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412 | giuseppe gavazzi |
Disperdere non è distruggere. Dato pure che tutte quelle somme fossero state pagate in fiorini d’oro effettivi (sebbene la cambiale allora già nota ed in uso avrebbe potuto risparmiare il materiale trasporto del denaro): dato ancora che i fiorini passati per quelle occasioni in Francia ed in Germania fossero stati proprio tutti del conio di Giangaleazzo (del che non vedrei la necessità), e che per di più venissero in quei paesi e da quei governi rifusi, il che pure non era necessario; pare a me che qualche esemplare almeno avrebbe dovuto rimanere in Italia o ritrovarsi all’estero, non fosse altro, per la stragrande produzione di fiorini che quei pagamenti in tali condizioni avrebbero cagionato a Giangaleazzo.
Il Biondelli è d’opinione che la mancanza dei fiorini d’oro di Giangaleazzo Visconti non sia che apparente.
Il vero nome di lui (cosi egli argomenta) è semplicemente Galeaz come del padre suo, né se non tardi e fatto duca assunse il prenome Johannes. Galeazzo II non regnò mai solo; non potè quindi coniar moneta se non in compagnia di Bernabò. L’equivoco del nome fece ritenere monete quasi certamente di Giangaleazzo per sue. Cosicché tutti i conii finora attribuiti a Galeazzo Visconti, i fiorini d’oro compresi, appartengono al Conte di Vertus.
Malgrado l’altissima stima ch’io professo alla dottrina del rimpianto Biondelli io non posso persuadermi di questa sua opinione, né davvero io so capacitarmi come mai quella sua mente così eletta e addottrinata non abbia avvertito alle condizioni degli stati viscontei nel trentennio decorso dal 1354 al 1385, che certamente non ignorava e