciocca storia della Vacca di Mirone, che vien celebrata dal falso spirito di trentasei epigrammi greci (Antholog. l. IV p. 302, 306. Edit. Hen. Steph. Auson., Epigramm. 58, 68).