Signorine povere/Prima parte/III

III

../II ../IV IncludiIntestazione 13 maggio 2021 75% Da definire

Prima parte - II Prima parte - IV

[p. 41 modifica]

III.

Venne la settimana grassa; le feste da ballo, le veglie danzanti, i ballonzoli di famiglia, che già fiorivano fin dal principio della stagione, divennero ancora più numerosi e brillanti, quantunque per le strade il carnevale facesse poco chiasso. Gli inviti fioccavano in casa Valmeroni; e l’Eugenia fremeva di rabbia vedendoli inesorabilmente respinti.

— Siamo in lutto — diceva il capo della famiglia — lutto grave e recentissimo.

Angelica, sapendo già che l’avrebbero lasciata a casa in tutti i modi, col pretesto che era troppo giovane, godeva del malumore di sua sorella. Maria, sinceramente afflitta per la morte della sua prozia, ascoltava con molta pazienza gli sfoghi delle due antagoniste. Antonietta scriveva da Pavia, dove era ritornata da alcuni giorni, che i suoi zii la conducevano qualche volta a teatro e quasi tutte le sere in società, dove ella doveva sonare il piano e cantare, e dove molte altre persone cantavano e sonavano anche senza voce e senza abilità. [p. 42 modifica]

Come il solito, ella si annoiava e metteva in ridicolo i giovanotti con i quali le capitava di trovarsi. Non ve ne era uno, secondo lei, che meritasse un po’ d’attenzione.

«E quand’anche?» concludeva passando dalla satira al sarcasmo. — «Quand’anche, a che mi gioverebbe? Io non ho speranze; dunque, non mi resta che ridere e deridere, come fanno di solito gli impotenti».

Parole simili facevano pena a Maria; sentiva che erano sincere, non già una posa romantica come affettavano di credere l’Eugenia e Flora Ermondi. Non posa, no, bensì una vera malattia morale, forse incurabile. Ma da dove veniva quella malattia in una fanciulla così giovane, e apparentemente sanissima? Quali scosse, quali delusioni precoci potevano averla cagionata? Derivava forse dall’educazione troppo fredda e scettica ricevuta in casa dei suoi zii?

L’avvocato Amilcare Pagliardi, spirito acre, sarcastico, spietato nella critica, era ben capace di avere distrutte le speranze e le illusioni della giovinetta; e la maldicenza meschina, che fioriva nelle conversazioni frequentate dalla signora Ersilia, poteva avervi contribuito. Anche il saper d’essere una ragazza senza dote, in un ambiente dove il denaro teneva il primo posto e l’essere ricchi sembrava cosa indispensabile alla vita, poteva contribuire in parte allo scoraggiamento di quell’anima. [p. 43 modifica]

Tutte efficaci cause eran queste e potevano spiegare a sufficenza lo stato d’animo di Antonietta. Malgrado ciò, Maria Clementi non se n’accontentava. Ella pensava, pur non sapendone nulla, ad un amore senza speranza, amore non corrisposto o impossibile per altri motivi, il ragionamento di Maria era semplice. Ella si diceva: «Chi al mondo dovrebbe avere meno speranze di me, giudicando l’avvenire in rapporto alle mie condizioni sociali e materiali? Chi sono io? Una figlia naturale, che ha perduta la madre quasi appena nata, e il cui padre è peggio che morto. Una povera maestra elementare condannata a dare gli anni più belli ad un lavoro faticoso, spesso amareggiato da invidie e da ingiustizie. La maggior parte delle mie compagne invecchia miseramente nella solitudine e nell’oblìo. Eppure, io non sono senza speranze, tutt’altro; la speranza fiorisce rigogliosa nell’anima mia. Quantunque io abbia due anni più di Antonietta e non sia fidanzata, nè promessa segretamente, sono sicura che non finirò sola e dimenticata.

«Il mio giorno di sole verrà: non è possibile che mi manchi. E questa sicurezza basta a farmi sopportare con rassegnazione i giorni d’ombra e di malinconia. Ce ne vorranno dei giorni neri e dei colpi di mazza sul mio cuore e sul mio cervello perchè la mia fede si spezzi e le mie illusioni svaniscano. Probabilmente verrà [p. 44 modifica]prima la morte. E Antonietta dovrebbe essere ridotta alla disperazione, trovandosi in condizioni tanto migliori delle mie? Solo per le chiacchiere degli altri? Perchè un vecchio scettico e un gruppo di pettegole le suggeriscono che l’amore non esiste e che senza ricchezza la vita non merita di essere vissuta? Non lo crederò mai».

Con questo convincimento ella scriveva all’amica le parole più tenere, intercalate da immagini ridenti e le narrava le vicende liete di una sua collega nell’insegnamento: uno di quei casi fortunati che ridanno, col loro benefico esempio, la forza di attendere e di sperare.

Approfittando delle vacanze di quei giorni, voleva fare una gita a Pavia e avvertiva appunto l’Antonietta del suo arrivo. Stava chiudendo la lettera allorchè fu picchiato all’uscio della sua camera.

Entrò l’Angelica, rossa, agitata.

— Cos’hai? cos’è successo?

Angelica richiuse l’uscio, e, facendosi innanzi in aria di mistero, disse:

— Vanno al veglione di beneficenza!...

— Chi?

— La mamma e l’Eugenia, perbacco!

— Non lo credo.

— Come? Non credi?... ho visto i costumi, ho sentito i discorsi.

— Ciò prova che tu hai sempre quel brutto vizio di ascoltare alle porte... [p. 45 modifica]

La faccia ossuta e caratteristica di Angelica si oscurò ed i suoi occhi grigi lampeggiarono.

Niente affatto, ella non ascoltava alle porte: aveva sentito per caso, traversando il corridoio. Insomma, l’importante era che ci andavano.

Del resto, lei aveva subito capito che c’era qualcosa di nuovo solo a vedere il viso dell’Eugenia, lungo e scuro da quindici giorni, diventare a un tratto rotondo e bianco e rosso come una mela.

La curiosità entrava a poco a poco nell’animo di Maria.

— Come si vestono? — domandò.

Angelica sapeva ed era felice di raccontare.

La mamma in raso nero, il suo abito solito delle grandi occasioni, con un gran domino di raso giallo. Eugenia ha un costume di savoiarda. Vanno a vestirsi dalla Bergamini. Devono entrarci anche gli Ermondi e Luciano Monti.

— E tuo padre? e Riccardo?

— Non sanno niente, ma io li avvertirò.

— Guardatene bene.

— Perchè?

Maria prese la sua cuginetta per una mano e se la fece sedere accanto, guardandola dolcemente.

Poi, cercò di convincerla con parole calde e affettuose che non doveva commettere quella brutta azione. Suo padre si sarebbe inquietato, [p. 46 modifica]avrebbe sofferto; Riccardo avrebbe fatto una scenata inutile; e se le due accusate riescivano a negare il fatto, a nascondere gli abiti, lei passerebbe per bugiarda.

— A me basta che l’Eugenia non si diverta, mentre io devo stare a casa. Se fosse per la mamma soltanto non direi nulla.

— Che bel merito! Mancherebbe che tu fossi anche invidiosa di tua madre. Lascia fare, lascia che la povera Eugenia si diverta: ha otto anni più di te. E vero che c’è il lutto; ma se tua madre crede di passarci sopra, non spetta certo a te di darle una lezione. Sii ragionevole, via. Sono poi tutti rancori e rappresaglie che ti prepari.

Angelica promise di tacere e se ne andò mortificata.

La giornata passò tranquilla. A desinare Leonardo, che era stato fuori, narrò di avere incontrato Faustino Belli e saputo da lui che il negoziante tedesco di belle arti, il famoso Klein, era ritornato dal suo viaggio a Vienna con molti denari e disposto a nuovi acquisti. Era il buon momento per fargli comperare la raccolta.

— Faustino mi ha promesso di condurlo qui domani — concludeva Leonardo, guardando la moglie con la certezza di darle una notizia gradita. — Se viene credo che si concluderà qualcosa e sarà un sollievo, perchè gli impegni urgono. Nel medesimo tempo sarà un dolore per [p. 47 modifica]me che sarei tanto orgoglioso di poter conservare quelle memorie di mio padre.

Così dicendo egli volgeva gli occhi in giro sperando che sua moglie e i suoi figli dimostrassero almeno con uno sguardo che lo intendevano e che egli non era solo a sentire il peso di quel sacrificio. Invece l’Elisa si era distratta con la piccola Erminia che non voleva la minestra — una minestra veramente cattiva, mal condita con poco lardo — una minestra da poveri; Eugenia, incantata come il solito, pensava a tutt’altro; Angelica brontolava con Giorgetto tanto per sfogare in qualche modo la rabbia che la rodeva; e Riccardo, il figlio diletto, guardava tristamente nel proprio piatto, un povero piatto di vecchia maiolica screpolata, che al pari di tutto il servizio da tavola della famiglia gridava vendetta contro le manie artistiche del capo di casa e le vanità lussuose della sua signora. In quella ricerca melanconica di una partecipazione ai suoi sentimenti, Leonardo non incontrò che gli occhi dolci e pietosi di Maria. Ed ella, sembrandole che ciò fosse troppo poca cosa per compensare l’indifferenza degli altri, non seppe trattenersi dal dire: — Tutti i distacchi sono dolorosi, dalle cose come dalle persone, ma la vita è un continuo distacco, un sempre nuovo abbandono.

— È vero — mormorò Leonardo, guardandola con riconoscenza. — E quando il sagrificio è necessario bisogna sottomettersi. [p. 48 modifica]

Riccardo parlò allora un po’ recisamente della necessità di vendere quella roba, anche per liberare l’appartamento (era la sua idea fissa) e affittarlo finalmente. Egli conosceva il cuore di suo padre; sapeva che se qualcuno intorno a lui avesse dimostrato il più piccolo attaccamento a quelle antichità, non le avrebbe vendute mai più.

Si parlò d’altre cose. La signora Elisa annunziò che la signora Tadini voleva condurre Giorgetto ed Erminia al carnevale dei fanciulli; e pregava che le lasciassero anche l’Angelica.

— E per domani sera — disse guardando la ragazza.

— Dimentichi che siamo in lutto — osservò Leonardo turbato.

— Oh! per andare una sera alla Canobbiana a veder ballare i ragazzi!... Se la nonna potesse parlare, lei che ci voleva tutti allegri, ti darebbe sulla voce.

Angelica, rossa come una ciliegia, era sul punto di prorompere.

Ah, sì! Volevano mandarla al Carnevale dei fanciulli perchè stesse zitta, se mai s’era accorta che loro andavano al veglione. Tacque peraltro, memore della promessa fatta a Maria, e si accontentò di fare un’occhiataccia all’Eugenia, che alzò le spalle.

Dopo il pranzo avvennero le solite cose. Angelica fu obbligata a mettere a dormire i [p. 49 modifica]ragazzi. Riccardo, che era stato allo studio tutto il giorno — egli era provvisoriamente impiegato presso un negoziante in legnami da costruzione — uscì per andare al caffè a leggere i giornali.

Leonardo invece salì al secondo piano per dare una spolverata alle cornici dei quadri e mettere un po’ d’ordine fra le vecchie terraglie, gli specchi barocchi, gli strumenti musicali più o meno antichi, più o meno esotici, i piccoli idoli, i vasi cristiani ed altri gingilli nei quali suo padre aveva sciupato tanto denaro.

Le donne restarono sole.

— Che cosa fai tu, Maria, stasera? — domandò Eugenia.

— Ho ancora dei compiti da correggere, cercherò di finirli per essere libera questi ultimi giorni. Sabato o domenica vorrei fare una scappata a Pavia.

La Caterina entrò per avvertire la sua padrona che la signora Zoe Bergamini voleva dirle una parola. La signora Valmeroni si alzò in furia e fece portare una lucerna nella sua camera da letto, dove entrò con la Zoe.

Allora Eugenia non potè trattenersi dal dire a Maria:

— Andiamo al veglione io e la mamma. Oh! come sono contenta.

— Lo sapevo.

— Lo sapevi? Chi te l’ha detto?

— L’Angelica che ha scoperto ogni cosa. [p. 50 modifica]

— Ah! Povera me! Quella birbona farà di tutto per mandare a male il nostro progetto. Adesso capisco l’occhiataccia che mi ha rivolta poco fa.

— Non dirà nulla, vedrai. Mi ha promesso di tacere.

— Pur che taccia davvero!

— Avreste dovuto condurla anche lei, così taceva di sicuro.

— E chi rimaneva in casa a badare ai ragazzi?

— Ci sono io...

— Tu hai il tuo da fare. E poi la mamma non si diverte più se deve condurre con sè la zingara. Tu sai quanto è sguaiata. D’altra parte io non capisco perchè voglia mettersi a pari con me. Quando io avevo sedici anni e fino ai diciotto, la mamma non mi conduceva che al Gerolamo, e mi faceva portare le sottanine corte, ti ricordi? lunga e grassoccia come ero.

Risero entrambe.

— Ora ho ventiquattro anni — riprese l’Eugenia malinconicamente. — Bisogna che mi mariti. Se passano ancora due o tre anni il matrimonio diventerà ancora più difficile per me che non ho nè un soldo di dote, nè una professione. Io devo maritarmi o sparire.

— Sparire?

— Sparire, sì. Che credi, che io voglia stare qui a far la ragazza vecchia? Se fossimo ricchi o agiati, pazienza, potrei divertirmi e sposarmi [p. 51 modifica]anche dopo la trentina. Col denaro si fa tutto, si accomoda ogni cosa. Ma qui la va male, e l’andrà sempre peggio. Riccardo lo dice sempre, e se lo dice lui vuol dire che è vero.

— E cosa farai se non ti sposi presto?

— Questo poi... non lo voglio dire adesso; forse non lo so precisamente. Certo è che se mi devo sposare, sarà prima dei ventisei anni; dopo, non aspetto più, ecco!

Maria rimase un momento sopra pensiero. Quell’idea di fissare un termine alla propria virtù, le sembrava comica. Eppure ella comprendeva che un’attesa tanto angosciosa, una attesa di tutti i giorni e di tutte l’ore non poteva durare infinitamente.

Eugenia doveva già avere i calli ai gomiti a forza di appoggiarsi al davanzale delle finestre.

Un punto estremo doveva pur segnare un limite a quell’attesa; e allora bisognava rassegnarsi, o morire, o... passare il Rubicone. Cosa farebbe Eugenia? Ventisei anni erano pochi per morire. Eugenia pensava evidentemente alla terza alternativa. Ma, allora, perchè non subito? Se Luciano Monti l’amava davvero, se ella era decisa per da lì a due anni... Ma chè! erano frasi.

Si riscosse e domandò:

— E il veglione di stasera ha uno scopo... matrimoniale?

Eugenia arrossì lievemente.

— No, nulla di nuovo. È soltanto per [p. 52 modifica]divertirmi, per ballare un po’ liberamente con Luciano. Mi ha tanto pregata e mi regala il costume di maschera, un amore di costume.

„Ma per carità, Maria, non dirlo a nessuno. Neppure all’Antonietta. La mamma non sa, crede che me l’abbia procurato la Bergamini per poche lire da una cantante, che vende tutta la roba di teatro perchè si sposa.

Maria l’assicurò del segreto; poi restò muta; si sentiva serrare il cuore. Dopo alcuni istanti, quasi inconsapevolmente domandò:

— L’ami molto?

— Luciano? Mi piace. L’amerei davvero se mi sposasse. Ma non sarà lui quello. Suo padre vuole che sposi una ricca e Luciano pensa certo che suo padre ha ragione. E me lo dice, capisci? Oh, non ha cuore! In compenso è sincero. Gli piaccio e se avessi una dote mi sposerebbe subito; così... si guarda dal compromettermi...

— Non lo credevo così basso — si lasciò sfuggire Maria. — Se fossi io al tuo posto gli farei vedere tutto il mio disprezzo.

Eugenia la guardò atterrita.

— Oh! perchè tu non ami e non senti il bisogno di amare! Ho fatto male a confidarmi con te; sei troppo esagerata. Sei come l’Antonietta. È proprio vero che le donne di talento hanno il cuore freddo e il sangue calmo come il latte. Beate voialtre che vivete soltanto con la testa, come dice Luciano: avete meno tormenti. [p. 53 modifica]

Maria represse un amaro sorriso.

— Perdonami, Eugenia, non volevo offenderti. Ho parlato così nell’impeto perchè mi fa rabbia che Luciano non ti sposi.

Bonacciona, quanto superficiale, Eugenia fu subito intenerita.

— Ti credo, sì. Neppure io ho voluto offenderti. Il tuo cuore non può essere freddo.

Si abbracciarono.

La signora Valmeroni chiamò la figliuola.

— Devo andare. Forse è già ora di vestirsi. Vuoi vedere il mio costumino?

— Grazie: lo vedrò un altro giorno. È meglio che tu non dica alla mamma che io so: potrebbe dispiacerle. E per il babbo e per Riccardo, dove siete?

— Io a letto: la mamma, dalla Bergamini. Addio, Maria. — E scappò esultante.

Una profonda tristezza invadeva l’anima della giovane maestra. Si sentiva oppressa, abbattuta. Pensò ai quaderni delle sue scolarine, che doveva finir di correggere; e questo lavoro le parve un fastidio quasi intollerabile. Dietro ai quaderni tutta la sua vita di maestra le si affacciò sotto una luce grigia, quasi tetra, che le riusciva nuova e scoraggiante. La scuola, le lezioni, quelle birichine indisciplinate, sempre pronte ad approfittare della menoma distrazione della maestra, le delusioni, le ingratitudini, le fatiche troppo spesso inutili e la noia, la noia [p. 54 modifica]delle eterne ripetizioni, che trascinano lo spirito ineluttabilmente nell’assopimento e nella materialità del mestiere. Questa sintesi della sua vita l’atterriva. Quale maligna potenza l’aveva evocata?

„Le donne d’ingegno hanno il cuore freddo e il sangue calmo come il latte“ aveva detto Eugenia ripetendo le parole di Luciano.

Le donne d’ingegno? e alludeva a lei e all’Antonietta?

„Se fosse almeno vero“ diceva tra sè la fanciulla: „Non si soffrirebbe come si soffre. Ma se il bel giovanotto dice che abbiamo il cuore freddo e il sangue di latte, perchè capisce che non ci si lascerebbe turlupinare, come questa povera Eugenia, ha mille ragioni. Sangue di neve e cuore di pietra, potrebbe dire“.

Daccapo l’afferrava il problema di quella ragazza — e chi sa quante ve ne erano come lei — tormentata dal desiderio di vivere; stanca, prostrata dall’attesa e tuttavia abbastanza padrona di sè per imporsi un termine, una dilazione, per non rinunciare ancora alla speranza suprema, alla meta agognata: a un buon matrimonio, tale da appagare tutti i suoi desideri, gl’ideali, le ambizioni. Ella sorrise involontariamente. Non chiedeva troppo la buona Eugenia? Non chiedevano troppo le fanciulle all’uomo, al presunto marito? Non era forse là il principio del malinteso? [p. 55 modifica]

Ella non chiedeva che amore, perchè lavorava e il suo lavoro bastava a mantenerla. Dunque quel lavoro circondato da tante noie, da tanti fastidi, serviva pure a qualche cosa di nobile, di elevato. Quel lavoro le dava l’indipendenza del cuore. Grazie ad esso, non era obbligata a giuocare alla gran lotteria del matrimonio, la cui posta è la vita.

L’affare era escluso dalla sua possibile unione con un uomo: non restava che l’amore, la simpatia almeno. Pure anche lei poteva incontrare un uomo che oltre l’amore le offrisse l’agiatezza; anche a lei poteva capitare un marito come l’aspettava e cercava l’Eugenia. Se un uomo ricco, giunto ad un alto grado sociale si fosse innamorato di lei, l’avrebbe egli sposata nonostante la sua nascita?... Probabilmente no, appartenendo ad una famiglia nobile; ma essendo solo al mondo e di nascita plebea, chissà?... L’immagine di Faustino Belli, che sempre fluttuava nella sua mente dal giorno in cui lo aveva sentito a parlare davanti alla salma della vecchia Valmeroni, si snebbiò improvvisamente e le apparve nitida e quasi reale. Ella chiuse gli occhi e rimase immobile per contemplare dentro di sè l’affascinante immagine. Quello era, secondo lei l’uomo che, per le qualità esteriori e intellettuali e per il posto che occupava nella società, poteva appagare i sogni, i desideri d’amore e l’ambizione della più esigente fra le donne. [p. 56 modifica]

Egli era ancora nell’età più bella, aveva un passato eroico, glorioso come cittadino ed una fama invidiabile come architetto; se non ricco, era agiato e sulla via di arricchire. Questo per l’ambizione. Per l’amore poi aveva una bellezza strana, affascinante, maniere squisite, una educazione perfetta, e, ciò che importava di più, un cuore tenero e leale, un animo elevato capace di comprendere tutte le delicatezze ed aspirare ai più alti ideali. Non l’aveva dimostrato ad esuberanza nell’elogio funebre della sventurata e virtuosa donna? E quel discorso doveva essere l’espressione sincera dell’animo suo, poichè non aveva avuto il tempo di prepararlo. Era improvvisato.

Così ragionava Maria Clementi nella sua giovanile fiducia: e chiamava fortunata la donna che sarebbe riuscita ad ispirare un affetto profondo e stabile a Faustino Belli. — „Chi sa quante lo amano, chi sa quante sperano, chi sa quante egli ne ha amate!“ Gli amori ch’ella gli attribuiva eccitavano la sua fantasia e scotevano la sua fibra delicata con un tumulto di affetti e di pensieri, a cui si mischiava un vago terrore, come un presentimento d’ignote angosce. Essendo ancora lontanissima dal supporre che Faustino Belli potesse amarla ed essere suo, non provava alcuna gelosia di quelle probabili amanti: esse le ispiravano piuttosto una certa pietà che gliele rappresentava tutte come [p. 57 modifica]ombre malinconiche. No, ella non credeva neppure in sogno ad un eventuale amore di Faustino Belli per lei. Sapeva di piacergli, perchè egli non mancava mai di guardarla e di dimostrarle la sua simpatia quando s’incontravano.

Ma sapeva pure, per esperienza propria, quanto ci corra dalla simpatia all’amore. Amata da Faustino Belli? Amata davvero? Chiesta in moglie?... No, Maria Clementi era una ragazza seria, positiva, non ella poteva essere lo zimbello delle proprie fantasie. Pensava forse di diventare milionaria? Ebbene, era la stessa cosa, e per la stessa ragione neppure lei amava Faustino. Ma la saggezza non c’impedisce di pensare che i milioni sono una bella cosa; e non ha la forza di strapparci dall’anima una cara immagine.

Nell’atmosfera tepida, nella luce rosea che il paralume di carta velina diffondeva nella sala, in quell’ora serale, sentendo fremere intorno a sè l’ebbrezza delle feste che ella ignorava, Maria Clementi provava un’ineffabile dolcezza nel seguire i fantasmi della sua immaginazione, i sogni dei suoi vent’anni. L’arrivo di Riccardo la fece sussultare.

— Sei sola? — esclamò egli, stupito.

— Come vedi. Invece di utilizzare il mio tempo sono stata qui a sonnecchiare. Ho tanti compiti da rivedere.

Si alzò, andò nella sua camera e ritornò con un fascio di carte. [p. 58 modifica]

— Giacchè siamo soli posso lavorare qui. Tu leggerai probabilmente.

Riccardo sorrise e sedette di fronte alla maestrina, dall’altra parte della tavola.

— Scusa, Maria, un momento: dove sono andati tutti?

Ella rispose, senza levare gli occhi dal quaderno che stava aperto davanti a lei:

— La tua mamma... dev’essere dalla signora Bergamini; Eugenia ha detto che aveva sonno; ma credo che sia andata disopra anche lei; il babbo sarà nella galleria tra i suoi quadri, e Angelica è andata, da un pezzo però, a mettere a letto i bambini.

— M’è parso di vederla in portineria con Giuditta e Cecilio Pesti. Entrando ho sentito la sua voce; poi s’è fatto un gran silenzio, probabilmente perchè passavo io. Ho tirato diritto; ma il profilo d’Angelica mi par d’averlo visto.

Maria disse qualche parola per scusare l’Angelica, che andava qualche volta a chiacchierare colla figliola della portinaia; poi, afferrata la penna, si concentrò nel suo lavoro e non parlò più. Le dispiaceva di dover mentire e provava una sorda collera contro Angelica ed Eugenia che erano andate a confidarle i loro pettegolezzi e i loro sotterfugi.

Riccardo prese da uno scaffale un libro di geologia e si mise a leggere.

Egli era portato agli studi scientifici e sarebbe [p. 59 modifica]stato felice di dedicarvisi, se i bisogni della famiglia non l’avessero obbligato a guadagnarsi la vita, passando quasi tutta la giornata a far conti, a scrivere lettere commerciali e altre cose noiose.

Un silenzio quasi assoluto invase la casa. La signora Valmeroni con la sua Eugenia e Zoe Bergamini preparavano i loro costumi per il veglione, parlando sottovoce, movendosi con precauzione. Gli Ermondi erano andati a un ballo di società; Angelica si svagava con la Giuditta; la vecchia serva sonnecchiava in cucina e dormivano i piccoli il placido sonno dell’infanzia.

Solo con i suoi quadri, Leonardo dimenticava in quella dolce contemplazione e nei ricordi di un tempo per lui meno grave, le difficoltà del presente e le minaccie dell’avvenire.