Ricerca del fiorino d'oro di Giangaleazzo Visconti
Questo testo è completo, ma ancora da rileggere. |
RICERCA DEL FIORINO D’ORO
DI
GIANGALEAZZO VISCONTI
Della zecca milanese si avrebbero fiorini d’oro di tutti i Visconti da Luchino e Giovanni a Filippo Maria, se quelli di Giangaleazzo, di Estore e di Giancarlo fossero conosciuti. Di questi ultimi due è già meraviglia come possano avere, nella tumultuosa e brevissima signoria, battuto moneta di solo argento e lega. Ma di Giangaleazzo, che regnò un quarto di secolo, che ebbe dominio esteso più di quanto altri della sua famiglia mai non avesse, e i bisogni degli scambi del cui tempo non furono certo né minori né diversi che sotto i suoi predecessori, la singolare mancanza è non soltanto meravigliosa, ma sommamente inverosimile.
Ciò avvertiva (pel primo, a quanto mi sappia) Bernardino Biondelli nella sua dotta prefazione alle Monete di Milano dei fratelli Gnecchi.1 Egli quivi accenna una congettura anonima; che cioè i fiorini d’oro di Giangaleazzo sarebbero scomparsi per le molte sue spese e più di tutto per la dote della figlia e l’acquisto del titolo ducale. L’illustre Biondelli mostra in vero di non dar gran peso a questa ipotesi. Non credo però inutile rilevarla.
Disperdere non è distruggere. Dato pure che tutte quelle somme fossero state pagate in fiorini d’oro effettivi (sebbene la cambiale allora già nota ed in uso avrebbe potuto risparmiare il materiale trasporto del denaro): dato ancora che i fiorini passati per quelle occasioni in Francia ed in Germania fossero stati proprio tutti del conio di Giangaleazzo (del che non vedrei la necessità), e che per di più venissero in quei paesi e da quei governi rifusi, il che pure non era necessario; pare a me che qualche esemplare almeno avrebbe dovuto rimanere in Italia o ritrovarsi all’estero, non fosse altro, per la stragrande produzione di fiorini che quei pagamenti in tali condizioni avrebbero cagionato a Giangaleazzo.
Il Biondelli è d’opinione che la mancanza dei fiorini d’oro di Giangaleazzo Visconti non sia che apparente.
Il vero nome di lui (cosi egli argomenta) è semplicemente Galeaz come del padre suo, né se non tardi e fatto duca assunse il prenome Johannes. Galeazzo II non regnò mai solo; non potè quindi coniar moneta se non in compagnia di Bernabò. L’equivoco del nome fece ritenere monete quasi certamente di Giangaleazzo per sue. Cosicché tutti i conii finora attribuiti a Galeazzo Visconti, i fiorini d’oro compresi, appartengono al Conte di Vertus.
Malgrado l’altissima stima ch’io professo alla dottrina del rimpianto Biondelli io non posso persuadermi di questa sua opinione, né davvero io so capacitarmi come mai quella sua mente così eletta e addottrinata non abbia avvertito alle condizioni degli stati viscontei nel trentennio decorso dal 1354 al 1385, che certamente non ignorava e neppure ignorano le persone colte e gentili che mi fanno l’onore di leggere questa memoria.
Che Bernabò e Galeazzo Visconti avessero, ciascuno, dominio separato e rispettivamente indipendente, con Milano capitale e signoria comune; che le stesse relazioni vigenti fra i due fratelli vivente Galeazzo, sian continuate dopo la costui morte fra Bernabò e Giangaleazzo, è cosa storicamente provata2. Sarebbe anzi interessante diffondersi su questo fatto singolare di due stati distinti aventi capitale comune3, fatto che, studiato colle vicende consegnate nella storia, nelle monete e nei documenti contemporanei, suscita il dubbio semmai un patto federale non vigesse fra i due Visconti, dubbio che in me inclina a certezza. L’argomento qui propostomi mi vieta il trattare ora di ciò. Lo farò, a Dio piacendo, un’altra volta.
Tuttavia dal contesto di quanto qui andrò esponendo, risulterà spero, chiaramente, che malgrado l’equivoco dei nomi non è possibile confondere le monete dei due Galeazzi.
Il vero nome del Conte di Vertus è infatti Galeaz. Nelle monete (tranne due rarissime eccezioni che descriverò più avanti) è usato sempre solo: nei diplomi più frequentemente solo che non coll’aggiunta di Johannes4. Ciò malgrado, il nostro Visconti passò alla storia col nome di Giangaleazzo per meglio essere distinto dal padre. E Giangaleazzo chiamerollo io pure, seguendo l’uso generalmente invalso.
Che Giangaleazzo Visconti debba aver coniato fiorini d’oro, risulta con certezza da un capitolo citato dal chiarissimo Autore delle Monete di Pavia5. Ne noto il seguente passo:
“Item quod Conductor (della zecca) possit et debeat fabricari facere florenos auri qui vocentur et nominetur Lombardi auri et qui sunt expendibiles pro soldis triginta duobus imperialibus pro quolibet floreno.”
Se dunque Giangaleazzo volle che a Pavia si coniassero fiorini del valore di soldi trentadue, che è appunto quello che avevano i fiorini al tempo di Bernabò e Galeazzo, è certo che alludeva alla stessa moneta. È più che probabile poi che ordinasse o meglio avesse già ordinato la coniazione dei fiorini d’oro anche per Milano.
Il Conte Giulini nelle sue Memorie di Milano6, producendo fra le monete di Galeazzo Visconti i due fiorini d’oro comunemente attribuitigli, fa le meraviglie della presenza in un d’essi della corona usata da Giangaleazzo, dopo che fu duca di Milano, (come egli dice), colle parole Dominus Mediolani.
Persuaso quindi che tal corona fosse stata la ducale milanese fin dal tempo di Giangaleazzo, volendo pure spiegare ciò che a lui sembra un assurdo, suppone che Galeazzo stesso abbia potuto per avventura vantare qualche diritto ad usarne, ancorché semplicemente Signore. Ma non si avvide che in questo caso assai probabilmente Bernabò, pari e collega di Galeazzo, avrebbe avuto lo stesso privilegio: né di questo appare traccia né nelle monete, né nel monumento di Bernabò, così ricco di simboli e di motti. Di più una simile corona avrebbe potuto figurare, se non in tutte, almeno in qualche altra moneta di Galeazzo Visconti.
Il Giulini, poco persuaso di quella supposizione, ne fa una seconda più decisiva e, se vogliamo, nel suo caso, logica.
Egli non aveva visto l'esemplare, ma soltanto il disegno di quel fiorino. Taglia quindi corto e conclude che più probabilmente ancora la corona non é che una bizzarra aggiunta di chi disegnò la moneta.
Ma a dispetto della logica, quel fiorino c’è davvero. Converrà dunque studiare altre ragioni della concordanza fra la leggenda e la corona.
Vediamo anzitutto i due fiorini detti di Galeazzo Visconti. Tavola X, Fig. 2.
D/ — GALEAZ : VICECOMES :
Milite armato di tutto punto, la spada brandita in alto, su cavallo in corsa. — Biscia al petto del cavaliere, e tra G. Z. sulla gualdrappa al collo, alla spalla ed alla coscia del cavallo. Nel campo ai due lati del cavaliere, tizzo in fiamme sostenente due secchie.
R/ — DNS • MEDIOLANI : PAPIE : Ȝ : C •
Armi viscontee fra G. Z. contornate da cornice composta di due ogive e due archi di circolo raccordati da angoli salienti all’esterno.
Tavola X, Fig. 3.
D/ — GALEAZ • VICECOMES: • •
Cavaliere come nel precedente. — Biscia al petto del cavaliere, alla spalla ed alla coscia del cavallo. Il resto del campo liscio.
R/ ― • • DOMINVS • MEDIOLANI • Ȝ C •
Armi viscontee fra G. Z. in cornice come nel precedente.
A prima vista questi due fiorini si rassomigliano molto. Ma io vi rilevo anche differenze essenziali.
Il primo presenta l’impresa tutta propria di Galeazzo Visconti, del tizzone fiammante coi due secchi che ne pendono; l’altro ne manca affatto. Nel primo, l’elmo del cavaliere in diritto e quello che timbra lo scudo in rovescio sono egualmente cimati del drago visconteo poggiato sovra un burlette, e lungo il dorso del drago corre una cresta molto prominente. Nel secondo, che è quello della cui autenticità il Conte Giulini dubitava, l’elmo è cinto di una corona aperta a tre gigli, e il drago porta al dorso un fregio di piume che tiene il luogo della cresta del precedente. Li distinguerò chiamandoli il primo — dal tizzone — il secondo — dalla corona.
Addurrò qui inoltre alcuni altri fiorini viscontei e conii propri di Giangaleazzo Visconti, che mi gioveranno come termine di confronto con quei due.
Vedremo così se la corona gigliata che tanto imbarazzava l’ottimo Giulini sia corona ducale, se possa convenire a Galeazzo Visconti, o non sia piuttosto propria di Giangaleazzo, e per qual modo: — se infine il fiorino dalla corona non sia per avventura quello finora sconosciuto del Conte di Vertus.
Tavola X, fig. I. — Osserviamo primamente il fiorino sociale di Bernabò e Galeazzo Visconti. In questo, con preciso e chiare parole, è specificato il cimiero appartenente a ciascuno dei due signori.
Questo pezzo ha ripetuti su ambi i lati lo scudo e l’elmo viscontei fra D. B. per Bernabò: D. G. per Galeazzo, racchiusi nella stessa elegante cornice che è nei due fiorini di Galeazzo.
Le armi dell’uno e dell’altro non presentano differenza di sorta, tranne soltanto gli elmi nel cimiero. Quello di Bernabò porta il drago col dorso piumato, quello di Galeazzo il drago crestato esattamente come nel fiorino dal tizzone. Le leggende corrispondenti + CIMERIV DNI BERNABOVIS VICECOMITIS del primo: + CIMERIV DNI GALEAZ VICECOMITIS del secondo furono evidentemente messe coll’intenzione di distinguere il cimiero dell’uno da quello dell’altro. Gli elmi d’entrambi non portano corone ma un semplice burletto.
Nelle sue monete particolari, Bernabò riproduce invariabilmente quell'elmo stesso a drago piumato; Galeazzo, tanto in quelle di Milano che di Pavia, il drago crestato, fatta eccezione per questi del solo fiorino dalla corona che gli lascio ancora per poco.
Il fiorino di Bernabò e Galeazzo dimostra come i due Visconti osservassero un’assoluta e rigida eguaglianza nel manifestare i contrassegni del loro grado: non tollerando la menoma prevalenza dell’uno sull’altro: la riproduzione invariabile del cimiero mi fa eziandio persuaso che a quei tempi, più che nei successivi, i Visconti di Milano fossero costantemente fedeli alle divise presceltesi. Mi sembra poi che l’osservanza esatta di questa regola tornasse tanto più necessaria in quanto nelle fazioni militari sarebbe tornato altrimenti impossibile distinguere la persona il cui capo era tutto nascosto nell’elmo.
Il cavaliere che figura nel fiorino dal tizzo, avente il drago a cresta in cimiero, sarà dunque non altri che Galeazzo Visconti. Pel contrario quello che porta il drago piumato e la corona, sarà un altro: e se così è, il secondo dei due fiorini attribuitigli non sarà di Galeazzo.
Galeazzo poi, solo di tutti i Visconti, avrebbe prodotto due tipi di fiorino, mentre gli altri ne hanno uno soltanto per ciascuno. Veramente non vedrei perchè egli non abbia potuto derogare alla regola comune; anzi mi si potrebbe osservare che (come opina uno strenuo e dottissimo conoscitore)7, il fiorino dal tizzone potendo essere di Zecca pavese, vi potrà pur essere il milanese di Galeazzo. Ma in allora questo suo fiorino avrebbe dovuto presentare gli stessi contrassegni personali che figurano nelle altre sue monete, come ne fanno prova i pegioni di Milano rispetto ai grossi ed ai pegioni di Pavia, cogli stessi cimieri crestati, siano o no accompagnati dal tizzone ardente.
D’altra parte la corona ch’io contesto a Galeazzo Visconti vedesi egualmente riprodotta con ogni suo minimo dettaglio nei quattro coni seguenti di Giangaleazzo:
Tavola X, N. 4, Oro, medaglia.
D/ — (testa mitrata) . IO • GALEAZ • V • C • DVX • MEDIOLANI • 7 • C • rosette fra le parole interpuntate.
Busto a dritta entro zona formata alternamente di punte e di rosette.
R/ — (testa mitrata) • PAPIE • ANGLERIE • QȜ • COMES • 7 • C • rosette fra le parole interpuntate.
Biscione coronato entro zona come in diritto.
Tranne le z i caratteri delle due leggende sono capitali e di stile classico.
N. 5, Argento, prova o medaglia.
D/ — IOHANES GALEAZ • COMES • VIRTVTV.
Busto a destra.
R/ — DVX • MEDIOLANI • ȜC.
Milite cavalcante a destra come nel fiorino dalla corona.
N. 6, Argento, Grosso o pegione.
D/ — COMES • VIRTVTVM • D • MEDIOLANI.
Armi viscontee.
R/ — S ABROSIVS • MEDIOLAN.
Sant’Ambrogio.
N. 7, Argento, Mezzo soldo.
D/ — COMES VIRTVTVM
Elmo visconteo.
R/ — D • MEDIOLANI • Ȝ • C
Croce fiorita.
Il primo di questi conii, in oro, prezioso cimelio che la sola collezione Verri può vantare, fu dal valente numismatico sopracitato giudicato per quello che è, medaglia e non moneta8. Ma se egli avesse avuto agio come io l’ebbi, per gentilezza del distinto e cortesissimo patrizio che lo possiede, di considerarlo in mano e farne confronto con altri di quella cospicua raccolta, lo avrebbe detto di un secolo circa posteriore al suo titolare.
Questa medaglia ha il diritto comune con un lato di altra d’argento essa pure della collezione Verri, ad effigie alterna di Giangaleazzo e di Francesco Sforza.9 E l’identità è tale da convincere che lo stesso punzone servi per ambedue. La testa mitrata a capo della leggenda10, i caratteri di stile classico, il disegno, la fattura accennano ad un’epoca molto avanti negli Sforza. Nelle Monete di Milano poi, a Lodovico Sforza, al N. 6, è egregiamente descritta benché non figurata una terza medaglia d’argento appartenente al Gabinetto imperiale di Vienna11. Questa porta il busto di Lodovico da una parte e di Francesco Sforza dall’opposta. Il lato di Francesco Sforza appare essere eguale allo stesso della precedente. Per il che il medaglione d’oro Verriano di Giangaleazzo non solo sarebbe medaglia, ma medaglia dell’epoca sforzesca e forse di Lodovico il Moro, il quale avrebbe con essa inteso onorare la memoria del primo duca di Milano come colle due altre quella del proprio padre.
Il secondo pezzo di Giangaleazzo, è per me inesplicabile.
Multiplo di nessuna sua moneta, di forma inusata a quest’epoca, la credo anch’io cogli egregi autori delle Monete di Milano, o un tentativo di nuova monetazione, o medaglia; coniata forse nell’occasione dell’esaltazione al ducato del nostro Visconti12. Non mi varrò quindi pei miei confronti che di monete indubitabilmente tali, di conio e dell’epoca di Giangaleazzo, quali sono il pegione e il sesino.
Il fiorino di Giovanni Maria Visconti ha cavaliere, scudo, elmo coronato e cimiero eguali in tutto a quello di Galeazzo dalla corona accompagnati dalla qualifica Dux Mediolani: così pure il seguente unico posseduto dal chiaro Cav. Brambilla ed illustrato in una delle sue pregevoli memorie edita nel 1887, che mi volle cortesemente favorire e che mi tengo carissima. Esso presenta in
Anni viscontee fra F. M. incorniciate. L’elmo è coronato, il drago piumato.
Cavaliere coll'elmo coronato e cimato come in diritto.
Potrei citare anche il fiorino ducale di Filippo Maria, che ha gli stessi contrassegni, ma non me ne varrò perchè già troppo lontano dall’epoca di Giangaleazzo. Il fiorino di Galeazzo dalla corona e questi due provano già abbastanza che la corona a tre gigli sta indifferentemente col titolo di Signore, di Conte e di Duca.
I lettori avranno notato che nel pegione e nel sesino di Giangaleazzo la parola MEDIOLANI è preceduta dalla semplice lettera D che può essere interpretata per Dux e per Dominus. Io inclinerei piuttosto per Dominus perchè se Giangaleazzo avesse voluto dire Dux assai probabilmente ce l’avrebbe messo chiaro e completo, e perchè forse per gravi motivi che mi fuorvierebbero indagandoli, non potè o non volle coniare moneta espressamente ducale.
Comechè del resto vogliasi interpretare quella D, vista la nessuna relazione fra il titolo ducale e la corona, ciò non nuoce né giova al mio assunto.
Questa dunque non sarà corona ducale, e se lo fosse, e se il fiorino in discorso fosse veramente di Galeazzo, la contraddizione veduta dal Giulini sarebbe ancora maggiore.
Tavola XI. — La corona ducale vera di Giangaleazzo è ben diversa, e chiunque può vederla nel frontispizio dello splendido messale donato da lui medesimo alla nostra Basilica Ambrosiana nell’occasione del suo coronamento a duca. Quivi, nel mezzo, due quadri rappresentano il nostro Visconti in due momenti: nell’atto che il Legato di Venceslao gli impone la corona, e in quello nel quale, coronato, si mostra agli astanti. Qui la corona consta di un cerchio sul quale si impostano a croce due semicerchi formando così una specie di calotta.
Il frontispizio stesso è fregiato in contorno di fiorami e d’imprese: la colomba col motto — à bon droit — il leopardo accosciato sotto un melarancio. In basso negli angoli due elmi di profilo in riscontro, di colori differenti e con cimiero diverso.
Quello a sinistra dell’osservatore porta in cimiero un cono terminante in un globo di color rosso.
L’altro a destra è cimato del drago visconteo d’azzurro col fregio di piume d’oro, il fanciullo di rosso, e porta posteriormente una falda di bianco. Amendue gli elmi hanno la stessa corona a tre gigli, alternati da due punte. Tranne questa diversità di poco momento la corona è la stessa di quella veduta nei pezzi figurati Tav. X, n. 3, 6, 7. Fra gli elmi due scudi; quello a sinistra ha l’aquila nera in campo d’oro, quello a destra è inquartato della vipera azzurra in campo d’argento e dei gigli d’oro in campo azzurro. Gli elmi e gli scudi sono riprodotti di forme e colori eguali in altro foglio miniato del messale stesso. La sola differenza che vi riscontrai è nel colore della falda dell’elmo visconteo, qui azzurra dove là è bianca, forse perchè col tempo il colore ne sarà svanito.
La presenza, nel corpo di un dipinto tutto inteso a celebrare la gloria di Giangaleazzo, dell’elmo dal globo rosso in cimiero e la sua postura in rispetto al visconteo al quale è evidentemente pareggiato mi fanno supporre che esso pure appartengagli; non come a Visconti, ma come a Conte di Vertus. Né vedo spiegazione più naturale di questa. È poi significantissimo l’inquarto dei gigli di Francia colla vipera dei Visconti, cosa della quale prego il lettore di prender nota.
In questo prezioso documento13 abbiamo dunque veduto la corona gigliata che stiamo studiando, e la corona ducale, e quanta sia la loro dissomiglianza. Ora, se il lettore compiacente volesse tenermi compagnia in una breve digressione fuori d’Italia, gli mostrerò due bellissime monete d’oro del secolo XIV, di due re: Carlo V di Francia (1364-1373), Edoardo III d’Inghilterra (1326-1377).
Tavola X, N. 8, Oro — Agnello.
D/ — KAROLVS • DI • GR • FRANCORV • REX
Il re coronato stante di prospetto colla spada nella
destra, lo scettro nella sinistra, sotto un arco ogivale sostenuto da due pilastri terminanti in aguglia:
campo cosparso di gigli.
R/ — XPE * VINCIT * XPE * REGNAT * XPE * IMPERAT
((Christe (sic) per Christus tre volte).
Croce fiorita, accantonata alternamente da giglio e da corona, chiusa in cornice composta di archi di cerchio.
Tavola X, N. 9, Oro — Noble.
D/ — EDWARDVS • DI • GRA • REX • ANGL • Ȝ • FRAN • DO • H
(Edwardus Dei gratia rex Angliæ et Franciæ, dominus Hiberniæ).
Il re stante in una nave, di prospetto, coronato, colla spada nella destra, lo scudo inquartato a tre gigli e tre leopardi nella sinistra. A poppa della nave, banderuola con E nel campo: a mezzo, sul fianco della nave, una rosa.
R/ — (rosetta) IHS • AVT • TRANSIENS • PER : MEDIVM : ILLORV • IBAT — Trifolii al posto dei punti.
(Jesus autem transiens per medium illorum ibat S. Luca, IV, 30).
Nel centro, rosa entro un giro di raggi donde partono quattro fioroni diposti a croce accantonati da altrettanti leoncini. Sovra ciascuno di questi una corona eguale a quella che in diritto sta in capo del re. Il tutto in cornice composta di otto archi di circolo.
In queste due monete le corone sono egualmente aperte, a tre gigli, come nelle due monete di Giangaleazzo (Tavola X, N. 6 e 7) e per conseguenza come nel fiorino di Galeazzo Visconti.
Sono due esempi cotesti; che potrei citarne assai nelle monete di quei due reami e di quel secolo.
Chi volesse poi sfogliare le tavole di opere sulle Zecche di Francia e d’Inghilterra, o passare in rassegna i conii del Museo numismatico di Brera, come io feci, non vedrà pel secolo XIV altra corona reale se non aperta e a tre gigli come in quelle due. Che dico di Francia e d’Inghilterra? Ma di Napoli, di Sicilia, di Aragona, di Ungheria, degli stessi Pontefici nel triregno. E per tutti la stessa corona, con o senza le punte negli intervalli fra i gigli.
Vedemmo già che né Bernabò, né Galeazzo Visconti (eccetto pel secondo il fiorino che gli contesto) usarono mai una simile corona, né conosco moneta non regia italiana anteriore o contemporanea a Giangalezzo che l’abbia, fuorché una sola di Amedeo VI di Savoia descritta da Domenico Promis nel supplemento del 1866 alle Monete inedite del Piemonte a pag. 36 e figurata nel supplemento stesso, Tav. I, N. 6.
Cito testualmente le parole di quell’insigne numismatico:
“La sesta delle monete citate nel supplemento (Tav. I, N. 6) è il bianco dozzino descritto nell’ordine di battitura di Amedeo VI delli 3 giugno 1349, pel quale doveva essere a denari 9 ed a pezzi 102 al marco, e che alla prima si riconosce per una contraffazione del doppio tornese di Carlo il bello re di Francia. Varia però questo pezzo da quanto fu prescritto nel 1349 per le leggende, che dal lato della croce gigliata evvi MONETA • AMEDEI; dall’altro poi nel quale evvi una corona aperta e gigliata, non scorgesi che una confusione di lettere, delle quali altro non si può distinguere che la parola DVX forse allusiva al titolo di duca del Chiablese che questo principe fu il primo ad usare.”
Le lettere intorno alla corona, che tolgo dalla tavola sono queste: TRO • IMB DV KB.
Questa confusione di lettere che il Promis rileva, e specialmente l’ultima lettera affatto immaginaria, non sarebbe fatta di proposito? Poiché se Amedeo credette utile contraffare moneta del re di Francia, avrà anche trovato prudente lasciare in nube il contraffatore, del quale mettendo a chiare note il nome ed i titoli, si sarebbe puramente e semplicemente confessato usurpatore delle insegne reali.
La corona di Giangaleazzo è dunque reale? Certamente. La risposta sembrerà temeraria ma altra non ne vedo. Ma come spiegare cosa tanto strana per un semplice Signore di Milano? Con qual diritto potè egli usarne, o almeno con qual pretesto? Non certo come Signore di Milano, che nessuno dei suoi maggiori l’ebbe; non come duca perchè vedemmo la corona con titoli diversi, ed il messale ambrosiano ce la mostra in tutto differente. Sarò forse troppo ardito facendo la seguente congettura?
Isabella di Valois sposata a Giangaleazzo, divenendo Visconti non cessava perciò di essere principessa francese. Essa quindi avrà potuto fregiare le sue armi della corona reale, non quale simbolo di potere, ma quale distintivo di un personaggio di stirpe reale.
Giangaleazzo per quel matrimonio prese il titolo di Conte de Vertus dalla moglie, e tanto se l’ebbe caro da dargli una decisa preferenza, non solo sul suo casato Vicecomes che omette in tutte le sue monete14 ed anche in parecchi diplomi, ma persino sul suo nome personale Galeaz.
In parecchie sue monete, le sole due lettere G. Z. tengono il posto del nome: in alcune anzi non v’ha nemmeno questo accenno al nome, come appunto è nel pegione e nel sesino dagli elmi coronati, addotti superiormente. Come dunque egli usò del titolo di Conte de Vertus portatogli dalla moglie, così usò della corona di diritto della moglie stessa.
E come non ne avrebbe côlto l’occasione egli, che meglio che genero e cognato di re avrebbe voluto esserne figlio e fratello, anzi re; e lo provò colla dimanda fatta inutilmente al Papa della dignità reale?
Non è del resto infrequente il caso di mariti che aggiungano alle proprie le armi e le insegne della moglie. Un esempio di poco posteriore a Giangaleazzo valga per tutti.
Francesco Sforza sposando Bianca Maria, figlia neppur legittima di Filippo Maria Visconti, aggiungendo al suo casato quello della moglie si disse Sfortia Vicecomes, abbandonò le armi della sua casa e assunse addirittura le viscontee.
L’introduzione dei gigli di Francia nello scudo visconteo del messale di Giangaleazzo è un fatto analogo. Quella corona dunque per Giangaleazzo sarà un distintivo personale nella qualità di Conte di Vertus e simbolo significativo di quel titolo. Preso in questo senso non v’ha alcuna ripugnanza della sua presenza con qualsivoglia dignità.
Dirò di più: per questa ragione la corona basterà a rigor di termini a designare il Conte di Vertus ancorché per avventura il titolo non ne venga espresso con parole.
E quindi, se Domimus Mediolani in tutte lettere non contraddice a Comes Virtutum neppure vi contraddirà la corona gigliata evidente nel pegione e nel sesino, presa quale espressione simbolica del titolo stesso.
Resta ora a vedere perchè mai Giangaleazzo (se il fiorino della corona è suo) avrebbe in questa sola circostanza, contrariamente affatto alla sua abitudine, soppresso il titolo favorito e messo il cognome Vicecomes. Io mi darei la seguente spiegazione.
Giangaleazzo riconosceva due alti Signori: l’imperatore pe’ suoi stati d’Italia: il re di Francia per la Contea di Vertus. In quelli ebbe facoltà di coniar moneta, come ne vediamo parecchie, in questa verosimilmente no. Difatti monete del nostro Visconti di tipo francese non se ne conoscono.
È noto come nel secolo XIV avessero corso in tutta Europa e nel Levante i fiorini d’oro di tutte le zecche, quindi anche i milanesi. La moneta d’argento invece era speciale a ciascuno stato, servendosene il commercio interno soltanto.
Ora se il Conte di Vertus avesse ostentato nel fiorino il suo titolo, che è pure professione di vassallaggio al re di Francia, avrebbe recato grave offesa alla reale prerogativa di battere moneta in quelle terre appunto nelle quali e per le quali il re solo poteva tal diritto esercitare.
E questa sarebbe stata sconvenienza e contraddizione gravissima, a qualunque zecca i suoi fiorini potessero appartenere, ed in qualunque paese aver corso, peggio poi in Francia. Chi non vede quindi con quanto scrupolo il Visconti dovesse astenersi da tutto ciò che potesse essere meno che conforme ai doveri impostigli dalla condizione di vassallo e di parente?
Ma la semplice corona significando: e re e persona di reale famiglia, eragli concessa, almeno in via di tolleranza, e il decorarsene avrebbe potuto anche dimostrare in Giangaleazzo l’alto conto da lui dato all’affinità coi Valois e per questo non tornar loro sgradito.
Quanto alla moneta d’argento, le cose potevano correre più liscie: gli spiccioli di Giangaleazzo non avrebbero mai passate le Alpi.
Ora, se la corona, come a me par certo, copre per dir così il titolo di Conte di Vertus e ne tiene il luogo, sarà figura simbolica significante appunto quel titolo che nel fiorino non è lecito scrivere in tutte lettere.
Traducendo quindi il segno in scrittura comune leggeremo di seguito le iscrizioni dei due lati cosi:
Galeaz Vicecomes (Comes Virtutum) Dominus Mediolani etc, che è appunto l’intestazione e la sottoscrizione di molti diplomi e scritture di quel principe, meno Imperialis Vicarius Generalis, qui sostituito da Dominus.
Qui è tornato conveniente riprendere il casato antico Vicecomes sia per meglio indicare il personaggio che non colle armi soltanto, sia anche perchè, nel contorno, un Galeaz nudo e crudo avrebbe fatto meschina figura.
Giangaleazzo insomma, in questo che ormai giudico il suo fiorino: si chiama Galeaz per il suo vero nome come del resto in altre sue monete; corona l’elmo perchè appartiene o si considera appartenere alla real casa di Francia e nella qualità di Conte di Vertus: omette il Comes Virtutum per un doveroso riguardo al suo alto sire di Francia di cui deve rispettare i diritti sovrani.
Per tal modo sembra a me dimostrato come il fiorino colla corona accompagnata dalle parole Galeaz Vicecomes Dominius Mediolani spetti a Giangaleazzo Visconti: e se così è, faremo atto di giustizia restituendolo a lui come roba sua e non del padre.
La corona di Giangaleazzo passa in uso ai suoi successori, ed anzi dopo di lui se ne usa ed abusa anche da altri Signori italiani e stranieri15. Ad esempio il grosso di Brescia di Pandolfo Malatesta.
I re del quattrocento per non parere da meno arricchiscono la corona; al cominciare del secolo decimosesto la corona si chiude e si adorna al vertice di globi crucigeri, di gigli, di leopardi. L’arricchirsi progressivo della corona reale potrà forse dare un criterio per distinguere le monete di due re di nome eguale.
Non so se l’esposto avrà convinto i lettori come me. Io mi appello del resto al loro giudizio assai più competente del mio.
PS. Questa memoria era terminata, quando mi venne sott’occhio l’opuscolo di D. Promis, del 1858, sulle monete dei Paleologi di Monferrato. Quivi nella Tav. II ai n. 1 e 2 sono figurati due pezzi d’argento di Secondotto marchese (1372-1377) coll’elmo coronato come per Gian Galeazzo Visconti.
Secondotto fu marito di Violante Visconti sorella di Giangaleazzo, e se morì un anno prima che questi succedesse al padre, visse in tempo che il cognato era da molto Conte de Vertus ed avea già probabilmente tolto per distintivo la corona reale nelle sue armi. Potrebbe darsi che questo fatto di Secondotto abbia avuto a motivo l’affinità coi Visconti, i quali con Giangaleazzo, come vedemmo, cominciarono a coronar l’elmo: o meglio ancora il discendere dai Paleologi imperatori d’Oriente.
Ciò non muta del resto lo stato delle cose, che rimangono quali sono, vale a dire, che la corona dei re nel trecento fu aperta, a tre gigli con o senza punte negli intervalli: che quindi la corona usata da Giangaleazzo Visconti, ed (ora diremo) anche da Secondotto Paleologo, sono corone reali.
Note
- ↑ Gnecchi, Monete di Milano – Prefazione, pag. XLIX.
- ↑ Giulini, Memorie di Milano.
Osio, Documenti diplomatici a Bernabò e Galeazzo, e Bernabò e Giangaleazzo Visconti. - ↑ Milano fu capitale comune di Bernabò e Galeazzo anche dopo che questi ebbe trasferita la sua residenza a Pavia. Cosi fu pure con Giangaleazzo, il quale però, vivente Bernabò veniva raramente a Milano. Vedi Giulini e i documenti diplomatici dell’Osio.
- ↑ Nei diplomi, Giangaleazzo associato a Bernabò e solo, come Signore intesta o sottoscrive:
I. “Galeaz Vicecomes comes Virtutum Mediolani, etc. imperialis viucarius generalis.”
II Dominus Mediolani, etc. comes Virtutum imperialis vicarius generalis.
Come duca.
III. “Nel diploma CXCIX citato dall'Osio del 31 Agosto 1389, per la prima volta è scritto: .... magnifici et excelsi d. Johanis Galeaz Vicecomitis Mediolani, etc. comitis Virtutum imperialis vicarii generalis.”
IV. “Johannes Galeaz dux Mediolani, etc. Comes Virtutum.”
V. “Dux Mediolani, etc. comes Papie Anglerieque et Virtutum.”
VI. “Dux Mediolani Papie ac Virtutum comes.”
VII. “Dux Mediolani, etc.”
VIII. “Dux Mediolani Papie Virtutumque comes ac Pisaram Senarum et Perusii dominus.” - ↑ Brambilla, Monete di Pavia, pag. 389 in nota. — Dello stesso, Un ducato pavese o fiorino d’oro di Filippo Maria Visconti; in fine della memoria: Questo documento è dell’anno 1400.
- ↑ Giulini, Memorie di Milano, libro LXXI in fine.
- ↑ Brambilla, Monete di Pavia, pag. 379.
- ↑ Brambilla, Monete di Pavia, pag. 386.
- ↑ Gnecchi, Monete di Milano, a Francesco Sforza. Tav. XII, N. 1.
D. — (testa mitrata) . IO . GALEAZ .V. C. DVX . MEDIOLANI . 7 . C .
Rosetta al posto dei punti. Busto a destra entro circolo ornato di punti e di rosette alternati.
R. — (testa mitrata) . FRANC . S . VICE . . DVX . MEDIOLANI . 7 . C . — Busto coronato a destra, testa nuda entro circolo come sopra. - ↑ I lettori sanno che i caratteri capitali classici e la testa mitrata a capo delle leggende appaiono per la prima volta nelle monete milanesi sotto Galeazzo Maria Sforza. Francesco Sforza ed anche Galeazzo Maria nei primordi del suo regno non usano nelle monete che di caratteri trecentisti semigotici. Farebbe eccezione la medaglia succitata di Francesco Sforza e Giangaleazzo Visconti, se, come a me sembra per quello che vo dicendo, essa pure non è della fine del quattrocento.
- ↑ Gnecchi, Monete di Milano — Lodovico Sforza, N. 6.
D. — (testina) LVDOVICVS . M . SF . DUX . MEDIOLANI . & C. — Busto corazzato di Lodovico a destra. Testa nuda. Nel campo due biscie coronate.
R — (testina) FRANC . S . VICE . C . DVX . MEDIOLANI . & . C — (le parole separate da rosette). Nel campo ornato basto corazzato di Francesco I Sforza a destra. Testa nuda.
Come si vede il lato di Francesco Sforza sembra essere identico a quello della medaglia descritta alla nota precedente. - ↑ L’esemplare Verri pesa gr. 6,400: quello della raccolta municipale gr. 6,198. Non trovai modo di dividere l’uno o l’altro di questi pesi per quelli del grosso, del pegione, del soldo o del sesino ancorché ridotti al fino se di titolo scadente.
- ↑ Il messale della Basilica Ambrosiana è veramente un documento storico del più grande interesse; per le figure, i costumi, gli emblemi, la narrazione che vi si legge della cerimonia dell’incoronamento, la genealogia dei Visconti sebbene in buona parte fantastica, ma che dà le idee e i gusti del tempo e scopre le debolezze di Giangaleazzo.
- ↑ Prego il lettore di ricordare che non ammisi ai confronti il medaglione d’oro e il pezzo d’argento ducale, sembrandomi il primo non contemporaneo a Giangalezzo, il secondo incerto se moneta o medaglia. Preferii paragonare monete con monete.
- ↑ Crollalanza, Enciclopedia Araldico-Cavalleresca, alla parola Corona, pag. 219.