San Pantaleone/La siesta
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LA SIESTA.
I.
Donna Laura Albónico stava nel giardino, sotto la pergola, prendendo il fresco all’ora meridiana.
La villa taceva, tutta grigia, con le persiane chiuse tra le piante delli agrumi. Il sole raggiava un calore e un fulgore immensi. Era la metà di giugno; e i profumi delli aranci e dei limoni fioriti si mescolavano all’odor delle rose, nell’aria tranquilla. Le rose crescevano da per tutto, nel giardino, con una forza indomabile. Le masse magnifiche delle rose bianche si movevano, lungo i viali, ad ogni soffio di vento, coprendo il terreno con l’abbondanza della loro neve odorante. In certi momenti l’aria, pregna dell’aroma, aveva un sapore dolce e possente come quello di un vino prelibato. Le fontane, invisibili tra la verzura, mormoravano. A tratti, la cima mobile scintillante delli zampilli appariva fuor del fogliame, scompariva, riappariva, con vari giochi; e alcuni zampilli bassi producevano nei fiori e nelle erbe un fruscio e uno scompiglio singolari, sembrando bestie vive che vi corressero a traverso o vi pascolassero o vi scavassero tane. Li uccelli, invisibili, cantavano.
Donna Laura, seduta sotto la pergola, meditava.
Ella era una donna già vecchia. Aveva il profilo fine e signorile; il naso lungo, lievemente aquilino, la fronte un po’ troppo ampia, la bocca perfetta, ancora fresca, piena di benignità. I capelli, tutti bianchi, le si piegavano su le tempie e le facevano intorno al capo una specie di corona. Doveva essere stata molto bella, nella gioventù, ed amabile.
Era venuta da due soli giorni in quella casa solitaria, col marito e con pochi servi. Aveva rinunziato alla villa magnatizia che sorgeva, sopra un colle del Piemonte, abituale soggiorno estivo; aveva rinunziato al mare, per quella campagna deserta e quasi arida.
‟Ti prego, andiamo a Penti,” aveva detto al marito.
Il barone settuagenario era rimasto da prima un po’ sorpreso e stupefatto, a quello strano desiderio della moglie.
‟Perchè a Penti? Che s’andava a fare a Penti?”
‟Ti prego, andiamo. Per mutare,” aveva insistito Donna Laura.
Il barone, come sempre, s’era lasciato persuadere.
‟Andiamo.”
Ora, Donna Laura custodiva un segreto.
Nella giovinezza, la sua vita era stata attraversata da una passione. A diciotto anni aveva sposato il barone Albónico, per ragioni di convenienza familiare. Il barone militava sotto il primo Napoleone, con molta prodezza; egli stava quasi sempre assente dalla sua casa, poichè seguiva ovunque il volo delle aquile imperiali. In una di quelle lunghe assenze, il marchese di Fontanella, un giovine signore che aveva moglie e figliuoli, fu preso d’amore per Donna Laura; e, come egli era bellissimo ed ardente, vinse alfine ogni resistenza dell’amata.
Allora pe’ i due amanti una stagione, passò nella felicità più dolce. Essi vivevano nell’oblio di tutte le cose.
Ma un giorno Donna Laura s’accorse d’essere incinta; pianse, si disperò, rimase in una terribile angoscia, non sapendo che risolvere, come salvarsi. Per consiglio del marchese di Fontanella, partì alla volta della Francia; si nascose in un piccolo paese della Provenza, in una di quelle terre solatie piene di verzieri, dove le donne parlano l’idioma dei trovatori.
Abitava una casa di campagna, circondata da un grande orto. Li alberi fiorivano: era la primavera. Fra i terrori e le nere malinconie, ella aveva intervalli d’una indefinita dolcezza. Passava lunghe ore seduta all’ombra, in una specie d’inconscienza, mentre il sentimento vago della maternità le dava a tratti a tratti un brivido profondo. I fiori in torno a lei emanavano un profumo acuto: leggiere nausee le salivano alla gola e le mettevano per tutte le membra una lassitudine immensa. Che giorni indimenticabili!
E, quando il momento solenne si avvicinava, giunse, desiderato, Fontanella. La povera donna soffriva. Egli le stava a canto, pallido in viso, parlando poco, baciandole spesso le mani. Ella partorì di notte; gridava, fra li spasimi; si afferrava convulsamente alla lettiera; credeva di morire. I primi vagiti dell’infante la gittarono in una stupefazione di gioia. Ella, supina, con la testa un po’ arrovesciata oltre i guanciali, bianca bianca, senza più voce, senza più forza per tenere aperte le palpebre, agitava dinanzi a sè le mani esangui, debolmente, in certi piccoli movimenti vaghi, come fanno talvolta i moribondi verso la luce.
Il giorno dopo, tutto il giorno, ella tenne seco, nel medesimo letto, sotto la medesima coperta, il bambino. Era un essere fragile, molle, un po’ rossiccio, che vibrava d’una palpitazione incessante, di una vita palese, e in cui le forme umane non avevano certezza. Li occhi stavano ancora chiusi, un po’ gonfi; e dalla bocca usciva un lamento fioco, quasi un miagolio indistinto.
La madre, rapita, non si saziava di riguardare, di toccare, di sentirsi su la guancia l’alito filiale. Dalla finestra entrava una luce bionda e si vedevano le terre provenzane tutte coperte di mèssi. Il giorno aveva una specie di santità. I canti dal fromento si avvicendavano, nell’aria quieta.
Dopo, il bambino le fu tolto, fu nascosto, fu portato chi sa dove. Ella non lo rivide più. Ella tornò alla sua casa; e visse col marito la vita di tutte le donne, senza che nessun altro avvenimento sopraggiungesse a turbarla. Non ebbe altri figliuoli.
Ma il ricordo, ma l’adorazione ideale di quella creatura ch’ella non vedeva più, ch’ella non sapeva più dove fosse, le occuparono l’anima per sempre. Ella non aveva che quel pensiero; rammentava tutte le minime particolarità di quei giorni; rivedeva chiaramente il paese, la forma di certi alberi che stavano dinanzi alla casa, la linea d’una collina che chiudeva l’orizzonte, il colore e i disegni del tessuto che copriva il letto, una macchia che stava nella vôlta della stanza, un piccolo piatto figurato su cui le portavano il bicchiere, tutto, tutto, chiaramente, minutamente. Ad ogni momento il fantasma di quelle cose lontane le sorgeva nella memoria, così, senza ordine, senza legame, come nei sogni. A volte ella ne rimaneva quasi stupita. Le tornavano dinanzi, precisi e viventi, i volti di certe persone vedute laggiù, i loro moti, un loro gesto insignificante, una loro attitudine, un loro sguardo. Le pareva di avere nelli orecchi il vagito della creatura, di toccare le mani esilissime, rosee, molli, quelle manine che forse erano la sola parte già tutta formata perfettamente, simile alla miniatura d’una mano d’uomo, con le vene quasi impercettibili, con le falangi segnate di pieghe sottili, con le unghie trasparenti, tenere, appena appena suffuse di viola. Oh, quelle mani! Con che strano brivido la madre pensava alla loro carezza inconsciente! Come ne sentiva l’odore, l’odore singolare che ricorda quello dei colombi nella prima piuma!
Così Donna Laura, chiusa in questa specie di mondo interiore che ogni giorno più assumeva le apparenze della vita, passò li anni, molti anni, sino alla vecchiezza. Tante volte aveva chiesto all’antico amante notizie del figliuolo. Ella avrebbe voluto rivederlo, sapere il suo stato.
‟Ditemi dov’è, almeno. Vi prego.”
Il marchese, temendo un’imprudenza, si rifiutava. — Ella non doveva vederlo. Ella non avrebbe saputo contenersi. Il figlio avrebbe indovinato tutto; si sarebbe valso del segreto per i suoi fini; avrebbe forse rivelato ogni cosa.... No, no, ella non doveva vederlo.
Donna Laura, dinanzi a queste argomentazioni d’uomo pratico, rimaneva smarrita. Ella non sapeva imaginarsi che la sua creatura fosse cresciuta, fosse già adulta, fosse già presso al limitare della vecchiaia. Oramai erano passati circa quarant’anni dal giorno della nascita; eppure ella nel suo pensiero non vedeva che un bambino, roseo, con li occhi ancora chiusi.
Ma il marchese di Fontanella venne a morire.
Quando Donna Laura seppe la malattia del vecchio, fu presa da un’angoscia così penosa che una sera, non potendo più resistere allo spasimo, uscì sola, si diresse verso la casa dell’infermo, perchè un pensiero tenace la sospingeva, il pensiero del figlio. Prima che il vecchio morisse, ella voleva conoscere il segreto.
Camminò lungo i muri, tutta raccolta, come per non farsi vedere. Le strade erano piene di gente; l’ultimo chiarore del tramonto faceva rosee le case; tra una casa e l’altra un giardino appariva tutto violaceo di lilla in fiore. Voli di rondini, rapidi e circolari, s’intrecciavano nel cielo luminoso. Frotte di bambini passavano a corsa, con grida e con richiami. Talvolta passava una femmina incinta, a braccio del marito; e l’ombra della sua gonfiezza si disegnava su ’l muro.
Donna Laura pareva incalzata da tutta quella gioconda vitalità delle cose e delle persone. Ella affrettava il passo, fuggiva. Li splendori vari delle vetrine, delle botteghe aperte, dei caffè le davano alli occhi un senso acuto di dolore. A poco a poco una specie di stordimento le occupava la testa; una specie di sbigottimento le prendeva lo spirito. — Che faceva? Dove andava? — In quel disordine della conscienza, le pareva quasi di commettere una colpa; le pareva che tutti la guardassero, la indagassero, indovinassero il suo pensiero.
Ora la città s’invermigliava alli ultimi rossori del sole. Qua e là, dentro le cantine, i cori del vino si levavano.
Come Donna Laura giunse alla porta, non ebbe forza di entrare. Passò oltre, fece venti passi; poi ritornò in dietro, ripassò. Finalmente varcò la soglia, salì le scale; si fermò, sfinita, nell’anticamera.
Nella casa c’era quell’animazione silenziosa di cui i familiari circondano il letto di un infermo. I domestici camminavano in punta dì piedi, portando qualche cosa fra le mani. Avvenivano dialoghi a bassa voce, nel corridoio. Un signore calvo, tutto vestito di nero, attraversò la sala, s’inchinò a Donna Laura, ed uscì.
Donna Laura chiese a un domestico, con la voce omai ferma:
‟La marchesa?”
Il domestico indicò rispettosamente col gesto un’altra stanza a Donna Laura. Quindi corse ad annunziare la visita.
La marchesa apparve. Era una signora piuttosto pingue, con i capelli grigi. Aveva li occhi pieni di lacrime. Aperse le braccia all’amica, senza parlare, soffocata da un singulto.
Dopo un poco, Donna Laura chiese, non alzando li occhi:
‟Si può vedere?”
Profferite le parole, strinse le mascelle per reprimere un tremito violento.
La marchesa disse:
‟Vieni.”
Le due donne entrarono nella stanza dell’infermo. La luce ivi era mite; l’odore di un farmaco, un odore singolare, empiva l’aria; li oggetti segnavano grandi e strane ombre. Il marchese di Fontanella, disteso nel letto, pallido, pieno di rughe, sorrise a Donna Laura, vedendola. Disse lentamente:
‟Grazie, baronessa.”
E le tese la mano ch’era umidiccia e tiepida.
Egli pareva aver ripreso li spiriti d’un tratto, per uno sforzo di volontà. Parlò di varie cose, curando le parole, come quando stava sano.
Ma Donna Laura, dall’ombra, lo fissava con uno sguardo così ardente di supplicazione che egli, indovinando, si volse alla moglie.
‟Giovanna, ti prego, preparami tu la pozione, come stamattina.”
La marchesa chiese licenza, ed uscì, inconsapevole. Nel silenzio della casa si udirono i passi di lei allontanarsi su i tappeti.
Allora Donna Laura, con un moto indescrivibile, si chinò su ’l vecchio, gli prese le mani, gli strappò le parole con li occhi.
‟A Penti.... Luca Marino.... ha moglie, figli.... una casa.... Non lo vedere! Non lo vedere!” balbettò il vecchio, a fatica, preso quasi da un terrore che gli dilatava le pupille. ‟A Penti.... Luca Marino.... Non ti svelare.... mai!...”
Già la marchesa veniva, con il medicamento.
Donna Laura sedette; si contenne. L’infermo bevve; e i sorsi scendevano nella gola con un gorgoglio, a uno a uno, distinti, regolari.
Poi successe un silenzio. E l’infermo parve preso da sopore: tutta la faccia gli si fece più cava; ombre più profonde, quasi nere, gli occuparono le occhiaie, le guance, le narici, la gola.
Donna Laura si accommiatò dall’amica; se ne andò, trattenendo il respiro, pianamente.
II.
Tutte queste vicende ripensava la vecchia signora, sotto la pergola, nel giardino tranquillo. Che cosa ora dunque la tratteneva dal rivedere il figlio? Ella avrebbe avuto la forza di reprimersi; ella non si sarebbe svelata, no. Le bastava di rivederlo, il figlio suo, quello ch’ella aveva tenuto sulle braccia un giorno solo, tanti anni a dietro, tanti, tanti anni! Era cresciuto? Era grande? Era forte? Era bello? Com’era?
E mentre così interrogava sè stessa, nel fondo del suo spirito ella non giungeva a raffigurarsi l’uomo. Sempre in lei l’imagine dell’infante persisteva, si sovrapponeva ad ogni altra imagine, vinceva con la nitida chiarezza delle sue forme ogni altra forma fantastica che tentasse di sorgere. Ella non preparava l’animo, si abbandonava debolmente al sentimento indeterminato. Il senso della realtà in quel momento le mancava.
— Io lo vedrò! Io lo vedrò! — ripeteva in sè stessa, inebriandosi.
Le cose in torno tacevano. Il vento faceva incurvare i roseti che, passato il soffio, seguitavano a muoversi pesantemente. Li zampilli scintillavano e guizzavano, tra il verde, come stocchi.
Donna Laura stette un poco in ascolto. Dal silenzio sorgeva non so qual grandezza che le infuse nell’animo quasi uno sgomento. Ella esitò. Poi si mise pe ’l viale, da prima con passi rapidi; giunse al cancello tutto abbracciato dalle piante e dai fiori; sostò, per guardarsi in dietro: aprì. Dinanzi a lei la campagna si stendeva deserta sotto il meriggio. Le case di Penti in lontananza biancheggiavano su l’azzurro del cielo, con un campanile, con una cupola, con due o tre pini. Il fiume si svolgeva nella pianura, tortuoso e lucentissimo, toccando le case. Donna Laura pensò: — Egli è là. — E tutte le sue fibre di madre vibrarono. Animata, riprese a camminare, guardando dinanzi a sè con li occhi che il sole fastidiva, non curando il calore. A un certo punto della strada cominciarono li alberi, magri pioppetti tutti canori di cicale. Due femmine scalze, ciascuna con un cesto su ’l capo, venivano incontro.
‟Sapete la casa di Luca Marino?” chiese la signora, presa da una voglia irresistibile di pronunziare quel nome a voce alta, liberamente.
Le femmine la guardarono, stupefatte, soffermandosi.
Una rispose, con semplicità:
‟Noi non siamo di Penti.”
Donna Laura, malcontenta, seguitò la via, provando già un poco di stanchezza nelle povere membra senili. Li occhi, offesi dalla luce intensa, le facevano vedere alcune mobili macchie rosse nell’aria. Un leggero principio di vertigine le turbava il cervello.
Penti si avvicinava sempre più. I primi tuguri apparvero tra molte piante di girasoli. Una femmina, mostruosa per l’adipe, stava seduta sopra una soglia; ed aveva su quel gran corpo una testa infantile, li occhi dolci, i denti schietti, il sorriso placidissimo.
‟O signora, dove andate?” chiese la femmina, con un accento ingenuo di curiosità.
Donna Laura si accostò. Aveva il volto tutto infiammato e la respirazione corta. Le forze erano per mancarle.
‟Mio Dio! Oh mio Dio!” gemeva ella, reggendosi le tempie con le palme. ‟Oh mio Dio!”
‟Signora, riposatevi,” diceva la femmina ospitale, invitandola ad entrare.
La casa era bassa ed oscura; ed aveva quell’odor particolare che hanno tutti i luoghi dove molta gente agglomerata vive. Tre o quattro bambini nudi, anch’essi col ventre così gonfio che parevano idropici, si trascinavano su ’l suolo, borbottando, brancicando, portando alla bocca per istinto qualunque cosa capitasse loro sotto le mani.
Mentre Donna Laura seduta riprendeva le forze, la femmina parlava oziosamente, tenendo fra le braccia un quinto bambino, tutto coperto di croste nerastre tra mezzo a cui si aprivano due grandi occhi, puri ed azzurri, come due fiori miracolosi.
Donna Laura domandò:
‟Qual è la casa di Luca Marino?”
L’ospite co ’l gesto indicò una casa rossiccia, all’estremità del paese, in vicinanza del fiume, circondata quasi da un colonnato di alti pioppi.
‟È quella. Perchè?”
La vecchia signora si sporse per guardare.
Li occhi le dolevano, feriti dalla luce solare, e le palpebre le battevano forte. Ma ella stette qualche minuto in quell’attitudine, respirando con fatica, senza rispondere, quasi soffocata da una sollevazione di sentimento materno. — Quella dunque era la casa del suo figliuolo? — Subitamente, per una involontaria operazion dello spirito, le apparvero dinanzi l’interno della stanza lontana, il paese di Provenza, le persone, le cose, come nel bagliore di un lampo, ma evidenti, nettissimi. Ella si lasciò ricadere su la sedia, e rimase muta, confusa, in una specie di ottusità fisica proveniente forse dall’azione del sole. Nelli orecchi aveva un ronzio continuo.
Disse l’ospite:
‟Volete passare il fiume?”
Donna Laura fece un cenno inconsciente, incantata da un turbinio di circoli rossi che gli si producevano nella retina.
‟Luca Marino porta uomini e bestie da una riva all’altra. Ha una barca e una chiatta,‟ seguitò l’ospite. ”Se no, bisogna andare fino a Prezzi a cercare il guado. È tant’anni che fa il mestiere! È sicurissimo, signora.”
Donna Laura ora ascoltava, facendo uno sforzo per raccogliere tutte le sue facoltà sensorie che si disperdevano. Ma pure, dinanzi a quelle novelle del figliuolo, restava smarrita; quasi non comprendeva.
‟Luca non è del paese,” riprese la femmina grassa, trascinata dalla nativa loquacità. ‟L’hanno allevato i Marino che non avevano figliuoli. E un signore, non di qui, gli ha dotata la moglie. Ora vive bene; lavora; ma ha il vizio del vino.”
La femmina diceva queste cose ed altre, con semplicità grande, senza malizia per l’origine sconosciuta di Luca.
‟Addio, addio,” fece Donna Laura, levandosi, presa da un vigore fittizio. ‟Grazie, buona donna.”
Porse a uno dei bimbi una moneta: ed uscì alla luce.
‟Per quella viottola!” le gridò dietro, indicando, l’ospite.
Donna Laura seguì la viottola. Un gran silenzio regnava intorno, e nel silenzio le cicale cantavano a distesa. Alcuni gruppi d’olivi contorti e nodosi sorgevano dal terreno disseccato. Il fiume, a sinistra, brillava.
‟Ooh, La Martinaaa!” chiamò una voce, in lontananza, dalla parte del fiume.
Quella voce umana d’improvviso fece a Donna Laura un’impressione singolare. Ella guardò. Su ’l fiume navigava una barca, a pena visibile tra il vapor luminoso; e un’altra barca, ma a vela, biancheggiava a maggior distanza. Nella prima barca si scorgevano forme d’animali: erano forse cavalli.
‟Ooh, La Martinaaa!” richiamò la voce.
Le due barche si avvicinavano l’una all’altra. Quello era il punto delle secche, dove i barcaiuoli pericolavano quando il carico pesava.
Donna Laura, ferma sotto un olivo, appoggiata al tronco, seguiva con lo sguardo la vicenda. Il cuore le palpitava con tanta violenza che le pareva i battiti empissero tutta la campagna circostante. Il fruscio dei rami, il canto delle cicale, il lampeggio delle acque, tutte le sensazioni esteriori la turbavano, le mettevano nello spirito un disordine quasi di demenza. L’accumulamento lento del sangue nel cervello, per l’azione del sole, le dava ora una visione leggermente rossa, un principio di vertigine.
Le due barche, giunte a un gomito del fiume, non si videro più.
Allora Donna Laura riprese a camminare, un po’ barcollante, come un’ebra. Le si presentò dinanzi un gruppo di case riunite in torno a una specie di corte. Sei o sette mendicanti meriggiavano ammucchiati in un angolo: le loro carni rossastre, maculate dalle malattie della cute, uscivano di tra i cenci; nei loro volti deformi il sonno aveva una pesantezza bestiale. Qualcuno dormiva bocconi, con la faccia nascosta tra le braccia piegate a cerchio. Qualche altro dormiva supino, con le braccia aperte, nell’attitudine del Cristo crocifisso. Un nuvolo di mosche turbinava e ronzava su quelle povere carcasse umane, denso e laborioso, come sopra un cumulo di fimo. Dalle porte socchiuse veniva un romore di telai.
Donna Laura attraversò la piazzetta. Il suono de’ suoi passi su le pietre fece risvegliare un mendicante che si levò su i gomiti e, tenendo li occhi ancora chiusi, balbettò macchinalmente:
‟La carità, per l’amore di Dio!”
A quella voce tutti i mendicanti si risvegliarono, e tutti sorsero.
‟La carità, per l’amore di Dio!”
‟La carità, per l’amore di Dio!”
La torma cenciosa si mise a seguitare la passante, chiedendo l’elemosina, tendendo le mani. Uno era storpio e camminava a piccoli salti, come una scimmia ferita. Un altro si trascinava su ’l sedere puntellandosi con ambo le braccia, come fanno con le zampe le locuste, poichè aveva tutta la parte inferiore del corpo morta. Un altro aveva un gran gozzo paonazzo e rugoso che ad ogni passo ondeggiava come una giogaia. Un altro aveva un braccio ritorto come una grossa radice.
‟La carità, per l’amore di Dio!”
Le loro voci erano varie, alcune cavernose e roche, altre acute e femminine come quelle delli evirati. Ripetevano sempre le stesse parole, con lo stesso accento, in un modo accorante.
‟La carità, per l’amore di Dio!”
Donna Laura, così inseguita da quella gente mostruosa, provava una voglia istintiva di fuggire, di salvarsi. Uno sbigottimento cieco la teneva. Avrebbe forse gridato, se avesse avuta la voce nella gola. I mendicanti le instavano da presso, le toccavano le braccia, con le mani tese. Volevano l’elemosina, tutti.
La vecchia signora si cercò nella veste, prese delle monete, le lasciò cadere dietro di sè. Li affamati si fermarono, si gittarono avidamente su le monete, lottando, stramazzando sul terreno, dando calci, calpestandosi. Bestemmiavano.
Tre rimasero con le mani vuote; e ripresero a seguitare la vecchia incattiviti.
‟Noi non l’abbiamo avuta! Noi non l’abbiamo avuta!”
Donna Laura, disperata per quella persecuzione, diede altre monete, senza volgersi. La lotta fu tra lo storpio e il gozzuto. Ambedue presero. Ma un povero epilettico idiota, che tutti opprimevano e dileggiavano, non ebbe nulla; e si mise a piagnucolare, leccandosi le lacrime e il moccio che gli colava dal naso, con un verso ridicolo:
‟Ahu, ahu, ahuuu!”
III.
Donna Laura infine era giunta alla casa dei pioppi.
Ella si sentiva sfinita: le si offuscava la vista, le tempie le battevano forte, la lingua le ardeva; le gambe sotto le si piegavano. Dinanzi a lei, un cancello stava aperto. Ella entrò.
L’aia circolare era limitata da pioppi altissimi. Due delli alberi sostenevano un cumulo di paglia di fromento, tra mezzo a cui uscivano i rami fronzuti. Poichè in giro l’erba cresceva, due vacche falbe vi pascolavano pacificamente battendosi con la coda i fianchi nutriti; e tra le gambe a loro penzolavano le mammelle gonfie di latte, colorite come frutti succulenti. Molti arnesi di agricoltura stavano sparsi pe ’l suolo. Le cicale, in su li alberi, cantavano. Nel mezzo, tre o quattro cuccioli giocavano abbaiando verso le vacche o inseguendo le galline.
‟O signora, che cerchi?” chiese un vecchio, uscendo dalla casa.”Vuoi passare?”
Il vecchio, calvo, con la barba rasa, teneva tutto il corpo in avanti su le gambe inarcate. Le sue membra erano deformate dalle rudi fatiche, dall’opera dell’arare che fa sorgere la spalla sinistra e torcere il busto, dall’opera del falciare che fa tenere le ginocchia discoste, dall’opera del potare che curva in due la persona, da tutte le opere lente e pazienti della coltivazione. Egli, dicendo l’ultima parola, accennava al fiume.
‟Sì, sì,” rispose Donna Laura non sapendo che dire, non sapendo che fare, smarrita.
‟Allora vieni. Ecco Luca che torna,” soggiunse il vecchio, volgendosi al fiume dove navigava a forza di pertiche una chiatta carica di pecore.
Egli condusse la passeggiera, a traverso un orto irrigato, fin sotto a una pergola dove altri passeggieri attendevano. Camminando innanzi, egli lodava le verzure e faceva pronostici, per consuetudine di agricoltore invecchiato tra le cose della terra.
Volgendosi a un tratto, poichè la signora restava muta come se non udisse, vide che ella aveva li occhi pieni di lacrime.
‟Perchè piangi, signora?” le chiese con la stessa tranquillità con cui parlava delle verzure. ‟Ti senti male?”
‟No, no.... niente....” mormorò Donna Laura che si sentiva morire.
Il vecchio non disse altro. Egli era così indurato alla vita, che i dolori altrui non lo commovevano. Egli vedeva tutti i giorni, tanta gente diversa passare!
‟Siedi,” fece, come giunse alla pergola.
Là tre uomini della campagna attendevano, uomini giovani, carichi di fardelli. Tutt’e tre fumavano in grosse pipe, mettendo nel fumare una attenzione profonda, come per gustarne intera la voluttà, secondo il costume della gente campestre nei rari diletti. Ad intervalli, dicevano quelle lunghe cose insignificanti che l’agricoltore ripete senza fine e che appagano lo spirito di lui tardo ed angusto.
Guardarono un poco, stupefatti, Donna Laura. Poi ripresero la loro impassibilità.
Uno di loro avvertì, tranquillamente:
‟Ecco la chiatta.”
Un altro aggiunse:
‟Porta le pecore di Bidena.”
Il terzo:
‟Saranno quindici.”
E si levarono, insieme, intascando le pipe.
Donna Laura era caduta in una specie di stupidimento inerte. Le lacrime le si erano fermate su i cigli. Ella avea perduto il senso della realità. Dov’era? Che faceva?
La chiatta urtò leggermente contro la riva. Le pecore, strette le une contro le altre, belavano intimidite dall’acqua. Il conduttore, il traghettatore ed il figlio le aiutavano a discendere a terra. Le pecore, appena discese, facevano una piccola corsa; poi si fermavano, si riunivano e si mettevano a belare ancora. Due o tre agnelli saltellavano su le gambe lunghe e deformi, tentando i capezzoli materni.
Compiuta la bisogna, Luca Marino fermò la chiatta. Poi a grandi passi lenti salì la riva, verso l’orto. Era un uomo di quarant’anni circa, alto, magro, con la faccia rossiccia, calvo alle tempie. Aveva baffi di colore incerto e una manata di peli sparsa disugualmente per il mento e per le guance; l’occhio un po’ torbido, senza alcuna vivacità d’intelligenza, venato di sanguigno, come quello dei bevitori. La camicia aperta lasciava vedere il petto velloso; un berretto carico d’untume copriva la testa.
‟Ahuf!” esclamò egli d’un tratto, in faccia alla pergola, fermandosi su le gambe, aperte e nettandosi con le dita la fronte stillante di sudore.
Passò dinanzi ai passeggieri, senza guardarli. In tutti i suoi gesti e in tutte le sue attitudini era incomposto e quasi brutale. Le mani, enormi, gonfie di vene sul dorso, le mani avvezze al remo parevano essergli d’impaccio. Egli le teneva penzoloni lungo i fianchi e le dondolava camminando.
‟Ahuf! Che sete!...”
Donna Laura stava come impietrita, senza più parole, senza più conscienza, senza più volontà.
Quello era il suo figliuolo! Quello era il suo figliuolo!
Una femmina gravida, che aveva già una figura senile, disfatta dal lavoro e dalla fecondità, venne a porgere al marito assetato un boccale di vino. L’uomo bevve d’un fiato. Poi si asciugò le labbra col dorso della mano e fece schioccare la lingua. Disse, bruscamente, come se la nuova fatica gli fosse dura:
‟Andiamo.”
Insieme co ’l primogenito, ch’era un grosso fanciullo di quindici anni, preparò il legno; mise tra il bordo e la riva due tavole per rendere agevole ai passeggieri l’imbarco.
‟Perchè non monti, signora?” fece il vecchio di dianzi, vedendo che Donna Laura non si moveva e non parlava.
Donna Laura si levò, macchinalmente, e seguì il vecchio che le diede aiuto nel salire. Perchè saliva ella? Perchè passava il fiume? Non pensò; non giudicò l’atto. Il suo spirito, così colpito, rimaneva ora inerte, quasi immobile in un punto. — Quello era il figlio. — E a poco a poco ella sentiva in se qualche cosa estinguersi, vanire: sentiva nella mente a poco a poco farsi una gran vacuità. Non comprendeva più niente. Vedeva, udiva, come in un sogno.
Quando il primogenito di Luca venne a lei per chiedere la mercè del traghetto, prima che la barca si staccasse dalla riva, ella non intese. Il fanciullo scoteva nel concavo delle mani le monete ricevute da uno dei passeggieri; e ripeteva la domanda a voce più alta, credendo che la signora fosse sorda per la vecchiezza.
Ella come vide li altri due uomini mettere la mano in tasca e pagare; imitò quell’atto, risovvenendosi. Ma diede un maggior valore.
Il fanciullo volle farle intendere ch’egli non poteva renderle l’avanzo, perchè non l’aveva. Ella ebbe un gesto inconsciente. Il fanciullo prese tutto il danaro, con una smorfia di malizia. I presenti sorrisero, di quel sorriso astuto che hanno li uomini campestri in conspetto di un inganno.
Uno disse:
‟Andiamo?”
Luca, che fin allora stava intento a tirar l’áncora, spinse la barca che si mosse dolcemente su l’acqua gorgogliante. La riva parve fuggire, con le canne e con i pioppi, ed incurvarsi come una falce. Il sole incendiava tutto il fiume, appena inclinato verso il cielo occidentale dove sorgevano vapori violetti. Si vedeva ora su la riva un gruppo di gente che gesticolava; ed erano i mendicanti a torno all’idiota. A tratti, col vento giungevano anche lembi di parole e di risa simili a un’agitazione di flutti.
I rematori, nudi il busto, vogavano a gran forza per superare il filo della corrente. Donna Laura vedeva il dorso di Luca, nero, dove, le costole si disegnavano e colava a rivoli il sudore. Teneva li occhi fissi, un po’ dilatati, pieni d’ebetudine.
Uno dei passeggieri avvertì, prendendo sotto il banco le sue robe:
‟Ci siamo.”
Luca afferrò l’áncora e la gittò alla riva. La barca ridiscese con la corrente per tutta la lunghezza della corda; quindi si fermò, con una stratta. I passeggieri furono a terra, d’un salto; ed aiutarono la vecchia signora, tranquillamente. Quindi si rimisero in cammino.
La campagna da quella parte era coltivata a vigneti. Le viti, piccole e magre, verdeggiavano in filari. Alcuni alberi interrompevano qua e là il piano, con forme rotonde.
Donna Laura si trovò sola, perduta, su quella riva senz’ombra, non avendo più conoscenza di sè che per il battito continuo delle arterie, per un romorío cupo ed assordante nelli orecchi. Il suolo sotto i piedi le mancava e pareva affondarsi come fango o arena, ad ogni passo. Tutte le cose in torno turbinavano e si dileguavano; tutte le cose, ed anche là sua esistenza, le apparivano vagamente, lontane, dimenticate, finite per sempre. La follia le prendeva la mente. Ella, d’un tratto, vide uomini, case, un altro paese, un altro cielo. Urtò in un albero, cadde su una pietra; si rialzò. E il suo povero corpo di vecchia traballava in moti terribili e insieme grotteschi.
Ora, i mendicanti dall’altra riva avevano eccitato per dileggio l’idiota a passare il fiume a nuoto ed a raggiungere la donna per aver l’elemosina. Essi l’avevano spinto nell’acqua, dopo avergli strappati i cenci di dosso. E l’idiota nuotava come un cane, tra una pioggia di sassate che gl’impedivano di tornare a dietro. Quelli uomini deformi fischiavano e urlavano, prendendo diletto nella crudeltà. Essi, come la corrente traeva l’idiota, arrancavano lungo la sponda e imperversavano.
‟Affoga! Affoga!”
L’idiota, con sforzi disperati, prese terra. E così ignudo, poichè in lui era morto con l’intelligenza il sentimento del pudore, si mise a camminare verso la donna, di traverso, com’era suo costume, tendendo la mano ad ogni tratto.
La demente, rialzandosi, vide; e con un moto di orrore e con un grido acutissimo si diede a correre verso il fiume. Sapeva quel che faceva? Voleva morire? Che pensava ella, in quell’attimo?
Giunta all’estremo limite, cadde nell’acqua. L’acqua gorgogliò, si chiuse pienamente; e tanti circoli successivi partirono dal luogo della caduta e si allargarono in lievi ondulazioni lucide e si dispersero.
I mendicanti dall’altra riva gridavano verso una barca che si allontanava:
‟Oh Lucaaa! Oh Luca Marinooo!”
E correvano verso la casa dei pioppi a dare la novella.
Allora, come seppe il caso, Luca spinse la barca verso il luogo che gl’indicavano, e chiamò La Martina che se ne veniva placidamente con il suo legno in balia della corrente.
Disse Luca:
‟C’è un’annegata, laggiù.”
Non si curò di raccontare il fatto o di parlare della persona, poichè non amava le molte parole.
I due fiumátici misero i legni a paro e remigarono con calma.
Disse La Martina:
‟Hai tu provato il vino nuovo di Chiachiù? Ti dico!...”
E fece un gesto che rappresentava l’eccellenza della bevanda.
Luca rispose:
‟Non ancora.”
Disse La Martina:
‟Ne prenderesti una goccia?”
Luca rispose:
‟Io sì.”
La Martina:
‟Dopo. Ci aspetta Jannangelo”
Luca:
‟Va bene.”
Giunsero al luogo. L’idiota, che poteva meglio indicare il punto, era fuggito, e in mezzo alle vigne era stato preso da un accesso di epilessia. All’altra riva i curiosi cominciavano a radunarsi.
Disse Luca al compagno:
‟Tu ferma la tua barca e salta nella mia. Uno rema e l’altro cerca.”
La Martina così fece. Egli remava su e giù per una ventina di metri, e Luca tentava il fondo del fiume con una lunga pertica. Ogni tanto Luca, sentendo qualche resistenza, mormorava:
‟Ecco.”
Ma s’ingannava sempre. Finalmente, dopo molte ricerche. Luca disse:
‟Questa volta c’è’.”
E chinandosi e inarcando le gambe per far forza, sollevò piano piano il peso all’estremità della pertica. I bicipiti gli tremavano.
La Martina chiese, lasciando il remo:
‟Vuoi che t’aiuti?”
Luca rispose:
‟Non importa.”