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Moto questa libertà se la saranno presa, senza la concessione generosa dell’organetto bimensile socialista.

E di questa libertà di giudizio i lettori e i concittadini si saranno serviti certo a quest’ora e saggiamente. Del resto i fatti sono fatti e le tre famose patenti il Moto se le è date da sè; noi non abbiamo avuto alcun merito a metterle in rilievo...

Il giornale imolese finisce. «Noi, per parte nostra, lo diciamo una volta per tutte, di questa polemica ne abbiamo a bastanza».

E noi siamo dispostissimi a crederlo; si ha sempre a bastanza di una battaglia nella quale si perde. Ed ora punto e da capo.

Il prof. Ardigò, poveretto, scrive quattro righe di risposta ai nostri articoli, e le scrive non per lui, ma per cedere a un desiderio degli amici.

Riassumiamo questa sua difesa.

Il prof. Ardigò ha scritto l’apologia della confessione solo come esercizio di critica storica e con criterio di scienziato.

Avevamo più alta idea dell’ingegno e dell’accortezza del professore mantovano. La affermazione è così ingenua... che è più degna di una vergine che di un ex canonico.

Domani, noi che siamo monarchici, scriveremo un libro in favore della idea e della forma repubblicana e poi vi verremo a dire: Ma non abbiamo simpatie per la repubblica; nè ciò implica affatto la nostra adesione all’argomento, nè impegna la nostra coscienza.

Ma poi il famoso passo che la Gazzetta ha citato e nel quale sta il giudizio di Voltaire è un apprezzamento bell’e buono che il prof. Ardigò troverebbe ora assai comodo dimenticare.

Del resto nessuna maraviglia che l’Ardigò citasse Voltaire. È una caratteristica degli scrittori reazionari quella di cercare col lumicino qualche frase o giudizio degli