Scientia - Vol. IX/I numeri e l'infinito
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I NUMERI E L’INFINITO
Il presente articolo fa parte di un più ampio studio critico «sui numeri reali» che vedrà presto la luce in un volume consacrato alle Questioni riguardanti le Matematiche elementari, rifacimento e completamento di una più antica pubblicazione. 1
Questo articolo tratta del significato empirico e psicologico dei numeri naturali, e si eleva da siffatta critica alle generalizzazioni concernenti i numeri infiniti di Cantor, nei due aspetti diversi ed irriducibili che essi presentano.
L’importanza filosofica delle questioni che si riattaccano a tale argomento, m’induce a sperare che esso possa interessare i lettori della Rivista.
§ 1 - Il significato empirico dei numeri.
1. Introduzione. - Ogni uomo ragionevole possiede il concetto dei numeri naturali 1, 2, 3, 4... La spiegazione più immediata che possiamo darne consiste nel richiamare le esperienze elementari che sottostanno alla sua genesi nella nostra mente; è questa appunto la via che si tiene nell’insegnamento rivolto a bambini, i quali non possiedono ancora la nozione astratta del numero.
Le esperienze da cui nasce il concetto del numero sono relative a gruppi o classi di oggetti (elementi) la cui natura è affatto arbitraria; il solo requisito è che si tratti di oggetti individuabili, cioè che non variino o sfumino o si confondano fra loro durante l’esperienza. Ai bambini si offrono a tal uopo vari esempi: dita, noci, mele, sassi, lapis, uomini ecc.
Vi sono d’altronde due serie di esperienze elementari che corrispondono all’uso diverso dei numeri cardinali e dei numeri ordinali.
2. Numeri cardinali. ― Per definire i numeri cardinali si parte dalle esperienze seguenti:
Si abbiano due classi di oggetti dati (intendo dati materialmente davanti agli occhi):
Cerchiamo di associare ad ogni elemento della prima classe un elemento della seconda, riunendo materialmente gli elementi associati o ponendo un contrassegno che valga a riunirli idealmente nella nostra mente; se l’associazione suddetta si può porre in modo che viceversa ogni oggetto della seconda classe risulti così associato ad uno della prima senza eccezione, si ha fra gli elementi delle due classi (o, come si dice anche, fra le due classi) una corrispondenza biunivoca; diremo allora che le due classi sono equivalenti e scriveremo
.
L’equivalenza fra classi di oggetti soddisfa alle tre proprietà fondamentali che seguono:
1) Proprietà riflessiva:
Basta associare ad ogni elemento di se stesso.
2) Proprietà simmetrica:
se | ||
. |
Infatti l’associazione di due elementi , , è un’operazione mentale simmetrica, cioè indipendente dall’ordine in cui si considerano i due elementi associati.
3) Proprietà transitiva:
se | ||
e | , | |
anche | . |
Intatti se un elemento si pensa associato ad uno , e questo ad uno , restano associati nel pensiero e . (La corrispondenza così ottenuta fra e dicesi prodotto di quelle poste fra e e fra e ).
A queste proprietà si aggiunge la seguente:
4) Se una classe contiene tutti gli elementi di e qualche altro elemento, le due classi e non sono equivalenti.
Si abbiano le classi
dove si suppone per semplicità che la classe contenga un solo elemento, , oltre gli .
Se fosse
si avrebbe fra le due classi una corrispondenza biunivoca. In questa ad corrisponderebbe un certo elemento di . Togliamo ed dalle due classi rispettivamente; avremo:
Ora fra queste due classi intercede una corrispondenza, in cui ad corrisponde un certo elemento ; tolti , rispettivamente dalle due classi, rimangono classi equivalenti e così via di seguito. Ma seguitando a togliere successivamente gli oggetti di una classe, materialmente dati, la classe si esaurisce; si arriva pertanto a ridursi al caso di una classe composta d’un solo oggetto ; e si trova che questa dovrebbe essere equivalente ad una classe che contiene anche un altro elemento:
Questa conclusione è evidentemente assurda perchè se si fa corrispondere l’elemento della prima classe all’uno o all’altro elemento della seconda, rimane sempre in questa seconda classe un elemento a cui non viene associato alcun elemento della prima.
Il ragionamento riesce ugualmente (a fortiori) se la classe contiene più di un elemento oltre gli .
La proprietà 4) si può enunciare in altro modo, ponendo la seguente:
Def. - Se e sono due classi e la classe è equivalente ad una classe contenuta in e non coincidente con , cioè ad una parte di , la classe si dice prevalente ad , e si scrive:
Allora la proprietà 4) si può enunciare dicendo:
4’) Se di due classi l’una è prevalente all’altra, le due classi non sono equivalenti.
O più brevemente (tenendo presente la prop. 3): Una classe non può essere equivalente ad una sua parte.
Confrontiamo ora due classi qualunque di oggetti materialmente dati. Si ha:
5) Date due classi , o esse sono equivalenti o una di esse è prevalente all’altra (cioè questa è equivalente ad una parte di quella).
Tale proprietà si dimostra in base allo stesso principio sperimentale adoperato per stabilire la 4). Togliamo da ciascuna delle due classi un elemento, p. es:
e associamo idealmente questi elementi; la questione è ridotta al confronto delle classi residue. Ma così operando ripetutamente si giunge ad esaurire una delle due classi, p. es. , mentre l’altra può essere contemporaneamente esaurita o non ancora esaurita. Risulta quindi che oppure
Infine notiamo che:
6) Se di tre classi
anche
se
anche
Questa proprietà risulta immediatamente dalla definizione della prevalenza.
7) Cor. - Se di due classi e :
non può essere
Invero se cosi fosse risulterebbe:
contro la prop. 4); (cfr. la 1).
Oss. In altri termini la relazione di prevalenza fra classi soddisfa alla proprietà transitiva (6) ma non alle proprietà simmetrica e riflessiva.
Le precedenti proposizioni conducono a distribuire le classi о gruppi d’oggetti in classi di classi per modo che:
a) Insieme ad una classe, appartengono alla medesima classe di classi le sue equivalenti;
b) Insieme alla classe С non può trorarsi nella medesima classe di classi una parte di C.
In base a questa distribuzione si può costruire un concetto astratto, che vale come contrassegno delle classi (equivalenti) appartenenti ad una medesima classe di classi, cioè un ente che corrisponde ad una qualsiasi delle classi suddette pensata come sostituibile (uguale) ad un’altra qualunque di esse. Questo concetto è il numero (cardinale) degli oggetti d’una classe. L’equivalenza delle classi si trasforma, quindi nell’uguaglianza:
numero elementi di = numero elementi di ;
il significato di questa uguaglianza consiste appunto nell’indicare l’astrazione anzidetta, il cui resultato è l’identità del concetto astratto = numero cardinale corrispondente alla classe di classi .
3. Astrazione e uguaglianza. - La definizione data del numero si basa sopra una operazione logica: l’astrazione, di cui conviene chiarire il significato.
Data una classe di oggetti la mente può sempre costruire il concetto astratto dall’elemento della classe: per es. dalla classe (Tizio, Caio....) si ricava il concetto astratto di uomo, da una classe di rette parallele si ricava il concetto di direzione ecc. La costruzione del concetto astratto dell’elemento di una classe, ha questo significato psicologico: è la finzione di un quid comune agli elementi della classe, ciascuno dei quali viene immaginato per così dire come somma del quid comune e di un quid diverso che ne caratterizza l’individualità. Così ad es. si concepisce un ente astratto «l’uomo» di cui Tizio, Caio ecc. si ottengono coli’aggiunta di determinati caratteri, una direzione (astrattamente determinata) comune a tutte le rette parallele ecc.
La finzione anzidetta ci spiega anche il significato dell’uguaglianza. L’uguaglianza di due oggetti non ha di per sè alcun significato se non per riguardo ad una classe in cui essi si trovino riuniti. L’uguaglianza di due oggetti è sempre relativa al concetto astratto di una classe in cui essi vengono considerati; p. es. segmenti uguali sono quelli che appartengono ad un medesimo sistema di segmenti generato dalle possibili posizioni di un segmento (rigido) che si muove liberamente nello spazio. Il significato psicologico dell’uguaglianza è la finzione di ritrovare lo stesso quid identico negli elementi della classe; in altre parole ogni eguaglianza si concepisce come «somma di un’identità e di una diversità».2
All’uguaglianza spettano le proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva che esprimono qui le proprietà fondamentali del processo logico d’associazione e astrazione. Viceversa ogni relazione fra oggetti qualsiansi, che goda delle tre proprietà suddette, può considerarsi come un’uguaglianza, perchè essa porge un modo determinato di classificazione degli oggetti dati, ove si pongono in una medesima classe gli oggetti legati dalla relazione indicata.
Si aggiungano le osservazioni seguenti:
In luogo di considerare l’uguaglianza come una relazione tra due oggetti , di una classe, rispetto all’astratto, si può considerare l’astratto funzione di come uguale all’astratto funzione di ; ad esempio invece di dire che due segmenti sono uguali, si può dire che la lunghezza di un segmento è uguale alla lunghezza dell’altro. Questo giudizio riveste allora la forma, di una identità, ma il suo valore non tautologico si desume dalle considerazioni che seguono.
Ogni concetto astratto corrisponde ad una classe di oggetti. Ciò che i logici designano come estensione del concetto è l’insieme degli oggetti che compongono la classe suddetta; così due concetti aventi la medesima estensione contengono gli stessi oggetti. Accanto all’estensione i logici considerano la comprensione del concetto, cioè l’insieme delle proprietà (per così dire esterne) che caratterizzano la classe di oggetti corrispondente. Ora due serie diverse di proprietà possono definire la medesima classe di oggetti; così per esempio la classe dei triangoli equilateri coincide con quella dei triangoli equiangoli.
Affermare l’uguaglianza di due concetti astratti significa in generale riconoscere che due classi definite mediante proprietà diverse, cioè differenti dal punto di vista della comprensione, sono identiche dal punto di vista dell’estensione, ossia, contengono gli stessi elementi.
Questa analisi del significato dell’uguaglianza appartiene ad A. Padoa.
Ritornando al caso in cui si considera l’astratto di una classe come funzione di un suo elemento, si vede qui un modo particolare di definire comprensivamente quel concetto astratto, che rimane sempre identico, dal punto di vista dell’estensione, quando si muta l’elemento scelto nella classe considerata.
4. Numeri ordinali. - Per definire i numeri ordinali si parte dalle esperienze che seguono:
Una classe di oggetti (materialmente) dati si può ordinare (mediante un’opportuna disposizione nello spazio, o mediante contrassegni o semplicemente nel pensiero), pensando un elemento di essa come primo e gli altri elementi, ad eccezione di uno (l’ultimo) come dati successivamente uno dopo l’altro; si ottiene così una classe ordinata, o serie nella quale:
1) dati due elementi qualunque uno di essi succede all’altro, e questo precede quello;
2) se l’elemento succede a e succede ad , anche succede ad ;
3) ogni elemento, , ad eccezione dell’ultimo, ha un successivo immediato, , di guisa che non vi è alcun elemento che succeda ad e preceda ;
4) ogni elemento, ad eccezione del primo, ha un precedente immediato, di cui è il successivo.
Ciò posto si considerino due serie o classi ordinate:
Cerchiamo di stabilire fra di esse una corrispondenza biunivoca ordinata, per modo che:
1) al primo elemento, , di corrisponda il primo, , di ;
2) se due elementi , si corrispondono, si corrispondano anche i loro successivi.
In forza di queste condizioni ad successivo di in , dovrà corrispondere , successivo di in e quindi ad , ecc. Così procedendo si otterrà effettivamente una corrispondenza ordinata (completa) fra e se le due classi sono equivalenti; altrimenti, se p. es. , si porrà una corrispondenza ordinata fra ed una parte di , restando senza corrispondenti gli elementi che succedono in al corrispondente dell’ultimo di ; si può anche dire che si ha in questo caso una corrispondenza ordinata parziale o similare fra le due serie.
Si considerino ora tre serie qualunque
ed, essendo un elemento qualsiasi di , si supponga soltanto che ciascuna delle classi considerate, sia prevalente alla parte
In tale ipotesi:
si può porre una determinata corrispondenza ordinata (completa o parziale) fra le serie e , ed in questa all’elemento , corrisponde un determinato elemento , di ;
si può porre analogamente una determinata corrispondenza ordinata (completa o parziale) fra le serie e , ed in questa ad corrisponde un determinato elemento .
Ebbene: se si confrontano le serie ponendo tra di esse la corrispondenza ordinata (completa o parziale), in questa all’elemento corrisponde l’elemento .
In forza di questa proprietà si può porre la seguente
Def. - Elementi di due serie che si corrispondono in una corrispondenza ordinata si dicono di uguale posto.
Questa relazione gode delle proprietà di un’uguaglianza (riflessica, simmetrica e transitiva).
Diventa quindi possibile classificare gli elementi di quante si vogliano serie ponendo in una medesima classe tutti gli elementi di ugual posto (e arrestando la classificazione alla serie minima). Nel quadro seguente si vedono appunto costruite le classi i cui elementi, disposti sopra una verticale, appartengono alla serie ed occupano in esse ugual posto:
|
Il concetto astratto dell’elemento della classe si dice numero d’ordine dell’elemento nella serie , ed ugualmente numero d’ordine di in ecc.
Questo numero (ordinale) è il segno del posto di , e di tutti gli elementi di ugual posto nelle serie considerate.
5.- Confronto fra numeri cardinali e numeri ordinali.
Ad ogni numero ordinale , connotante il posto di nella serie
corrisponde un numero cardinale, cioè quello che designa il numero degli oggetti della classe
Viceversa si riprenda la distribuzione delle classi in classi di classi equivalenti, stabilita al n. 2. In forza delle proprietà quelle classi di classi si trovano disposte in uma serie ordinata come indica il seguente quadro:
|
Pertanto al numero cardinale che designa il numero degli oggetti di ciascuna classe di , corrisponde un numero ordinale, cioè quello che connota il posto di nella serie
È chiaro che la corrispondenza fra numeri ordinali e cardinali e quella fra cardinali e ordinali testè definite, sono l’una inversa dell’altra.
Ora immaginiamo di associare ad ogni numero cardinale il suo corrispondente ordinale : costruiamo così le classi:
Dalla classe possiamo ottenere per astrazione il concetto del numero astratto , simbolo comune di un nunero cardinale e del corrispondente ordinale.
Nota. - Nell’uso comune s’impara difatti a operare sopra numeri astratti ciascuno dei quali riceve poi il significato di numero cardinale, e concretamente di numero degli oggetti di una certa classe, oppure di numero ordinale, e precisamente di numero d’ordine di un elemento di una certa serie.
Dal doppio uso dei numeri come cardinali e ordinali è nata alla fine del secolo scorso la questione largamente dibattuta nel pubblico «se il secolo ventesimo cominci col 1 gennato 1900 o col 1 gennaio 1901».
La questione consiste in questo: il numero (1900 o 1901) che si scrive nella data, riferendosi alla comune cronologia dell’èra cristiana, designa il numero cardinale degli anni compiuti a partire dalla (presunta) nascita di G. C., oppure il numero d’ordine dell’anno in corso per riguardo ad una serie di anni che ha la medesima origine?
Nel primo caso il principio del secolo ventesimo sarebbe il 1.° gennaio 1900, nel secondo il 1.° gennaio 1901.
Ora, l’Aritmetica, о qualsiasi considerazione a priori, è incapace di sciogliere una questione di questo genere: tanto varrebbe pretendere di sciogliere a priori la questione se chi parla di un «piede» intenda riferirsi al sistema metrico inglese о a quello di un altro paese in cui si usi una misura diversa collo stesso nome.
La rispostasi deve domandare alla storia. La quale c’insegna che quando (con Dionigi il Piccolo) s’introdusse l’uso di contare gli anni dalla nascita di G. C., il numero che figura nella data fu impiegato come numero ordinale. Perciò il secolo ventesimo è cominciato col 1.° gennaio 1901.
Per curiosità ricorderemo che una questione analoga a quella testò indicata sorse anche alla line del secolo decimoottavo, e si trova una nota dell’astronomo Arago che ne definisce chiaramente i termini, nel senso che si è indicato qui sopra.
§ 2 - La serie infinita dei numeri.
6. Empirismo e idealismo. — L’analisi che abbiamo svolto ha messo in evidenza due serie di esperienze sopra le classi di oggetti, i loro diversi aggruppamenti, corrispondenze, ordini, le quali conducono al concetto astratto di numero (cardinale e ordinale). Da questo punto di vista le proprietà fondamentali dei numeri appariscono come proposizioni sperimentali. Ma è il caso di domandarci:
1.° Fino a che punto о in che senso l’esperienza è sufficiente a giustificare tali proposizioni.
2.° Fino a che punto l’esperienza è necessaria per stabilire il concetto del numero e le proprietà ad esso inerenti.
La prima domanda si riferisce all’osservazione seguente:
Operando sopra oggetti e gruppi di oggetti materialmente dati non si arriva in fatto che a numeri non troppo grandi. Un uomo, occupato a contare 10 ore il giorno per 50 anni della sua vita, arriverebbe press’a poco ad 1 miliardo. Le esperienze effettive che dovrebbero verificare le proprietà di numeri così grandi richiederebbero un tempo assai maggiore, donde segue un’immensa difficoltà pratica per ottenere siffatte verifiche, quando non si voglia ricorrere all’opera simultanea di varî uomini.
Ma una simile impresa, volta alla diretta verificazione delle proprietà aritmetiche dei grandi numeri, non è stata mai tentata — che si sappia — dalla società umana; e nondimeno l’uso dei numeri superiori ad 1 miliardo ricorre di frequente anche in faccende pratiche, p. es. nel bilancio dei grandi Stati moderni, e l’applicazione delle proprietà fondamentali dei numeri non solleva alcun dubbio.
Bisogna dunque ammettere che la conoscenza di cui si tratta non deriva dalla pura esperienza bruta del conteggio su classi di oggetti.
Ed invero se l’intelligenza di certi animali o dei selvaggi può essere misurata dal numero massimo cui essa può giungere, per l’uomo civile non esiste alcun massimo nella serie dei numeri. La nostra mente supplisce alle esperienze effettuate con esperienze immaginate, la cui possibilità di ripetizione indefinita ci porge la costruzione ideale di una serie infinita di numeri.
Dunque il fondamento dell’Aritmetica si trova non soltanto nelle esperienze elementari sulle classi di oggetti materialmente dati, ma anche nella facoltà della mente di immaginare esperienze più estese e predeterminarne il resultato mercè la combinazione e ripetizione di processi già esperiti.
Da questa osservazione si passa naturalmente a discutere la seconda domanda enunciata di sopra:
Fino a che punto è necessario operare sopra oggetti e gruppi di oggetti materialmente dati? Si può fondare l’Aritmetica senza ricorrere al mondo esterno, col semplice esame riflesso del nostro pensiero?
È chiaro anzitutto che la natura degli oggetti su cui si esperimenta è all’atto indifferente al resultato delle esperienze elementari che sottostanno al concetto di numero; è anche indifferente che si ricorra ad esperienze visive, auditive o tattili ecc. Non vi è quindi difficoltà ad ammettere che si possa anche ricorrere semplicemente ad esperienze mentali. Un uomo, dotato di sufficiente forza di astrazione, il quale sia cieco-sordo-muto e paralizzato, può pensare degli oggetti anche senza immaginarli in modo preciso, e operare con associazioni e astrazioni puramente ideali sopra classi di oggetti pensati. Queste esperienze mentali sostituiscono le esperienze elementari su oggetti concreti, analizzate innanzi.
A questo punto di vista si riattacca la tesi idealistica che: le esperienze elementari conducenti alla definizione dei numeri non vertono sulle proprietà obiettive degli oggetti o delle classi d’oggetti considerati, ma esprimono piuttosto le leggi operative del nostro stesso pensiero, dell’associazione e dell’astrazione logica. E così, in tale aspetto, le proposizioni fondamentali sui numeri si palesano non più come enunciati di fatto (a posteriori) ma come verità necessarie (a priori) che rispondono alla struttura e alla funzione della mente.
Nella filosofia moderna la tesi idealistica è espressa da Kant che riconosce come pertinente allo spirito umano quello proprietà per cui qualcosa di reale viene pensato come un «oggetto». Questa veduta è stata poi svolta e determinata nel senso del subiettivismo, mercè un’intuizione sintetica della realtà sensibile che, ritornando al pensiero di Eraclito, figura la realtà stessa come un continuo fluire, un divenire e un confondersi delle cose sensibili, dove non è possibile alcuna rigida distinzione di oggetti (Hegel); allora la determinazione di un oggetto che il pensiero distacca dal reale e assume come alcunchè di fìsso, appaio una convenzione o finzione arbitraria dell’intelletto, e le leggi secondo cui si combinano gli oggetti (in particolare quindi le relazioni numeriche) risultano a fortiori subiettive ed inerenti alla funzione intellettuale.
In contrapposto alla tesi idealistica suddetta, sta la tesi empirica che, tra i filosofi moderni, ha trovato il suo assertore in Stuart Mill; questi mantiene che le relazioni numeriche esprimono fatti poichè corrispondono ad aspettative determinate: l’Aritmetica non è un’opinione, perchè i cassieri non possono disporre ad arbitrio mercè operazioni mentali del contenuto della loro cassa, ed invece il controllo di cassa dà luogo ad una previsione, fondata sulle regole di calcolo, che riesce ad ogni momento verificata.
II contrasto fra le due tesi empirica ed idealistica conduce infine ad una veduta critica che si può formulare come segue:3 I principî della teoria delle classi, i numeri e le loro relazioni, corrispondono ugualmente alle leggi logiche (assiomi) dei processi d’associazione e d’astrazione cui dà luogo il pensiero, e a proprietà generali dei gruppi di oggetti reali, sotto la condizione d’invarianza di questi e nei limiti in cui tale condizione è soddisfatta.
In quei principî si riconosce dunque un duplice contenuto subiettivo e obiettivo, il cui confronto può essere spiegato dicendo che: i pensieri vengono associati nell’intelletto in modo corrispondente a quello con cui si possono associare in gruppi dei sassi. Resta la questione filosofica di sapere se sia la mente umana che ha per così dire imitato nei suoi processi l’esperienza del riunire oggetti materiali, o se viceversa la natura dell’intelletto determini a priori quelle operazioni ed esperienze; ma una tale questione non ha alcun senso positivo perchè non ci è dato immaginare l’intelletto umano isolato dalla realtà sensibile che lo circonda, più che questa realtà all’infuori del pensiero che la rappresenta. La facoltà di osservare e sperimentare e quella di ragionare costituiscono infatti i due lati inseparabili di un medesimo sviluppo psicologico che sfugge al nostro esame obiettivo perdendosi nelle tenebre dell’infanzia.
Dal punto di vista idealistico riterremo solo la veduta che è possibile la costruzione dei numeri e dell’Aritmetica movendo da un puro esame riflesso del pensiero e delle sue operazioni associative. Ma avvertiremo che per quanto l’anzidetto esame tenda in ultima analisi a scoprire leggi del nostro modo di pensare, implicite in ogni esperienza ragionata, queste leggi o assiomi (a priori) non si possono scoprire che mediante una riflessione obiettiva (a posteriori) sui prodotti del pensiero stesso (Fries); tale è p. es. l’analisi dei linguaggi naturali o dei possibili linguaggi convenzionali o sistemi di segni mercè cui si tende a fondare la logica grammaticale o simbolica.
Insisteremo infine su ciò, che: per costruire la serie infinita dei numeri, non bastano gli assiomi logici esprimenti le proprietà fondamentali dell’associazione e astrazione, ma occorre un postulato esistenziale affermante la ripetibilità indefinita dell’atto del pensare, o la possibilità di determinare a priori una serie illimitata di associazioni; l’infinità della serie dei numeri importa appunto questa potenzialità della mente umana che si traduce nel postulato: dato un numero qualsiasi, esiste sempre un numero successivo ad esso.
Nota. — Il riconoscimento che la serie dei numeri è infinita stabilisce, si può dire, una linea di demarcazione fra la mentalità dell’uomo minimamente civilizzato e la mentalità del selvaggio. Infatti l’intelligenza dei selvaggi, come quella degli animali, si suol misurare col numero più alto a cui essa arriva, al di sopra del quale sembra non concepire che una pluralità indistinta.
La considerazione puramente empirica dei numeri trova rispondenza nei sistemi naturali di segni o di suoni con cui i numeri si rappresentano. La rappresentazione convenzionale dei numeri mira a rendere esprimibili i numeri più alti, e nella sua forma più evoluta esprime un processo di formazione della serie infinità.
Il sistema di numerazione moderno basato sul posto delle cifre e sulla considerazione dello zero tu scoperto dall’indiano Brahma-Priester, venne nell’800 a conoscenza degli Arabi, e si diffuse in Europa nel 1200.
7. — Classi finite e infinite.
Quando si oltrepassa coll’immaginazione il dato reale dell’esperienza e ci si solleva alla considerazione della serie infinita dei numeri, si hanno - nel pensiero - non più classi di oggetti effettivamente rappresentati o pensati, ma classi di oggetti pensabili, in determinate condizioni, cioè elementi supposti. Ora si presentano innumerevoli modi di estendere colla supposizione i dati sperimentali, e nascono così diverse classi infinite di oggetti: un esempio è offerto dalla classe di punti che costituisce la retta; anche qui i punti non possono essere tutti eflettivamente pensati uno dopo l’altro, ma pur tuttavia sono supposti come pensabili in guisa da dar luogo a talune relazioni di ordine ecc.
Però l’estensione del concetto di classe alle classi infinite dà luogo a modificare le relazioni analizzate nel § 1. In quel paragrato si è usato infatti ripetutamente il principio sperimentale che «togliendo, uno dopo l’altro gli elementi d’una classe, si arriva ad esaurire la classe», principio che significa appunto la finitezza della classe eonsiderata. Non valendo più questo principio vediamo cadere la prop. 4) o 4’) del § 2: una classe infinita può essere equivalente ad una sua parte.
Data la serie dei numeri
perchè fra le due intercede la corrispondenza:
Parimente, mercè una riduzione proporzionale (similitudine) un segmento, una retta, una figura qualsiasi del piano o dello spazio, può essere posta in corrispondenza con una sua parte.
Sembra che vi sia qui una proprietà generale: tutte le volte che è data una classe infinita, riconosciamo in essa una parte equivalente al tutto.
Cerchiamo di provare che questa proprietà sussiste infatti per ogni classe infinita.
Anzitutto: se una classe è numerabile, cioè può essere fatta corrispondere biunivocamente alla serie infinita dei numeri , essa è equivalente ad una sua parte (quella che corrisponde alla serie ).
In secondo luogo: se una classe C contiene una serie numerabile S, si può porre come innanzi una corrispondenza, fra S ed una sua parte ed in pari tempo far corrispondere ad ogni elemento di C, fuori di S, sè stesso: con ciò resta provato che C è equivalente ad una sua parte.
In terzo luogo si consideri una classe C qualsiasi: si scelga in C un elemento arbitrario che si designerà con 1, quindi un secondo elemento che si designerà con 2, e così via. Se, dopo un numero finito di scelte la classe è esaurita, essa corrisponde ad una classe finita ed è finita come questi; se così non è sembra che la classe C contenga una classe numerabile in corrispondenza colla serie infinita , e però che essa sia equivalente ad una sua parte.
Tuttavia questa deduzione contiene un punto delicato: infatti essa suppone la possibilità di compiere entro C, non solo un numero grande di scelte, ma un numero infinito di scelte arbitrarie. Questa possibilità trascende le facoltà del pensiero umano, a meno che non si possa fissare una regola che determini a priori le scelte successive dipendentemente da un numero finito di operazioni. Una regola siffatta è facile a trovare per tutte le classi di cui il nostro pensiero ha effettivamente costruito un’immagine; ma l’indeterminatezza del concetto generale di classe lascia indecisa la questione se la possibilità di una tal regola sia data per ogni classe. Facendo l’ipotesi affermativa, che si traduce in una eventuale restrizione del concetto di classe, si ha dunque che: la possibilità di stabilire una corrispondenza fra una classe ed una sua parte appartiene a tutte le classi infinite e costituisce quindi un carattere distintivo fra le classi infinite e le classi finite.
8. Potenza delle classi infinite.
Ora accenneremo come la teoria dei numeri cardinali, relativi a classi finite, abbia dato luogo ad una estensione per le classi infinite. Il concetto di potenza di una classe, dovuto a G. Cantor, risponde appunto al concetto di numero cardinale infinito.
A base di questa teoria di Cantor sta l’osservazione che il confronto di due classi infinite può dar luogo, come per lo classi finite, a un giudizio di equivalenza o di prevalenza.
Due classi sono equivalenti se tra gli elementi dell’una e quelli dell’altra intercede una corrispondenza biunivoca. Tale relazione soddisfa, come per il caso delle classi finite, alle proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva.
Una classe è prevalente ad un’altra quando si può porre una corrispondenza biunivoca fra gli elementi di questa e gli elementi di una parte di quella. Come per le classi finite, la prevalenza fra classi infinite soddisfa alla proprietà transitiva; ma, a differenza di quel caso, soddisfa anche alla proprietà riflessiva; inoltre essa può soddisfare anche, in qualche caso, alla proprietà simmetrica, che non appartiene mai alla prevalenza fra classi finite.
Queste differenze si riconducono alla circostanza fondamentale che:
Una classe infinita può essere contemporaneamente equivalente e prevalente ad un’altra.
Però sussiste il
Teorema di Bernstein: Se A e B sono due classi, ciascuna delle quali è prevalente all’altra, A e B sono classi equivalenti.
Dimostriamo questo teorema fondamentale valendoci delle semplificazioni dovute a Peano e a Padoa.
Secondo l’ipotesi, è data una corrispondenza biunivoca fra A e una parte B’ di B, e un’altra corrispondenza biunivoca fra B e una parte A’ di A. In questa seconda corrispondenza a B’ corrisponderà una parte A’’ di A’.
Si ha così una corrispondenza fra A e A’’ parte di A’, cioè una corrispondenza univoca similare fra A, A’, che non è invertibile per gli elementi di A’-A"; si tratta di porre una corrispondenza biunivoca fra A ed A’, e per ciò basterà determinare una parte C di A’ in tal guisa che togliendo C da A e da A’ rimanga una corrispondenza univoca, invertibile, ossia biunivoca, fra A-C e A’-C; infatti, ponendo allora in C la corrispondenza identica, si avrà una corrispondenza biunivoca fra A ed A’. Ora la possibilità di determinare la classe o nel modo anzidetto, risulta dal seguente
Lemma. — Se si ha una corrispondenza univoca, similare fra una classe A ed una sua parte A’, cioè una corrispondenza, biunivoca tra A ed una parte A’’ di A’, si può sempre determinare una parte C di A’ tolta la quale rimanga una corrispondenza biunivoca fra A-C ed A’-C.
Si indichi con la corrispondenza data fra A’’ e A, e si consideri l’insieme degli elementi P di A’’ a cui corrisponde in un elemento di A’-A’’; l’insieme di questi P preso insieme ad A’-A’’ costituisce la classe C che volevasi determinare.
Il teorema di Bernstein permette di distinguere i seguenti casi nel confronto di due classi infinite A e B:
1.° le due classi sono equivalenti; in tal caso si dice che esse hanno uguale potenza;
2.° le due classi non sono equivalenti, ed una di esse, p. es., A, è prevalente all’altra B; in tal caso si dice che la potenza di A, è maggiore di quella di B;
3.° le due classi non sono comparabili nel senso che non si sa porre una corrispondenza fra l’una e l’altra, o fra una di esse e una parte dell’altra.
Quest’ultima eventualità, che non sembra potersi escludere, implica una limitazione della teoria delle potenze di Cantor: si suppone sempre di riferirsi a classi comparabili, che dieno luogo ad uno dei giudizi 1), 2).
La prima classe infinita che viene considerata da Cantor è quella (di minima estensione) costituita dai numeri naturali: — . Ogni classe i cui elementi si possono far corrispondere ai numeri naturali si dice numerabile. Tutte le classi numerabili hanno la stessa potenza, che è la potenza minima che possa appartenere ad una classe infinita.
Cantor dimostra poi che la classe dei punti di un segmento (o della retta) non è numerabile, cioè che la potenza del continuo è maggiore di quella di una classe numerabile.
Le ricerche ulteriori di Cantor in questo dominio lo hanno condotto a conclusioni assolutamente impreviste al senso comune; p. es. che il continuo rettilineo ha la stessa potenza della superficie (quadrato o piano), del volume (cubo o spazio) ecc. Tuttavia si può costruire una classe avente potenza maggiore del continuo: infatti l’insieme di tutti i possibili gruppi di punti d’un segmento ha potenza maggiore di questo ecc.
Infine accenneremo ad una importante questione posta da Cantor, che rimane per ora insoluta: se esista qualche classe (gruppo di punti sulla retta) che abbia potenza intermedia fra il numerabile e il continuo.
9. - Serie finite e infinite.
Una classe infinita, alla stessa guisa di una classe finita, può concepirsi come una serie ordinata, per modo che:
1) dati due elementi della serie uno di essi succede all’altro (e questo precede quello);
2) se l’elemento succede a e succede ad , anche succede ad .
Ma l’ordine di una serie infinita non soddisfa sempre alle proprietà 3) 4) indicate al § 4 per l’ordine di una serie finita: così p. es. la serie dei punti d’una retta è ordinata, ma dato un punto non vi è un successivo immediato nè un precedente immediato di esso. Infatti l’esistenza di un successivo immediato (e di un precedente immediato) si deduce dall’esistenza, di un successivo, (e risp. d’un precedente), tenuto conto della finitezza della serie: se è successivo ad , ma vi sono elementi dopo e prima di , si prenda uno di questi, : se non è successivo immediato ad , si prenda un elemento successivo ad e precedente a e così di seguito; se la serie data è finita, la successione dei tentativi si esaurisce e conduce al successivo immediato di .
Come in una serie infinita può darsi che per un elemento (non ultimo) manchi il successivo immediato e di un elemento (non primo) non vi sia alcun precedente immediato, così può anche accadere che una serie infinita non possegga un primo nè un ultimo elemento. La serie non ha ultimo elemento; la serie , non ha nè primo, nè ultimo elemento.
Cantor chiama bene ordinata una serie che soddisfa al seguente requisito:
3) la serie ha un primo elemento, ed ogni serie contenuta nella data come parte ha sempre un primo elemento.
Questa proprietà è legata coll’esistenza di un successivo immediato. Si ha infatti il teorema:
In una serie bene ordinata ogni elemento, che non sia ultimo, ha un successivo immediato.
Sia un elemento (non ultimo) di una serie bene ordinata; gli elementi successivi ad formano una serie, parte della data, che è come questa bene ordinata, e quindi ha un primo elemento, ; è successivo immediato di .
Nota — Il teorema anzidetto non è invertibile. P. es., nella serie,
ogni elemento ha un successivo immediato, ma pure la parte
non possiede primo elemento.
Ora possiamo trovare un criterio distintivo delle serie finite dalle infinite; esso è dato dal seguente
Teorema di Pieri. Una serie è finita se è bene ordinata insieme alla sua inversa.
Si abbia la serie bene ordinata:
se essa non è finita contiene la serie numerata
corrispondente a tutti i valori di , sia che esistano dopo gli elementi di questa serie altri elementi oppur no; in ogni modo è parte di . Ma se prendiamo gli elementi di , e quindi di , nell’ordine inverso, la serie così ottenuta non è bene ordinata, perchè contiene una parte () senza primo elemento.
10. - Il principio d’induzione matematica e i numeri transfiniti. - Si abbia una relazione qualsiasi , dipendente da un numero ; se questa relazione è verificata per , e se dall’essere verificata per , si deduce ch’essa sussiste per , allora la relazione sussiste in generale per tutti i valori di ; in simboli
se | |
e da | |
si deduce | , |
si ha |
( designando un numero comunque grande).
Il principio qui enunciato è conosciuto sotto il nome di principio d’induzione matematica; ed il suo riconoscimento come principio logico risale a Maurolico.
Noi abbiamo già fatto uso ripetutamente del pensiero di induzione nel § 1, ammettendo la possibilità di esaurire nel pensiero una classe di oggetti materialmente dati, col toglierne successivamente un elemento dopo l’altro. In questa maniera il principio d’induzione esprime una condizione di possibilità del pensiero umano rispetto ad ogni classe finita, possibilità d’immaginare tutti gli oggetti della classe come effettivamente pensati uno dopo l’altro; e si tratta invero di possibilità logica piuttosto che pratica; l’ipotesi che ingrandisee - occorrendo - la rapidità del pensiero e finge un tempo assai grande a sua disposizione, riesce in realtà ad ingrandire la facoltà del pensiero, press’a poco come il microscopio ingrandisce la vista, senza decampare dalle regole logiche ed in ispecie senza condurre mai ad una contraddizione.
D’altra parte si può interpretare il principio d’induzione, non già a partire dall’ipotesi di una classe finita comunque data, ma come possibilità di costruzione della serie infinita che corrisponde ai numeri naturali
Esso precisa allora il postulato esistenziale riconosciuto alla fine del § 6, affermando che l’operazione con cui si passa da un termine della serie al successivo conduce ad ogni termine della serie. Si ha così una proprietà caratteristica della serie degli atti del pensiero che si può determinare psicologicamente fissando un modo generale di passaggio da un pensiero al successivo; tale è p. es. la serie delle riflessioni del pensiero su se stesso:
A. il pensiero di A, il pensiero del pensiero di A ecc.
Ma si ha ancora una proprietà caratteristica delle serie infinite che possono porsi in corrispondenza ordinata colla serie dei pensieri e quindi colla serie dei numeri naturali
Invero si consideri una serie infinita, bene ordinata, , il cui termine generale, ordinatamente corrispondente al numero della serie si possa designare con .
Osserviamo che essendo data una relazione
tutti i numeri che la verificano (supposto che ce ne sia qualcuno) formano una classe. Quindi si può enunciare il principio d’induzione come segue:
Se una classe C contiene il primo elemento () della data serie S, e se dall’ipotesi che essa contenga un qualsiasi elemento () di S, si deduce che contiene ancora il suo successivo immediato (), la classe C contiene tutti gli elementi di S (Peano).
Questo principio appunto distingue la serie dei numeri (o quelle che sono con essa in corrispondenza ordinata) da altre possibili serie bene ordinate come p. es. la seguente:
Infatti è chiaro che una serie bene ordinata per cui valga il postulato di Peano, si può porre in corrispondenza biunivoca ordinata colla serie dei numeri naturali
Ora la considerazione di serie bene ordinate non soddisfacenti al postulato di Peano, conduce sud estendere il concetto ordinario dei numeri ordinali, considerando numeri ordinali infiniti: tali sono i numeri transfiniti di G. Cantor.
Si abbia una serie bene ordinata, , che non soddisfi al postulato di Peano; allora vi sono in essa degli elementi successivi a quelli che portano un qualsiasi numero d’ordine per quanto grande; la serie di tali elementi, , (successivi alla serie ) è una parte di , e perciò possiede un primo elemento ; il successivo di si può designare con e così via.
Si ha così una serie
che si può immaginare indefinitamente proseguita.
Il simbolo che designa il primo elemento della serie, successivo dei numeri naturali (finiti) si può considerare come il più piccolo numero ordinale infinito (trasfinito). Ne nella serie vi è un elemento successivo ad
questo si può designare con . Si comprende quindi la possi bilità che la serie contenga anche elementi
La serie dei numeri transfiniti qui considerati, trova una immagine geometrica in una serie di punti che si costruisca opportunamente sopra la retta in guisa che: corrisponda ad un punto limite della serie , ad un punto limite della serie ; ad uno punto limite della serie ecc.
Nota. - Quando la serie dei numeri transfiniti è comunque prolungata mediante una costruzione mentale, dipendente da un numero finito di convenzioni, immaginando un suecessivo dopo , e quindi un successivo dopo ecc., si cade sempre in classi mumerabili.
Si può anche dimostrare che ogni serie ben ordinata di punti susseguentisi sopra la retta (a cui conduce l’immagine geometrica dei trasfiniti definita innanzi) è numerabile.
Nasce ora la questione se sia possibile disporre i punti di un continuo (p. es. d’un segmento) in una serie bene ordinata, di guisa che il numero cardinale che designa la potenza del continuo, si presenti come un numero della serie dei transfiniti. Tale questione, proposta da Cantor, ha dato luogo a numerosi tentativi, i quali però debbono ritenersi tutti come infruttuosi, perchè le pretese dimostrazioni conducenti a bene ordinare il continuo suppongono la possibilità di compiere effettivamente col pensiero infinite operazioni di scelta, (non predeterminate da qualche criterio esterno) cioè sono affette dal vizio del trascendentalismo.
Perciò nello stato attuale della questione rimane dubbio se il continuo possa essere bene ordinato. Perchè tale buon ordinamento avesse un senso positivo bisognerebbe farlo dipendere da un criterio determinato o determinabile a partire da una realtà, mediante un numero finito di atti arbitrarî del pensiero; ed un siffatto criterio non sembra potersi assegnare.
La prova negativa esigerebbe invece di dedurre una contraddizione dall’ipotesi di una serie ben ordinata avente la potenza del continuo. Non sembra potersi rigorosamente affermare che l’impossibilità di una costruzione positiva implichi necessariamente la possibilità di questa dimostrazione negativa.
Anche a prescindere dalla probabile impossibilità di estendere la serie dei transfiniti fino ad avere una serie ben ordinata della potenza del continuo, i numeri cardinali e ordinali estesi al di là de’ numeri naturali finiti conducono a due specie diverse di numeri infiniti, poichè dal punto di vista cardinale si avrebbe
ciascuno di questi numeri corrispondendo ugualmente ad un insieme numerabile.
Bologna, Università.
Federigo Enriques
Note
- ↑ Questioni riguardanti la geometria elementare raccolte e coordinate da F. Enriques. Bologna, Zanichelli, 1900.
- ↑ La finzione psicologica che è nell’astrazione ha dato luogo alla celebre controversia filosofica fra realisti e nominalisti. I realisti (a capo dei quali si può pone Platone), si rappresentavano il concetto astratto come una vera essenza reale delle cose, proiettando nel mondo esteriore il prodotto della costruzione mentale. Così p. es. un dato cavallo bianco verrebbe pensato come ottenuto dalla riunione di una cavallinità astratta coi caratteri speciali dell’individuo.
È inutile aggiungere che ci sono dei cavalli, ma non esiste la cavallinità e nemmeno il cavallo-tipo come animale del mondo concreto. Però i motivi che c’inducono a dare lo stesso nome a tutti i cavalli, ponendoli in uno stesso gruppo (specie) d’animali, implicano certi rapporti di somiglianza, nei quali consiste tutto il significato reale dell’idea astratta. - ↑ Cfr. F. Enriques, Problemi della scienza, Zanichelli. 2.ª ediz. 1910, Cap. III.