Scritti vari (Ardigò)/Polemiche/Il liberalismo di R. Ardigò

Filosofia

Il liberalismo di R. Ardigò ../La psicologia positiva e i problemi della filosofia/Dialogo VI ../Contro la massoneria IncludiIntestazione 27 aprile 2011 100% Filosofia

La psicologia positiva e i problemi della filosofia - Dialogo VI Polemiche - Contro la massoneria
[p. 136 modifica]

III. IL LIBERALISMO DI R. ARDIGÒ 1

Il giornale di Bologna Gazzetta dell’Emilia, nel suo numero del 20 giugno 1883, in un articolo intitolato Il Moto (alludendo al giornale di Imola così denominato) conchiudeva come segue:

Ed ora per chiudere, un’altra prova di ignoranza, e questa volta storica, del Moto. Esso ci dà nientemeno che dei settari morali — rubando al divo Alfredo la frase — perchè abbiamo chiamati ex-clericali, il Ceneri, l’Ardigò, ed il Baccelli. Ma l’Ardigò sopra tutto gli sta a cuore.

Ardigò clericale, Ardigò il grande filosofo positivista! Sì, Moto carissimo: l’ateo di oggi ed il canonico di tanti anni fa, in occasione molto recente, tra il 70 ed il 71 pubblicava un’opera in latino per sostenere il dogma della infallibilità del Papa.

Il grande democratico mantovano non aveva dieci anni fa, neppure il liberalismo dei prelati di Fulda, che protestavano a nome della ragione umana, contro l’assurda teoria che provocava un moto di reazione perfino in quei reverendi e sacri personaggi.

I mitrati di Fulda erano fiori di liberali a confronto dell’Ardigò, oggi fatto mangia-preti e mangia-Dio. [p. 137 modifica]Ma certe cose il Moto non è obbligato a saperle. Come fargliene una colpa? Ricordiamoci che il libro dell’Ardigò è scritto in latino.

Il Moto del 29 giugno, a questo proposito scriveva:

L’Ardigò, non solo non ha scritto un libro sulla infallibilità del papa, ma nel 1870 — data invocata così a sproposito dall’articolista — stampava sulla Gazzetta di Mantova una lettera con cui chiamava quel dogma una vera stoltezza2; e oggi, di fronte all’attacco calunnioso, [p. 138 modifica]perchè i Don Basili siano finalmente smascherati nel modo che meritano, dopo letto l’articolo della Gazzetta, ci faceva l’onore della lettera seguente:

Mantova, 20 giugno 1883.


Alla Onor. Direzione del Periodico il «Moto»


Imola


Il sottoscritto dichiara:

1°. - Che non ha mai scritto opere in latino;
2.° - Che non ha mai sostenuto l’infallibilità del papa;
3.° - Che ha invece sempre dichiarato di non ammetterla;
4.° - Che con una lettera, inserita nel numero del 2 settembre 1870 della Gazzetta di Mantova, ha protestato contro il dogma della infallibilità del Papa;
5.° - Che ha sempre avuto e professato idee e sentimenti patriottici e liberali;
6.° - Che tutto questo a Mantova, dove visse dal 1836 ad oggi, è notorio;
7.° - che chi dice il contrario, se lo dice in buona fede è un IMBECILLE, se lo dice in mala fede, è un BIRBANTE;




E questa dichiarazione la faccio per ragioni che trovo nella mia coscienza, e non per l’ossequio ad una autorità qualsiasi, o ecclesiastica o civile. Perchè il patriottismo io lo faccio consistere non nel dar ragione ai più o a chi ha il potere, ma nel dire schiettamente senza rispetto o paura di nessuno, quello che credo il vero.

La prego di inserire queste mie parole nel pregiato di Lei giornale e di credermi suo dev.mo

Mantova, 2 settembre 1870.

Prof. Roberto Ardigò

[p. 139 modifica]8.° - Che poi a quelli, che lo chiamano senza conoscerlo mangia-dio e mangia-preti, risponde che non ha mai bestemmiato dio, come usano troppi di quelli che gli fanno rimprovero di non crederci, ed ha sommo rispetto per questa sublime idealità pure ritenendola una chimera; e stima e ama ancora oggi, come prima sempre, i preti che lo meritano, più che non facciano certi mangia-liberali.

Prof. Roberto Ardigò



Dopo questo, nel suo numero del 2 luglio 1883 la Gazzetta dell’Emilia, chiude un suo articolo contro il Moto col tratto seguente che mi riguarda:

Ma il povero giornale socialista ci dà l’immagine più esatta della cerva di Virgilio, la quale, ferita nel fianco, si addentra nella selva e si stropiccia agli alberi per liberarsi del dardo che sente confitto nelle carni e sempre più e più lo addentra nel vivo.

Prendendo le difese del liberalismo dell’Ardigò, il Moto pubblica una lettera di quel professore, nella quale egli nega di avere mai sostenuta la infallibilità del papa, dice anzi di averla combattuta, appena proclamata.

Prendendo atto di questa dichiarazione del reverendo... no, volevamo dire del prof. Ardigò, non risponderemo che con una cosa sola.

Si è molto disposti a dimenticare, colla memoria flebile del gerente responsabile di Parmenio Bettoli, gli scritti e le opere, che sono un rimprovero di nuovi principj o di nuove convinzioni e quei vecchi testimoni si vorrebbero cancellare o far sparire del tutto. Ma non sempre si riesce a quest’opera di eliminazione così completamente, da non lasciare traccia scritta del passato che si vorrebbe rinnegare.

È quindi assai probabile che ritorniamo e presto su questo argomento, con non troppa edificazione del Moto e del filosofo neo-liberale, il quale un tempo difendeva con tanto calore la confessione auricolare. [p. 140 modifica]Intanto constatiamo che la sua lettera è un vero capolavoro.

Egli dice che non è un mangia Dio, anzi che Dio rispetta come una sublime idealità, che è una chimera.

Senza essere nè teisti nè atei — poichè la questione non ci riguarda molto da vicino — ci pare che l’illustre (è un modo di dire) professore avrebbe potuto fermarsi alla sublime idealità. Se egli è in grado di affermare che è una chimera, si capisce proprio molto male come egli possa rispettarla. Delle chimere si ride e nulla più.

Finalmente egli dice che non è un mangia-preti, ma che stima i preti che se lo meritano.

E siamo anche noi perfettamente del suo parere. Stimiamo i preti onesti e li crediamo ammirevoli; li stimiamo anche reazionari, poichè combattendoli li giudichiamo convinti ed energici fautori di una idea, sia pure sbagliata.

Sa, il professore Ardigò, qual’è la classe di preti che non ci riesce di avere in onore e in istima? È tutta quella classe che sveste la tonaca perchè non ha saputo sopportarne gli obblighi, e colla chierica scalfita nel cranio ed incisa nell’anima, predica pomposamente il vangelo del positivismo.

Certe epurazioni dell’anima, attraverso il filtro della apostasia, non ci è mai riuscito di saperle ammirare.

È un entusiasmo che lasciamo al Moto.

Sulla fine di un articolo del Moto del 15 luglio 1883, si risponde alla Gazzetta dell’Emilia come segue:

L’articolista poi è addirittura brillante quando fa prendere atto alla povera Gazzetta di ciò che dice il professor Ardigò nella sua lettera, nella quale egli scrive che per asserire quello che aveva asserito l’articolista, bisogna essere imbecille o birbante, coll’aggiunta che noi vi facevamo di asino e maligno. Povera Gazzetta, ci fa compassione davvero! Ma non è tutto, chè il più bello viene in ultimo. [p. 141 modifica]Il nostro egregio articolista finisce la sua... articolessa occupandosi di nuovo del Prof. Ardigò al quale, come è suo costume, fa dire quello che non ha detto, contorcendogli il senso delle parole. Sì, onesto articolista, voi fate dire all’Ardigò «che egli rispetta Dio come una sublime idealità che è una chimera». Invece l’illustre filosofo scrive: «che ha sommo rispetto per quella sublime idealità pure ritenendola una chimera;» il che per noi equivale che ha rispetto per chi professa quella idealità, o più generalmente che egli rispetta la fede e i principi altrui onestamente professati. La fine dell’articolessa — e questo proprio dimostrerebbe una volta di più, se ve ne fosse bisogno, che l’articolista è persona estranea alla direzione della povera Gazzetta — suona così:

(E qui si riporta la seconda parte dell’articolo della Gazzetta: e poi si soggiunge):

Chi non sa fra noi che la Gazzetta fu fondata da un frate che aveva gettata la tonaca e che l’attuale Direttore è fratello di quell’ex-frate defunto, il poveretto! Oh articolista crudele! Oh povera Gazzetta!

La Gazzetta dell’Emilia rispondendo ancora al Moto nel suo numero del 18 luglio 1803 finisce l’articolo ancora contro di me, così:

Finalmente il Moto difende l’Ardigò dalla taccia di un passato reazionario. E noi gli ripetiamo: Avete un gran torto, malgrado tutte le smentite e le proteste epistolari del venerabile professore. Il Moto avrebbe ora ragione di chiedervene le prove. E noi lo serviremo. L’ignoranza storica del Moto apparirà evidente e sarà dimostrata dallo stesso Ardigò in persona; perchè egli medesimo in una sua prelezione — molto più avveduto ed onesto di quando dettava l’ultima lettera al Moto — riconosce il suo passato reazionario.

Di più pubblicheremo qualche brano della famosa [p. 142 modifica]polemica nella quale l’Ardigò difendeva da empi (!) attacchi la confessione auricolare. Invece di un documento solo il Moto ne avrà due, e ci pare di essere così persone scrupolose di documentare le proprie affermazioni. In uno dei prossimi numeri cominceremo a pubblicare un bozzetto storico-filosofico intitolato: Ciò che fui e ciò che sono e ne faremo, com’è di dovere, al Moto, al paladino dei positivisti dell’ultima ora, la dedica.


Ciò che fui e ciò che sono

(Al Moto d’Imola)


Ciò che è il prof. Roberto Ardigò, lo sanno tutti, o almeno lo sanno molti. È un filosofo erudito, che si spinge nelle sue idee fino ai limiti estremi del positivismo. Come quando era prete, il bagaglio più forte della sua istruzione era una grande conoscenza di fonti e di testi sacri, così oggi convertito alla nuova fede, ha cambiato materiale di erudizione, ma è sempre rimasto prima di tutto, un erudito.

Non è uomo d’avere la iniziativa di un sistema; è però intelligenza capace d’intenderli e di assimilarseli tutti.

In altri termini, egli non farà muovere un passo alla scienza, non scoprire neppure una formola, non lascierà dopo di lui neppure una idea originale, ma difficilmente gli sarà sfuggita una idea che sia ora patrimonio della scienza e più che la forza, che viene dalla fantasia, egli ha quella che viene dalla memoria.

Ardigò non è un grande filosofo, ma tanto meno lo si potrebbe chiamare il primo commentatore di testi scolastici che vi possa capitar fra piedi.

Gli scolari che hanno studiato sotto di lui ne conservano tutti grata memoria. Bisogna rendergli questa giustizia. Hanno anzi dell’affetto e dell’ammirazione per lui: affetto ed ammirazione che si limita tutto all’insegnante ed allo scienziato; l’uomo è un’altra cosa...!

Ardigò piace molto ai giovani, perchè nella [p. 143 modifica]esposizione, nella forma, a volta a volta, ha come degli impeti di poesia e l’immagine smagliante tenta di vestire di forma nova l’idea. Ma è un lirico bolso; è un figurista pallido. Appena aperte, le ali si chiudono; difficilmente l’immagine viene fuori completa e fresca nello splendore di una similitudine riuscita. Si direbbe ch’egli è passato presso il latino ispirato dei libri sacri ed il canto dei profeti senza che una scintilla di quell’entusiasmo gli accendesse il cuore: si direbbe che il freddo e angoloso formolarismo di certi libri da preghiere gli abbia invischiate le penne.

Ardigò è uno scrittore meno che mediocre. Per quanto brevi siano i saggi, che riporteremo del suo stile, i lettori avranno tempo d’accorgersene.

Ciò che è stato il prof. Ardigò, molti pure sanno, ma molti non amano ricordare. Nè a dir vero, noi avremmo alcuna soddisfazione a farlo, se lo zelo e gli entusiasmi del Moto, non ci avessero posto nella condizione doverosa di disingannarlo.

Quegli che oggi è il prof. Ardigò, un tempo era il prete Ardigò; si dava un tempo del reverendo a colui al quale oggi si dice: signore.

In perfetta relazione colle vesti che indossava, il professor Ardigò in quel tempo teneva i principi e i sentimenti. Era un reazionario.

Lo ha detto egli stesso, alla università di Padova, in una prelezione letta il giorno undici febbraio del 1881.

Ed era molto meglio ispirato allora, che tentava spiegare o spiegava il mutamento delle sue idee e delle sue convinzioni, colla legge della evoluzione, di quello che non lo sia stato, nella ultima lettera al Moto quando ha scritto:

«HO SEMPRE AVUTO E PROFESSATO IDEE E SENTIMENTI PATRIOTTICI E LIBERALI».

Dunque il prof. Ardigò dice di avere sempre avuto idee e sentimenti patriottici e liberali. Si potrebbe dire: [p. 144 modifica]Ma l’abito che vestiva non era un impedimento a queste idee?

L’obbiezione non avrebbe valore. Sotto quella veste talare vi poteva essere un cuore che batteva per la patria come quello di Ugo Bassi, o un’anima serenamente e immensamente aperta all’amore dell’umanità, come quella di Carlo Benvenuto Myriel, il sacerdote ideale creato dalla fantasia di Victor Hugo.

Me se così fosse stato, il professore Ardigò, parlando del suo passato, non avrebbe dovuto ricordare le lotte, le angoscie, gli stazi, i dubbi, ecc., tutto il processo insomma della sua gestazione dell’idea liberale, processo che è durato ben più di nove mesi o di nove anni.

L’uomo che, a dargli retta sarebbe stato sempre LIBERALE, salendo alla cattedra di Padova, offertagli dal ministro Baccelli, un altro neofita del liberalismo, così si esprimeva: «Non posso offrirmi col rigoglio e cogli slanci della gioventù... In cambio però ho da presentarvi delle convinzioni, tanto più salde nella mia fede scientifica e sacra nel tempio della mia coscienza, quanto più LUNGO E CONSAPEVOLE è stato il lavoro della riflessione, onde sono il risultato».

Dunque l’uomo SEMPRE liberale, ha avuto bisogno di un LUNGO lavoro per divenire tale. Vi deve quindi essere stato un LUNGO periodo nel quale non lo era, o per lo meno, in cui era solo un liberale in formazione. Sarebbe curiosissimo studiare le varie fasi dell’embrione ed i vari stadi del suo sviluppo!

Che poi le convinzioni e le idee di un uomo siano più salde, allora che ha messo più tempo a formarle, non è davvero ragione che ci persuada. Le idee e le convinzioni di un uomo allora si potranno dire salde, quando siano come patrimonio di tutta la sua vita, e non quando sono quello di una età o di una parte di una età. [p. 145 modifica]Nel paragrafo successivo il professore rincara la dose sulla penosità della sua gestazione liberale: «Salde queste mie convinzioni e sacre, malgrado che, quali sono ora da ultimo, di formazione tardiva assai, e sopratutto affatto insperata».

Se sono state di formazione tardiva assai, chiaro è che il periodo liberale del nostro filosofo è ridotto a ben poca cosa.

Ma egli stesso ci dirà come non rimonti che a poco tempo prima del 70.

Intanto notiamo che mentre il processo evolutivo delle idee del prof. Ardigò, era prima consapevole, egli stesso poi dichiara che era insperata la meta alla quale è arrivato. I quali due epiteti come si conciliino tra di loro, sarebbe cosa molto ardua il poter dire!

Ma l’oratore determina le angoscie della lotta ch’egli ha dovuto sostenere nel sacrario della sua coscienza per diventar liberate, lui che era sempre stato liberale!!!

«Un edificio di idee dovuto interamente alla educazione ricevuta nella cerchia ristretta di una famiglia non colta e di un seminario ed allo studio entusiastico dei grandi rappresentanti di un periodo di coltura, da lungo tempo tramontato», questo era ciò che occupava un tempo la coscienza del prof. Ardigò.

«Io riteneva — egli seguita — che quell’edificio fosse incrollabile. In tale baldanzosa fiducia, spalancai le porte del mio spirito alle dottrine positive, colla malaccorte pretesa che le avrei trovate bugiarde...

Ma quale delusione!

Indescrivibile il tumulto nell’animo dall’apprendimento delle nuove verità. Indescrivibile l’ansia, onde ognora invano tentava di vincere la invasione sempre più poderosa delle profane idee. Indescrivibile lo strazio, l’angustia, la desolazione, in cui vissi allora per lungo tempo».

Tiriamo fuori il moccichino ed asciughiamoci gli [p. 146 modifica]occhi! Vedete le torture che un pover uomo sempre liberale ha dovuto sopportare per divenire liberale!

Che del resto, la famiglia non colta ed il seminario non sono affatto un’attenuante per le idee reazionarie dell’oggi positivista professore. La maggior parte della generazione che ha popolato gli ergastoli di martiri, ed il campo di battaglia di cadaveri, votandosi alla redenzione ed alla unità della patria, non era cresciuta in famiglie che avessero la scienza infusa della vera filosofia, e nella scuola dei gesuiti e dei chierici non aveva appreso che i mezzi materiali per vincere la ignoranza, serbando l’anima immacolata dal pericoloso e fatale contatto.


Ma lo credereste? Mentre tutto un mondo crollava nella coscienza del nostro filosofo ed un altro a questo si sovrapponeva, e tutto ciò avveniva cogli strazi e le angosce che or ora vi ha descritte — più tardi egli aggiunge: «Tale demolizione restò per lungo tempo un sentimento vago, e diventò certezza solo all’ultimo, e tutto ad un tratto, sono ora circa due lustri soltanto».

Ma se non era che un sentimento vago, come si spiegano le ansie, le lotte, le angoscie?

Ma se era frutto di una evoluzione, come mai si rivelò tutta ad un tratto?

L’unica conclusione è che il liberalismo del protetto del Moto non rimonta che a due lustri di distanza dal 1881, ossia al 1870. Non si può dire che sia vecchio!


Da ultimo il professore conchiude con un confronto che fa molto onore davvero alla sua modestia, e nel quale egli si pone come un microcosmo, e vorrebbe che sul suo caso particolare si studiasse il fenomeno collettivo generale del pensiero umano!

Ecco come lo dice: «Meditai... sopra un fatto che sta al mio, come la rotazione di un pianeta al ritmo termico impercettibile di una molecola riscaldata. Vale a dire sul fatto immenso del pensiero umano». [p. 147 modifica]Consoliamoci che questa non è che una assurda bestemmia. La evoluzione progressiva del pensiero umano è un fatto, ma essa proviene epoca per epoca dalle risultanze dell’urto di tre coerenze: quella del pensiero umano colla posizione dogmatica, ovvero del pensiero umano che afferma, quella del pensiero umano nella posizione scettica, ovvero del pensiero umano che nega, e finalmente quella del pensiero umano nella posizione critica, ossia del pensiero umano che pesa, che discute con più libertà e che sceglie.

Ma questi indirizzi perchè giovino alla evoluzione del pensiero umano d’uopo è che nello stesso filosofo siano coerenti, che vale poi quanto dire, convinti.

Le apostasie non sono nè una evoluzione, nè un progresso; sono un fenomeno patologico.

Sono come gli ondeggiamenti di un ubbriaco il quale barcolla ma non fa del cammino.

(La fine ad un prossimo numero).


P. S. - Se il Moto volesse prendere conoscenza del testo da noi citato, non ha che da scrivere a Padova, ai fratelli editori Salmin, chiedendo: Lo studio della storia della filosofia, prelezione letta da R. Ardigò.

È stata pubblicata nel 1881. È un opuscolo di 48 pagine e non vale che una lira.

Per un franco c’è da ridere!

(Gazzetta dell’Emilia, 19 luglio 1883).


Ciò che fui e ciò che sono.

(Al Moto d’Imola)

.

Lettrici gentili — se gli articoli di fondo di un giornale politico possono pure sperare di averne — fate conto che jeri sia stata l’ultima notte di carnevale e che oggi [p. 148 modifica]sia il memore giorno delle Ceneri: fate conto che sia svanita nel vostro orecchio gentile l’eco dell’ultimo walzer, e preparate il biondo capo — se l’avete biondo — a ricevere la solenne e l’austera cipria della chiesa.

Vogliamo dire in breve, che se vi piglia vaghezza di leggere questo articolo di fondo, siete avvertite e non avrete ragione di lamentarvi che una volta tanto la prosa della Gazzetta sembri copiata da una delle vostre filotee, sulle quali meditate la sera, i peccatucci della giornata.

Del resto la sacra prosa è delle migliori: figuratevi; è prete Ardigò che l’ha scritta; il tema è dei più stuzzicanti; si tratta nientemeno che del sacramento della confessione.

Voi sapete benissimo, lettrici gentili, che in materia di religione, il rispetto e la tolleranza, non sono mai troppe. Chi crede e chi non crede, bisogna proprio che sieno così longanimi e gentili fra di loro, come se fossero marito e moglie, me più stanno alla larga e contegnosamente più vanno di amore e d’accordo.

Dunque non vi aspettate che vi diciamo bene o male detta confessione. Neppure per sogno. Faremo la famosa operazione di Ponzio Pilato, e voi, che siete tanto cortesi, non vi formalizzerete, se la faremo in vostra presenza — ci laveremo le mani.

La confessione è un sacramento e bisogna rispettarlo. Il confessore, uomo che rappresenta l’intermediario fra il peccatore e Dio, è una specie di anello di congiunzione fra la creatura e il Creatore. Ascolta la confessione delle colpe, i rimorsi e i proponimenti dell’uomo che ha fallito e li riporta a Dio perchè giudichi e perdoni, e di questo giudizio e di questo perdono è interprete e risolleva, monda da peccato l’anima che poco prima maculata, si era genuflessa accanto a lui.

Quando chi si confessa sia un credente, quando chi confessa sia un sacerdote compreso della propria missione, quando e l’uno e l’altro credano che Dio è là che li ascolta, [p. 149 modifica]questo atto è solenne ed ha tutta la nobiltà mistica di un prodotto della fede.

Certo molti hanno detto che la confessione auricolare fu in mano dei preti stromento di potere e di maleficio; altri si ribella all’idea di un intermediario fra il sentimento della coscienza e la misericordia di Dio: e queste osservazioni hanno anch’esse il loro valore.

Ma quanto preme a noi di stabilire è questo, che se vi è una parte della religione, che se vi è un dogma che per essere accettato, abbia bisogno di poggiare sopra una persuasione convinta, sopra un’anima fervente, sopra una intelligenza genuflessa ai consigli della fede e chiusa alle pericolose tentazioni del libero esame e della discussione, questa parte della religione, questo dogma è la confessione auricolare.

Or bene, nel luglio del 1867, questa persuasione convinta, quest’anima fervente, questa intelligenza genuflessa ai consigli della fede e chiusa alle pericolose tentazioni del libero esame e della discussione, era quella del professore Ardigò, allora prete, oggi insegnante laico, e per giunta ateo e positivista.

Nel Giugno del 1867 un certo signor Pettoello Eugenio, il quale non era molto forte nè in grammatica, nè — a quanto pare — in istoria ecclesiastica, pubblicava nella Favilla di Mantova un articolo critico, sulla confessione, nel quale negava che essa fosse un sacramento, d’istituzione divina.

Molti dei cattolici che vanno a confessarsi almeno una volta all’anno per Pasqua, non si sarebbero curati più che tanto di quello sfogo abbastanza ingenuamente empio!

Ma Vi era un difensore battagliero della fede e della religione, un sacerdote pronto al martirio della polemica e a tutte le spine di una lotta combattuta con profani su materie sacre, e questo difensore era l’Ardigò, oggi evoluzionista, positivista, e chiamante Dio una sublime idealità che è una chimera.

Il battagliero sacerdote oppone a quattro pagine, in [p. 150 modifica]caratteri minuti, del Pettoello contro la confessione, una apologia di 48 pagine, che, sebbene scritte in carattere più grosso, non sono davvero poca cosa, nè molto facilmente digeribili.

Non una delle osservazioni del Pettoello rimane in piedi e le date e le affermazioni storiche e le citazioni sacre sono rovesciate dalla dottrina e dalla critica dell’avversario, il quale si mostra nella materia competentissimo.

Tanto è vero questo che il Pettoello, battuto, piega in ritirata e va in cerca di alleati, E l’alleato lo trova nel signor Luigi De Sanctis di Firenze, un vecchio teologo che insegnava allora da 32 anni teologia, storia ecclesiastica ed antichità cristiana!

Ma anche il vecchio teologo è tartassato a dovere dall’Ardigò, il quale è irresistibile nella foga delle sue convinzioni e della sua dottrina. Poiché allora il prof. Ardigò delle convinzioni ne aveva...!

Non vogliamo condannare le nostre lettrici ad un riassunto sia pure brevissimo dì tale polemica: ci basta di averne detto il senso e il carattere generale. Solo ci limitiamo a citare due periodi del prete polemista, interessantissimi e l’uno e l’altro, perchè il primo è un apprezzamento sul valore e sul merito della confessione ed il secondo si riferisce a quella famosa infallibilità, che nella lettera al Moto, il prete filosofo dice di non aver difeso mai!

Ecco il primo estratto:

« — La confessione è tutt’altro che una cosa orrida. Uomini rispettabilissimi appartenenti alle diverse comunioni non cattoliche di Germania, d’Inghilterra e d’altri paesi, l’hanno apprezzata, l’hanno lodata, l’hanno raccomandata, si sono adoperati per introdurla tra i propri correligionari. L’ha commendata persino Voltaire, che dice ne’ suoi trattenimenti filosofici: I nemici della chiesa romana, che si sono levati contro una istituzione così salutare (la confessione auricolare) sembrano avere tolto agli uomini il più grande dei freni che si possa mettere [p. 151 modifica]ai loro delitti; i sapienti stessi dell’antichità ne sentirono la importanza».

Tutto lo sfoggio di erudizione che l’Ardigò ha fatto nella sua polemica, è dunque rivolto alla difesa di una istituzione ch’egli stesso riconosce con sue parole tutt’altro che orrida, che è quanto dire bellissima.

Ed in un altro luogo:

«Qui non parlerò d’infallibilità nè di papi, nè di concilii; perchè è anche troppo quello che mi tocca di scrìvere della confessione; avverto solo il pubblico che per moltissimi è facile trovare o rendere ridicola questa infallibilità, perchè non sanno che cosa sia, e pensano buonamente i furbi che chi la crede sia disposto ad ammettere vero indubitabilmente tutto ciò che venga in mente ad un papa o ad un concilio di proferire».

E l’uomo che scrive queste cose, l’uomo che non trova e non rende ridicola la infallibilità dei papi perchè la capisce e non l’intende in un senso volgare, ma in un senso vero, elevato e scientifico, è l’uomo che si scandalizza se gli si dica che la infallibilità ha difesa, è l’uomo che oggi grida di averla sempre chiamata un assurdo.

Via, convien dire, che prima di scrivere quella infelicissima lettera a quel buon credenzone del Moto, il prete filosofo avesse bevuta l’acqua di Lete!

Aveva ben ragione quella vecchietta mantovana, che sentendo raccontarsi dal nipote che l’Ardigò dimostrava al Liceo la non esistenza di Dio, scrollava la testa incredula e quasi trasognata borbottando: «Eppure quel Roberto prima di divenire Roberto il diavolo è stato Roberto il santo!».

Mah...! Tempora mutantur et multi mutantur in illis!

(Gazzetta dell’Emilia, 25 luglio 1883).

[p. 152 modifica]

Una lettera del prof. Ardigò.


Coi due articoli «ciò che sono e ciò che fui» inseriti nella Gazzetta dell’Emilia, articoli che spropositano in modo volgare del Prof. Roberto Ardigò, e mi quali del Moto non si parla mai se non nella dedica, la polemica nostra colla Gazzetta stessa cambia affatto aspetto, anzi entra a dirittura in un’alta fase.

E siccome a noi preme molto di far vedere al buon pubblico che la Gazzetta dell’Emilia non ha che dell’ignoranza e della presunzione da vendere, e che asserisce le cose che non sono, colla più grande disinvoltura, così abbiamo preferito che il Professore Ardigò stesso risponda di suo pugno, e siamo onorati di poterne dare qui sotto la lettera ove è troppo bene mostrata la inesattezza e la meschinità dei due articoli che si erano tanto strombazzati.

Prima però ci permettiamo di dire due parole alla Gazzetta stessa la quale ha osato sostenere che l’Ardigò non ha mai concepito neanche una idea originale; e lo facciamo perchè il prof. Ardigò, nella sua lettera accenna solo a questo passo e per modestia non lo rileva.

Al tono reciso e cattedratico con cui sono scritte quelle parole si direbbero di una verità assiomatica; invece esse da sè sole mostrano, in chi le scrisse, la niuna conoscenza che ha dell’uomo e della cosa di cui pretende parlare.. Valga per tutta risposta questo. L’illustre Espinos nel fascicolo del gennaio 1879 della Revue Philosophique in un articolo sul nostro filosofo, nota la differenza fra il positivismo italiano e il positivismo inglese, e dice che il principale rappresentante del positivismo italiano, quegli che vi ha impressa l’anima più originale è il Prof. Roberto Ardigò.

Che ve ne pare, lettori onesti e imparziali? A ciò aggiungiamo una osservazione che fu posta già innanzi prima di noi dal professore Trezza — uno dei più forti e coraggiosi pensatori nostri — quando scrisse nel [p. 153 modifica]Diritto difendendo a viso aperto l’Ardigò contro le accuse ingenerose e ridicole de’ suoi avversari; e dal Capitan Fracassa, il quale lamentava che branchi di botoli arrabbiati venissero a turbare all’illustre filosofo la calma della speculazione. Sì, noi domandiamo se sia conveniente che un gazzettiere — con quale autorità di studj non si sa — si impanchi a parlare senza nessuna autorità scientifica di un filosofo — mostrando di non conoscere nulla e della scienza in genere e del sistema che esamina in particolare — e ciò per isfogo d’odio politico e nient’altro.

Per la dignità della scienza, per la libertà del pensiero, per il decoro d’Italia ci uniamo a quelli che hanno già protestato e protestiamo anche noi.

Ecco la lettera del Prof. Ardigò.

Mantova, 27 luglio 1882

Preg.mo Signore,

Scriverò dunque (e solo per compiacere gli amici) quattro parole di risposta alla serie di articoli della Gazzetta dell’Emilia che mi riguardano.

La Gazzetta mi aveva chiamato liberale dell'ultima ora; e, per giustificarsi davanti alle proteste del Moto, inventò il fatto storico di un mio libro in latino sulla Infallibilità del Papa, argomentando da questo che mi facesse difetto nel 1871 perfino il liberalismo dei prelati di Fulda.

Convinta di falsità, la Gazzetta è costretta di andare in cerca di altre prove; e crede di averle trovate in due mie reali pubblicazioni.

Queste pretese prove, spogliate delle ornamentazioni colle quali la Gazzetta si compiacque di ammanirle ai suoi lettori, si riducono alle tre seguenti:

l. - Un passo di un mio articolo sulla Confessione, relativo alla Infallibilità, dal quale vuole inferire, non esser vera la mia asserzione, che non ho mai sostenuto ed ammesso l’infallibilità del Papa. [p. 154 modifica]2. - Un passo di un altro mio articolo sulla Confessione, relativo alla sua utilità, dal quale vuole inferire, che, quando lo scrissi, io era un reazionario.

3. - Alcune parole della mia Prolusione del febbraio 1881, dalle quali vuole inferire, non esser vera la mia affermazione, che che ho sempre avuto e professato idee e sentimenti patriottici e liberali.

Faccio osservare da prima, che i miei tre articoli sulla Confessione (ripubblicati in seguito insieme in un opuscolo per cura ed a spese d’altri) furono stampati sopra un giornale liberale. Che questi riguardano puramente una questione di critica storica, che potrei trattare anche adesso. E che contengono delle testimonianze delle mie convinzioni liberali (p, e, a proposito della persecuzione degli eretici e dell’inquisizione) che la Gazzetta ha creduto bene di tenere nascoste ai suoi lettori.

Faccio osservare in secondo luogo, che del liberalismo risoluto, notorio, ardente e battagliero di tutta la mia vita, e fino dalla prima giovinezza, posso offrire prove positive a centinaja.

E vengo ora all’analisi delle tre pretese prove della Gazzetta.

Analasi della prova numero uno.

Il caso è bellissimo. Per dimostrare la mia fede nella Infallibilità del Papa, la Gazzetta porta precisamente quel passo medesimo, sul quale i preti retrogradi si fondavano per accusarmi di non avere quella fede.

Nel passo addotto (come pure nel capoverso più lungo che gli tien dietro nel testo) non è detto della mia opinione, ma solo in genere di quelli che credono nella Infallibilità: e ciò perchè considero la questione tra il signor Pettoello e i teologi cattolici.

Ma si notino le parole seguenti: E pensano buonamente i furbi, che chi la crede (l’infallibilità) sia disposto ad ammettere siccome vero indubitabilmente tuttociò che [p. 155 modifica]venga in mente ad un Papa... di proferire. Molto a ragione i preti retrogradi detti sopra vi lessero la esclusione della credenza per parte mia della Infallibilità del Papa propriamente detta. E come fa la Gazzetta a trovare che io ve la affermo?

E si notino ora queste altre parole; Per moltissimi è facile trovare e rendere ridicola questa infallibilità perchè non sanno che cosa sia. Queste alludono, come è evidente, ad un concetto della Infallibilità, che non può essere trovato e reso ridicolo, che la Gazzetta non seppe indovinare, e che io quindi le spiegherò.

La definizione dogmatica di un articolo della fede religiosa non può essere altro che il riconoscere che l’articolo medesimo si contiene nell’insegnamento stesso dei fondatori della chiesa. Unendosi insieme i rappresentanti di tutta la chiesa, coll’esame delle credenze apprese e dei monumenti di ogni genere relativi alle stesse in ogni luogo e in ogni tempo, possono verificare se un pronunciato sia o no conforme alla tradizione storica genuina dell’insegnamento primitivo. Una verifica fatta a questo modo si presume che non sia errata.

Ecco il concetto della infallibilità, al quale si allude nelle parole riportate. Ed ecco il concetto, che io ne aveva, quando le scriveva.

Ed ha bene ragione allora di dire che non era ridicolo; perchè non è un concetto mistico, ma naturale e scientifico; ossia il semplice canone comune della ermeneutica storica applicato al caso delle definizioni dogmatiche.

Il che mi offre occasione a fare una osservazione che qui ha una grande importanza.

L’idea della Infallibilità (non del Papa, come dice la Gazzetta, ma della Chiesa universale) io me la era, per dire così, razionalizzata. E ciò io aveva fatto poi per tutto il sistema delle credenze religiose: onde l’opinione nella generalità del clero della non buona lega della mia [p. 156 modifica]ortodossia. Ciò aveva fatto, come dico, in forza di un istinto eminentemente liberale che mi ha sempre predominato: dell’istinto cioè della razionalizzazione del mio pensiero.

E quante prove di ciò potrei addurre se volessi! Ma basti ora questa sola che soggiungo.

In un libello anonimo contro di me, pubblicato a Bologna nel 1881, evidentemente sotto l’ispirazione di una persona che visse con me nel seminario di Mantova3, rappresentandovi il polo del clericalismo, mentre io vi rappresentava il polo del liberalismo, si allude al fatto molto eloquente, che, negli esami da me sostenuti nelle discipline teologiche, il presidente della commissione esaminatrice rilevò nelle mie idee il veleno dell’eghelianismo.

Cosa ben curiosa!

Nel libello di Bologna del 1881 io sono un rivoluzionano ultra fino dal 1850; nel libello di Bologna del 1883 io sono stato un reazionario ultra fino al 1870.

Analisi della prova numero due.

Nei passo addotto dalla Gazzetta, io mi rimetto circa la confessione ad un giudizio di Voltaire. E per ciò mi chiama reazionario.

Bellissima questa! Reazionario come Voltaire, vorrà dire.

Analisi della prova numero tre.

La Gazzetta la rinviene massimamente nelle seguenti parole della mia Prolusione del 1881: Salde queste mie convinzioni e sacre, malgrado che, quali sono ora da ultimo, di formazione tardiva assai e soprattutto affatto insperata.

Nessuno che sia onesto può mettere in dubbio che io qui parli d’altro fuorchè delle convinzioni dell’ordine scientifico. Ora, vuol dire la Gazzetta che il solo fatto delle convinzioni scientifiche diverse porta di necessità [p. 157 modifica]che fossi per ciò reazionario? Ma allora dovrà dire anche che era un reazionario Enrico Tazzoli che, morendo per la patria, professava di morire colla coscienza di prete cattolico. Dovrà dire anche che era un reazionario il Re Vittorio Emanuele, che andava alla Messa e si confessava.


Finisco.

Nel penultimo degli articoli della Gazzetta, lo scrittore mostra che gli preme che il lettore ammetta due cose: la prima, la teoria della evoluzione prodotta da un certo urto di tre coerenze; la seconda, che io non ho mai concepito neanche una idea originale. E ciò, per associazione di idee, mi ha richiamato alla memoria una persona di mia conoscenza(4)

Mi apporrei io?

Sarebbe grave; perchè allora il movente delle accuse non sarebbe più il santo amore delle idee liberali, ma qualche cosa di assai più basso.

Prof. Roberto Ardigò

(Dal giornale Il Moto del 30 luglio 1883).


Mettiamo il polverino...


Pare che sia tempo di gettare un po’ di polverino sulla polemica motrice che dura ormai da troppo tempo, visto e considerato specialmente la monotonia impotente dei nostri avversari, che non sanno che ripetere le stesse cose, anche quando sono state luminosamente provate insussistenti. Il Moto conclude che egli lascia ai lettori ed ai concittadini suoi ampia libertà di giudizio.

Crediamo proprio che i lettori e i concittadini del [p. 158 modifica]Moto questa libertà se la saranno presa, senza la concessione generosa dell’organetto bimensile socialista.

E di questa libertà di giudizio i lettori e i concittadini si saranno serviti certo a quest’ora e saggiamente. Del resto i fatti sono fatti e le tre famose patenti il Moto se le è date da sè; noi non abbiamo avuto alcun merito a metterle in rilievo...

Il giornale imolese finisce. «Noi, per parte nostra, lo diciamo una volta per tutte, di questa polemica ne abbiamo a bastanza».

E noi siamo dispostissimi a crederlo; si ha sempre a bastanza di una battaglia nella quale si perde. Ed ora punto e da capo.

Il prof. Ardigò, poveretto, scrive quattro righe di risposta ai nostri articoli, e le scrive non per lui, ma per cedere a un desiderio degli amici.

Riassumiamo questa sua difesa.

Il prof. Ardigò ha scritto l’apologia della confessione solo come esercizio di critica storica e con criterio di scienziato.

Avevamo più alta idea dell’ingegno e dell’accortezza del professore mantovano. La affermazione è così ingenua... che è più degna di una vergine che di un ex canonico.

Domani, noi che siamo monarchici, scriveremo un libro in favore della idea e della forma repubblicana e poi vi verremo a dire: Ma non abbiamo simpatie per la repubblica; nè ciò implica affatto la nostra adesione all’argomento, nè impegna la nostra coscienza.

Ma poi il famoso passo che la Gazzetta ha citato e nel quale sta il giudizio di Voltaire è un apprezzamento bell’e buono che il prof. Ardigò troverebbe ora assai comodo dimenticare.

Del resto nessuna maraviglia che l’Ardigò citasse Voltaire. È una caratteristica degli scrittori reazionari quella di cercare col lumicino qualche frase o giudizio degli [p. 159 modifica]scrittori razionalisti per cacciarli come un puntello ai paralogismi del loro dogmatismo!

Però non giureremmo che prima di scrivere quell’empio nome, non si fosse fatto il segno della croce.

Quanto al periodo nel quale l’Ardigò accenna all’infallibilità dei concili e del papa, non vale a distruggerne l’importanza il dire che al disopra di un concetto ridicolo, vi è un concetto razionale e scientifico, ossia l’applicazione dell’ermeneutica storica applicata alle definizioni dogmatiche.

Chi scrive queste righe discorrendo del dogma della infallibilità con un prelato eruditissimo ed oggi in posizione eminente, si lasciava andare ad una carica a fondo contro la infallibilità, quando venne da esso interrotto e gli fu detto: Badate a non avere della infallibilità il concetto che ha il volgo o che vuole avere chi intende a ogni costo combatterla.

Ed esso pure espose il concetto che la proclamazione della infallibilità del papa non era che una affermazione della sua competenza ed autorità in materia di dogmi.

E questo concetto è proprio di tutti i più ortodossi dogmatici, coi quali il buon Ardigò si trovava allora, pare, in eccellente compagnia.

Finalmente il bravo professore afferma che i dolori del parto, confessati nella sua famosa prolusione, li ha avuti soltanto per la gestazione di nuovi ideali filosofici, ma i suoi ideali politici furono sempre liberali e generosi! Ed è per questo che Ardigò ortodosso, teista, reazionario, indossava la veste talare del prete; ed oggi Ardigò liberale, ateo, e positivista ha coperto la chierica col cappello a cilindro. Pare che le due evoluzioni camminassero di conserva.

Se realmente questa lettera gli è stata consigliata dagli amici, essi gli hanno reso un cattivo servigio.

È però grazioso che l’Ardigò ci dica come una persona che visse con lui nel Seminario di Mantova vi rappresentava il polo del clericalismo mentre lui, il difensore della [p. 160 modifica]confessione auricolare, vi rappresentava il polo del liberalismo!

Stupenda cosa in vero! Se Ardigò rappresentava il liberalismo figurarsi che reazionario doveva essere il rappresentante del partito clericale! Un Torquemada addirittura e poi... e poi!

La lettera dell’illustre professore si chiude con un periodo che è una offesa atroce alle idee liberali, ch’egli dice di avere sempre (!) avute care. L’Ardigò che ha la malattia del Moto, vuol fantasticare l’autore degli articoli che lo riguardano e discute sul movente che può averli determinati.

Nessun movente all’infuori dell’amore sempre coerente e costante delle idee liberali; nessuna causa all’infuori del rispetto ai veri e grandi caratteri che oggi si vorrebbero offuscare coll’orpello di vecchi idoli che dovrebbero aver paura di mostrare al sole l’ossido rugginoso delle loro fibre.

Ma sentite come parla l’Ardigò delle idee liberali: «Il movente delle accuse non sarebbe più il santo amore delle idee liberali ma qualche cosa di assai più basso».

Facciamo la costruzione di questo periodo e completiamolo nella sua forma elittica. Non il santo amore delle idee liberali, ma qualche cosa di molto più basso del santo amore delle idee liberali sarebbe il movente delle accuse stesse.

Dunque il santo amore delle idee liberali è qualche cosa di basso. In questa frase si rispecchia tutto l’Ardigò di un tempo.

Oh la voce del cuore!

E qui scriviamo: fine.

(Gazzetta dell’Emilia del 1 agosto 1883).


Fine.


La Gazzetta dell'Emilia, dicendo di mettere il polverino sulla sua polemica col Moto, dichiara beatamente a se stessa di averla vinta. [p. 161 modifica]Brava la Nonna!

Se non se lo dichiarava da sè chi avrebbe mai sognato di darglielo a bere?

Balordaggini.


Il calunniatore, così ben castigato, della Gazzetta dell’Emilia, si trova di fronte a nuove smentite senza scampo. Che fare? Burlarsi ancora una volta della dabbenaggine de’ suoi lettori. E, tanto per non fare la figura di tacere, in mancanza di ragioni, dir loro delle balordaggini, studiate nell’intento di ingannare, come quelle della amena storia del finto sordo.

E quante ne ha dette in poche righe! Ne accenno solo alcune così per saggio e per ispasso.

balordaggine prima.


«Domani, noi che siamo monarchici, scriveremo un libro a favore della idea e della forma repubblicana e poi ivi verremo a dire: Ma non abbiamo simpatie per la repubblica, nè ciò implica affatto la nostra adesione all’argomento, nè impegna la nostra coscienza».

E ciò a proposito della mia affermazione che avevo sostenuto un fatto proprio secondo la mia convinzione storica.

balordaggine seconda.


«Ma poi il famoso passo che la Gazzetta ha citato e nel quale sta il giudizio di Voltaire è un apprezzamento bell’e buono che il prof. Ardigò troverebbe ora assai comodo dimenticare»

E ciò mentre io offro l’opuscolo che lo contiene a chiunque lo desidera e lo faccio tenere alla vista del pubblico nelle vetrine dei librai. [p. 162 modifica]

balordaggine terza.


«Però non giureremmo che prima di scrivere quell'empio nome non si fosse fatto il segno della croce».

E ciò mentre ne verrebbe di conseguenza che avrei dovuto farmi il segno della croce ogni volta che mi fossi incontrato in mio padre, che era un Volteriano e figlio di Volteriano.

balordaggine quarta.


«Un prelato eruditissimo,.. pure espose il concetto che la proclamazione della infallibilità del papa non era che una affermazione della sua competenza in materia di dogmi».

E ciò a proposito della mia affermazione che non ammetteva precisamente questa autorità e competenza.

balordaggine quinta.


«Il bravo professore afferma che i dolori del parto, confessati nella sua famosa prolusione, li ha avuti soltanto par la gestazione di nuovi ideali filosofici».

E ciò a proposito che parlo di idee come quelle di Enrico Tazzoli e del re Vittorio Emanuele.

balordaggine sesta.


«Ma sentite come parla delle idee liberali: Il movente delle accuse non sarebbe più il santo amore delle idee liberali ma qualche cosa di assai più basso. — Dunque il santo amore delle idee liberali è qualche cosa di basso».

E ciò a proposito che ho rilevato nel libello due indizi di una certa persona, che si nasconderebbe sotto il velo [p. 163 modifica]dell’anonimo, per dare sfogo impunemente a un certo sentimento, che non gli dà pace.

Eh! Di quante cose è capace chi è capace di calunniare!

Si acquieti, signor calunniatore. Il mio passato è senza macchia. Più saranno le accuse e più sarà in ultimo lo scorno dell’accusatore; che metterò, come merita, alla berlina, stampando in seguito in un opuscolo tutti i suoi articoli colle mie risposte.

Del mio liberalismo risoluto, notorio, ardente e battagliero di tutta la vita fino dalla fanciullezza posso offrire le prove a centinaia, come si vedrà in un libro che pubblicherò a suo tempo5. Le prove a centinaja, e quante non ne possono offrire certi apostoli delle idee liberali per fini secondari. E posso sfidare tutti i calunniatori del mondo a recare in contrario una prova sola che sia vera.

Si acquieti, signor calunniatore. Il mio liberalismo è stato assai più coerente che le di Lei evoluzioni (perenni nel passato e nel presente) dell’urto delle tre coerenze.

Prof. Roberto Ardigò

(Dal giornale il Moto del 9 agosto 1883).

Note

  1. Polemica col giornale Gazzetta dell’Emilia.
  2. Siccome non asseriamo soltanto, ma abbiamo le prove di quanto diciamo, ecco la lettera integralmente riportata dalla Gazzetta di Mantova, venerdì 2 settembre 1870, n. 210, anno VII: All’onorevole sig. Direttore della «Gazzetta di Mantova» Nella cronaca cittadina e provinciale del numero di ieri (209) della pregiatissima sua Gazzetta si leggono le seguenti parole: «Se non siamo male informati, il nostro clero in una adunanza espressamente tenutasi, avrebbe deciso che, venendo da Roma l’ordine di pubblicare il nuovo dogma dell’infallibilità papale, prima di ottemperarvi, attenderebbe i voleri e i consigli dell’autorità politica, e procederebbe con essa di pieno accordo. L’ assennatezza e il patriottismo di tale decisione non abbisogna di illustrazioni: il nostro clero si mantiene fedele alle sue tradizioni». Quando, dove, da chi si è fatta l’adunanza e per mandato di chi? Assennata quella decisione? A me invece sembra ridicola, per non dire altro, e solo propria, se fu fatta da vero, di quei preti che hanno l’uso comodo di far da liberali in pubblico e da clericali in privato. Io domando: I preti che hanno fatto questa decisione, ci credono nell’infallibilità o non ci credono? Se ci credono, non è assennatezza, ma viltà e impostura far dipendere la loro adesione al beneplacito del governo. Se invece non ci credono, perchè quella decisione equivoca, e non dichiararlo a dirittura? Io pertanto, non solo disdico ogni solidarietà coll’adunanza sopradetta, ma colgo volentieri l’occasione per dichiarare, che non accetto il dogma dell’infallibilità del papa, e che lo considero come una vera stoltezza.
  3. Forse il Parocchi?
  4. Credo che l’A. alluda al prof. Siciliani.
  5. Ardigò non scrisse questo libro, ma in verità non ce n’era bisogno