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prima la morte. E Antonietta dovrebbe essere ridotta alla disperazione, trovandosi in condizioni tanto migliori delle mie? Solo per le chiacchiere degli altri? Perchè un vecchio scettico e un gruppo di pettegole le suggeriscono che l’amore non esiste e che senza ricchezza la vita non merita di essere vissuta? Non lo crederò mai».
Con questo convincimento ella scriveva all’amica le parole più tenere, intercalate da immagini ridenti e le narrava le vicende liete di una sua collega nell’insegnamento: uno di quei casi fortunati che ridanno, col loro benefico esempio, la forza di attendere e di sperare.
Approfittando delle vacanze di quei giorni, voleva fare una gita a Pavia e avvertiva appunto l’Antonietta del suo arrivo. Stava chiudendo la lettera allorchè fu picchiato all’uscio della sua camera.
Entrò l’Angelica, rossa, agitata.
— Cos’hai? cos’è successo?
Angelica richiuse l’uscio, e, facendosi innanzi in aria di mistero, disse:
— Vanno al veglione di beneficenza!...
— Chi?
— La mamma e l’Eugenia, perbacco!
— Non lo credo.
— Come? Non credi?... ho visto i costumi, ho sentito i discorsi.
— Ciò prova che tu hai sempre quel brutto vizio di ascoltare alle porte...