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la penuria. 123

     325O giova pasturar l’umana razza
     Come stupido armento si pastura?
     Ma la verga fatal da un lato impugni,
     E di tacer fai segno; e già coll’altro
     All’adultera chiave il moto imprimi
     330Le porte spalancando, onde l’accolta,
     Più ch’aurea mèsse, a vil merce si adegui.
Quando è legge il tacer col labbro, muta
     Non è del ragionar l’interna voglia:
     Nel segreto pensier quindi si parli.
     335Al fosco balenar della tua chiave,
     Onde Epulone e Lazzaro confusi
     Raccolgono per cento un uno appena,
     Ad altre porte addoppiansi le sbarre,
     A cui battendo andrai con debil polso
     340Col vuoto sacco dimandando pane. —
Al panattiere, al panattier la meta
     Almen si ponga, e all’umili civaie
     La banderuola sventoli, dettando
     Norma ai profani, che alla prima aurora
     345Osan turbare i variopinti sogni
     Del cittadin, che alle primizie care
     Con gentil fraude sbadigliando agogna
     A guiderdon delle protratte veglie.
     Chi sventola, siccome alito spiri,
     350Punta non teme di scoccato strale;
     E di me stesso meco mi vergogno,
     Che pur col cenno ne tentai la prova;
     Ed i fischi m’intronano gli orecchi.
     Io riedo al panattier, che incerto pende
     355Dai colpi della rigida bacchetta
     Che intorno meni colla benda agli occhi;
     Sì colla benda; e a te medesmo credi,
     La ragione dei computi cercando