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428 | giuseppe gavazzi |
Conte de Vertus portatogli dalla moglie, così usò della corona di diritto della moglie stessa.
E come non ne avrebbe côlto l’occasione egli, che meglio che genero e cognato di re avrebbe voluto esserne figlio e fratello, anzi re; e lo provò colla dimanda fatta inutilmente al Papa della dignità reale?
Non è del resto infrequente il caso di mariti che aggiungano alle proprie le armi e le insegne della moglie. Un esempio di poco posteriore a Giangaleazzo valga per tutti.
Francesco Sforza sposando Bianca Maria, figlia neppur legittima di Filippo Maria Visconti, aggiungendo al suo casato quello della moglie si disse Sfortia Vicecomes, abbandonò le armi della sua casa e assunse addirittura le viscontee.
L’introduzione dei gigli di Francia nello scudo visconteo del messale di Giangaleazzo è un fatto analogo. Quella corona dunque per Giangaleazzo sarà un distintivo personale nella qualità di Conte di Vertus e simbolo significativo di quel titolo. Preso in questo senso non v’ha alcuna ripugnanza della sua presenza con qualsivoglia dignità.
Dirò di più: per questa ragione la corona basterà a rigor di termini a designare il Conte di Vertus ancorché per avventura il titolo non ne venga espresso con parole.
E quindi, se Domimus Mediolani in tutte lettere non contraddice a Comes Virtutum neppure vi contraddirà la corona gigliata evidente nel pegione e nel sesino, presa quale espressione simbolica del titolo stesso.
Resta ora a vedere perchè mai Giangaleazzo (se il fiorino della corona è suo) avrebbe in questa sola circostanza, contrariamente affatto alla sua abitu-