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la penuria. 115

     Che di terrore i petti invade e agghiaccia.
     Il fremito si tacque a poco a poco,
     55Chè a poco a poco vien manco la voce,
     Che dir vorrebbe e dir non puote; ho fame.
Se non è dal timor cinta la testa,
     Nè vaneggia per l’etere ondeggiando,
     Al dritto ragionar l’orecchio inchina.
     60Non sempre ai voti del cultor risponde
     In tutte parti la raccolta mèsse;
     Chè l’indiscreta pioggia, o il dinegato
     Ristoro di benefica rugiada,
     O di torrente torbido la piena
     65Che ruppe ad allagare i pingui cólti,
     L’occulto morso di malvagio insetto,
     Il flagellar di saltellante grandine,
     E al rauco suon delle guerresche trombe
     Lo scalpitar di barbari cavalli,
     70Portan col vento del cultore i voti.
Ma in tutte parti di sinistra luce
     Non balenano in cielo astri maligni
     A un tempo. Qui l’inaridite e magre
     Povere spighe adagiansi già tocche
     75Dalla strisciante falce; e là chinando
     Il capo grave sul robusto stelo
     Cadon recise, e oltre la speme fanno
     Inorgoglir le biondeggianti biche.
Co’ suoi cent’occhi il vigile commercio
     80Intorno riguardando indaga e vede;
     E a un lieve suon che s’oda di lontano,
     Ascolta dove al fervido desio
     Male risponda la speranza, e dove
     L’opra il confine del bisogno ecceda.
     85Indi le cento braccia allarga e stende,
     E in giro move; a cento navi e cento