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la siesta. 113

alla volta della Francia; si nascose in un piccolo paese della Provenza, in una di quelle terre solatie piene di verzieri, dove le donne parlano l’idioma dei trovatori.

Abitava una casa di campagna, circondata da un grande orto. Li alberi fiorivano: era la primavera. Fra i terrori e le nere malinconie, ella aveva intervalli d’una indefinita dolcezza. Passava lunghe ore seduta all’ombra, in una specie d’inconscienza, mentre il sentimento vago della maternità le dava a tratti a tratti un brivido profondo. I fiori in torno a lei emanavano un profumo acuto: leggiere nausee le salivano alla gola e le mettevano per tutte le membra una lassitudine immensa. Che giorni indimenticabili!

E, quando il momento solenne si avvicinava, giunse, desiderato, Fontanella. La povera donna soffriva. Egli le stava a canto, pallido in viso, parlando poco, baciandole spesso le mani. Ella partorì di notte; gridava, fra li spasimi; si afferrava convulsamente alla lettiera; credeva di morire. I primi vagiti dell’infante la gittarono in una stupefazione di gioia. Ella, supina, con la testa un po’ arrovesciata oltre i guanciali, bianca bianca, senza più voce, senza più forza per tenere aperte le palpebre, agitava dinanzi a sè le mani