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148 Scritti vari

sia il memore giorno delle Ceneri: fate conto che sia svanita nel vostro orecchio gentile l’eco dell’ultimo walzer, e preparate il biondo capo — se l’avete biondo — a ricevere la solenne e l’austera cipria della chiesa.

Vogliamo dire in breve, che se vi piglia vaghezza di leggere questo articolo di fondo, siete avvertite e non avrete ragione di lamentarvi che una volta tanto la prosa della Gazzetta sembri copiata da una delle vostre filotee, sulle quali meditate la sera, i peccatucci della giornata.

Del resto la sacra prosa è delle migliori: figuratevi; è prete Ardigò che l’ha scritta; il tema è dei più stuzzicanti; si tratta nientemeno che del sacramento della confessione.

Voi sapete benissimo, lettrici gentili, che in materia di religione, il rispetto e la tolleranza, non sono mai troppe. Chi crede e chi non crede, bisogna proprio che sieno così longanimi e gentili fra di loro, come se fossero marito e moglie, me più stanno alla larga e contegnosamente più vanno di amore e d’accordo.

Dunque non vi aspettate che vi diciamo bene o male detta confessione. Neppure per sogno. Faremo la famosa operazione di Ponzio Pilato, e voi, che siete tanto cortesi, non vi formalizzerete, se la faremo in vostra presenza — ci laveremo le mani.

La confessione è un sacramento e bisogna rispettarlo. Il confessore, uomo che rappresenta l’intermediario fra il peccatore e Dio, è una specie di anello di congiunzione fra la creatura e il Creatore. Ascolta la confessione delle colpe, i rimorsi e i proponimenti dell’uomo che ha fallito e li riporta a Dio perchè giudichi e perdoni, e di questo giudizio e di questo perdono è interprete e risolleva, monda da peccato l’anima che poco prima maculata, si era genuflessa accanto a lui.

Quando chi si confessa sia un credente, quando chi confessa sia un sacerdote compreso della propria missione, quando e l’uno e l’altro credano che Dio è là che li ascolta,