Signorine povere/Prima parte/II

II

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II.

Angelica e i due piccoli aspettavano in portineria; questi, facendo il chiasso con altri ragazzi del vicinato: Angelica, leggendo un romanzo con Giuditta, la figliola della portinaia.

— Non c’è nessuno disopra? — domandò Riccardo entrando, seccato di vedere sua sorella in quella compagnia.

Ella rispose con la solita petulanza:

— No. Sono andati tutti all’Agnello col cavalier Belli; è stato qui un cameriere a dire di non aspettarli.

— Va bene. Venite su tutti.

Salirono al loro appartamento. Quelle stanze piene d’ombra e di tristezza fecero rabbrividire i più sensibili. Il fotografo Ermondi e Flora sua sorella si licenziarono dopo un momento per rientrare anch’essi nel loro quartierino che era al terzo piano.

L’inquilina del secondo, la signora Bergamini, ex-cantante e vedova di un impresario, saliva in quel momento. Così si fermarono tutti sul pianerottolo a chiacchierare come il solito, con molta noia di Riccardo. Per fortuna si faceva [p. 30 modifica]notte e tutti avevano fretta di ritirarsi per preparare il desinare.

— Cosa c’è da mangiare? — domandò Eugenia in cucina.

La donna rispose che non c’era quasi nulla perchè nessuno ci aveva pensato quel giorno. Delle ova, del burro, una pignatta di patate, che la vecchia si vantava di avere messe su di sua testa per saziare i ragazzi.

Erano le sette e mezzo quando poterono sedersi intorno alla tavola. Il servizio fu scarso e disordinato, ma nessuno vi badò. Anche Erminia e Giorgetto, oppressi dal sonno e dalla stanchezza, mangiarono poco. Giorgetto ben presto scappò in cucina, annoiato dal silenzio e dalla malinconia che dominavano nella sala da pranzo. Erminia posò la testina sulla tovaglia e si addormentò.

Eugenia interrogò l’Angelica sulla sua scomparsa dal funerale; e costei vuotò il sacco delle sue amarezze. Era stufa, ma stufa!... Non ne poteva più. Non era nata lei per fare la Cenerentola, no, e poi no! I ragazzi la facevano disperare ed era una vera ignominia che lei sola dovesse occuparsi di loro. E per ricompensa, mai un abito nuovo, sempre i cenci smessi dalle altre...

Eugenia, irritata da quei lamenti che a lei sembravano ingiusti, la rimproverò eccessivamente; l’altra replicò, accusando la sorella [p. 31 modifica]maggiore di egoismo, di gelosia. Le voci irate si alzarono.

— Anche stasera! — esclamò Riccardo indignato. — Taci, Angelica, basta. E tu pure, Eugenia, finiscila.

Eugenia si alzò senza rispondere, accese un lume e andò a chiudersi nella sua camera sbatacchiando l’uscio.

Angelica prese l’Erminia e, trascinandola per le braccia, andò a coricarla.

— Sempre così! — sospirò Riccardo volgendosi all’Antonietta. — Beata te che vivi in una casa tranquilla!

— Tranquilla fino ad un certo punto.

Maria e Riccardo si guardarono.

— Del resto, fosse pure tranquilla; cosa servirebbe se non son tranquilla io?

— Cos’hai tu, Antonietta? — domandò Riccardo pensoso.

— Cosa ho?... Sono una Valmeroni, ho il male di famiglia.

— Oh, capisco. Siamo tutta gente tormentata noi altri; ma il tormento cresce ad essere tanti insieme. Ora che quella santa ci ha lasciati, io non so come si vivrà in questa casa. Non dovrei parlare così, lo so, ma non posso a meno di sfogarmi.

Egli si alzò e, per precauzione, andò a chiuder l’uscio che metteva nel corridoio, poi, ritornando presso alle due fanciulle, riprese: [p. 32 modifica]

— Gli affari vanno di male in peggio; i creditori sono stufi; questa casa è coperta d’ipoteche. Il meglio per noi sarebbe di venderla e di ritirarci in campagna, dove si potrebbe ancora vivere e discretamente. Invece pensano di vendere quei pochi ettari di terra che abbiamo ancora. La mamma non vuol sentir parlare di Lecco; quella lì (accennava alla camera dove si era chiusa l’Eugenia) dice che vogliamo seppellirla viva. Io non ho voce in capitolo e il babbo, poveraccio, meno di me.

— E’ doloroso — sospirò Maria, mentre l’Antonietta corrugava le nere e folte sopracciglie.

— Questi sono i fastidi grossi — riprese il giovine — i fastidi che preparano la catastrofe finale, vicina a scoppiare, se pure non riesciremo a ritardarla con la vendita della famosa galleria e della raccolta del nonno che ingombrano tutto un appartamento rubandoci un reddito sicuro di settecento o ottocento lire.

— Non le compra quel Klein? Mi diceva la zia Ersilia che l’affare stava per essere concluso, che il pranzo dell’altra settimana aveva questo significato.

— Oh, il pranzo dell’altra settimana fu un’altra di quelle spese pazze che si usano in casa Valmeroni. La nonnina, poveretta, che vedeva malvolentieri la vendita dei quadri raccolti da suo figlio con tanta spesa e fatica, mi diceva col suo naturale buon senso: «Vendere, pazienza; [p. 33 modifica]ma sapere già che si dovrà vendere male, e cominciare a sciupare i denari prima d’incassarli, è da pazzi». Se Klein compra vuol dire che ci ha da guadagnare il cinquanta per cento. Tuttavia io vorrei che comprasse subito, non fosse che per liberare l’appartamento. Ma temo purtroppo che non comprerà.

Maria domandò:

— E l’organo? E il fucile? E le altre invenzioni di tuo padre?

— Oh Maria, lascia stare. Povero babbo, è tanto buono! Ma le sue invenzioni non sono che ingombri... Suo padre aveva la manìa delle raccolte, egli ha quella delle invenzioni: innocenti manìe, se non fossero così costose.

Mentre egli parlava la lucerna a petrolio, che pendeva dal soffitto, andava oscurandosi.

— Restiamo al buio — osservò Antonietta.

— Caterina, porta una candela. Bisogna spegnere questo lume perchè non puzzi. Porta anche il petrolio.

La donna — una lunga, magra, consumata — entrò con un piccolo lume a petrolio il cui lucignolo agonizzava.

— Candele non ce ne sono che due: una l’ha presa la signora Eugenia, l’altra l’Angelica.

Quest’ultima arrivava appunto dall’aver coricati i bambini.

— Cosa ho preso io? Questo moccolo? Si è spento che non avevo ancora finito di spogliar la piccina. Guardate: non ha lucignolo. [p. 34 modifica]

— Eugenia, porta il tuo lume, ti prego — disse l’Antonietta traverso l’uscio.

Eugenia aprì e venne fuori. Si era rifatta i riccioli sulla fronte; si era data la cipria e spandeva intorno un soave odor di violette.

— Ecco il lume. — E sottovoce mormorò: — Una volta avevamo il gas... e ora neppur le candele!

Riccardo si raccomandò che mettessero il petrolio nella lucerna intanto che quel pezzetto di candela ardeva ancora.

— Non c’è petrolio, la bottiglia è vuota — annunziò la serva.

Una bestemmia feroce uscì dalle labbra del giovine.

— Andate a comprarne, che Dio vi fulmini! Perchè non ci pensate prima a queste cose?

La vecchia scattò. Diceva a lei? Oh signore! Perchè non ci pensava? Perchè non le davano i denari!

— Taci, insolente!

Egli trasse una lira dal portamonete e la porse alla donna, che si allontanò brontolando.

— A quest’ora troverò tutto chiuso.

La candela portata da Eugenia era agli sgoccioli. A un tratto sfavillò, e si spense repentinamente. Restarono al buio. Eugenia, che si trovava vicino alla finestra, spalancò i vetri e le gelosie. Un vento gelato entrò nella stanza insieme con la luce della strada. [p. 35 modifica]

— Che freddo! — esclamarono in coro.

Riccardo si affrettò a chiudere i vetri e, ripigliando il discorso, disse:

— Questi sono i fastidi piccoli, ben piccoli, ne convengo. Inezie. Pure, quando si ripetono tutti i giorni, quando nulla è preveduto in una casa, quando ogni cosa manca al momento in cui uno se ne deve servire, questi piccoli fastidi fanno della vita un martirio, della casa un inferno.

Ferita da tali parole, essendo lei quella che aiutava la madre nella direzione della casa, l’Eugenia se ne risentì. Un litigio amaro scoppiò tra essa e Riccardo. E l’Angelica, che ce l’aveva con tutti e due, li eccitava con insinuazioni velenose.

Antonietta e Maria, irresponsabili del cattivo andamento della casa — la prima perchè stava a Pavia, la seconda perchè era occupata tutto il giorno fuori fra la scuola e le lezioni private — cercavano di metter pace.

La Caterina non si vedeva. Arrivarono invece i capi della famiglia con i coniugi Pagliardi. Trovando tutta la casa buia, questi si fermarono nell’anticamera con Leonardo silenzioso e assorto. Saltellante e chiacchierina come il solito, la signora Elisa andò diritta in sala.

— Che fate allo scuro? — Bisticciate? Vi ho sentiti, sì. Non avete di meglio? Ma perchè siete al buio? E dov’è la serva?... Poteva bene venirci incontro! [p. 36 modifica]

Rispose Riccardo:

— Siamo allo scuro perchè non c’è mezzo di accendere un lume. La donna è andata a comperare il petrolio e le candele.

— Ho capito! — esclamò la signora, che, in fondo, avendo pranzato bene si sentiva di buon umore e avrebbe riso volentieri. — Ho capito anche il bisticcio. Tu Riccardo avrai tuonato contro il disordine di questa casa, la sventatezza delle tue sorelle e, magari, di tua madre, senza riflettere che in un giorno come questo non si poteva aver tempo nè testa per occuparsi di certe miserie.

— Io non ho mai detto una parola contro di te, mamma — protestò il giovane con voce grave.

— Sono qui, sono qui — gridava la Caterina dall’anticamera, con l’affanno per la corsa che aveva fatto.

— M’è toccato andare fino in piazza Beccaria, da quel droghiere che non chiude mai.

La luce fu fatta e i volti si rischiararono.

I Pagliardi entrarono nella sala e sedettero sul vecchio divano. L’Angelica si affrettò a levare la tovaglia che era rimasta sulla tavola.

— E l’Erminia? E Giorgetto? — domandò la zia Ersilia.

— Dormono. Li ho messi a letto perchè erano stanchi morti. Hanno fatto il diavolo sulla strada del funerale. Mi hanno fatto disperare. Oh, sono abbastanza stufa di far la bambinaia! [p. 37 modifica]

— Ci siamo. Sempre arrabbiata l’Angelica!

— E’ ora di darle marito — ghignò il Pagliardi.

Si rise. Si parlò d’altro: delle signore che erano intervenute al funerale, del lusso.

Il Pagliardi osservò che Leonardo aveva fatto le cose da signore e da buon figliuolo, che il funerale era stato rimarcato e lodato. Oh! non c’era da dire, Leonardo sapeva tener alto il nome e il credito della famiglia. Questi elogi così largamente prodigati celavano appena il pensiero ironico del lodatore. Si capiva troppo bene che in fondo all’anima il Pagliardi biasimava quella prodigalità, quello sfoggio così poco in armonia con lo stato finanziario della famiglia di suo cognato.

Nessuno dei giovani volle rilevare la pungente ironia, e la signora Elisa pensava ad altro.

Leonardo era rimasto solo nell’anticamera.

Capitarono in buon punto le solite visite, con grande soddisfazione della signora Elisa, la quale di null’altro si curava purchè avesse il suo salotto pieno di gente. Scesero dal terzo piano i due Ermondi fratello e sorella, e dal secondo la Bergamini: gl’immancabili. Vennero poi: il professore Dal Pino, Camillo Bressani studente del Conservatorio, con altri suoi compagni: Cecilio Testi giovane pittore che ritoccava le fotografie dell’Ermondi, i Monti padre e figlio, uno dopo l’altro, come se si corressero dietro. [p. 38 modifica]

Leonardo, vedendo arrivar gente, si era ritirato nella sua camera, dove Riccardo andò a raggiungerlo.

— Cosa fai qui solo? Vieni di là.

— Oh Riccardo, non posso veder nessuno. Mi ha fatto tanta pena di trovarmi all’Agnello in mezzo alla gente. Tuo zio è un benedetto uomo. Se n’ha a male di tutto. Se n’ebbe a male perchè ero con Faustino e ci volle tutti con sè nella sala grande.

«Ho sofferto tanto. Loro volevano distrarmi... Ora ho bisogno di piangere, di stare solo. Lasciami sfogare. Loro non vogliono vedermi piangere; mi tocca forzarmi e mi par di morire. Sono tanto infelice».

Faceva pietà a vederlo così accasciato. La camera dove si trovavano era grande ed ariosa e dava sopra un giardino appartenente ad un’altra casa. Era stata una volta la stanza di lavoro di Leonardo, ma dopo la nascita dell’ultima bambina, la signora Elisa avendo avuto una lunga malattia, egli vi dormiva pure, esiliato dalla camera matrimoniale.

Sua moglie pareva contenta di aver riconquistata la propria libertà, ed egli si rassegnava. In compenso poteva leggere tardi la notte, come gli piaceva tanto; e passare la mattina in un ambiente tranquillo e ordinato, mentre la camera matrimoniale era sempre ingombra di abiti e messa sossopra dai bambini. Tuttavia, [p. 39 modifica]essendo d’indole molto affettuosa egli soffriva sordamente di quella specie di relegazione. Gli pareva duro che il vincolo d’amore fosse già così lento, così vicino a sciogliersi. Quella sera specialmente con tanta tristezza nell’anima, con tanto bisogno di conforto, gli sarebbe stato dolce di coricarsi vicino alla sua compagna, di abbracciarla, di piangere sul suo petto.

Fino a due giorni prima, quando egli era assalito dalla sua nostalgia sentimentale, si rifugiava presso la cara vecchia che trovava le parole più dolci per confortarlo. Ora la consolatrice era scomparsa, ed egli si sentiva solo come un fanciullo abbandonato. Gli restavano i figli...

Ed egli li adorava. Ma era un debole e sentiva profondamente nell’anima esulcerata che i suoi figli gli rimproveravano la sua debolezza, poichè avrebbero voluto trovare in lui l’appoggio, la guida, il valido sostegno di cui egli medesimo aveva d’uopo.

Soltanto le madri, specialmente certe madri, forse troppo tenere e pietose, sanno compatire la debolezza dei loro figli anche quando sono diventati uomini, perchè li rivedono bambini; esse sole non li avviliscono col loro compatimento. Il compatimento dei figliuoli per i genitori è invece quasi sempre amaro, pungente. Lo stesso Riccardo, così buono e rispettoso, lasciava apparire nella tristezza della sua attitudine quanto egli si sentisse defraudato nel suo [p. 40 modifica]diritto di figlio davanti a quel padre senza volontà e senza energia. In certi momenti Leonardo si sentiva in soggezione davanti a quel giovine serio, che lo guardava con i suoi grandi occhi, penetranti e severi.

— Lasciami solo — disse egli finalmente uscendo dalle sue malinconiche riflessioni. — Lasciami solo; mi pare che ti chiamino.

Il giovane si allontanò un momento, poi ritornò.

— C’è il cavalier Belli.

— Oh! Fallo passare. Ma no! Qui è buio. È in sala?

— Sì.

— Bene. Va a dirgli che vengo subito.

Rimasto ancora solo, egli scrollò le spalle e chiuse gli occhi. Poi si riscosse, si alzò e andò incontro a Faustino Belli.