Questioni Pompeiane/Prefazione

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Questioni Pompeiane Il Ludus gladiatorius
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Una gran serie di opere, ed alcune d’esse di mole sfoggiata, trattano in varie maniere di spiegar Pompei ai dotti, agli artisti, ed infine anche ai dilettanti, che sono sempre più numerosi, e forse i meno discreti. Tra queste non troveranno forse luogo le Questioni Pompeiane, le quali essendo tali, ut fel et bilem sapiant, cioè, d’indole non poco litigiosa, non si adatterebbero a vivere in società nè coi maggiori nè coi minori fratelli. Escluse, nulladimeno cercheranno di fare il poco di bene che possono, se non persuadendo, almeno inducendo sospetti sulle asserzioni gratuite, e vacillanti, alle quali acquistò credenza il tempo, e la [p. iv modifica]autorità di coloro che primi le proposero alle moltitudini. Gli scrittori più antichi delle cose pompeiane accostandosi alle più recondite trattazioni di archeologia con quella cognizione della storia, dei costumi, e del dritto romano, che metteva davanti il tempo, in che scrivevano, tuttocchè non fosse sfuggito loro niente di quanto era uopo di conoscere ad esaurire i temi, non potrebbero ora citarsi senza averli sottoposti a novello esame, a livello de principii della scienza archeologica già adulta. Ma la gran parte di scrittori del tempo nostro si recano la penna in mano con altro scopo, che quello di far progredire la scienza. Parecchi a guisa di fanciullo, che dir non sa, ma il più tacer gli è noia, crepant ultra crepidam, contenti di quella gloria, che loro ne proviene dall’adulazione, o dallo spirito di partito; non pochi, come dicono, per ispeculazione, ossia per far denari. Però la scienza archeologica, scienza critica per eccellenza, e di pochissimi ingegni, che a vaste cognizioni d’ogni maniera di dottrine possano unire il grazioso dono di Dio di un retto giudizio limato da lunga esperienza, e dalla più severa logica, per colpa certo di costoro diventa il trastullo del volgo, e per conseguenza un dei più favoriti temi delle moderne comedie. Abondiamo di libri d’ogni sorta, che rendono agevole l’arrecar testi di antichi scrittori, e monumenti: però gli autori medesimi non si studiano, ed accade veder spesso ripetersi [p. v modifica]le inesattezze, e gli sbagli anche vergognosi dei primi, con tutta la luce dei tempi, in che ora si scrive. Con questa supellettile, qui aliquid scire videntur tamquam iudices timeri volunt, e disputano d’ogni maniera di sacra e di profana antichità, giovani imberbi. Così si rovina, e non si edifica: onde ottimamente Nevio al suo proposito, che fa bene anche al nostro: (Cic. De Senect. 6).

Cedo, qui vestram rem publicam tantam amisistis tam cito?     e risponde:

Proveniebant oratores novi, stulti, adolescentuli.

L’Archeologo deve essere uomo di profondo e retto giudizio, di studii lunghi e maturi, che abbia l'abito di ben meditare il suo tema, che abbia la forza di elevare, e di collocare al suo posto quel gruppo di circostanze che accompagnano il subietto; e però che sia buon filologo, che conosca la storia delle arti, che non ne ignori le leggi, che ne abbia una ragionevole esperienza: perocchè in tutte, ma nell’Archeologia sommamente, è intollerabile una mezzana erudizione: imperitum et indoctum omnino esse praestat, quam semiperitum et semidoctum.

Fra gli studii archeologici che ponno farsi nella Campania primeggiano senza verun dubbio quelli di Pompei ed Ercolano. Laonde ogni trattazione, che tende ad isviluppare alcun nodo in obietti sì complicati, è un vero servizio, che si rende al nostro bel paese, visitato di continuo da persone, [p. vi modifica]che chiedono da noi, e a buon dritto, l’aiuto, il parere, le notizie opportune. Ma queste sogliono essere di due maniere: dotti, e discutono; curiosi, e cercano di esser serviti il men male, di non esser delusi, por quanto si può, che si dica loro la cosa come andò, e come và, senza intorbidarne col difficile le piacevoli emozioni del bello, e dell’istruttivo: dimandano in somma una notizia senza fatica, e senza illusione. Le Questioni Pompeiane sono fatte solo pei primi. Ciò nondimeno posso giovare anche ai secondi con ordinar qui il frutto della materia, che discuto e disputo nelle Questioni richiamando i lettori alle prove, che se ne adducono; siccome nelle questioni rimetto talvolta i lettori ad altri libri, e al Bullettino Archeologico Napolitano donde son tratte, segnatamente per i monumenti che nelle tavole di questo si pubblicano.

n. 1 Eccoti adunque Pompei. Questo, che uscendo dalla stazione della via di ferro, leggi Hôtel de Diomede è la taverna del rapillo o lapillo, dove ebbero principio gli scavi del Re Carlo terzo (1748).

La via antica, che da Napoli menava a Nocera ed oltre, è sottoposta a quella, che spianò qui Carlo: non entrava già in Pompei, ma invece le vie che uscivano da Pompei, mettevano capo in essa: perlocchè ella è sottoposta circa trenta palmi napolitani, siccome può argomentarsi da quella via di recente scoperta, che esce dalla porta stabiana. Così [p. vii modifica]risulta che Pompei antica era molto più elevata che non è oggi, e però non solo piantata su di un tumolo, ma sopra una vera collina, che dechina verso il fiume Sarno a mezzo dì. Il fiume ora è discosto da Pompei, essendosi elevato il suolo; prima le correva assai dappresso, alluente Sarno, scrive Plinio. Di qua dove cammini non fu mai mare, il Sarno però sullo sbocco a destra faceva palude, e vicine gli grano le saline: Dulcis pompeia palus vicina salinis hercuieis (Colum. De agr. cult. L. X.).

n. 2. Questi tre semicilindri di fabbrica rivolti di spalla sostenevano una volta il terrapieno con minor compendio di spesa, e più efficacia, che i nostri piè di torre. È un applicazione felice del metodo di stendere archi roveschi fra due piloni, che piantino sopra un suolo mal fermo, come si vede in Roma nelle fondamenta del tempio di Antonino e Faustina.

n. 3. Entri in Pompei per una sua porta, e la città pare che non avesse di quà quella solida difesa di mura, che altrove. n. 4. La via qui apparisce scoscesa a sinistra, e forse ne fu cagione il terremoto dell’866 quando oppidum desedit (Seneca Q. Nat. VI ). Di sotto passa il canale del fiume Sarno.

Sulle pareti a sinistra comincia veder qualche nome scritto col pennello a matita rossa, e sono i programmi dei quali disputo a p. 25 seg. Qui leggevasi quell’enigma, che secondo la graziosa frase del cel. Comm. Avellino manco l’Harduino avrebbe saputo sciogliere. Ma io dimostrai, che erano nomi [p. viii modifica]di candidati, che, secondo un costume anche romano, si erano accennati solo colle iniziali. L’intonaco è ora nel R. Museo Borbonico, e dice come avevo conghietturato, correggendo, e supplendo le mancanze della prima pubblicazione.


P · P · P · A · V · C · F
M . E . S . Q . M . (R)
S V I L I M E A C


Publium Paquium, Proculum, Aulum Vettium Caprasium Felicem (duumviros iure dicundo) Marcum Epidium Sabinum, Quinium Marium (Rufum Aediles)       Suilimea Cupit.


(v. il Bull. Arch. Napol. nuova serie p. 5 segg. e tra le Questioni i Programmi popolari a piena dilucidazione dell’argomento p. 31 segg.). Il cognome Rufum proviene da un programma letto da me recentemente sulla via Stabiana a sinistra Q. MARIVM RVFVM AED · I · EGR? forse Juvenem Egregium etc.

n. 5. Più innanzi è il tempio di Mercurio e di Maia a sinistra, altri lo dicono di Venere, ma tu vedi a p. 72, seg.; a destra la Basilica.

n. 6. La costruzione di queste due fabbriche è facilmente anteriore ad Augusto medesimo. Nel tempio [p. ix modifica]Marco Porcio cogli altri colleghi fece porre l’ara, e v’ò notato su due lati: a sinistra;

M • PORCIVS • M • F • L SEXTILIVS • SEP • CN • CORNELIVS • CN • F • A • CORNELIVS • A • F • IIII • VIR • D • P • S • F • LOCAR


Marcus Porcius Marci Filius Lucius Sextilius Sep, Cneus Cornelius Cnei filius, Aulus Cornelius Auli Filius Quatuorviri, de decurionum sententia, faciundum locarunt. Nell’altro lato si legge cambiato il SEP in L • F • con l’unica differenza di LOC per LOCAR. Il Mommsen non avverte nulla di ciò, perchè non l’ha veduta. (I.N. 2198). I due primi sono duumviri, i due secondi sono edili, e si dicono tutti insieme quattroviri, essendo i quattro primarii magistrati della colonia. Altri duumviri L. Sepunio Sandiliano, e M. Erennio Epidiano fecero costruire (De sua Pecunia Faciundum Curaverunt) il frontone della cella, e ne lasciarono memoria in un cartello ricacciato di mezzo il fusto di una delle colonne, che legge:

L • SEPVNIVS • L • F

SANDILIANVS

M • HERENNIVS • A • F

EPIDIANVS

DVO • VIR I • D

D • S • P • F • C


Nella Basilica di assai bello stile greco, quattro liberti, [p. x modifica]che senza tema di errare posso chiamare ministri costruirono al 737 assai verisimilmente il tribunale (v. la p. 79, seg.).

n. 7. Eccovi sul forum. Credono che il portico intorno fosse costruito da Vibio Popidio; ma la iscrizione non dice porticus circa forum, come la lapida di Cajatia, CREPIDINES • CIRCA • FORVM: essa fu trovato dinanzi all’ingresso principale della Basilica, e però io son certo, che Vibio Popidio fu incaricato di far costruire i portici di questo edifizio.

V • POPIDIVS
EP • F • Q
PORTICVS
FACIVNDAS
COERAVIT

È la sola memoria di un Questore in Pompei già romana. Tutto l’andamento arcaico della leggenda fa ben argomentare che questa carica si ritenesse dai Romani ai primi tempi della deduzione di Silla, e che poi si abolì, finite le controversie dei Coloni coi Pompeiani, tra i quali era stata in vigore, siccome rilevasi dai monumenti oschi: di che non è facile indagare la ragione. In questo foro si davano le cacce, e i giuochi gladiatorii, siccome nell’Anfiteatro. n. 8. Il tempio che ne è a capo fu sacro alla Venere Fisica Pompeiana (v. la pag. 72) n. 9. e le tre sale dirimpetto le credo ancor io camere [p. xi modifica]del consiglio. Sul fianco destro del foro dopo il tempio di Venere Fisica è un arco, a piè del quale n.10. fu trovato un frammento d’iscrizione che può probabilmente completarsi col confronto di altre lapidi, ove il flaminato augustale, e la sodalità augustale e la questura si attribuiscono a Nerone figliuol di Germanico in questo modo:

Neroni . Caesari . Germanici . Caesaris f

Ti. Augusti n. Divi Augusti pron

FLAMINI • AVGVSTALI • SODALI

AVGVSTALI • Q


Il sodalizio augustale fu instituito da Tiberio l’anno 768, e Nerone figliuolo di Germanico fu delegato all’isola Ponzia al 783. Essendo questo Nerone preterito nel catalogo dei sodali extra ordinem, che ci ha lasciato Tacito, si può conghietturare col Marini (Fr. Arv. p. 707), che vi fusse aggiunto di poi; e però quest’arco deve essere stato eretto non prima del 769, nè dopo il 779 epoca dell’ultima ruina di Pompei. n. 11. Indi segue un edifizio, che pare destinato al culto della famiglia imperiale (v. p. 78); n.12. e dopo un altro pubblico edifizio, che non è facile determinare, viene n. 13. l’Augusteum, o tempio sacro ad Augusto (v. p. 74); contiguo a questo è il Calcidico (v. le p. 79 e 89) n.14. dedicato da Eumachia alla Pietà della Concordia Augusta. Il figlio di Eumachia Numistrio Frontone a [p. xii modifica]

xii
nome del quale e suo ella costruillo, fu duumviro nel 755. n. 15. Tenendo quindi la via che va ai teatri riesci ad uno spazzo cinto da un portico n.16. di lati ineguali, in mezzo al quale si eleva l’imbasamento di un tempio n. 17. di stile dorico antico della maniera stessa, che i tempi di Pesto, di Velia, di Metaponto. Era sacro al Nume Preside, quando Pompei era osca. Tutto lo studio che andiamo facendo intorno agli Osci, ce li dimostra buoni imitatori dei Greci, e poi alquanto più liberi e di stile misto. Più avanti vedi gli avanzi di un bidental n. 18. monumento eretto pel luogo tocco dal fulmine, e consecrato col sacrifizio di un bidente, donde toglie il nome, l’iscrizione osca legge1:


Ni(umerìis) Trebiis Tr(ebeis)
Med(dics) Tuv(tics) Aamanaffed


Numerio Trebio figliuol di Trebio magistrato supremo lo ha costruito. Non fa difficoltà, che si [p. xiii modifica]dica Trebio figliuol di Trebio, quasi che ne dovesse seguire, che il padre si chiamava Trebio Trebio. Questa conseguenza la tema il Mommsen con coloro che vedono sempre prenomi e nomi. Io ho già dimostrato che è usanza antica osca, e sannitica e dei popoli antichissimi in Italia di appellarsi con due nomi, l’uno di famiglia, l’altro forse a scelta; non costando ancora quali leggi in ciò fare seguissero (v. Bull. Arch. Nap. nuova serie I, p. 41, 42); laonde nel caso nostro si apprende che Trebio è il gentilizio, uno dei due nomi, se due ne portava il padre di Numerio: noi non sappiamo che il solo citato dal figlio. Ciò non esclude che usassero di alcuni nomi sì popolarmente, che andassero prendendo perciò natura di veri prenomi.

Discostati da questo alto piano, che io credo l’acropoli pompeiana, si va giù per una scala al n. 19. ludus gladiatorius, che è mia scoperta, e lo provo alla pag. 1. seg. contro le appellazioni erronee di Portico dei Teatri, di Foro nundinario, di Quartiere di soldati, e di altre, che ad arbitrio furono assegnate finora a questo bello edifizio.

A sinistra si elevano le moli di due Teatri. Li hanno detti Teatro comico l’uno, tragico l’altro; n. 20. ma i più si accordano ora a chiamar Teatro il più grande e scoperto, Odeo il più piccolo, n. 21. che una volta fu coperto, come impariamo dalla doppia lapide collocata su due ingressi. Vedi però le cose, che disputo a pag. 87, segg. [p. xiv modifica]Il maggior teatro, che dicesi costruito dai due Olconii Rufo, e Celere non è anteriore al 727. Il M. Olconio Rufo che fu duumviro cinque volte dicesi figliuol di Vibio (cf. 2231, 2232 I. N.), e ’l M. Olconio Celere per un confronto somigliante si manifesta figliuol di Marco (I. N. 2335, 2336). Del primo si ha riscontro che era duumviro la quarta volta al 752 (2261), Celere lo fu la prima volta dal 767 al 768 (v. la pag. 52): essendo trascurato il notamento delle magistrature e dei sacerdozii loro sulla lapida del Teatro, non si può avere altro risultalo, se non che il Teatro deve essere stato costruito non molto dopo il 752, avendo ivi ottenuta l’onorificenza forse di una statua M. Olconio Rufo, la iscrizione di cui si legge ancora scolpita sopra un gradino del Teatro medesimo, coll’aggiunta del suo quinto duumvirato (2232). Il Teatro coperto fu edificato dai duumviri C. Quinzio, e M. Porcio nel tempo della loro quinquennalità, che ho cercato di fissare in altro luogo (v. la p. 51, s.). Si va n. 22. quindi alla porta Stabiana, ove leggesi una lapida osca, della quale ho dato un’interpretazione negli atti della R. Acc. Erc. e mi rimetto a quanto ho ivi dimostrato, ed alle osservazioni posteriori inserito nel Bull. Arch. Nap. nuova serie (a p. 81, segg.). Rilevasi quindi che due Edili M. Sullio, e N. Pontio misurarono, e determinarono lo spazio di alcune vie pubbliche, due delle quali erano esterne, e chiamavansi la via pompeiana, l’una, e l’altra via, che [p. xv modifica]esce dalla porla stabiana, due interne facilmente, cioè la via iovia, e la via deciale del magistrato pompeiano, forse da alcun Decio, o Decuvio; inoltre che queste vie, di due delle quali si disegna ancora la misura longitudinale furono da loro fatte selciare, e che dopo ciò legalmente ne approvarono il lavoro. Si parla quivi della cella del Giove Milichio con vani sforzi oppugnata da chi, seguendo una lezione erronea della lapide, vuole vedervi invece i pali di Giove. Niuno pertanto cerchi questo edifizio nella cappella, che è su questa via n. 23. medesima, ove furon trovate due statue in terra cotta, di Giove, cioè, e di Giunone; perocché la cella di Giove Milichio era sulla via detta pompeiana nella lapida, che non poteva essere interna: inoltre questa cappelletta ben si potrebbe dire AEDES IOVIS, ET IVNONIS, ma non così CELLA IOVIS MILICHII. Ecco l’iscrizione, seconda la mia lettura.

[p. xvi modifica]

M • Suttius M • f • N • Pontius • M • f
Aediles, hanc viam terminaverunt
ad portam stabianam perticis ?
X • ii(demque) viam pompeianam ter
minaverunt perticis? II • ad cael
lam • Iovis • Milichii • Has vi
as • et • viam • ioviam • et decuvia
rem? magistratus • pompeiani
ex • silice • straverunt • ii
(demque) aediles prohaverunt

Questa interna via, che va alla porta stabiana fu non so se costruita la prima volta, o piuttosto rifatta a’ tempi, in che Pompei era romana. Sul grosso del marciapiede a sinistra di chi comincia ad andare per questa via si legge scolpito: EX-K-QVI, ex Kalendis Quinctilibus, quando s’intraprese il lavoro. Il mese Quinctilis si cominciò a chiamare Iulius in onore di Giulio Cesare l’anno 710 (Dion. XLIV, 3, ed. Reimar).

n. 24. Vassi di poi all’Anfiteatro, della costruzione del quale e di varie cose che lo riguardano troverà il lettore disputarsi a p. 44 segg, come dei programmi dei giuochi a p. 25 seg. Le due iscrizioni, che s’incontrano alla porta maggiore nei plinti delle nicchie, ove dovevano essere collocale le statue corrispondenti, non solo non antecedono il 779, per la menzione della legge petronia in una di esse, ma sono anche posteriori all’817; poicchè le [p. xvii modifica]vediamo costruite nei pilastri dei sottarchi, i quali sono assai probabilmente aggiunti per restauro dei danni sofferti dall’Anfiteatro pel terremoto di quell’anno. Le iscrizioni scolpite sul podio a sinistra, e le due lapidi che giacciono a piedi de’ due ingressi minori a mezzodì sono interpretate alle p. 47, 48. Dividesi l’Anfiteatro in cavea od arena, che è il luogo ove si dà lo spettacolo, ed in spectacula o cunei, o maeniana, ove seggono gli spettatori. Non essendo qui cataratte sull’arena, come in Pozzuoli, ove collocare le gabbie delle fiere, sarà stato necessario disporle attorno alla palificata. Così il bestiario, custode e maestro della fiera, stando sulla gabbia elevava la saracinesca, e la fiera si lanciava sullo spazzo, ove era attesa al combattimento da un gladiatore, o da altro animale. È una solenne pazzia collocare nelle stanzette di sotto al podio sia le gabbie, sia gli animali. Alcuni palmi discosto dal podio girava uno steccato, che chiudeva il luogo dello spettacolo difendendo gli spettatori dall’assalto delle fiere. Nei programmi che avvisano lo spettacolo sono notate ancora le coppie di gladiatori, egli atleti che combatteranno; si aggiungono le cacce, che si daranno, e le sparsiones ossia le spruzzaglie forse di croco tanto allora gradite, e di più, che MALA ET VELA ERVNT (v. la pag. 25 segg.). Se le MALA sono i pali attorno a cui si legavano le funi a tenere disteso il velario, VELA, come hanno spiegato tutti finora, invero [p. xviii modifica]sarebbe superfluo il nominarli, non meno di quello che il dire MALA, FVNES, ET VELA ERVNT; perocchè nel senso in che tolgono gl’interpreti la voce MALA non arrecherebbero esse veruno splendore o commodo maggiore di quello, che le funi, sostenendo esse non meno dei pali le Vela. Per ben intendere adunque la cosa, immaginate, che il velario ordinariamente si sospendesse sull’Anfiteatro attaccando le funi alle pietre forate, che erano disposte intorno all’ultimo ordine della fabbrica. Questo modo di riparare dal sole gli spettatori non poteva a meno di non lasciare un buon intervallo tra il giro del velario, e la cerchia ove erano legati i capi delle funi: laonde accadeva, che il Sole desse per quell’apertura fastidio per tutto lo spettacolo, ferendo or questo, ora quel cuneo con buone falde di raggi. Era quindi un far più compito il piacere della festa, se a ciò si provvedeva. Però gli editori più generosi al velario orizzontale aggiugnevano ancora i veli verticali che sospendevano in giro tra palo e palo, con che era onninamente chiuso ogni spiraglio al sole. Questo commodo avrebbe fatto crescere la folla, e procacciato maggior favore alla persona (solevano essere i magistrati sull’entrar della carica), che dava lo spettacolo; e però vediamo, che lo avvisano, come le sparsiones, ponendolo nel novero delle magnificenze. Solevano poi stendere tra i pali veli di vario colore, onde rendesse più piacere il variar delle tinte. Questo [p. xix modifica]è ciò, che volle dire Lucrezio in certi suoi versi, spesso citali, ma non in tal senso (IV, 73 segg.).

Et volgo faciunt id lutea russaque vela,
Et ferruginea, cum magnis intenta theatris
Per malos volgata, trabeisque trementia flutant.
Namque ibi consessum caveai subter, et omnem
Scenai speciem patrum, matrumque deorumque
Inficiunt, coguntque suo fluitare colore;
Et quanto circum mage sunt inclusa theatri
Moenia, tam magis haec intus perfusa lepore
Omnia conrident conrepta luce diei.

Varii erano i generi degli spettacoli, varie le maniere di gladiatori, di che non è qui luogo discorrere: solo avverto, che a p. 8-24 si è trattato di alcune novità, che riguardano quella specie di gladiatori detti Reziarii, e Treci. Tornati dall’Anfiteatro, per la via medesima vassi al tempo d’Iside, Iseum. n. 25. Quando si ammetteva la giocosa interpretazione delle voci osche Isidis Prophetae, era natural cosa, che si reputasse assai antico siccome ammesso dagli Osci, il culto della Iside. Ma ora quasi tutti convengono che quelle due parole vanno spiegate Idem probavit, e però non rimane alcuna prova, che ci stringa ad eccettuare gli Osci, costando che i Greci e i Romani assai tardi lo ammisero (v. Saupp Hymn. in Isid. Turici, 1842). La fabbrica dell’Iseum pompeiano è d’indole romana, sembra ancora non anteceda Augusto. Comunque ciò sia, ella è per me posteriore [p. xx modifica]alla fabbrica contigua, detta scioccamente al solito, curia isiaca, a danno della quale l’Iseum ebbe aggiunto, sia un pastophorium, sia un triclinium, pei sacerdoti, che non è facile determinare, al quale n. 26. posero un pavimento a musaico tre divoti della famiglia Popidia, facendovi lavorare allo stesso modo i loro nomi: N • POPIDI • AMPLIATI, N • POPIDI • CELSINI • CORELIA CELSA. Questo edilizio cadde pel terremoto del 817, e Popidio Celsino lo rimise in piedi: per la qual liberalità i decurioni lo ammisero fra il loro numero senz’altra spesa, come praetextatus, essendo appena di sei anni. I dritti di questi ci vengono descritti da Papiniano: Minores viginti quinque annorum decuriones facti sportulas decurionum accipiunt: sed interim suffragium inter ceteros ferre non possunt (D. L. 2. de decur 6). Si legge sulla porta:

N • POPIDVS • N • F • CELSINVS•

AEDEM • ISIDIS • TERRAE • MOTV • CONLAPSAM

A FVNDAMENTO•P•S•RESTITVIT•HVNC DECVRIONES OBLIBERALITATEM

CVM•ESSET•ANNORVM•SEXS•ORDINI•SVO.GRATIS•ADLEGERVNT

L’edificio contiguo è a parer mio lavoro degli Osci, e lo si disse (v. a p. 90). Troppo fondamento ne dà lo stile, e non può ragionevolmente rifiutarsi la testimonianza della lapida in osca lingua quivi trovata, che legge:

[p. xxi modifica]


Vibius Adiranus Vibii filius, quam pecuniam
Reip. Pompeianae testamento dedit, hac
pecunia Vibius Venicius Marii filius, quaestor
pompeianus trebum hanc, Combennii decreto,
faciendam locavit, idemque probavit.

Passiamo più avanti. Questa via che da una parte va declinando alla porta stabiana mette all’opposto in quella detta di Nola. n. 27. La porta ove termina questa via è detta porta isiaca, per antico errore nato dalla interpretazione, che si dava all’Isidu prufatted. La protome scolpita sulla chiave dell’arco pare sia quella della Venere; accanto fu trovato nell’incassamento, che vi si vede, una lapidetta osca, che tempo fa era in vendita in Francia, ove si lesse:

Vibius Popidius Vibii
Filius Meddix Tuticus
Fecit,
idemque
probavit

[p. xxii modifica]L’iscrizione a parer mio riguarda l’arca della porta, e non tutte le mura; le quali mi sembrano del resto opera osca. Anche i segni arbitrarii di riscontro scolpiti sulle pietre delle mura, sebbene per lo più non abbiano verun significato, pure dimostrano, che gli Osci l’hanno lavorate. Perocché ove talvolta vi si adopera alcuna lettera, questa è osca, per esempio, il , il , il , l’ il , o di assai a tal figura si avvicina.

n. 28. Tenendo ora a destra dallo sbocco della via, che va alla porla stabiana, si è davanti alle Terme pompeiane.

Queste erano al 756, quando da M. Staio Rufo, e Cneo Melissèo Apro fu posto quivi un labrum, sul quale si legge:


CN•MELISSAEO•CN•F•APRO•M•STAIO•M•F•RVFO•II.VIR•ITER•ID

LABRVM•EX•D•D•EX•P.P•F•C•CONSTAT•IIS IↃCCL


E va interpretato: Cn. Melissaeo Cn. filio Apro, M. Statio. M. filio Rufo Duumviris iterum Iuri dicundo, Labrum ex decreto Decurionum ex pecunia publica faciendum curaverunt. Constat sestertiis septingentis2 quinquaginta3. Notisi [p. xxiii modifica]la singolar maniera di sintassi, cui manca il nominativo: His duumviris (Hi duumviri) labrum ex decr. etc. faciendum curaverunt4.

Delle terme publiche, siccome dei sepolcri molte cose ed utilissime può esaminare qualunque abbia gusto di filologici studii: per me resta di avvertire, che fuori della porta che mena sulla via n. 29. di Ercolano appena si è tentato di scavare il pago Augusto Felice Suburbano, che a parer mio dovrebbe n. 30. essere fecondo di scoperte rilevantissime; ma i dotti desiderano questa ed altre cose infruttuosamente. Prima di por fine a questo abozzo ho debito di avvertire, che i programmi male interpretati diedero origine ai nomi erronei di alcune case, sulle esterne pareti delle quali furono letti. Perocchè credendo i letterali di allora che fossero raccomandazioni e saluti dei clienti ai loro patroni, ne deducevano essere, per esempio, la casa di Cuspio Pausa quella, ove leggevano Cuspium Pansam, di Sallustio, ove era scritto, Sallustium, di Polibio, ove Polybium: ma questi sono nomi dei candidali, che son cercati alla magistratura dai popolani, e ripetonsi su molti cantoni della città, senza che né Pansa, né Polibio ne avessero la proprietà, né l’uso di quei luoghi. Sarebbe allungar anche di molto questa breve guida se volessi [p. xxiv modifica]dimostrare l’errore di altre denominazioni: come p. e. siasi detta n. 31. casa di Diomede quell’edifizio, che è sulla via di Ercolano, perchè dirimpetto vi si legge su di un cippo l’iscrizione, che non le appartiene in verun modo; e denominossi casa del Questore quella, nell’atrio di cui fu trovata una cassa di ferro, che aveva servito a riporci denaro; costume noto delle famiglie romane, come risulta da Appiano, e non dei Questori. Dirò qui soltanto, che un altro genere di monumenti ci proviene da Pompei, e questo assai rilevante: ed è la scrittura corsiva, in un prezioso numero di leggende, che molto ci rivelano delle tendenze, e dei costumi popolari. Queste epigrafi sono scritte nelle tre lingue, nella osca, nella greca, e nella latina. Ma poiché intorno ad esse ho di già pronto un esteso lavoro, e qualche cosa ne scriverò anche tra breve pel nostro Bullettino, me ne rimango qui di parlarne, raccomandando ai dotti lo studio veramente arduo di questa scrittura.


Note

  1. Poiché ho dovuto introdurre in questo lavoro qualche discussione intorno alle lapide osche, non sarà discaro che vi aggiunga ancora un alfabeto il più completo tolto appunto dai monumenti.
    a v f l p
    b z m r
    g h n s
    d i ì u t
    e c ù ?
  2. Il Mommsen (I.N. 2217) interpreta 5250, somma enorme in tutti i tempi al lavoro di un piccolo bacino di marmo.
  3. Un’iscrizione a pennello, che si leggeva sul muro esterno di questo terme, ne avvertiva, che Cn. Alleio Nigidio Maio principe della Colonia avrebbe dato gli spettacoli nella solennità della dedicazione DEDICATIONE ////RVM (ThermaRVM ). Cn. Alleio viveva sotto l’impero di Augusto (v. a p. 27, segg.).
  4. Paragona la formola della tavola alimentaria bebiana, e la spiegazione, che ne dò nei Monum. Lig. Baebian., e nella Risposta all’Instit. Archeol.