Sermoni giovanili inediti/Sermone XII
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SERMONE DECIMOSECONDO.
LA PENURIA.
Qui la scabrosa valvula si scalzi
Che sale e scende con mutabil vece
A prevenir della temuta fame
Le offese, che veraci e pronte e certe
5Rende e più gravi ognora. Alle importune
Acque stagnanti libero concedi
Sbocco, e contendi il riboccar nel campo,
Che del nativo umor pago si allegra.
Ma se la vena povera non basti
10A ristorar le zolle sitibonde,
Furtivamente altrove non s’involi,
E fecondata dell’estranio rivo
Baci l’erbette delle note sponde.
Di provvido cultore abbiti nome
15E lode e premio. Ma volar più in alto
Coll’ali del pensiero agogni e credi,
Mentre la turba timida e smarrita,
Pane e biade chiedendo in suon confuso,
Tu le imprometti il desïato acquisto,
20Salutando con giubilo segreto
L’ora che rapidissima si avanzi,
E te con voci di letizia piene,
Più che amico e signore, inclito padre
Dell’affamato popolo saluti.
25Di chi l’inganna o lo vezzeggia è il mondo,
E gli errori ne adula, anzi le colpe.
A te non venga la parola acerba,
Che delle cose all’apparenza guardi,
E seguitando quel che gli altri fanno
30Fidatamente vai per la tua via.
Il facile pendío spesso ti nega
Lo sdrucciolante piè fermare a mezzo
Del corso, e giù precipiti nel fondo.
Altri travolti giù precipitaro,
35Ed altri giù cadran precipitando;
Chè a ludibrio de’ venti i suoi decreti
La istoria vana nella polve scrive.
Alla luce del ver, che ti baleni
Nell’intelletto ancor, si addensa intorno
40Improvvisa caligine, che s’alza
Dal profondo del cor, quando si turba
E trema alle commosse aure dal grido
Di lurida fremente e pazza plebe.
Ma della plebe stolida ti lagni
45Indarno allora, e a te medesmo rechi
Tardi la colpa del negato uffizio
A vincerne l’insania e le mendaci
Torbide larve a discacciarne in bando.
Vedesti il meglio, e al peggio ognor ti appigli:
50Ed al baglior di una speranza infida,
Che qual lampo dileguasi, succede
Più cupa tenebrosa orrida notte,
Che di terrore i petti invade e agghiaccia.
Il fremito si tacque a poco a poco,
55Chè a poco a poco vien manco la voce,
Che dir vorrebbe e dir non puote; ho fame.
Se non è dal timor cinta la testa,
Nè vaneggia per l’etere ondeggiando,
Al dritto ragionar l’orecchio inchina.
60Non sempre ai voti del cultor risponde
In tutte parti la raccolta mèsse;
Chè l’indiscreta pioggia, o il dinegato
Ristoro di benefica rugiada,
O di torrente torbido la piena
65Che ruppe ad allagare i pingui cólti,
L’occulto morso di malvagio insetto,
Il flagellar di saltellante grandine,
E al rauco suon delle guerresche trombe
Lo scalpitar di barbari cavalli,
70Portan col vento del cultore i voti.
Ma in tutte parti di sinistra luce
Non balenano in cielo astri maligni
A un tempo. Qui l’inaridite e magre
Povere spighe adagiansi già tocche
75Dalla strisciante falce; e là chinando
Il capo grave sul robusto stelo
Cadon recise, e oltre la speme fanno
Inorgoglir le biondeggianti biche.
Co’ suoi cent’occhi il vigile commercio
80Intorno riguardando indaga e vede;
E a un lieve suon che s’oda di lontano,
Ascolta dove al fervido desio
Male risponda la speranza, e dove
L’opra il confine del bisogno ecceda.
85Indi le cento braccia allarga e stende,
E in giro move; a cento navi e cento
Al volo appresta l’ali; e in cento lidi
Ad ogni cenno suo fidi seguaci
E provvidi ministri in guardia stanno
90Intenti e pronti dalle usanze note
Norma prendendo facile, che torna
A servigio maggior della mercede,
Che bieco in atto e mormorando rendi.
Più veggente di lui, che alle infinite
95Delle cose sembianze ad una ad una
Visibili e future il guardo affisa,
Forse ti credi, o reggitor sovrano
Che le sorti de’ popoli governi,
Volgendo al peggio con diverso intento?
100Più possente di lui, che il mondo abbraccia,
O di lui più felice, agile e destro,
Che dall’antica esperïenza apprese
A sceglier luogo, tempo, ordine e modo
Agli utili ricambi, onde a se giova
105Altrui giovando? Libere le penne
Gli lascia; e ovunque le sue grazie spande.
Ma tu col lampo del severo ciglio
A mezzo tronchi l’umile preghiera,
Con note irrevocabili segnando
110La tua sentenza. Il misero raccolto
Non esca fuor della serrata cerchia;
E a sè richiami quel che ad altri avanza,
Onde la plebe scarna si pasturi
Del necessario pan. Mutano i saggi
115Col mutare del tempo i lor consigli:
E al ritornar della stagione amica
Per me le biade traboccanti e gonfie
Avranno nell’uscire il varco aperto,
E chiuso nell’entrar. Dalla pasciuta
120Plebe rimovo, e dal cultore industre
Le dure prove di non degna offesa;
E di paterno reggitore il vanto
A me daranno i popoli soggetti.
Tu per l’intenzïon casta e benigna
125Sarai di lode o almen di scusa degno;
Ma dal contrario effetto il tuo giudizio
A miglior senno omai si riconduca.
Langue la mèsse, e ancora incerta pende.
Quali, fra gli occhi tuoi, che di lontani
130Opachi vetri s’armano con lenta
Mano non ferma e già del pondo stanca,
Ed i cent’occhi del commercio vivi
Acuti e pronti col diritto raggio
Delle cose a ritrar l’imagin vera;
135Quali mi affideran del chiaro lume,
Che il passo scorga alla secura meta?
Delle bandite indagini l’inizio,
Che dal termine suo tanto si parte,
Nunzio si rende di presagi tristi,
140Che ne fanno agghiacciar le vene e i polsi.
La turba scolorata in folla s’urta
Al querulo mercato; e all’importuna
Foga tracolla la bilancia grave,
Che l’indice del prezzo in alto leva.
145Mentre gli scribi tuoi vanno le cifre
Alle cifre sposando (e forse un nume
Maligno arride ai vaghi accozzamenti),
I raccolti manipoli si stanno
Ritrosi ad aspettar, che la fortuna
150Novellamente la sua ruota giri;
O dalla cerchia tua fuggon cercando
Ombra cortese di fidato albergo.
Ma chi sul capo balenar la scure,
Che in atto quasi di minaccia afferri,
155Già vedesi tremando, oso non fia
A te recar dalle remote spiagge
Novelle spiche a ristorare in tempo
I danni della povera contrada,
Onde, padre e signore, il freno stringi.
160Poichè la Luna rinnovò la faccia
Più volte, alfin dei cómputi secreti
L’infallibil responso a noi riveli.
La mèsse abbonda; in placido riposo,
O felice mio gregge, i sonni alterna
165Col facile ingoiar delle converse
Biade. Dicesti; a mezzo il crudo verno
Vengon manco le biade. Aita aita
Allor chiedendo con voce affannosa
Indarno vai; chè di lontan non ode
170Il nocchier che la nave altrove addusse,
Nè puote ritentar l’onda costretta
Dal pigro gelo in solido adamante.
Apportator di candide novelle
Incauto fosti; or dalla tua cortina
175Il propagato suono i mali annunzia
Della vicina fame: un disperato
Grido s’alza alle stelle. Al tuo dimando
Avaramente negasi l’offerta,
Fin che la speme di miglior ventura
180Per lo sperato prezzo innanzi arrida.
Orsù, littori, le porte abbattete;
Ed esca fuor del tenebroso speco
Alla luce del Sole in un baleno
La dovizia di Cerere. Beato
185Il volgo applauda al magico compenso,
Che delle biade scarse al prezzo avaro
Impone legge, a vil prezzo spezzando
Più ritondo sui deschi gravi il pane.
Applauda, e gavazzando in poco d’ora
190Logori il frutto, che serbato a tardi
Giorni potrebbe soddisfar le brame
Del famelico ventre. A iniqua impresa
T’accingi allor che per insania cieco
Col furor delle leggi o delle spade
195Incontro al naturale ordine cozzi,
Che al pregio delle cose i gradi assegna.
Per un che afferri e stringi per la strozza,
Qual notturno ladron che nella gola
Al vïandante il suo coltello appunta,
200Mille e mille s’involano portando
Seco l’incarco della bionda mèsse.
Onde la turba squallida e deserta
Tardi si morde bestemmiando il dito;
Nè dell’antico error si riconsiglia.
O205di mali veridico profeta
Fosti; e men tarda a presagirne i danni,
Piena recando e necessaria emenda.
Stata sarebbe della nota schiera
La mente consapevole. Dall’odio,
210O dallo sprezzo vinta si ritrae,
E il campo lascia agli avidi vampiri,
Che astutamente per occulte vie
Succiano il sangue della gente grama.
O tratto in fallo dal mendace avviso
215Involontario mentitor mentisci;
E colle larve di mentita fame
L’impazïente stomaco condanni
Verace a sopportarne indegno strazio.
Sono al cultore ed alla plebe infesti
220I tuoi divieti. All’áncora negando
Il porto allor che le straniere biade
Minacciano inondar gli arati campi,
Che l’ombra della tua verga protegge,
Tu fai del dipintor giudice il cieco.
225Perchè ti sdegni? Dai remoti lidi,
L’ire de’ venti impavida sfidando,
Non partirà la dispiegata vela,
Se del lungo vagar non la ristori
Un raggio che da’ tuoi lidi l’appelli.
230A che più tardi? L’indiscreta voglia,
Ancor tardando, del cultor fomenti,
E i pigri, ambizïosi, aurati sonni,
Che il letto molle ed il purpureo nembo
Di fresche rose e facili consola.
235La plebe calca e insanguina le spine!
Quando preme l’inopia, a te non vola
La vela velocissima coi venti,
Se nella inospital terra si neghi
Dal soffio infido di volubil aura
240Libero varco e libero ritorno.
Siccome l’acqua per opposta diga
In livida palude si ristagna,
Così la biada che al bisogno eccede
In basso cade, e le speranze tronca
245Dell’industre cultor, che ai noti solchi
Toglie l’aratro; onde la magra plebe
Fia che tra poco batta il dente asciutto.
E ancor rimane coll’asciutto dente,
Se la mèsse nativa all’uopo è scarsa,
250Ed al soccorso timida si arretra
La man, che dell’acuta unghia paventa
Le dure strette e i temerari sfregi.
Dal tuo sillogizzar non ti rimove
Il lume di ragion, cui mille e mille
255Antichi e novi memorandi esempi
Limpido specchio fanno a chi ben guardi. —
Se alla mia mensa dispensar m’è dato
Con facile pecunia un doppio pane,
A dimezzarlo, a stringerlo per doppia
260Difficile pecunia io mi ricuso.
Forse a giustizia e a caritade oltraggio
Reco, se della mia gente la vita
M’è cara, ad essa invïolato il frutto
De’ suoi campi serbando, a più benigna
265Tempra soggetti di feconda stilla?
Dalla vampa del Sol malvagi e tristi
Piovvero influssi? A volontaria offerta
Il mercatante appello, e l’ali al piede
Coll’offerto tributo ancor gli aggiungo.
270E gl’indugi accusandone, trascorro
Io stesso in cerca, e dell’amato incarco
Lieto ritorno, a un volgere di chiave
Dell’abbondanza il corno rovesciando.
Al mercatante e al panattier col cenno
275Della rapida verga ordine e legge
Darò; ne fia che più le ingorde arpie
Spreman le vene alle dolenti turbe. —
Oh corta sapïenza de’ mortali,
Che di Giove le folgori scagliando
280Presumono imperare al fato avverso,
Possente più di Giove onnipossente!
Sempre una corda ritoccar non giova,
Che più volte vibrò contro l’insana
De’ tuoi divieti indomita baldanza.
285Ma pur non taccio, che a contrario fine
Riescon sempre. Alle lugubri note
L’accesa fantasia, volando in alto,
Il confine dei prezzi a un tratto varca.
Nè del pudico gabellier la faccia
290Si volge a riguardar quando trapassa
Colle stridenti rote il carro grave
Del vïolato pondo. Il mercatante
Al tuo richiamo avrà le orecchie sorde;
E se del ricco premio il grido ascolti,
295Onde la merce ovunque si rincara,
Di tua stoltezza i pegni raccogliendo
Verrà per poco; che per poco oscilla
La bilancia, che i prezzi adegua e libra.
Ma sorde non avrà le orecchie, quando
300La fama colle sue trombe proclami
Il tuo messaggio. Al messaggiere onesto,
Che il guardo dell’acuta aquila vinca,
Forse risplenderanno astri novelli
Più che all’usato incettator benigni?
305Stolta lusinga! Alla perizia scarsa,
All’importuno rombo, alla tremenda
Ora che ultima scocca, al magro e lento
Servigio pensa e alle speranze false,
Onde la plebe misera travolgi;
310Pensa e rispondi. Il molt’oro, che getti
In profonda voragine, non basta
Di dieci e dieci a ristorar la fame;
E a mille a mille con tarpate penne
L’abbominato e provvido commercio
315Timidamente va recando il pasto,
Che dell’amaro tuo sale cospargi.
Già la cupa voragine trabocca;
Ma il dove, il come e l’ordine cercando
Del tuo mercato una voragin nuova
320Appiè ti schiudi. O popoli delusi
A voi tocca colmarla insino all’orlo;
Dell’error vostro è questo il frutto acerbo.
Forse non lice dissiparne il denso
Velo, che ingombra le non sane menti;
325O giova pasturar l’umana razza
Come stupido armento si pastura?
Ma la verga fatal da un lato impugni,
E di tacer fai segno; e già coll’altro
All’adultera chiave il moto imprimi
330Le porte spalancando, onde l’accolta,
Più ch’aurea mèsse, a vil merce si adegui.
Quando è legge il tacer col labbro, muta
Non è del ragionar l’interna voglia:
Nel segreto pensier quindi si parli.
335Al fosco balenar della tua chiave,
Onde Epulone e Lazzaro confusi
Raccolgono per cento un uno appena,
Ad altre porte addoppiansi le sbarre,
A cui battendo andrai con debil polso
340Col vuoto sacco dimandando pane. —
Al panattiere, al panattier la meta
Almen si ponga, e all’umili civaie
La banderuola sventoli, dettando
Norma ai profani, che alla prima aurora
345Osan turbare i variopinti sogni
Del cittadin, che alle primizie care
Con gentil fraude sbadigliando agogna
A guiderdon delle protratte veglie.
Chi sventola, siccome alito spiri,
350Punta non teme di scoccato strale;
E di me stesso meco mi vergogno,
Che pur col cenno ne tentai la prova;
Ed i fischi m’intronano gli orecchi.
Io riedo al panattier, che incerto pende
355Dai colpi della rigida bacchetta
Che intorno meni colla benda agli occhi;
Sì colla benda; e a te medesmo credi,
La ragione dei computi cercando
Che all’agitato braccio il segno addita.
360Perchè del ciabattin dietro le spalle
La tirannica sferza ancor non fischia? —
Perchè di pan si pasce e non di cuoia
La derelitta plebe. — A meraviglia
Rispondi. Dunque al fischio della sferza,
365Mentre s’agita al destro o al lato manco,
La torta opinïon si risuggelli,
Che il volubile prezzo ondeggi come
Del pensiero e dei muscoli l’alterna
Vece secondi un volontario impulso,
370Più che la certa irrevocabil legge
Degli alternati eventi. Il pondo accresci
Di quattro dramme alle venal focaccia;
E il volgo appena bisbigliando nota,
Se pur non biasmi, il parco e lento acquisto.
375Una ne togli; e con proterva fronte
Non meno a te che al panattier la croce
Addosso grida. Discacciare in bando
La fraude è degna ed onorata impresa;
Ma di giustizia invïolato il dritto
380Non serbi no coll’importuna meta
Che alle libere gare il corso arresta.
Se la meta varcai col fioco verso,
Indietro torni e stanco si riposi,
A te l’estremo monito volgendo.
385Delle stagioni alla diversa tempr
Supremo ordinatore un Nume veglia.
Dall’una gente par ritragga il dito,
Mentre la destra porge alle altre amica.
Ciò che di queste avanza all’uopo, adempia
390Di quella il difettare, onde ciascuna
Al comun desco vivasi contenta,
Benedicendo all’invocato Padre
Di tutte genti. All’indice sincero
Del libero mercato il guardo piega,
395E vedrai come in ogni parte s’alzi
Alquanto sì che il sagrifizio lieve
In ogni parte adeguisi pur sempre.
Se temerario a lui stendi la mano,
Qui in su lo spingi; e vien manco per fame
400Una infelice turba moribonda:
Là in giù lo tiri; e le speranze al vento
Del cultore dileguansi, che al petto
Incrocicchia le braccia inerti. Il rivo
Fecondator delle ricchezze umane
405Più non zampilla dall’arida fonte;
Delle industri fatiche il nerbo langue:
Langue il salario, stremasi, sparisce.
Di ammonticchiate biade allor che giova
La infracidita e misera ricchezza?
410Allor che giova...? Tu sbadigli, e tregua
Verace imponi al sermonar molesto.